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sabato 30 dicembre 2023

Ombre - 700

“I giudici sono onnipresenti in questa campagna elettorale”, per la presidenza Usa: “Trump ha quattro processi a suo carico. Alcuni sono pretestuosi e avallano la certezza dei suoi fan di una persecuzione giudiziaria; altri sono fondati ma comunque vedono protagonista una magistratura di parte”. Che non è intervenuta a caldo, va aggiunto, sui reati che contesta a Trump, interviene adesso. Rampini e il “Corriere della sera” ne trattano con leggerezza, ma: stiamo parlando di democrazia? Dell’America maestra di democrazia al monda? Votare, perché?


Salvini come Fini? Anche Fini finì male a causa di un cognato.

 
È curioso, sfogliando i titoli di mezza Europa, trovare bilanci tutto sommato positivi del governo italiano, di Meloni. Mentre sui media italiani prevalgono pettegolezzi e commenti negativi. Non spiegati, ma titolati col dubbio o negativamente. Non solo in materia di fascismo e antifascismo, che si spiegherebbe, la materia è sensibile in Italia, su tutto. Tasse: ne pagheremo di più, di meno? Sanità: migliorerà, peggiorerà? Bruxelles: ci approva, non ci approva (ci approva)? Non è un gioco delle parti politico, la sinistra critica della destra (c’è una sinistra in Italia?): è un cupio dissolvi: Alternato con “campioni!” Siamo, plurale maiestatis, sempre campioni di qualcosa, di tennis, di sci, di cucina – in un paese dove più non si cucina.
 
“Combattiamo su sette fronti”, vanta un capo di stato maggiore israeliano. Che non è possibile, già su due fronti una guerra si perde. Ora è possibile perché non è vero: non è un fronte assassinare un  generale iraniano in Siria, non per questo Israele sta combattendo una guerra con la Siria e una con l’Iran. È un grido di guerra. Ma particolare: è in forma di spensierata sicurezza – tranquilli, teniamo a bada mezzo mondo. È qui l’origine della guerra in corso, e il problema di darle un esito, possibile,  duraturo. Israele vive nel mito della guerra dei Sei Giorni, quado si prese Sinai, Cisgiordania e Golan in poche ore.
 
È un caso, ma solo dopo il rimprovero di Brigitte Bardot (v. sotto) , il papa ha un pensiero a Natale per i cristiani uccisi in Oriente e in Africa, in aree islamiche. Per santo Stefano, di cui si ricorda che è stato il protomartire, il primo martire cristiano, Francesco accenna ai cristiani perseguitati - gli unici perseguitati da alcuni decenni per la loro fede religiosa.
 
Maserati (Fiat) chiude a Torino, Lamborghini (Volkswagen) rilancia nella Motor Valley emiliana. Quanto è costato all’Italia il monopolio Fiat sulla fabbricazione di auto? L’Italia era il secondo produttore di auto in Europa quando ancora c’erano Lancia e Alfa Romeo. Mentre  la Spagna produceva poche decine di migliaia di auto l’anno, di una affiliata Fiat. Poi la Fiat ha abbandonato anche la Spagna, ce ora produce due milioni di automobili l’anno, e l’Italia 400 mila, forse 500.
 
Brigitte Bardot odia il papa: “Non lo posso vedere”, confida al settimanale di destra “Valeurs actuellese”, “fa molto male alla chiesa”. Protoanimalista, gli ha scritto per congratularsi “per avere scelto quel nome in onore di san Francesco d’Assisi”, senza averne cenno di risposta. Tra le sue critiche al papa: “Non  si occupa dei cristiani d’Oriente e non ne parla mai”. Questo è vero: dei cristiani che vengono uccisi, per strada e in chiesa, anche in modi trucidi. E coincide col fatto che il Grande Oriente è da qualche tempo molto islamizzante.
 
In tre mesi, quasi, di guerra non merita una pagina la cacciata dei palestinesi dalla Cisgiordania, a opera dei coloni e dell’esercito israeliani – giusto sul “Manifesto”, per pochi eletti. Lorenzo Cremonesi, che ha provato più volte a parlarne, ottiene una pagina a commento di un fotoservizio sui”giovani israeliani che proteggono i villaggi palestinesi nel mirino dei coloni”. Gli attivisti sono “una ventina”.
 
A fondo pagina domenicale Aldo Grasso conclude l’ermeneutica del wannamarchismo invasivo in tv – le influencer: “La creduloneria esenta dall’obbligo della coerenza…. Al primo inciampo, però (si parla di Ferragni, n.d.r.), c’è già chi spera che il nome Meloni possa tramutarsi, metaforicamente, nel Pandoro Rosa di Ferragni”. E chi? Ma lo stesso “Corriere”, con ben nove pagine. Cominciando da quella di Grasso, e a seguire con ben tre grossi calibri, Fubini, Pioccolillo, Guerzoni, anzi quattro, con l’incolpevole Polito.
 
“Marta Fascina sentita in segreto dal Procuratore di Milano”, confida sul “Corriere” Ferrarella, per un volta comprensibile. Oppure no (Ferrarella avrebbe l’orecchio di Dionisio)?

