Cerca nel blog

giovedì 31 dicembre 2009

Le colpe della Colpa morale

Sottile rilettura della Colpa, la colpa tedesca come teorizzata da Jaspers nel 1946: morale, politica e metafisica, secondo la nuova categoria dei delitti contro l’umanità, e quindi imprescrittibile, non più legale e personale. Jaspers è l’unica citazione, e solo per il titolo, “La questione della Colpa”. Ma la sua idea fa da contappreso a tutto il film. Qual è la Colpa di una ragazza di vent’anni, analfabeta, operaia alla Siemens, che nel 1940 si arruola nelle SS, e finisce guardiana di un campo di concentramento? La colpa è invece accasciante per il ragazzo suo tardivo amante di un’estate, che non rivela al processo a carico della donna per crimini di guerra la circostanza dirimente, il suo analfabetismo. E soverchia la donna stessa quando, all’ergastolo, impara da sola a leggere e prende i libri in biblioteca – si impiccherà il giorno prima di uscire per buona condotta, saltando dalla catasta dei libri.
Il finale è agghiacciante tra la bambina scampata al lager, che con le sue memorie ha portato alla condanna della guardiana, ora divenuta ricca e gelida analista, e l’ex ragazzo ora avvocato di successo e tuttavia fallito, cui non resta altro che l'identificazione con la morta amante dei suoi quindici anni. La conclusione tra i due è ovvia, che il lager cancella ogni umanità. Ma i ruoli sono rovesciati, tra l’ex vittima e l’ex carnefice, visivamente (nel decoro, il portamento, la sensibilità), e per il non detto della memoria: perché la bambina si è salvata, con sua madre, perché all’aguzzina è stato imputato un rapporto che non poteva scrivere.
Il regista di “Billy Eliot” narra molto bene l’adolescenza, la prima metà del film. La seconda metà è piatta, ma il tema è appunto poco filmico.
Stephen Daldry, The Reader – A voce alta

Era Céline fin da ragazzo

Un Céline accudito dai suoi fino al soffocamento, con molte spese (pianoforte, lingue, soggiorni all’estero, corredo militare) e non nella povertà. Che ha sempre “problemi di denaro”, specie per le donne. Che nella tarda adolescenza sono la sua unica occupazione: infermiere, anche anziane, attricette, incontri al caffè – al Café de la Paix dove s’installò per qualche mese nel 1916, in congedo malattia dal fronte, dava il nome di Kennedy. Noto agli amici per il “temperamento focoso”, e per “le clienti dei gioiellieri in là con gli anni” (Céline era stato apprendista dal gioielliere Lacloche), e per le “massaggiatrici di quarta pagina”. È per una donna, scrive agli amici nel 1915, che “fugge a Londra”. Dove ne deve sposare una. Da alcune riceve soldi.
È il Céline vero, in queste prime lettere, scritte e ricevute, tra i diciotto e i venticinque anni. Un po’ baro e un po’ no: fantasioso. È già anche scrittore. Céline non viene fuori all’improvviso nel 1932 col “Viaggio”, lo è nelle lettere al padre dal Camerun, a ventitrè anni, e con le relazioni sanitarie per la Fondazione Ford a venticinque. La vita miserabile (il missionario senza missione nella Guinea spagnola, la procedura per bere un po’ d’acqua…)dei coloni nell’Africa equatoriale è buon reportage, ma è anche, nella sua crudezza, Céline: muoiono come mosche, sopravvivono come larve, per un guadagno comunque irrisorio. È Céline pure nel razzismo scontato – non argomentato, non ideologico - verso gli africani, che sono “nessuno” (“trenta giorni senza parlare con nessuno”, cioè con nessun bianco, è un ritornello).
È un ritratto definitivo dello scrittore che queste lettere giovanili bizzarramente fissano, così come sono, senza apparati, con la sola nota d’inquadramento di Véronique Robert-Chovin, che è stata confidente di Lucette Destouches, l’ultima moglie dello scrittore, con la quale ha compilato dieci anni fa il video-libro “Céline vivant”.
Devenir Céline, Lettres inédites 1912-1919, Gallimard, pp.205, € 16

mercoledì 30 dicembre 2009

C'è Céline in Gadda

Fuori dalla scapigliatura (Dossi) e dall’espressionismo, categorie italiane, Renato Barilli, analizzando Céline, pone Gadda dentro una dimensione europea, culturale e stilistica, che tutto sommato più si confà allo scrittore, milanese di molteplici esperienze. Nel saggio, "Vitalità patologica di Céline", Gadda è, gaddianamente, in nota, sei righe che dicono tutto. Ma rientrava poi, nello stesso numero del “Verri”, per un lungo tratto insieme con Céline, nell’ampia recensione che Barilli fa di “Eros e Priapo”. La ribellistica è rivelatrice, dice Barilli: fatta salva la posizione giusta, antifascista di Gadda (dopo vent’anni….), di contro al bieco antisemitisimo di Céline, l’“omologia” è fortissima. Stilistica, perfino linguistica, e retorica: da entrambi i loro bersagli, Gadda e Céline fanno discendere la stessa colpa, la disgregazione della “sanità” di istinti e volizioni dei poveri ariani. Entrambi “positivisti in ritardo”, seppure “mossi da una disperazione irrimediabile” - che non potrebbe essere la contemporaneità, questa e non Proust, la disintegrazione di ogni speranza, sia pure positivista? Molti testi sono del numero speciale “Céline” dei “Cahiers de l’Herne”, 1965, quindi già ben noti ai cultori. Ma per altri versi resta storico il numero del “Verri” quarta serie, il 26, che Anceschi dedicò a Céline (la rivista del nuovismo è senza tempo - immortale? - ma questo “Céline” è del 1968). Intanto per la scelta dei testi dall’ammasso del quadernone de l’Herne: l’omaggio a Zola, la prefazione al “Semmelweis”, la fine dell’argot. E un saggio critico, tra i tanti, molto illuminante: già nel 1934, a un anno dal debutto col “Viaggio”, Céline poteva contare sull’analisi stilistica di Leo Spitzer, circostanziata (notevole in particolare per la categoria del “richiamo”). Ci sono poi, con le impressioni di Celati, le difficoltà del tradurre Céline di Caproni, e un lungo saggio linguistico di Anna Licari, una chicca fulminante di Franco Lucentini: l’invenzione di una mostra, “Céline e i celineschi” al Petit Palais, dove il futuro giallista tenta di liberarsi del fantasma ingombrante mettendolo al museo. E il saggio di Renato Barilli, per almeno due aspetti sempre magistrale. Il riconosciuto vitalismo di Céline è patologico perché è “vecchio”, è lo scientismo del secondo Ottocento trasposto in un mondo disintegrato. Céline è tutto d’un pezzo, argomenta Barilli, fin dalla sua prima opera, la tesi di laurea su Semmelweis: tutto vi è anticipato, in particolare il sodalizio col “vero”(con Semmelweis come poi con Plinio il Vecchio, Galileo, Harvery, Pasteur), “l’«io» basso”, la sensibilità sociale radicale, e la cifra stilistica del rendu émotif, l’imitazione fortemente introiettiva del parlato – tutto tranne il pessimismo che poi dilagherà. L’identificazione scientista col “vero” Barilli ritrova anche nei libelli antisemiti. Che palese rendono il limite di Céline, col “trionfo” di Proust cui lo stesso Céline a suo modo s’inchinava: “Il trionfo della complicazione semita su un rozzo schema deterministico, su un quadro di reazioni obbligate a pochi impulsi primari”. Céline è al suo tempo “minoranza”, anche se “agguerrita, stupendamente energica, affascinante”. È però una minoranza attiva. Dopo le catastrofi della seconda guerra Céline ritorna, argomenta Barilli, in un “abbassamento”, negli anni 1950 e 1960, “a toni e ritmi via via più accelerati e corsivi, bassi e volgari”. Barilli cita il picarismo beat americano, lo “stile basso” di Grass, gli esperimenti di “parlato” di Sanguineti e Lucentini, Arbasino al registratore. Ma soprattutto rintraccia più di un’identità in Gadda - è questa la seconda traccia ancora fertile, tanto più per essere rimasta inesplorata. 
“Il Verri” n. 26, Céline

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (51)

Giuseppe Leuzzi

“L’Alta Velocità fino al Ponte sullo Stretto”. Non è vero, non c’è un progetto e nemmeno un disegno, ma il ministro può dirlo, il “Corriere della sera” non gliene chiede ragione, e in Calabria e Sicilia l’annuncio viene celebrato.