A scuola dal maestro poeta

“Gli anni mi pesano già”, è l’annotazione nel registro di classe del 1962-63”. “La scuola «logora». Arrivo a casa sfinito”, a casa che era dietro l’angolo della scuola. Caproni aveva ancora cinquant’anni. E non era il vegliardo dell’immaginario, delle foto ultime, di quando ebbe qualche fama: era un signor e alto, imponente, il viso quadrato, volitivo, fattezze da attore di cinema. Ma insegnava da ventisette. Insegnava fisicamente, con tutto se steso. “In un primo tempo, più di insegnare a scrivere correttamente”, annota a proposito di un convegno col direttore scolastico sul linguagio nell’insegnamento, “si tratta di insegnare a pensare, cioè a fermare e coordinare le idee, i pensieri”. E a questo fine tutto fa “lingua”. Anche il dialetto: “Cade ilproblema del dialetto. In un primo tempo l’alunno parli pure in dialetto: vuol dire che egli pensa ancora dialettalemente…. Il dialetto si trasformerà a poco a poco in lingua a mano a mano che la cultura diventerà, da dialettale, nominale, etc.”.
Giorgio Caproni fu per una vita, al 1935 al 1973,  maestro elementare, a Roma. Per qualche anno con varie supplenze, poi di ruolo alla “Pascoli”, e dal1951 alla “Crispi”, la scuola di Monteverde Vecchio, dove abitava.
Nina Quarenghi ha rintracciato negli archivi scolastici i registri di casse, e ne fornisce un’edizione leggibile, mai stancante. Facendola precedere da un’introduzione di servizio per il lettore. I ragazzi si distinguono a quell’età per caratteristiche minime, l’insegnamento è ogni pochi anni ripetitivo, e tuttavia il  rapporto col maestro Caproni resta interessante – piacevole, acuto, promettente. E fa nostalgia: la professione era ancora onorevole, ambita – la scuola rispettata.
Caproni da parte sua era applicato, e apertissimo – insegnava dialogando coi bambini. In tanti registri annota per prima cosa sinteticamente le caratteristiche psicofisiche che rileva di ognuno degli allievi – qui proposti con un numero progressivo. E se in una classe si ritrovava uno, due nuovi, creava subito un contatto personale, cercava una chiave, finché la trovava.
Giorgio Caproni, Registri di classe, Garzanti, pp. 330, ril. € 24

venerdì 29 dicembre 2023

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (547)

Giuseppe Leuzzi


Riso sardonico e crisi fiscale dello Stato
La Sardegna è la terza regione in Italia per tasso di suicidi in rapporto alla popolazione, Murgia scopriva nel suo “Viaggio in Sardegna” una decina d’anni fa. Forse è anche la prima, a occhio, guardando le ultime tabelle regionali dell’Istat, quelle del triennio 2018-2020. Più del doppio della Calabria, che ha una popolazione residente maggiore, solo qualche decina in meno della Campania o della Puglia, che hanno una popolazione tre volte e mezza e due volte e mezza quella della Sardegna.
Al Sud in generale si muore meno per suicidio del Centro Italia. E molto meno sia del Nord-Est che del Nord-Ovest - la povertà, relativa certo, dà più fiducia? Eccetto il record della Sardegna. Che, però, non è una tradizione, antichissima? O\e un’anticipazione, della moderna teoria della buona morte, da Hitler alla Svizzera?
Una ragione per eliminare la gente inutile c’è, spiegava Propp, l’analista delle fiabe: “Tra l’antichissima popolazione di Sardegna, i sardi o sardoni, vigeva l’uso di uccidere i vecchi. E mentre uccidevano i vecchi, ridevano sonori”. Era una commistione: a Creta, alle origini dell’Occidente, una statua di bronzo fu donata, di nome Telo, che ogni giorno faceva il giro dell’isola, e se incontrava un nemico fenicio lo arroventava abbracciandolo ridendo. La risata passò in Sardegna quando Telo e i cretesi, fonditori di metallo, si trasferirono nell’isola ricca di miniere – via Sardi di Libia, lì vicino?  
Questo Michela l’ha mancato: la pratica dell’“accabadora” derivata dal vecchio uso sardonico. La pratica però può tornare utile nell’instaurazione che il contemporaneo illuminismo persegue della buona morte. Per mano propria o altrui. Di persone che comunque non potranno vivere una “buona vita”, e quindi è inutile tenere in vita. Con un risparmio notevole per il bilancio della sanità – di che risolvere l’ormai cinquantennale crisi fiscale dello Stato.
Molti passi sono già stati fatti su questa strada. Perché si dice “Svizzera” ma di fatto la Germania e altri paesi dell’ur-germanesimo da tempo non praticano chirugia antitumore sugli ultrasettantacinquenni senza garanzie di risanamento risolutivo. Col riso sardonico l’Italia si assicurerebbe un sicuro primato.     
 
Le architetture del leghismo
L’antipatia di Gadda per la sua terra, per le architetture della Lombardia, della Brianza, di Milano, professata specialmente nei racconti milanesi e nella “Cognizione del dolore”, ermegeva, più che come una fobia, come un rifiuto argomentato nell’abbozzo della “Cognizione” che è il racconto “Viaggi di Gulliver, cioè del Gaddus”, dell’autunno del 1933. Un testo pubblicato tardi, nel 1970, in una collettanea in onore di Raffaele Mattioli, il banchiere-mecenate che molto aveva aiutato Gadda, ora nella raccolta “Le bizze del capitano in congedo”:
“Volendo io discorrere la cagione di così turpe e scimiesco malfare, dirò che la si ritrova essere di quattro diverse generazioni: primo perché detti Lombardi sono mescolati di Galli e di Germani e sentono come uno richiamo del sangue e delle terre da che ab antiquo convennono sotto il cielo ed i segni e le leggi nostrani: e questa è cagione non disdicevole perché la è congeniale, né vi ha luogo di accusa. Secondo perché i traffici e industriose fabbriche de li pitali di ferro smaltato vennero loro nell’anno 1900 circa primamente dalla Magna, e col venir pitali motori elettrici e macchine da tessere essi pensorno, nel giudicio suo, ne dovesse venire in consequenzia l’arte dell’edificio, che è legata alla materia invece ed al clima, alle convenienze ed alle luci, alle opportunità delle genti e de’ luoghi…. La terza generazione  dell’esser scimmie rivolte nel cielo settentrionale è la più grave e turpe, ed è una sorta di mancamento della propria anima di popolo, o del senso, del valore e vigore collettivo del popolo suo… E la quarta generazione, dirò a conchiudere, è fatta d’ignoranza, di cecità, d’ignavia, e di celtica e germanica presunzione mescolate nel sangue lombardo, senza l’attiva ricerca di quelli”…
“Andate a veder mondo e paese!”, Gadda infine esorta i suoi: “E modi e genti, torri e palazzi”.
Milano e la Lombardia, molto sono mutate in breve tempo – hanno fatto la “gita a Chiasso” che l’altro Gran Lombardo, Arbasino, consigliava. Per gli affari. Ma lo spirito è sempre quello? “Ogni operosa bontà non può ignorare gli emuli sua,poiché se tu non li vedi”, proseguiva Gadda, “e’ possono aver fatto senza tu lo sappi cento volte quel che tu fai”.
 
Il Nord è un valore, sotto spirito
Da anni la Finlandia viene incoronata il paese più felice al mondo da chi compila queste  classifiche. Suscitando l’ilarità dei finlandesi. Come nel caso degli attori protagonisti del film di Kaurismaki premiato a Cannes, “Foglie al vento”, Alma Pöysti e Jussi Vatanen. Una storia d’amore muto, nel cinema parlato, ma nel film si parla pochissimo, tra due senza lavoro, lei licenziata per nessuna ragione, lui perché beve. L’ennesima storia di deiezioni, silenzi e malinconie. “Il tono del fim non è così distante dalla realtà”, spiega Pöysti a Marco Consoli sul “Venerdì di Repubblica”, “perché la cosa più scontata da condividere tra finlandesi è il silenzio”.  E Vatanen: “Per questo l’alcol è così diffuso nel nostro Paese. Ci serve qualcosa che ci aiuti a superare questa barriera sociale ma anche per dimenticare il dolore dell’esistenza”. Per “barriera sociale” intendendo la segmentazione, fra chi è affidabile e chi no. 
La Finlandia è, con la Danimarca, il secondo paese al mondo dove chi beve si ubriaca almeno due volte al mese – prima viene l’Australia, con tre ubriacature per alcolista al mese.
 
Calabria-Veneto, quasi un gemellaggio
Il paese di Arborea, in provincia di Oristano, spiega Murgia nel “Viaggio in Sardegna”, “ha la produttività agricola più elevata dell’isola ed è tra i primi cinque produttori italiani di latte”. Era una zona malarica, bonificata negli anni 1920 e messa inproduzione con “criteri di sfruttamento più  razionali:  il centro è tuttora abitato dalla comunità di origine veneta che lo fondò”.
A lungo i veneti sono emigrati, per bisogno, fino agli anni 1960, anche 1970. In Sardegna, come si vede, come in tutte le zone malariche da bonificare, nelle paludi pontine, nell’arido sud-ovest della Francia. Al Sud pure in virtù della ferma militare a Casarsa della Delizia, fonte di connubi anche felicissimi. Due è possibile ricordare personalmente. Di neo padrone di casa venete all’origine della prima valorizzazione in Calabria del Parco del Pollino a Campotenese, e del Parco dell’Aspromonte sotto Gambarie, poco sopra Santo Stefano. Un rifugio per camminatori, che divenne anche sosta pranzo per la prospiciente autostrada, e un una trattoria di campagna paradisiaca con vista sullo Stretto, lontano e avvolgente, attraverso rami di limoni e di mandorli.  
Il primo colono moderno di Sibari, area malarica, che vi importò le risaie, era di origini venete. Vi si dedicò dopo che una rabdomante altoatesina vi aveva trovato l’acqua. L’impresa fu difficile: i terreni erano cinque metri sotto il livello del mare, l’area era da un millennio abbondante infetta – acquitrinosa, malarica. Ma il signor Candido ci riuscì. Questo settant’anni fa, poco più. Oggi la piana di Sibari è un giardino delle Esperidi. Vi fioriscono gli agrumi, arrivando sul mercato come primizie (clementine) e come prodotti tardivi (ovale di Calabria, succosissimo a giugno), varie qualità di pesche, le albicocche. Mentre le risaie arricchiscono anche la diocesi  di Cassano, cara al papa Francesco.
Parlava del signor Candido, risicultore di origine padovana a Sibari, Gustav René Hocke, nei suoi “vagabondaggi nel Suditalia greco”, che intitolò “Magna Grecia”. Non se ne sa di più.
 
Cronache della differenza: Aspromonte
Il “Corriere della sera-Login” visualizza graficamente i 1.600 e oltre terremoti del 2022. Quelli più numerosi, ma meno che devastanti, dal punto 3 al punto 3.9 della scala, sono tutt’attorno all’Aspromonte, in mare. Nel Tirreno tra la Piana e le Eolie, e sopra capo Vaticano, verso il golfo di Lamezia. Oppure nello Jonio - almeno quattro scosse sono state registrate nel mare antistante la Montagna, da Roccella a capo Spartivento. La Montagna è solida.  

Toro è il dio che ha rapito Europa – poi divenuto bestia sacrificale nelle grotte del dio Mitra. Risorto - o riapplicato - in Taormina (Tauromenion) e Gioia Tauro  (l’antica Metauros, n.d.r., con l’aggettivo Gioia derivato dal greco-bizantino zoa, viva). “Ai piedi dei monti degli antichi Vituli,  così chamati dal loro animale totemico – lo stesso che avrebbe dato il nome alla parola “Italia” (Paolo Rumiz, “Una voce dal Profondo”, 88). Stiamo parlando dell’Aspromonte.
 
A Gambarie si sciava guardando il mare, fino all’Etna. Un’infausta riforestazione lo impedisce: si scende dal monte Scirocco come in una qualsiasi vallata alpina, chiusa, o abruzzese.
 
“Il 60 per cento delle foreste italiane è gestito a vuoto: non genera valore”, Alessandra Stefani, direttore generale Economia Montana al ministero dell’Agricoltura e Foreste: “Il legno viene tagliato e bruciato e basta”. Non era così. La Sila si pregiava d’essere il “bosco d’Italia”. L’Aspromonte terra di abetieri, falegnami e mobilieri specializzati nel trattamento delle abetaie - poi soppiantatae da frassini e faggi. Ora il parco accudisce, ma nel senso di accumulare. Roba anche inutile. Anche dannosa – insetti, cinghiali, incendi.
 
“Liberare” le pinete è come un grido, spontaneo andando per l’Aspromonte, nel Parco. Molti boschi, soprattutto le pinete, sono così fitti che sono secchi: sono verdi all’esterno, dove gli alberi respirano, sono vuoti e secchi all’interno, dove i pini sono stati piantati a grappolo, e non cresce nemmeno un filo d’erba. Pinete marce, che peendono fuoco con una scintilla.
Si continua a piantare, anche se non crescerà nulla, non può. Gli abeti, che coi faggi crescono facendosi vicendevolmente ombra, vengono piantati a fasci, isolati sotto il solleone, sicuri quindi che il rimboschimento è solo una spesa sprecata. Ci guadagnano solo i vivaisti.
 