Si fa una festa nel reatino dell’olio d’oliva. A cui partecipano specialisti e scienziati del settore. Si possono così ascoltare analisi spassionate del tipo: “L’olio spagnolo è connotato all’olfatto da inconfondibile piscio di gatto”. Vomitevole allora? No, al contrario, dev’essere connotazione di pregio, poiché l’extravergine spagnolo si vende ad almeno otto euro al kg, quasi il doppio che l’equivalente italiano – non si vende in Italia, ma nel Centro Europa sì, così pare. E il perché non è un mistero: è il marketing, che la puzza fa diventare un sapore.

Vita agra per gli emigrati interni della seconda ondata, intellettuale: insegnanti, infermieri, medici, ingegneri. Non amati al Nord, rifiutati al paese d’origine, invidioso, triste.

Sicilia
Camilleri racconta in siciliano la Sicilia senza trovarsi costretto dalla mafia. La lascia dove essa è, ai margini, nella sua mediocre vita parallela di violenze. Nei suoi romanzi e racconti il mafioso è un caratterista e non un protagonista. Dei cento, o quanti sono, casi criminali di Montalbano, commissario di polizia a Porto Empedocle, non uno è di mafia. La mafia c’è, ogni tanto se ne parla, ma non prende nell’economia della narrazione più di quanto prende nei problemi di ogni giorno. Anche nei sette, oquanti sono, romanzi storici di Camilleri la mafia non c'è. Sciascia, che ne è invece ossessionato, che ne avrebbe detto?
È che Sciascia viene da una cultura isolana, di paese. Racalmuto, il suo paese, ha questo motto: ““Muto e silenzioso\il cuor mio si rinvigorì ”. Camilleri è di cultura urbana. Viene da una città di mare, a ridosso della città capoluogo, per quanto modesta.

La Sicilia profondamente s’identifica al Gattopardo, al principe Lampedusa in disarmo: che tutto sa e nulla fa, se non nutrire il proprio ammirato misoneismo. Che ha un disegno preciso del mondo ma è misantropo e anche spregiatore di sé. Forestierista e sinceramente spassionato. Il suo unico affetto andando a una cugina canara, e a un cugino spiritista, che solo aspettavano di morire prima che finisse il capitale.

La Sicilia non ha nulla d’italiano, si legge a p.375 di “Tra amiche”, la corrispondenza Arendt-McCarthy tradotta da Sellerio. Mary McCarthy passa le feste di fine 1967 col marito dell’epoca in Sicilia, dodici giorni “gradevoli”, e il 26 gennaio 1968 ne scrive a Hannah Arendt da Parigi: la Sicilia “non richiama affatto l’Italia, salvo l’angolo di Taormina, che somiglia a Capri, fisicamente e moralmente. E non è nemmeno la Grecia. Forse è più vicina all’Africa del Nord, benché senza deserto immemorabile. Una linea continua di montagne sullo sfondo, e un tempo tipicamente di montagna, di tempeste alternate a un sole brillante. Molto fertile e verdeggiante, ciò che rende la miseria nera ancora più sorprendente”.
Era subito dopo il terremoto di Gibellina, ma pazienza. È del resto vero che, a dicembre, il tempo è alterno. Anche in Africa del Nord, dove Mary non è masi stata. Ed è vero pure che la miseria in Sicilia è sorprendente.
Ma le impressioni, al solito, sono miste, la bellezza non si sottrae: “Non è un paesaggio dolce, ma fratto e severo. Con un lato mitico come certe parti della Grecia… È una terra d’arcobaleni – magia dell’acqua: avevo dimenticato gli arcobaleni, che sembrano associarsi all’infanzia. Ne abbiamo visto uno straordinario, quasi incredibile”. Come al solito, i ricordi di viaggio dicono degli scrittori, ma non – se non poco – dei luoghi visitati.
A Taormina, davanti al teatro greco, Mary nota questo cartello: “Si prega di non scrivere sulle piante”.

Il feudo che non c’è
Si dice il Sud feudale, fa parte del linguaggio derisorio. Ma ne parlano anche molti storici, in chiave antiborbonica o solo grandi semplificatori. Feudo sta per cattivo, ma è anche un sistema socio-politico che purtroppo è mancato al Sud, eccetto in parte la Puglia. Altri storici ne parlano per dire invece fedecommesso, un sistema per cui si comprano e si vendono fondi, sulla carta, fra proprietari assenteisti. A metà Seicento, sui 2.700 centri rurali esistenti nel Regno di Napoli, oltre 1.200 erano infeudati a Genovesi. Prestatori di denaro, alla corte e ai nobili. Ciò avveniva ovunque nel Regno, ma soprattutto in Calabria, al punto che non c’è altro in quella regione, che non ha avuto il feudalesimo.
Il feudo è inalienabile. E impone doveri alle due parti, sudditi e signori. In Calabria e altrove invece sono documentati compravendite libere, cioè predatorie, di titoli di proprietà. A rendimenti decrescenti in assenza di qualsivoglia investimento. Dove non ci sono padroni, se non nomi distanti e assenti. Che non forniscono sementi, attrezzi, tecniche, mercati, non costruiscono strade né ponti, come un feudatario farebbe, non cercano l’acqua né la organizzano.
Latifondo sarebbe la parola giusta: conserva la carica critica ma risponde a verità, di proprietari assenti e ignoti, mutevoli. Solo in parte però. La Puglia, l’Abruzzo, la Campania, la Basilicata e buona parte della Calabria sono state a proprietà frammentata, anche eccessivamente, dalle alienazioni napoleoniche della manomorta ecclesiastica in poi, e anche prima, dalle alienazioni borboniche.
C’è indigenza e non sfruttamento. E c’è polverizzazione sociale, estrema, duratura, da cui il Sud non emerge. Che il dopoguerra ha elevato a sistema – assolto e intronato: "ci pensa mamma Dc", e questa è tutta la politica.

leuzzi@antiit.eu

martedì 29 dicembre 2009

Se Mourinho ci libera da Milano

Ha rimpolpato il suo contratto di un buon venti per cento, a 13 milioni di euro l’anno, cifra che non percepirà sotto nessun altro sole, e tuttavia ha nostalgia dell’Inghilterra. Al punto da avere urgenza di dirlo, nel giorno di Natale che pure da buon cristiano sa essere la festa della bontà. José Mourinho sarà lo Special One almeno in questo, oltre che per l’antipatia: che non sia il nostro Libertador, benché portoghese e serioso, colui che libererà l’Italia dal giogo milanese? Col ridicolo, poiché lo sdegno non fa breccia. Rifiutare i 13 milioni di Milano e di Moratti è un segno infine tangibile dell’insofferenza: non se ne può più, della prepotenza, della superficialità, del bigottismo.
Berlusconi dice, dal buen retiro della sue ville riunite: “Sono tornato a lavorare per l’Italia”. E il “Corriere della sera” pubblica, senza ironia. Lo stesso “Corriere” che non lascia tregua, unitamente alla “Gazzetta dello sport”, agli juventini nostalgici degli scudetti 2005 e 2006: le corti interiste del calcio li hanno decretati rubati, col superarbitro in busta paga al Milan, e questo basta, ogni settimana una reprimenda parte dai due grandi giornali contro la squadra torinese, benché sia ridotta maluccio. Mentre un allenatore che era stato cacciato dalla milanesissima Inter per fare posto a Mourinho, a caro prezzo, il superleggero Mancini, vince in continuazione con una squadra mediocre, sempre in Inghilterra. Che poi è la vera patria dei milanesi, via, che ci fanno in Italia? Il problema è che il Mourinho milanese fu lasciato andare via da Londra semza rimpianti.