Si sono rimboschite le radure, d’alpeggio o frangifuoco. Sono state ricoperte, appena creato il Parco, di fitta alberatura, quasi ovunque di pino canadese. Sono radure che sono sempre servite da pascolo a ovini e bovini, che hanno sempre contrassegnato il territorio, creando aria, ospitando vedute, e che da sempre ospitavano specie erbose caratteristiche, ora sacrificate all’ombra di pini estranei al territorio, che proiettano un’impressione di soffocamento.
Cosa ci vuole, quale arte superiore, per sfoltire le pinete secche, liberare le radure, piantare faggi e abete a regola d’arte? Quale norma europea – “lo vuole Bruxelles” è il solo comando sentito in Italia. Non hanno i parchi, gli ex Forestali, le aziende forestali dello Stato, degli agronomi? Perché tanto spreco, offensivo ai più?
 
Si rimboschisce qualsiasi superficie scoperta. A Gambarie non solo la pista da sci, anche la spianata del Grande Albergo, una vasta terrazza sullo stretto, una presa d’aria e di benessere, di luce, è diventata una selva – dopo il periodo in cui l’albergo è stata adibito a casa di riposo, più redditizia.
 
Tre Aie, ancora a Gambarie, era un sito ameno, attorno a tre sorgenti, in un ambiente aperto, che respirava la montagna e la brezza del mare, è ora un sito cupo, sovrastato da alberi enormi, frondosi, polverosi. Le fonti alimentano una  marcita, paludosa.


leuzzi@antiit.eu

Napoli a Ferrara, la commedia dell’amicizia

Un’agenzia di servizi di compagnia aiuta i dipendenti di una società di dolciumi che il titolare vuole vendere ai cinesi. Tramite una ragazza incaricata di fare invaghire l’ingegnere, uomo solo. Che però finisce grazie alla scombinata agenzia per ritrovare il suo passato e se stesso, attraverso una serie di eventi improbaili. L’affare si trasforma in amicizia, di cui si riscoprono le virtù balsamiche, l’azienda è salva, il titolare Siani trova anche l’amore, della ragazza adescatrice.
Due bei ruoli per Matilde Gioli e Max Tortora, il caratterista per una volta protagonista. Oltre che naturalmente per lo scoppietante Siani. Il verosimile all’insegma dell’inverosimile: un mondo napoletano dentro la granitica Ferrara, per una volta protagonista al cinema.
Alessandro Siani, Tramite amicizia
, Sky Cinema

giovedì 28 dicembre 2023

Problemi di base amorevoli - 783

spock


“L’amore e la luna si nun crescono calano”, detto romano?
 
Si muore d’amore o è l’amore che muore?
 
“Il tradimento è l’ultima verità che rimane”, Arthur Miller?
 
“L’amore è tutto ciò che puoi ancora tradire”, Le Carré?
 
“Oggi le persone hanno più paura del cuore che del sesso”, Willy Pasini?
 
I matrimoni di maggior successo sono start-ups, non mergers”, Arthur G. Brooks?

spock@antiit.eu

Come salvare la buona coscienza

La buona coscienza è fonte di guai. Il film non lo dice ma la cosa è risaputa: la buona coscienza, intesa come un guardiano che controlla tutto, va contro il libero arbitrio, di cui è impastato l’essere umano. Il film è di una buona coscienza che esce dal riparo, nel suo laboratorio-iperuranio, per riportare l’assistito sulla retta via – salvo sostituirsi a lui, nelle sue vaghezze, per quanto irragionevoli.
La svelta commediola della premiata ditta Lucisano, con Minnella alla regia su una sua propria idea, parte un po’ legnosa. Tra monacali soggetti (anche un po’ cattivi, soprattutto quelli femminei) in un’algida cornice da multinazionale della coscienza. Con premi di produzione, e licenziamenti o punizioni per scarso rendimento. Maestra e ceo Drusilla Foer. Ma poi si scioglie in racconto veloce, infine bislacco tanto quanto l’idea stessa, della buona coscienza che vuole prevenire e correggere un errore. Grazie qui a un recuperato Alessandro Benvenuti, lo svanito in età, cui la buona coscienza dovrà la salvezza, di diventare umana.
Non ben reso (girato? montato?) nel totale. Ma un format sicuramente invidiato, facile prevederne rifacimenti.
Davide Minnella, Cattive coscienze, Sky Cinema Due, Now

mercoledì 27 dicembre 2023

Evasione, erosione, elusione

Si ride del 730 dell’onorevole Conte, il leader dei 5 Stelle, che per il 2022 ha dichiarato un reddito lordo di 24 mila euro. Su cui ha pagato appena il 7,2 per cento di Irpef – una cosa quasi da no tax area, da poveraccio. Un reddito lordo corrispondente a due mesi e mezzo di parlamentare, da metà ottobre 2022, e nient’altro. Di uno che è avvocato, professore universitario, possidente, ed è stato capo del governo fino a metà ottobre. Ma si ride male, senza cioè ricordare che le entrate fiscali sono decimate, più che dall’evasione, illegale, dalle pratiche legali chiamate elusione,erosione.
Si erode sapendosi aggirare nel coacervo di norme ed eccezioni tributarie: alcuni imponibili sono esenti da imposte, basta saperlo. Si elude disintestandosi beni e redditi di cui pure si beneficia, e navigando tra imperfezioni e lacune delle leggi tributarie. Si è sempre fatto, si può fare.
Conte è il capo di un partito moralista. Ma questo non cambia: il moralismo è una tassa sugli onesti. 

Ecobusiness

Il prezzo di listino (senza optional) medio dell’auto elettrica è in Europa di 55 mila euro – Report Jato Dynamics.
La Rca e le assicurazioni complementari delle auto elettriche sono più care.
Si compra l’auto elettrica con contributo statale, cioè dei contribuenti, fino a 14 mila euro (13.750 esattamente). Basta avere un catorcio da rottamare, Euro 2 o Euro 3, inquinanti da togliere dalla circolazione – anche se non circolano più, o raramente (auto storiche).
Non si compra un’elettrica, si compra un’ibrida, che poi si manda a benzina. Non si può fare un lungo percorso con l’auto elettruica, non ha autonomia. E anche in città, richiede ore per la ricarica.
“Proseguono” a Roma “i lavori del dipartimento Csimu del Comune sulle piste ciclopedonali”, con “lo sfalcio delle piante infestanti sui tracciati”, del “verde infestante”, e “la rimozione di materiali abbandonati…. Su 70 km. di piste ciclopedonali”. In effetti, sulle piste ciclopedonali non si vede mai nessuno, sono servite solo agli appalti.
La transizione è un salasso. Non solo per gli incentivi, cioè risparmio forzoso attraverso le tasse, per finanziare lautamente le case automobilistiche e i loro azionisti.