Il suicidio di Khamenei

Non è la fine degli ayatollah, ma di Khamenei sì. Non subito, ma inevitabilmente. Con inevitabile indebolimento dello stesso regime religioso, se non in favore di un’alternativa laica che non esiste, la nuova borghesia essendo legata alla moschea. Ci sono delle costanti, nelle società consolidate e integrate, qual è quella iraniana, e l’uso perdente della forza è una di esse. Le morti di Teheran riaprono la spirale, con la serie di lutti che il rito sciita prevede e prescrive, che agiteranno la piazza a tempo indeterminato.
L’opinione internazionale non ne sembra cosciente. Si fa anzi l’esempio della durezza costante del potere centrale nella storia dell’Iran. Fino ancora a Reza Khan, il padre dell’ultimo scià Mohammed Reza, deposto da Khomeini nel 1979. Ma tra il padre, morto nel 1944, e il figlio si era creato un abisso, con l’occupazione americana, ideologica se non militare: le masse urbane alfabetizzate del paese, che sono quelle che contano, sono definitivamente democratiche. Gli ayatollah lo sanno bene, che ne hanno fatto il loro punto di forza contro Mohammed Reza. E lo sapeva lo stesso scià, che però non ha avuto la forza di liberarsi del regime di corruzione che lo attorniava.
Di questo tuttavia sembra ben cosciente Obama: il dipartimento di Stato ha sempre avuto sull’Iran migliori informazioni e valutazioni di tutti gli altri centri diplomatici e mediatici. Khamenei del resto, facendo sparare sulla folla, ha manifestato la sua incapacità a reagire altrimenti. Potrebbe proprio essere un caso da manuale del brocardo notarile “il morto si prende il vivo”: morendo, l’ayatollah Montazeri, di cui Khamenei è stato per molti aspetti l’usurpatore, ne segna la fine. Minacciare di morte i suoi oppositori è solo un modo per accelerarla.

lunedì 28 dicembre 2009

Se torna il filisteismo ebraico

Lascia in sala i più di ghiaccio, in altra epoca e in altre mani sarebbe un film dell’antisemitismo. Lo spettatore viene con la promessa di godersi la storia biblica del giusto Giobbe trasposta negli Usa, magari con qualche risata. Ma vi si irride tutto: le donne, la famiglia, la lingua, i riti, la religione. Col solo contrappunto, minimo, dello yankee col fucile, e dell’asiatico corrotto. Le donne sono stupide, i figli sciocchi, la confermazione si fa in sinagoga strafatti di fumo, i presidi e i rabbini si dilettano al più dei Jefferson Airplane, accomunati dall’avidità, con maschere tirate fuori dalla cartellonistica antigiudaica. Il tutto presentato come commedia, "laica e geniale".
C'entra molto la commedia all’italiana, in cui tra le battute fulminanti e le situazioni ridicole una disgrazia chiama l’altra, genere che Hollywood invidia molto. Ed è un segno confortante di sicurezza: si vede che, malgrado tutto, anche gli auguri degli amici ebrei che mandano “cartoline da Auschwitz”, e i timori di una cancellazione d’Israele, non c’è affatto aria di pogrom. Ma, è curioso, i fratelli Coen si pongono al centro di quello che fu l’inizio dell’antisemitismo dell’Ottocento, la polemica contro il “filisteismo”.
Il loro film è appunto un insistito fragoroso pernacchio alla sottigliezza semita. Ridotta bizzarramente a filisteismo Si ricorderà questo fantasma insorto in Europa a metà Ottocento, insieme con l’antisemitismo “moderno” – urbano, scritto, dotto, tedescofono, non più quello popolare dell’Est slavo – per denotare insensibilità, superficialità e presunzione. La sua storia si conclude alla vigilia della seconda guerra mondiale con i libelli antisemiti di Céline, che al filisteismo, inteso come forma di dominio culturale, di modelli, influenze e posti, imputa la “complicazione semita”, deleteria per la “sana razionalità” o virtù dell’Occidente. La stessa parabola non si può dire dei fratelli Coen, che a partire da “Barton Fink” e “Fargo” ben altri filisteismo hanno individuato. Ma l’effetto in questo film è analogo.
Joel e Ethan Coen, A serious man

"Millionaire" da "Sciuscià" a "Gomorra"

È un po’ un film della nostalgia. Si rivede in India, con molti attori, con molti mezzi, in diecimila immagini invece di mille, il vecchio “Sciuscià” e il contemporaneo “Gomorra” insieme. Una capacità d’invenzione e progettazione che l’Italia ha avuto e mantiene malgrado la politica, manteneresi nel mainstream e anzi ispirarlo.
È una fiaba, sotto l’insolita truculenza. Un’incongrua miscela che ha una ragione “tecnica”, di cineasti che rifanno il cinema più che la sceneggiatura, ciò che più li ha attratti al cinema.
Danny Boyle, The Millionaire

Gelmini e le giavazzate, la goccia e l'università

Ha approfittato dei consigli del nemico Giavazzi per bloccare tutti i concorsi in essere. Ha costituito, autorevolmente consigliata dal suo nemico, delle commissioni che non riesce a riempire. Due generazioni ha già fatto saltare di nuovi docenti all’università, e ancora non ha finito. E magari non sa neanche di averlo fatto, magari è convinta che col grembiulino alla scuola materna e la maestra unica, la scuola italiana sia già di livello planetario.
La storia delle commissioni uniche nazionali di Giavazzi-Gelmini è una gag comica: si costituiscono commissioni con un numero minimo tale che tutti gi ordinari non riescono a riempirle… Qualcuna si riuscirebbe a riempirla a condizione che ognuno degli ordinari voti per sé: basta che qualcuno voti generosamente per un altro, come a Storia contemporanea, che il numero minimo non si raggiunge. E per “fare” Storia contemporanea si è dovuta aprire la commissione anche ai modernisti.
Non c’è da aspettarsi autocritiche dal professor Giavazzi o dal “Corriere della sera”, la loro autorità non ammette deroghe – anche se giavazzata sarebbe un ottimo neologismo, per acume vanitoso. Ma Gelmini? A che pro fare il ministro di una cosa che non c’è, o si vuole cancellare? Nella sua carriera le è anche toccato di fare un discorso alla Camera, e si ricorda che disse: “Sarò inflessibile, sono come la goccia che scava la roccia”, qualcosa di simile. Certamente è la goccia che sta scavando l’università.
La qualità dei ministri del governo Berlusconi è questa, quella dei non residuati socialisti, in particolare quella delle ministre giovani e belle, e c’è poco da obiettare. Ma anche all’opposizione nessuno se ne occupa, né all’estrema sinistra, né all’estrema destra dei tribuni Grillo e Di Pietro. E neppure nel pensoso Pd, che del resto è quello che ha aperto la distruzione dell’università, nelle sue precedenti incarnazioni. Perché, non lo si ricorda abbastanza, l'università si è distrutta soprattutto da sola, nei dieci anni o poco più di autogoverno: sono le tante, incontenibili, malversazioni degli accademici ad aver portato al blocco di ogni ricambio, se non della ricerca, e al ricorso al precariato per assicurare una qualche forma di insegnamento.
Solo per voler razionalizzare si può dire questo un disegno coerente di Berlusconi: affossare l’università col non fare, sornione. L’università pubblica. A favore delle università private, lo stesso Berlusconi se ne sta costituendo una - mettendo infine a frutto una delle sue numerose villone. E Gelmini segue Moratti, insieme fanno quasi sette anni d’immobilismo. La malafede della ministra in essere si può dire scoperta nel momento in cui ha preso per buona la stravagante proposta del professor Giavazzi per bloccare tutti i concorsi che le università, con fatica, erano riuscite a varare. Ma forse non c’è nemmeno questo calcolo. Forse è solo l’inefficienza molto lombarda, molto autorevole naturalmente. Che dopo Malpensa, e in attesa di cimentarsi con l’Expo, si diletta con l’università. E, soprattutto, c'è la malatia terminale della stessa università, indotta dagli accademici.