Figli come la peste, di cui non si può fare a meno

Un film controcorrente – controtempo? Nell’Italia dove non si fanno figli, una coppia volteggia felice, sulle piste, di corsa e da ballo. Mentre i loro amici, imbolsiti, crescono figli. Finché una mattina non si ritrovano in casa tre ragazzini, tre figli. Con le note complicazioni, note ai padri, che la loro inettitudine moltiplica. Ma quando l’incantesimo finisce e i figli spariscono di nuovo, i due ex giovani ex spensierati ricorrono subito all’adozione.
Spalleggiato da Virginia Raffaele, De Luigi prova a fare il mattatore. Ma i bambini gli rubano la scena.
Fabio De Luigi, Tre di troppo
, Sky Cinema

martedì 26 dicembre 2023

Secondi pensieri - 532

zeulig


Conoscenza  - Dovrebbe renderci virtuosi e virtuìsti, nel sentire comune. Mentre si sa che può essere anche motore delle peggiori follie, dall’iprite alla bomba atomica. Soprattutto la conoscenza scientifica, che si ritiene autoassolvente, anche nelle peggiori infamie. In certe civiltà in certe epoche è stata considerata pericolosa e proibita. C’è un limite a tutto, come si suol dire, anche alla conoscenza.
 
Crisi – Non è un dato esterno, è soggettiva.  Anche in economia, dove più è ricorrente. O in politica: si labella crisi, e si vive come crisi, uno stato di pace, mentre in guerra si opera, con impegno, per la pace. Si vive in crisi come condizione generale , continuativa - ricorrente. Perfino “sistematica”, checché s’intenda con ciò dire: dei tempi, dell’epoca, più che del sistema propriamente detto, di potere, economico - oggi entrambi sicuramente, “oggettivamente”, migliori, più democratici, più affluenti, per il maggior numero. Si direbbe una condizione generalizzata di depressione psichica, di indebolimento delle difese per sovrabbondanza (l’abbondanza non è mai eccessiva, ma sì nelle abitudini di consumo, oggi sicuramente eccessive: troppe cose, troppo ricambio, troppo consumo - troppo nel senso del numero, dell’effimero, dell’affastellamento, senza più alcun criterio di qualità, durata, risparmio). Oppure un’ideologia.
Il futuro è sempre speranza.  Oggi è pauroso ma per effetto della cultura della crisi, che ci attanaglia. Accompagnandosi, ironicamente, all’ideologia del migliore dei mondi possibili. E non solo all’ideologia, bisogna dire: curiosamente, si vuole senza futuro l’epoca del never had it so good, del mai stati così bene, nella sanità, nel reddito, nella convivenza civile, dentro e fuori le nazioni, nei diritti – perfino in Africa, niente a che vedere con quella di trent’anni fa. Una cultura che, volendo razionalizzare, serve per tenere il morso stretto, per tenere a bada queste masse sempre più enormi sempre più affluenti. Anche sotto il profilo affaristico, bieco: per obbligarle a spendere, anche a debito, per un “futuro migliore”. Il futuro migliore, cessato ogni empito rivoluzionario, o illusione, è oggi una automobile elettrica, il doppio dell’attuale, come ingombro e come costo. E coibentazioni che tolgano il respiro ai muri e alle imposte, e agli inquilini.
 
Ennui – È la bandiera dei letterati francesi a metà Ottocento, compreso lo storico Guizot. Uno stato d’animo presunto più che vissuto o sofferto, condiviso da Baudelaire e Flaubert, che ne farà il motore di “Madame Bovary” – entrambi processati , quasi in contemporanea, nel 1857, per oscenità, quindi perché in qualche modo stuzzicanti, e non annoiati e noiosi. “La noia dunque, la noia universale, ecco il male, e per servirci di una parola noiosa, il male costituzionale, del XIXmo secolo”, Barbey d’Aurevilly.
Baudelaire progetta nel 1852, o 1853, un libretto d’opera,”La Fin de don Juan”, di cui dà questa sinossi: “Il dramma si apre come il «Faust» di Goethe. Don Giovanni passeggia nella città e nella campagna col suo domestico. È in vena di familiarità – e parla della sua noia mortale e della difficoltà per lui insormontabile di trovare un’occupazione o dei godimenti nuovi. E confessa che qualche volta gli capita di invidiare la felicità spontanea degli esseri inferiori a lui”.
Ma è piuttosto acedia che noia, come viene solitamente tradotto. Assenza di stimoli, senso di solitudine anche in compagnia, di sconforto anche a feste, balli, pranzi, e inerzia. Del genere più vasto delle malinconie di Burton, in realtà dell’insoddisfazione di sé.


Ignoranza – Appare la condizione iniziale, alla preluce dell’essere. Una tabula rasa. Sembra ovvio ma non lo è. Per l’evidenza dell’esperienza. È un rifiuto. O accettazione passiva. Un percorso umano per diminuzione invece che per incremento.
 
È liberatoria quando è riconosciuta, si riconosce - “non so”, “so di non sapere”. Ma in questo caso è già una forma di conoscenza, per di più raffinata, socratica” - ironica, contestativa. Non lo è comunque nella pratica, quando è opposta all’apprendimento,  La conoscenza è infatti sempre discriminatoria – complessa: riflessiva, congetturale, pratica (comprovata) – e in continua trasformazione. Al contrario dell’ignoranza, che, se non sempre è tirannica o punitiva, però si vuole assiomatica e quindi (potenzialmente) dannosa (limitativa) – il so di non sapere è privilegio dell’intelligenza.
 
Quando è segretezza, si vuole positiva – giusta, benefica. Si vuole giustizia, ben fatta: il voto segreto, il confessionale muto – e anche Dio si vuole sia nascosto. Ma in questi casi non per mancanza: per una speciale connotazione dell’essere-evento. La conoscenza, come opposta all’ignoranza, è “sapere”, per dirla con Confucio, “sia quel che si sa sia quel che non si sa”. 
 