giovedì 24 dicembre 2009

Considerazioni di un antipatico

Il libro segreto di Thomas Mann – a leggerlo tutto, e va letto tutto, per esteso. La chiave della sua antipatia. Una rabbiosa, ribadita, e naturalmente molto confusa (molto tedesca) affermazione della superiorità della Germania, e di se stesso nella Germania , erede autoproclamato di Schopenhauer, Wagner e Nietzsche. A quarant’anni: Thomas Mann si è scritto a quarant’anni una prefazione al suo stesso libro, lunga trenta pagine, più un centinaio almeno di pagine di elogi di se stesso. Terribili anche le idee che professa, e la virulenza con cui vuole imporsi. È un libro confuso, oltre che insolente: ripetitivo, nervoso, sempre impreciso, benché apodittico. Ma è stato ripubblicato, rivisto, e dunque non è sfuggito di mano. Thomas Mann, Considerazioni di un impolitico

La natura umana che trascende la natura

Filosofare l’ovvio, in astratto e in concreto, è sempre arduo, e i diritti umani sono una di quelle cose che tutti sanno - anche se, già sessanta anni fa, H.Arendt poteva filosofare, nel "Declino dello Stato nazione", la debolezza dei diritti naturali, se non la loro inconsistenza in natura. Jeanne Hersch parte dall’opposto, da Antigone, che pone l’esigenza assoluta. Un diritto naturale che è tradizione e sangue, e solo apporta lutti, senza liberazione: una forma di fondamentalismo non necessariamente umanitario. La natura è “il regno della forza”, avverte, benché si parli di “natura umana”, una forma contraddittoria e limitativa: “C’è nella natura umana un’esigenza che supera, trascende, e perfino contraddice i dati della natura, nel senso dei caratteri biologici di una specie” (p.62). Per poi concludere: “Kant è molto vicino ad Antigone”. O non è il contrario?
La soluzione, dopo tutto, è anch’essa ovvia: “L’essere umano, di cui si tratta di rispettare in modo assoluto i diritti, non è un cittadino astratto del mondo in generale. È sempre una persona concreta, situata in una data epoca, in un dato paese. Ha un’eredità storica, sociale, tradizionale”(p.66). Ci vuole equilibrio: “L’esigenza assoluta dei diritti umani prevale sul diritto positivo, ma… nello stesso tempo senza diritto positivo non ci sono nemmeno i diritti umani”. E: “Un maestro che volesse insegnare i diritti umani ispirandosi alla tradizione europea dovrebbe forse porre Socrate accanto ad Antigone“ (85)
Jeanne Hersch tenta qui una sintesi del lavoro che fece all’Unesco a partire dal 1968, quando, direttrice della neo costituita Divisione di Filosofia dell’organizzazione, lanciò un censimento dei diritti naturali nelle culture e le tradizioni locali. Ne ottenne un atlante che non lasciava scoperto un solo angolo della terra. E la conferma che “qualcosa è dovuto all’essere umano per il solo fatto di essere umano”. Una “universalità” di cui la stessa “diversità dei modi di espressione” è garanzia di “autenticità”.
Dei paletti erano e sono necessari. Specie sugli equivoci diritti umani degli Stati, che si faceva valere all’epoca (e tutt’oggi all’Onu) in virtù della decolonizzazione e col patrocinio dell’Unione Sovietica, magari da governi violenti. Ma era necessario far valere la componente collettiva o comunitaria, o tradizionale, o storica, dei diritti umani, troppo appiattiti sugli usi di una piccola parte dell’Occidente (“Lottare contro il razzismo non è negare l’esistenza delle razze” (93), delle diversità): “La collettività, nazionale, religiosa, etnica, è in molti modi indispensabile all’individuo, e quindi ha dei diritti, ma questi sono derivati da quelli della persona e non l’opposto” (88) .
Jeanne Hersch, I diritti umani dal punto di vista filosofico, con prefazione di Roberta De Monticelli, e introduzione di Francesca De Vecchi, Bruno Mondadori, pp. 102, € 10

Il Millennio anticipato da Ballard

L’internamento, da Ballard sperimentato in Cina durante la guerra, nella Shangai occupata dai giapponesi, disintossicava molti: faceva perdere peso e riscoprire se stessi, i taciturni diventavano generosi, i missionari egoisti. L’internauta Ballard dice molto di se stesso, in questa raccolta di articoli, in genere recensioni di libri di varia. E dell’arte della fantascienza. Specie dell’assenza di ogni senso dell’avventura nei viaggi spaziali, la curiosità è durata un quindicennio. C’è Funari, nella psicoterapia selvaggia di gruppo anni Settanta, nei garage londinesi di periferia i fine settimana, urlandosi contro le peggiori oscenità. Torna Zapruder, immortalato ne “La mostra delle atrocità”, dopo che dalla commissione Warren. E c’è la censura multipla, continuativa, inverosimile negli anni 1970 e pure avvenuta negli Usa, dello stesso libro, stampato e ritirato da due delle maggiori case editrici, Doubleday e Dutton, perseguito, condannato, multato. Solo perché si prendeva gioco di Reagan, che ancora non era Reagan, e di Jacqueline Kennedy.
La più parte degli articoli sono degli ultimi anni. Ma c’è la descrizione del mondo odierno, televisivo, new age, chiacchierone, già cinquant’anni fa, e quello online trenta anni fa. Come se Ballard vedesse il nuovo Millennio, più che quello appena finito. Vede la guerra del Golfo ancora in corso come la vedrà Baudrillard – la guerra non c’è mai stata. Insofferente dei “lavori all’uncinetto letterario”, figlio tardo del surrealismo, che pregia molto, l’inventore dello “spazio interno” è involontariamente il brillante storico della contemporaneità che i suoi racconti lasciano immaginare. Grazie all’occhio esterno dell’interno, di cui l’ha fornito la sua speciale adolescenza, di inglese in Cina.
Ballard, Fine millennio: istruzioni per l’uso, Baldini Castaldi Dalai, pp.410, € 6,90

mercoledì 23 dicembre 2009

Secondi pensieri (35)

zeulig

Antropologia – Si trova solo quello che si cerca? Nelle scienze antropologice sì: l’Africa comincia ad avere una storia a quarant’anni dall’indipendenza.

È probabilismo. La “Storia di lince” di Lévy-Strauss, che forse è solo un apologo, è scontata – l’antropologo “scopre” che le narrazioni amerindie dell’Oregon, da lui ritenute il perno di tutta l’oralità americana, fino al Perù e al centro del Brasile, sono colportages di viaggiatori francesi di due secoli prima, probabilmente cacciatori.

È la poesia dello storico, non della storia. Cheanzi debase-debunk: che storia ci avrebbe dato una lettura antropologica dei greci, o dei romani?

Carne – È neutra. E anche benefica: è ciò che consente all’uomo di vivere, e quindi di pensare, poetare e giocare. Ma lo spirito che essa produce le ha creato cattiva fama.

Creatività - È ambientale. È come i fuochi d’artificio, che ogni petardo ne fa scoppiare un altro.