Opinione pubblica – Ne fu studioso e analista Flaubert, in termini spregiativi, come senso comune, o delle frasi fatte. “Bovary” e la vastissima corrispondenza, nonché il “progetto di una vita”, delle “Idee ricevute” , o frasi fatte, in parte traslato in “Bouvard e Pécuchet”, vertono sull’opinione. Il progetto di “prefazione” del “Dizionario delle frasi fatte” Flaubert descriveva a Louis Bouilhet in questi termini: “Sarebbe la glorificazione storica di tutto ciò che si approva. Vi dimostrerei che le maggioranze hano sempre avuto ragione, le minoranze sempre torto. Immolerei i grandi uomini a tutti gli imbecilli, i martiri a tutti I boia”. Una strategia ironica, intesa a scombinare a l’impero dell’ “opinione”. Antidemocratica: un svilimento ironico dello spazio pubblico democratico, la grande invenzione politica dell’Ottocento. Di cui intende mettere in rilievo i limiti, i vincoli, la “mediocrità”. E soprattutto il conformismo, sotto la chiave della democrazia: della maggioranza che comanda, dell’obbedienza alla maggioranza. Nel migliore dei casi, una eccentricità: “Questa apologia della canaglieria umana su tutte le sue facce, ironica e urlante da un capo all’altro, piena di citazioni, di prove (che proverebbero il contrario) e di testi inquietanti (questo sarebbe facile), sarebbe al fine, direi, di finirla una volta per tutte con le eccentricità, quali che siano”. Contro l’errore dell’ugualitarismo: “Entrerei nell’idea moderna di eguaglianza, nel detto di Fourier che “i grandi uomini sono inutili”.
 
Presepe – Quello di san Francesco, delle origini, senza il Bambino Gesù, in una culla vuota e due animali di contorno, il Bue (ebraismo) e l’asino (paganesimo), è la rappresentazione della presenza-assenza della divinità. Quello in uso, “napoletano”, delle tante e varie figurine, a cominciare da Maria, è invece una rappresentazione dell’umanità.
Elisabetta Moro,  “Il Vangelo in dialetto”, ci vede la cifra dell’appropriazione particolare, localizzata, della Natività e della religione: “”L’idea geniale di Francesco è che ovunque ci sia una mangiatoia  lì c’è Betlemme.”. La Natività viene così trasportata nelle nostre terre e nelle nostre case: “La sacra famiglia migra verso altri lidi e assume anche i tatti somatici di altre genti”: in Sicilia dei pupi, in Tirolo è alpestre, in America Latina i costumi sono andini, in Africa gli animali selvaggi fanno da sfondo, a Napoli il Vesuvio e le rovine di Pompei: “Di fatto il presepe diventa un plastico del dogma teologico della Natività”.

Storia - È l’essere del tempo.
 
La storia procede (viene?) mascherata. Non di suo, la storia è inerme - un palcoscenico aperto. Ma si riflette negli occhi di chi la guarda - bramosi, concupiscenti, cinici, bari (anche equanimi, rispettosi). È un corpo desiderato, arrendevole


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Effetti speciali della fantasia, il presepe è universalista

Cento curiosità sul presepe, “il presepio in cento parole” è il sottotitolo. Da Abacuc a Zingara, dopo Zarathustra. Villoresi, cronista, non si lascia impressionare: “La storia del presepio sembra complessa, misteriosa…. E forse lo è. Ma tutto è anche molto chiaro, lineare, leggero come quel primo passo”. Che non è la Natività, la nascita di Nostro Signore. Quella è semplice, e ben fissata nei Vangeli. Da Matteo: “Gesù nacque a Betlemme, una città della Giudea, al tempo di Erode”. E Luca: “Maria avvolse il figlio nelle fasce e lo mise a dormire nella mangiatoia perché non avevano trovato posto nella locanda”.  Il “primo passo” è “aprire uno scatolone” – “ecco l’oste, i sugheri, l’asino… ecco il Bambinello”. Dopodiché la storia è libera.
Ce n’è per tutti – contrariamente alla solita polemichetta massonica che accompagna ogni Natale: “La Natività evocata dal presepe è onorata dallo stesso Corano”. E il presepe è “la più contaminata e la più multiculturale delle manifestazioni cristiane”. S i può dire quello che si vuole, ma il presepio è  internazionalista”, nei suoi personaggi e nelle sue storie. “E pure qualcosa di più: universalista, come gli effetti speciali della fantasia, le stelle d’Oriente, i cori d’angeli, la luce nella grotta. Il brogliaccio è aperto”. I personaggi innumerevoli, e i più incongrui. Vi “trovano accoglienza – al riparo dalle censure della Chiesa – diversi santi ufficiosi e qualche divinità di ultima generazione, da Totò a Maradona”.
Luca Villoresi, Purché non manchi la stella, Donzelli, remainders, pp. 157, ill. € 9

lunedì 25 dicembre 2023

Letture - 540

letterautore


Berto
– Massimo Raffaeli prende lo spunto da un plaquette di Giuseppe Berto, sull’utilità della Vanità – di un congruo narcisismo - per rivalutarne tutta, più o meno, l’opera. Eccettua solo il giornalismo dei “Soprapensieri”, includendo nella rivalutazione perfino “Anonimo Veneziano”). Con applicazione e con acribia, un monumento. Ma in breve, mezza pagina, e solitario. Il partito Comunista è morto trent’anni fa ma l’“egemonia culturale” ha la coda lunga?


Bovary – Di “ironia profonda” dice il romanzo Jacques Neef, presentandone l’edizione economica più diffusa, nei Livres de poche.

Cairo Gang – John Banville prova a rianimare il giallo un po’ seduto “Il dubbio del killer” ricordando verso il finale  “la squadra dei servizi segreti dell’esercito britannico che era stata mandata a Dublino ad affrontare l’IRA durante la guerra d’indipendenza”, 1918-1921. Un gruppo di pensionati dei servizi segreti britannici fu richiamato in servizio e addestrato ad assassinii mirati di capi dell’Ira. Ufficialmente denominati Special Branch del Dublin District (Ddsab), furono noti come “Cairo Gang” non si sa per quale motivo. La biografia di Michael Collins, il giovanissimo capo dei servizi di intelligence dell’Ira, lega il nome del gruppo a un passato comune di servizio in Medio Oriente. Lo storico Conor Cruise O’Brien lo lega invece al caffè Cairo, al centro allora di Dublino. Dodici dei venti membri del gruppo furono assassinati simultaneamente, uno per uno, in vari post di Dublino, all’alba della domenica 21 novembre 1920, poi nota come “Bloody Sunday”, secondo un piano messo a punto da Michel Collins. Il quale fu assassinato a sua volta, il 22 agosto 1922, da alcuni membri dell’Ira contrari ai primi accordi di pace dell’anno prima, cui lo stesso Collins aveva preso parte.