Cristo – È essenzialmente una figura storica. Prima di san Paolo e dei suoi viaggi, prima dei romani. Seppure tardi, seppure con alcune confusioni, i protovangeli non hanno altro senso che una narrazione. Di una storia che si è vissuta, anche se a distanza di qualche anno o decennio.

Dialettica – È, sconsacrato, il principio del manicheismo: il bene sta nel male, eccetera. È lo schema dei moderni sofismi: il vero è il falso, eccetera. È un buon artificio per un giallo commerciale, con la caccia, la fuga, il duello, le tette, e i rovesciamenti: il buono diventa cattivo, il cattivo buono, il falso vero, il vero falso, eccetera.

Edonismo – Viene confuso con il consumismo, che invece è un’altra cosa, e anzi ne l’opposto: non la ricerca del piacere, che può comportare la dissipazione, ma una brama di accumulo, non il gustosa il kitsch, non l’uso del tempo ma la sua abolizione. All’epoca del consumo siano i “senza tempo”, i “senza gusto”, i “senza piaceri”. Accumuliamo, ma come Sisifo, la fatica è interminabile e stressante.

Ermafrodito – Quando l’uomo vuole darsi una speciale autorità o una funzione eccezionale, di prete, imperatore, chirurgo, giudice, si mette sempre una sottana.

Esoterismo - È per l’appunto “qualcosa d’altro”. Scarta sempre, irraggiungibile. È sviluppo della forma analogica della conoscenza e dell’ontologia - trasmutazioni, trasmigrazioni, metamorfosi. Che è un tentativo di sapere, o essere, quello che si vuole. Di farsi confermare, fingendo di aver saltato le sabbie mobili del soggettivismo – la capacità di consolazione, anche critica, è grande.

Essere - È Adonai: per dire, cioè per non dire, Dio, l’innominabile. Tutta la metafisica tedesca dunque, fino a Heidegger, è impigliata in questa decisione biblica?

Felicità – Ci si rende infelici per voler essere felici. L’insensibile non è infelice. Felicità è dunque adeguare i mezzi – voler essere felici “non esiste”, si direbbe a Roma, e non per il destino cinico e baro. Solo la salutec’è o non c’è: la malattia effettivamente è una condanna. Gli altri spazi si possono ordinare. Il denaro è solo questione di adattamento. La politica pure. E il lavoro. Restano gli affetti, che sono la più gross causa d’infelicità mentre potrebbero essere serbatoio di felicità immensa.

Mitologia – Mettere insieme i greci e Odino sembra demenza e lo è. Il mito è una coperta larga, ma nessun mito di nessuna mitologia può creare identità fra i contrari. Quanta nebbia in Germania, anche in Hölderlin (“Iperione” al confronto con gli “Inni”) e nella filosofia (Humboldt, Schelling, Hegel) fino al cacumen Nietzsche, per il tentativo d rinsaldarsi con la “grecità”, cioè con la mitologia ellenica e pre-ellenica. E non per folklore ma per “spirito critico: per troppo classicismo.
Lo spirito fa male alla mitologia, come alla carne.

La mitologia applicata alla storia residuale e folklorica. La mitologia dei greci, di cui conosciamo la storia, è del tutto fuorviante (per non parlare dei romani, che hanno cessato presto di essere religiosi: la storia romana è tutta politica, ritualità compresa): divinità regali per una cultura repubblicana, divinità matriarcali per un patriarcato antifemminista, e la divinità come nemico per tutte le attività economiche, la terra, il mare.

Scoperta – Come spiegazione del noto mediante l’ignoto (Popper) è in realtà una conferma. Un’estensione e un rafforzamento. Anche quando ribalta la verità precedente: non si spiega che nei termini di quest’ultima.

Spirito - È il cattivo della condizione umana. Preti e moralisti accusano il corpo, che invece, poveretto, è solo uno strumento dello spirito, ed è condannato già prima di nascere. Ogni espressione del corpo, lo sguardo, l’amore, la violenza, la tecnica, è regolata dallo spirito – che ne escogita tante anche senza il corpo, la bestemmia, l’estasi, il sadomasochismo. La condamma del corpo (Innocenzo IX, Bernardo di Morlaix, i predicatori) è una delle tante furbizie dello spirito.
Come sarebbe un regno di puri spiriti, senza le mezze misure del corpo, i ritardi, i rallentamenti, le pigrizie? Probabilmente spaventoso. Per questo la chiesa vuole la resurrezione dei corpi?
Perché tanto accanimento contro il corpo? Come un servitore, bisogna tenerlo sotto frusta.

Verità – C’è. E si accorda anche col dubbio. Ma è modesta. Per questo non è contemporanea. Non si accorda con l’incostanza che fa aggio, riflesso del narcisismo – la scoperta di massa dell’individualismo. Né col linguaggio, che per essere appetibile dev’essere innovativo – trasgressivo, impreciso, confuso. Siamo infatti in un’epoca d’inappetenza, soddisfatta.
La verità è una, ma la parola ne conosce mille. È “sconvolgente” perché la parola ha perduto il senso. La verità è il senso. E il senso è la parola. La verità è quindi sempre “diversa”. Diventa “sconvolgente” per il trivio giornalistico, dei buoni sentimenti, del senso comune, della legge e l’ordine – applicabili agli altri.

Verginità – Interrompendo l’ordine della creazione interrompe la salvezza. La salvezza è la promessa dei creati. Le verginità premia la salvezza a meno della creazione.

zeulig@antiit.eu

Casini è quello che rischia di più

Dopo il Lazio la Puglia, dove dovrà portare voti a Emiliano, o peggio a Nichi Vendola. Casini è quello che rischia di più alle Regionali. Senza un governatore, che sicuramente avrebbe avuto nel centro-destra, e innecessario nelle giunte. E forse senza neanche un partito, perché il suo, nel Lazio e in Puglia dopo la Sicilia, è fortemente localizzato. Il fenomeno è comune a tutti i partiti storici, Socialisti, Verdi, Sinistre, e anche a Di Pietro e al Pd: la politica è da tempo regionalizzata, con il voto plebiscitario per il Comune, la Provincia e la Regione, ma nell’Udc è ancora più marcato, la leadership di Casini è forte per essere debole, una sorta di portavoce. Senza contare che il voto utile è, localmente, dirimente: nessuno si mette con un perdente, per nessuna strategia o alchimia.
La politica dei due forni, che Andreotti rimproverava a Craxi, o delle due sedie, in queste condizioni non paga: senza una leadership centrale forte, e dura, le formazioni minori sono quelle che portano voti, senza attirarne. Forse Casini non lo sa, ma lui non è Craxi, non governa né con la destra né con la sinsitra, è solo una ruota di scorta. E potrebbe ritrovarsi ingombro di tanti altri che la pensano come lui, tutti a loro proprio avviso indispensabili, Tabacci, Cordero di Montezemolo, Della Valle, Draghi, e forse anche Rutelli, ma con pochi voti, non abbastanza. Le alleanze trasversali sono facili a insinuare nei talk show ma non sono semplici nella realtà e anzi indigeste: chi combatte per un voto combatte anche per un’idea e contro qualcuno. L’Udc, con tutte le carnevalate attorno a Berlusconi, con la moglie di Berlusconi, col fotografo Zappadu, e con i vescovi, rischia di tornare al partito del quattro per cento, più o meno, la soglia di sbarramento – anzi, senza la Sicilia, sotto il quattro.