Europa - “La laica Europa sventola lo stendardo di Maria”, può concludere Rumiz sardonico il suo riesame della bandiera dell’Unione: azzurra, il manto della Madonna, con tante stelline, che sono le dodici stelle di Maria nell’ “Apocalisse” di Giovanni. Rumiz, “L’Italia dal profondo”, la fa descrivere dallo storico biellese Alfredo Bider: “Uno spiantato e ignaro parigino si era ispirato alla stele di una medaglia miracolosa acquistata in rue du Bac per proporre a Bruxelles la sua idea di bandiera. E fu un ebreo a sceglierla, sempre per sbaglio. Costui ignorava che quella erano le dodici stelle dell’Apocalisse” di Giovanni, capitolo dodicesimo, dedicato alla Donna e al Drago. È per ignoranza che la laica Europa ostenta ora lo stendardo di Maria”. Non è un soprassalto di malumore, sardonico, di Rumiz, o dello storico Bider: il disegnatore fu un dipendente del Consiglio d’Europa, Arsène Heitz, una sorta di factotum, che sottopose una ventina di bozzetti. La scelta fu fatta dal suo dirigente, un belga, il barone Paul Michel Gabriel Lévy, direttore per molti anni delle Informazioni al Consiglio d’Europa. Heitz si era ispirato, disse, alla “medaglia miracolosa” della Madonna che nel 1830 appariva in rue du Bac a Parigi a santa Catherine Labouré. E insieme a Lévy avevano trovato conferma nel dodicesimo capitolo dell’“Apocalisse” di Giovanni: “Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una donna vestita di sole con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle”.

Lazio – Letteralmente, terra larga, spaziosa. Per i Sabini, presumibilmente, e altre tribù delle montagne. Anche per gli Etruschi, popolo di colina.

Natale – “Pure io penso, con gli inglesi, che Dickens abbia inventato la letteratura di Natale”, Francesco Merlo, “la Repubblica”. E Jacopone? San Francesco, l’infinita drammaturgia napoletana del Natale, col presepe e senza, Manzoni? Anche Gogol’, per dire. Il laicismo a volte è assurdo – “inglese”, cioè laico?

Ernest Pinard – Fu un Procuratore della Repubblica (Sostituto Procuratore) celebre a Parigi nel 1857. A febbraio fece processare “Madame Bovary” e perdette la causa. Ma ad agosto riuscì a far condannare Baudelaire, “I fiori del male” (sei poesie soppresse, multe di 300 franchi all’autore e di 10 all’editore). Più dura la condanna che ottenne il mese dopo per Eugène Sue, “I misteri del popolo” (“Les mystères du Peuple”): 6 mila franchi d’ammenda e un anno di prigione all’autore, multe e detenzioni di varia lunghezza per l’editore e per lo stampatore, distruzione del libro.
Flaubert ne pubblicò la requisitoria in testa alla prima edizione in volume di “Madame Bovary”, come lettura accurata del romanzo, anche se conclusa male. Quattro anni dopo si scoprì che il Procuratore era autore di poesie lubriche.
 
Politicamente (s)corretto – Inviando a Falqui il racconto “Una fornitura importante”, Gadda spiega che il fatto è realmente accaduto”, è “per così dire, un fatto di cronaca”. Ma, essendoci “una «madre superiora», d’altronde molto seria”, suggerisce al bisogno di sostituire tranquillamente “«madre superiora»  con «direttrice» e «Istituto San Giuseppe» con «Istituto Tommaseo» o qualcosa di simile”.
Lo ricorda Dante Isella nella nota alla sua edizione dei “Racconti dispersi” di Gadda per la Garzanti nel 1989. La notazione non c’era nella sua prima pubblicazione degli stessi racconti nel 1981 per Adelphi - sotto il titolo “Le bizze del capitano in congedo e altri racconti”. Il “politicamente corretto” è emerso negli ani 1980? Gadda naturalmente aveva scritto a Falqui nel 1949 senza minimamente porsi il problema – non di “correttezza”, solo di sensibilità, essendo i lettori del giornale dove Falqui lavorava, “Il Tempo, conservatori e codini. In uno dei racconti di questa raccolta postuma, “La passeggiata autunnale”, ha persino un “quattro macachi di schioppettoni”, per i Carabinieri. 
 
Presepe – Fa otto secoli giusti. E consistette, quello di san Francesco a Greccio, in una mangiatoia, vuota, con accanto un bue e un asino. Due animali simbolici, che dovevano rappresentare rispettivamente gli ebrei e i pagani, probabilmente i mussulmani (due comunità di cui san Francesco aveva appena avuto conoscenza diretta in Palestina). Ma solo in via ipotetica. La Madonna invece, che riporta il presepe in ambito chiesastico, come già avveniva prima di Greccio, è invenzione di pittore, di Coppo di Marcovaldo probabilmente, che nasceva l’anno dopo il presepe di Greccio, e fu a Firenze, la sua città,  il pittore di riferimento prima di Cimabue - già con Arnolfo di Cambio, 1291, nella basilica romana di Santa Maria Maggiore, assumeva la forma poi canonica.

 
Roma – Freud vi si sentiva a casa, anche se deluso da quello che vedeva, comprese le monumentali archeologie e architetture. Ci fu sette volte, una frequenza inconsueta, negli anni in cui l’Italia era soprattutto Firenze e Venezia. “Per me è molto naturale essere a Roma, non ho alcuna sensazione di estraneità”, scriveva a un corrispondente. Ne scrisse anche come diu na nevrosi: “Il mio desiderio di andare a Roma è profondamente nevrotico”.
 