martedì 22 dicembre 2009

Perché Berlusconi non ascolta Napolitano

Il presidente Napolitano esplicita a Berlusconi il sostegno al governo, come è nei suoi doveri istituzionali: non si temano complotti contro il governo. Che altro può dire di più? Puo, non deve. Rincuora Berlusconi a fare le riforme, se necessario da solo, “anche se non condivise”. Ma Berlusconi fa l’offeso, e non si capisce perché.
Napolitano ha orrore degli scioglimenti a catena dei Parlamenti, che lui sperimentò con la presidenza Scalfaro, qualche volta da presidente della Camera, e anche di Camere efficienti. Sciogliere il Parlamento eletto è, per un democratico, un caso estremo, da prevenire con ogni mezzo. Assicurare un esecutivo, e uno efficiente, è il primo dovere del capo dello Stato. Nel sentire di Napolitano e di ogni costituzionalista non golpista - come lo sono tanti che si colorano di democratico.
Perché Berlusconi fa finta di non sentirci, allora? Perché lascia perdere una occasione più unica che rara di farsi governare a suo piacimento, anche con quella parte del Paese che gli è ostile? È offeso? Non esiste in politica. E poi Berlusconi sa benissimo che la Consulta sul lodo Alfano è stata manovrata dal giudice casiniano – che alla maniera del suo patron ancora sta cercando la motivazione. Berlusconi vuole le elezioni anticipate? Non ha nessunissmo motivo per volerle. Vuole indebolire Napolitano, allora? Non può. Vuole indebolire Fini. Il quale non perde occasione per beccarlo, giornalmente. Ma alla fine della giornata conta in quanto conta Berlusconi. La distanza di quest’ultimo da Napolitano è in realtà una presa di distanza da D’Alema – il grande elettore del presidente della Repubblica. Perché D’Alema parla di riforme condivise ma pensa a Fini. Berlusconi vuole ristabilire l’ovvio: se l’opposizione vuole dialogare, deve dialogare con me.
Il voto di oggi al Senato sulla finanziaria, senza la fiducia, dopo le assicuarzioni di Napolitano, significa che la tattica di Berlusconi è stata capita anche dai suoi oppositori interni.

Il mondo com'è - 29

astolfo

Capitalismo – È un ruminante. Mastica di tutto, anche il suo opposto, digerisce di tutto.

Cattocomunisti – Sono buoni perché cattolici e sono buoni perché comunisti. Sono buoni al quadrato. E sono buoni naturali, come il tonno, non per progetto o interesse.
Perché non funzionano ora che sono democratici?

Città (Democrazia) – Quella greca è la tribù sedentarizzata. Con leggi tipicamente tribali, di pastori venuti dal Nord, in ambiente urbano orientale. La democrazia nasce da questa prima sedentarizzazione, è un incontro di Oriente e Occidente, la città, la corte, e la tribù nomade, la continuità di sangue nell’instabilità. È una forma di relazioni esterne e anche interne, che prende corpo con la codificazione scritta.

Comunismo – È crollato su presupposti marxiani: fragilità economica, appropriazione del plusvalore, concentrazione monopolistica, totalitarismo, cioè tirannia. La caduta del comunismo è il solo evento storico che abbia inverato le “leggi” marxiane.

Dc – Ha un lato nero che è difficile trascurare, anche a volerlo, Ne ha ammazzati più la dc in quindici anni, 1947-1962 che Mussolini in 21, anche a mettere nel conto Matteotti e Aldo Rosselli, che Mussolini non voleva morti. Perché mettere sotto silenzio Portella della Ginestra, Melissa, Avola, il 1960? I tantissimi arresti politici sotto forma di procedure giudiziarie comunque infamanti, fino a Baffi e Sarcinelli, di una magistratura e una polizia certamente non autonome? Se la legge Scelba avesse potuto operare indisturbata, mai tante persone avrebbero perso il posto nella storia, salvo nelle proscrizioni di Augusto e soci. Né s’è mai avuto tanta repressione, censura in senso stretto, sui costumi e la cultura. Perché tacere di Milazzo che chiamò i mafiosi al governo? E di piazza Fontana, piazza della Loggia, i treni, la strategia della tensione? E di Antonio Segni, dei dossier del Sifar (“Lo Specchio”, “Mancini lader”, etc.), della copertura di Aldo moro ai golpisti, con le loro liste di proscrizione? Quello nero è forse più pesante di quello buono: quale dei due invera l’altro?
Non si spara più sui dimostranti dal 1962, con il centro-sinistra. Non alla maniera classica. La strategia della tensione non è invenzione di Pattakòs, un imbecille: si sviluppa quando il Psi parla di disarmare la polizia in servizio d’ordine, e la Dc riceve dall’ambasciatore americano Graham Martin, l’uomo della guerra al Vietnam, oltre un miliardo di dollari, di quaranta anni fa.

Fascismo – Sempre in abominio, sempre poco analizzato. Ma qualcosa si comincia a saperne. Certamente non veritiera è la dottrina (cominformista all’origine) che ne fa il culmine del capitalismo. Che è capitalismo proprio perché non ha culmini. Mentre cominciano a essere vere le radici giacobine: comune è il ceppo giustizialista, come in tutti i totalitarismi, di uomini della provvidenza.

Femminismo – Caino il contadino uccide il pastore Abele: per gli antichi biblisti… non sarà l’oltraggio dell’offensiva patriarcale?

Gandhi - È occidentale. La pietà sociale è occidentale. Il sociale lo è: il lavoro come mezzo di affrancamento, la solidarietà, la giustizia. La pietà individuale è occidentale. La nonviolenza è una strategia politica popolare, non dei re o dei capi militari, delle tribù, delle caste, e quindi è anch’essa malgrado tutto occidentale. Che Gandhi sia stato regalato all’India dalla Gran Bretagna suona un po’ forte, ma è così.

Germania – Con l’unità ha mutato pelle. La Repubblica Federale, vivace, colloquiale, cosmopolita, che era renana e bavarese, è stata soppiantata da arcigni manager e gente del Nord-Est. Che non si sa cosa pensano, a meno che non pensino male. La Repubblica Federale è riuscita a superare handicap durissimi: il comunismo a Berlino, la paranoia tirolese, gli irredenti di mezza Europa dell’Est, tutta gente che non ha mai dato nulla a nessuno, e pretendeva la terza guerra mondiale. La Germania unita non ha avuto nessun problema vero ma li magnifica tutti. Seriosa, taciturna. Diceva Joseph Roth di Weimar: “È la repubblica Tedesca\ una nuova casa con letti vecchi”. Sarà sempre così, il nuovo-vecchio mobilio l’avrà portato l’Est.

Illecito dello Stato – Secondo Kelsen non ci può essere un illecito dello Stato, “sarebbe come il peccato di Dio”. E invece lo Stato può essere, è normalmente, criminogeno. Per le bombe degli anni Sessanta-Settanta, per esempio, per non averle punite, se non per averle messe. Per l’uso parziale delal giustizia, a fini politici, economici, e di tornaconto. Per la precarietà: mezzo milione, un milione, di domande di assunzione sono presentate per immigrati, da residenti italiani in grado di provvedervi, lo Stato ne consente centomila, duecentomila.

Modernità - L'ipertrofia di violenza pubblica e sensazionalismo nell'opinione pubblica italiana, nella Rai per esempio, e in libreria, è ancora inferiore allo hitlerismo. Anche se solo per mancanza di audacia: la nuona volontà c'è tutta.

Occidente – Non farà abbastanza, ma è l’unica cultura e l’unica area che include e non esclude.

Polizia – È istituzione recente, la sua filosofia è appena abbozzata (Foucault, Fontana). È lo strumento della giustizia: così è percepita, per questo gli apparti si moltiplicano (polizia, carabinieri, finanza, vigili, polizia municipale, polizia provinciale, ronde). Ma è l’interfaccia della criminalità, e in questo inevitabilmente uno specchio. In minima parte, il grosso è burocrazia, “posti” pubblici per chi non sa fare altro.

Settanta (anni) – Deliranti, tragici, obbrobriosi. Misteriosi, ma forse solo per la stupidità: diciotto politico, salario senza lavoro, i portantini al governo dell’ospedale, i bidelli della scuola. Rivolgimenti, congiure, droghe, violenza, tranelli, abiure, compromessi, tradimenti, pugnalamenti, e ruberie. Rubano i principi e i cardinali, rubano ricchi e rubano i poveri, i delinquenti e i santi, a cominciare da Aldo Moro, il cui sacrificio li conclude. Senza nessuna gloria, come invece nel Cinquecento, altra epoca nella quale l’infamia trionfava.

astolfo@antiit.eu

lunedì 21 dicembre 2009

Tra due forni, o tra due sedie

Troneggia anche su Sky, oltre che sui Tg Rai, casiniani da sempre. Segno che il suo Centro convince anche il rapace Murdoch: scardinare Berlusconi scardinando il bipolarismo. È il giovane di sempre, anche a cinquantacinque anni, e la promessa della politica. Come Casini si è sempre pensato, da una trentina d’anni a questa parte, così ora è percepito, dall’ingegner De Benedetti, un altro che se ne intende come Murdoch, e dai Dc scomodi nel partito Democratico, fino alla Bindi inclusa. Ma potrebbe restare fra due sedie, già alle Regionali, ancora una volta.
Potrebbe recuperare in Veneto, ma è difficile, anzi impossibile, che Galan si metta al suo servizio. Mentre in nessuna delle regioni in bilico, il Lazio, la Campania, il Piemonte, e la Calabria, avrà un suo candidato alla testa di uno schieramento: non da Berlusconi e, a questo punto, neppure dal Pd. A Roma, dove potrebbe pretenderlo al posto d Zingaretti, i suoi hanno già deciso di sostenere la candidata di Berlusconi, Polverini. Non ha più spazio in Campania, dove ha fatto mancare la sua solidarietà ai Mastella, che pure lo avevano salvato dal naufragio con Forlani al tempo di Mani pulite. E potrebbe perdere la Sicilia, che è il suo unico serbatoio di voti, grazia a Cuffaro e altri personaggi della stessa caratura. Anzi l’ha già persa: Lombardo si conferma l’anti-Casini per i voti di Casini. Dichiaratamente ora che conduce in proprio il gioco casiniano del Destra-Sinistra: non poteva scalzare il giovane vecchio dal di dentro e quindi lo fa dal di fuori – si scrive Mpa ma si legge Udc 2.

Letture - 22

letterautore

Arbasino - Grande ingegno, immenso, di forte capacità affabulatoria, fottuto dalle cattive amicizie (le frequentazioni della solitudine, la solitudine dello snob è implacabile) e dalla politica. Passione divorante, che lo insegue da Mannheim a San Francisco, all’“Alcesti” e all’Opéra-Bastille. La politica, non la filosofia: passione unica e stranissima, talmente è assorbente, da analizzare. Altri Kulturkritiker, da Diderot a Karl Kraus, si sono lasciati degli spazi per fantasticare. Arbasino è intossicato dalla sociologia politica, il genere più anguillesco, e forse inconsistente – strana nemesi, per chi odia l’approssimazione.

Classico - È quello che è sempre vivo. Ma vivo in base a una lettura: è sempre filologia.

Critica - È la malattia della letteratura, il “killer”, il virus – raramente la vitamina. Quando non è allegra, cioè libera – raramente. Per tutti gli altri “prodotti” in circolazione l’atteggiamento è aperto, vediamo, assaggiamo, consumiamo: se piace bene, se non piace pace, solo per casi di pericolosità sociale dichiarata c’è la critica. La letteratura invece non esiste senza la critica. Che a ogni libro nuovo la sua funzione interpreta caricando i fucili a pallettoni – l’onestà del critico. Poi, se resta qualcosa, si gusta.
Perché siamo più scrittori che lettori? O perché con l’umanesimo, civiltà del libro, si è creato un mandarinato geloso dell’esclusiva, per cui non c’è nemmeno un’area d’indifferenza, ma tutto quanto è pubblicato dev’essere messo con le spalle al muro e misurato con Dante, Petrarca, Platone, Omero, e adesso anche Leopardi.

Dante - L’allegoria che celebra non è un residuo (fardello) stilistico del tempo? Schiaccia le “Petrose”, nelle quali è tutto, scalfisce poco la “Commedia”.

“Il poeta più savio e più triste” di Baudelaire (in Nadar, “Baudelaire intime”, p.70)

Elisabettiani – Curiosa riscrittura della storia, per la questione religiosa: gli elisabettiani erano soprattutto stuartiani. La fioritura letteraria e artistica che va sotto il nome di periodo elisabettiano si produsse in realtà con gli Stuart. Il Cinquecento fu in Inghilterra, con i re macellai Enrico, Maria, Elisabetta, poverissimo. Thomas More scrisse in latino, in inglese c’è un po’ di manierismo (Lily e l’eufuismo, Sydney, che peraltro molto viaggiava in terra non riformata), Spenser e Marlowe. Sotto gli Stuart si espresse al meglio lo stesso Shakespeare, che parteggiò per la congiura del conte di Essex, protetto finalmente dal re. Il teatro era stato confinato da Elisabetta fuori città, mentre Giacomo I lo sostenne e lo protesse – e i ruoli femminili tornarono alle donne, anche se si facevano venire di Francia. Poterono liberamente esprimersi Francis Bacon, Donne, Robert Burton. E poi Milton, etc. Si dice che Shakespeare a un certo punto tacque per dispetto contro Giacomo I. Ma non sarà una cattiveria protestante? Nel 1602, un anno prima della morte di Elisabetta, non riusciva a pubblicare l’“Amleto”, e questo è un fatto.

Flaubertiano – Si dice della “parola giusta”, ma senza molto senso. La parola giusta non può essere anestetica, insignificante, e Flaubert lo sapeva, non è uno della École du regard. A lui piacevano le persone di carne e sangue, e le passioni. Sarebbero piaciute, ma non ha trovato la parola giusta – flaubertiano equivale poi a noioso, non lo diceva lui stesso che i grandi narratori si possono permettere di scrivere male, uno mediocre ha l'obbligo di scrivere bene.

Freud – È logicamente insufficiente: la sua fonte conoscitiva, Edipo e altri miti, è abborracciata e contraddittoria. È terapeuticamente, e anche esteticamente, pericoloso: umilia l’infanzia, la fase più segreta, poiché fisiologicamente si rimuove, ma più appassionante e vera della vita umana, rimodellandola sulla vita adulta, e impone la denuncia delle rimozioni. Impone cioè di giocare di furbizia con se stessi e con gli altri, o di accettarsi senza entusiasmo, o addirittura (ai più) di ferirsi. Meglio un bambino senza madre di uno con la madre? Che insensatezza!
È un ideologo (Thomas Szasz, Bachtin)? Ma non materialista, non critico.è un confusionario, che scrisse buoni racconti, ancorché autobiografici, visionari, un vero “pazzo”. Una specie di paleontologo del sesso vivente, dopo aver scoperto, nel 1900, che la donna ha una sessualità. Ha successo culturale perdurante perché avrebbe approfondito la psicologia. Ma è più articolata la psicologia nel mito greco, o nel romanzo-poema prefreudiano, che in Freud o in Jung. Che hanno sistematizzato la psicologia, ci hanno tentato. Non per primi e non da ultimi. Da accademici. Che però non erano – erano sostanzialmente autodidatti.

Genesi – Quante incongruenze non si risolverebbero se fosse derubricato da libro sacro! Che lo si prenda in senso letterale, allegorico, anagogico, eccetera, fa sorgere una serie di problemi insolubili: la creazione, il peccato, la donna. la famiglia.