Sardegna – Terra di storie, la dice Michela Murgia, “Viaggio in Sardegna”: “C’è una Sardegna come questa”, premette, “davanti ai camini si racconta che ci sia, che poi è la stessa cosa, perché in una terra dove il silenzio è ancora il dialetto più parlato, le parole sono luoghi più dei luoghi stessi, e generano mondi”. Anche perché in Sardegna “esiste tutto ciò che viene raccontato”. E più in là, più in esteso: “Nessun’arte, sull’isola, è popolare e trasversale alle generazioni quanto quella di raccontare storie, al punto da avere dato vita a veri e propri generi letterari locali, come «sos contos de fochile», i racconti del focolare, o «sos contos de jannile», i racconti della soglia di casa”.
 
Servizi – Quelli domestici l’ing. Gadda, “Gaddus”, distingue in “visibili ed invisibili”: “L’energia elettrica è prodotto invisibile in senso stretto. Il servigio dello scolo dell’acque luride è invisibile perché viene operato nel sottosuolo” – in nota a “Le bizze del capitano in congedo”. 

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Confusione in chiesa

“Il Vangelo non è un distillato di verità”, dice il cardinale Zuppi a Cazzullo per l’intervista di Natale. C’è un po’ di confusione nella chiesa di Francesco.
Zuppi non è un prete di strada, come è stato detto. Viene dagli studi, è figlio di un direttore dell’“Osservatore Romano”, era diplomatico con la Comunità di Sant’Egidio, e parroco dell’adiacente Santa Maria in Trastevere, che è una basilica,  non ha più molti fedeli ma continua a possedere un buon quarto di Trastevere. È stato vescovo ausiliario di Roma con papa Ratzinger, e poi in rapida ascesa con
 Bergoglio,  arcivescovo di Bologna, presidente dei vescovi italiani, cardinale. Dicono che la verità dei vangeli è amore. Di sé, di apparire bene? Di apparire?
“L’altra sera mi hanno invitato a una festa di Rifondazione”, continua il cardinale, “sono venuti in tanti a chiedermi una foto, «così poi la mando a mia mamma»”. La cosa gli fa capire che “il cristianesimo ha radici più profonde” di quanto si pensi. Bella scoperta.


La festa della nascita, l’evento più straordinariamente normale

Un volume strenna, molto illustrato, su scritti della grande medievista, studiosa principe di Francesco e il francescanesimo, per gli 800 anni dell’invenzione del presepe, a Natale del 1223 –riedizione di un volume che aveva raccolto questi studi nel 2020, due anni prima della morte dell’autrice, a cura di Marta Benvenuto, con le illustrazioni di Pablo Echaurren, “Un presepe con molte sorprese. San Francesco e il Natale di Greccio”.
Quella del 1223 fu una novità radicale: un presepe vuoto, solo una greppia, non una culla, vuota eccetto che per il fieno da mangiatoia, ad alimentare un bue e un asino che completavano l’esposizione, sul sagrato, fuori dalla chiesa. Non detto, ma un miracolo, se bue e asino evitarono di cibarsi del fieno di cui sono ghiotti. La celebrazione figurata della Natività non era nuova. Si faceva in chiesa, con figuranti che animavano le storie dei vangeli. Quella di Greccio, organizzata da san Francesco, a cui poi si rifarà la tradizione, era non solo diversa ma strana. Chiara Frugoni prova a dipanare la trama, alcuni dei suoi aspetti curiosi.
All’aria, fuori della chiesa, la mangiatoia vorrebbe dire la parola nuova, cui tutti, anche animali  non della tradizione cristiana come il bue e l’asino, possano pascersi. Una sorta di ecumenismo – il messaggio che oggi si legge nel francescanesimo. Di un  Francesco  che, in Terrasanta, ha visto l’“altro mondo”, gli ebrei (che nel presepe vorrebbe simboleggiati dal bue) e i mussulmani (l’asino, che sta anche per il paganesimo).
Secondo Tommaso da Celano, il suo primo biografo, san Francesco volle il presepe per motivi più semplici: «Voglio evocare il ricordo di quel Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del cuore i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, e come fu adagiato in una greppia quando fu messo sul fieno tra il bue e l’asino». Chiara Frugoni va più in là, in sintonia col papa che ha preso il nome di Francesco: è l’ecumenismo assoluto, il cristiano è in armonia col creato e con ogni altro essere, credente e non.
Ma non mancano le curiosità, cioè i nodi veri.  Bue e asino ricorrono nei vangeli apocrifi,  che la Chiesa non ritiene scritti dagli evangelisti – ma ottocento anni fa erano già “aprocrifi”? E che cosa rappresentano? Francesco ha voluto rappresentare ebrei e mussulmani attorno alla Natività, mentre erano in corso le crociate? E perché san Bonaventura, l’ultimo biografo “ufficiale” di san Francesco, cambiò il racconto di quella notte? Era già intervenuta una iconografia diversa, fra il 1223 e il 12610, a Firenze, e come mai? La storica si fa prendere qui la mano dall’attualità, dal bisogno di pace e condivisione, ma certo i problemi che individua sono appassionanti.
La storia del francescanesimo non è semplice. Francesco morì nel 1226, e nel 1228 era già santo. Il papa che lo beatificò, Gregorio IX, incaricò Tommaso da Celano, poeta e scrittore prolifico, dell’agiogafia del santo. Che non piacque. Tommaso la riscrisse, ma la contestazione continuò. Già inviato dell’ordine francescano in Germania, finì confinato in un valle dei monti Carseolani, tra Rieti e L’Aquila, direttore spirituale di un monastero di clarisse. Le sue vite del santo furono condannate alla “totale distruzione”. Nel 1260 fu incaricato di una nuova vita del santo il suo settimo successore alla guida dell’ordine, Buonaventura da Bagnoregio, con l’incarico espresso di riportare ordine e verità nella profluvie di scritti sul santo. Buonaventura, presto santo anche lui, non era personaggio da poco: laureato e professore alla Sorbona, amico e corrispondente di Tommaso d’Aquino. Ma la verità del presepe era già nella pratica, subito diffusa, e diversificata.   
Francesco e il francescanesimo sono un po’ diversi dal feticcio messo su da papa Francesco. Che però ha vita propria. Come il presepe. La sua storia è la storia di una fantasia, la nascita, l’evento pure più naturale apparentemente del mondo. A un certo punto legata anche alla Natività di  Greccio, ma solo per la morte e la celebrazione subito dopo di san Francesco.
Chiara Frugoni, Il presepe di san Francesco.  Storia del Natale di Greccio, Il Mulino, pp. 276, ill. € 38