Libri – Sono la cosa che con più fretta viene liquidata dagli eredi – queste eredità sono il mercato dell’usato-antiquario, molto vasto. Non è un fatto d’ingombro. Vengono tenuti mobili, che occupano più spazio, e perfino capi d’abbigliamento del tutto inutilizzabili. Si dice che fanno polvere. Ma tutto in casa fa polvere se non è accudito. Se conservato, anzi, il libro acquista col tempo anche valore, unitariamente più dei mobili e dell’arredamento, più dei francobolli. Ci se ne disfa perché sono l’anima del defunto, una sua presenza vivente? .

Media – Il linguaggio dei media, pubblicità e televisione, è conciso e esatto. È però grandiloquente: persuasivo e non argomentativo. Perché non è verbale.
La forza di questo linguaggio non è la parola, ma l’immagine (la scena, la posa, le luci, il montaggio) e la magisterialità (assertiveness, ripetitività, e autocompiacimento, o star system). Un linguaggio cioè che si vuole dichiaratamente falso.

Sciascia – Se ne celebra sempre il razionalismo. E lo si celebra come un dato siciliano, di una certa Sicilia, illuminista. Ma quello dei siciliani, soprattutto dei palermitani-agrigentini, della vecchia matrice fenicia, semita, non è razionalismo, è allucinazione razionalistica. Una cosa il cui connotato non è di essere produttiva, convincente, patrizia, ma una fuga senza limiti nell’analisi. Che è un mezzo di difesa, ma rende la coabitazione e la costruzione impossibile, avvelenata.

Scrivere – Scrivere per accumulo secondo Lessing, che critica Costantino Manasse e l’Ariosto, quando descrivono la bellezza di Alcinoo e di Elena, è come portare in coma alla montagna i materiali per una casa, che poi franeranno dall’altro lato.

letterautore@antiit.eu

domenica 20 dicembre 2009

ll segreto dell'Italia è l'indice della miseria

Il misery index di Moody’s apre uno spiraglio sul segreto dell’Italia. L’Agenzia di rating ha messo insieme un indice molto semplice della povertà delle nazioni, sommando il deficit di bilancio annuale in percentuale del pil e il tasso di disoccupazione. E l’Italia, pur avendo il debito più grande in Europa rispetto al pil, e il terzo più grande al mondo dietro il Giappone e gli Usa, non se la passa male. Anzi, è il paese più virtuoso, se non meno “povero” – dietro la Repubblica Ceca. Sommato a una rete sociale molto vasta del terzo settore, o associativo, con un numero strabocchevole di operatori sociali, volontari e semi-volontari, senza contare le parrocchie rivitalizzante da Ruini, questo indice spiega la solidità del paese.
L’Italia è ben viva, come tutti sanno, malgrado Murdoch e l’“Economist”, prefiche non disinteressate, e i giornali di Lor Signori, che prosperano nella crisi. Una ragione ci sarà, o più d’una. Questa dell’indice della povertà, sommata al terzo settore, che il “Sole 24 Ore” infine registra in chiave di buoni sentimenti natalizi, è probabilmente la più robusta. Anche perché non da ora l’Italia è fra i paesi più virtuosi nel misery index: il deficit contenuto di bilancio, e in qualche anno anzi l’attivo di bilancio, è una cintura di correzione che il paese porta stoicamente da poco meno di vent’anni. Nessun altro paese avrebbe retto alle continue “manovre”, più tasse meno spese. Anche perché sono stati i vent’anni peggiori della sua storia politica, per il golpismo continuo dei complesso giudici-media, una destabilizzazione tanto perfida quanto martellante. Oltre ventimila onlus, 7.300 cooperative sociali, quattromila fondazioni sono la rete di resistenza dell’Italia.

I processi come esercizio di potere

Un monumento all'immutabilità delle logiche politiche.
Anche alla forza politica della retorica: Cicerone dice e non dice, accusa senza accusare, nomina Verre perché è in disgrazia presso i senatori, dopo tre anni e montagne di malversazioni, ma non nomina gli altri profittatori, né accusa realmente i publicani, gli affaristi che furono una creatura dello stesso Senato. Ma soprattutto conferma la persistenza delle logiche politiche.
Cicerone attacca il Senato, non può non farlo, ma per ristabilire il diritto a esercitare quel potere giudiziario di cui Silla avrebbe voluto privarlo. Perché è nel Senato il potere: il potere economico, o meglio finanziario, delle rendite urbane. Ogni rivoluzione giudiziaria - ogni rivoluzione? - è un esercizio di potere.
Già all'epoca si praticava il maquillage finanziario, il window dressing.
Cicerone, I processi di Verre

sabato 19 dicembre 2009

Il monumento di Pasolini

Quindi Pasolini era completamente “scarico” di erotismo, seppure ne era ossessionato prima della morte. La sua passione è di testa: numeri, geometrie, filologie (il belliano “fregare”, le decostruzioni, i calchi, il Sade ritornante del film). Passionalità infantile, che spiega la sua forsennata innocenza. Ma con un sospetto di calcolo: calcolo infantile (imbronciato), scoperto.
Grande creatore d’immagini: è questa la sua cifra poetica. Con le luci (colori) e i luoghi più vivi dei più sorprendenti personaggi. Sua è anche la “devozione alla morte” che Furio Jesi rileva di Pavese in “Letteratura e mito”. Pasolini è proprio questo, un mitologo. Di se stesso anzitutto, ogni mito è trasposizione, e vuole un io molto forte: “Petrolio” sarebbe stato un gigantesco monumento a Pasolini.
Pier Paolo Pasolini, Petrolio

Gli affari di Berlusconi, l'onore del "Paìs"

È allucinante, se non fosse ridicolo, il salvataggio del “Paìs”, il giornale spagnolo, da parte di Berlusconi. Il giornale che più si è dato dare, con quelli inglesi di Murdoch, per “uccidere” Berlusconi nella lunga estate dei veleni. Ora, d’amore e d’accodo, Berlusconi salva il “Paìs” dai debiti comprandogli delle televisioni fallite per 252 milioni. E il “Paìs” diventa socio di Berlusconi in Spagna. Tanto per l’etica degli affari, e per l’etica, in Italia e in Spagna: senza vergogna?
Ancora si ricordano le trepide interviste del “Paìs” alla signora D’Addario, per iscritto e in video, due ore di conversazione, due giornalisti mobilitati e una troppe, più i diritti dell’intervistata. Berlusconi avrà pagato anche per questa spesuccia? Due ore sono un libro. Ma non c’è da farsi problemi: salvati i conti, e le sedie dei padroni-manager, il giornale sarà libero di tornare sui denti rotti e le altre debolezze d Berlusconi, c’è già il precedente di “Repubblica”, che fu salvata da Berlusconi quando trent’anni fa salvò Mondadori, comprando la Quattro, e quindi il giornale. L’onore nel giornalismo è sempre salvo, il problema è che alcuni giornali pretendono di farci la morale.
Berlusconi con un esborso minimo si posiziona al primo posto stabile fra i veicoli di pubblicità in Spagna. E diventa consocio di Telefònica, con la quale ha un contatto, per ora minimo ma non si sa mai, in Telecom Italia, che l’operatore spagnolo controlla – sempre più di malavoglia. Berlusconi in Spagna arriva, con le tv del “Paìs”, al 40 per cento del mercato pubblicitario televisivo. E questo in virtù di una legge del governo Zapatero che bandisce dal 2010 la pubblicità sulla tv pubblica. Un governo socialista.

mercoledì 16 dicembre 2009

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (50)

Giuseppe Leuzzi

In Francia la servitù della gleba fu abolita nel 1779, in Austria, portata a modello di civile amministrazione, due anni dopo (ma in Ungheria solo nel 1848). Le leggi non contano molto per la “società civile”, la convivenza sì, l’interesse compartecipato.

Il Corso, lo struscio, la passeggiata serale, è fenomeno comune, “a Sud di differenti paralleli di latitudine, dal Portogallo alla Grande Muraglia”. Patrick Leigh Fermor, “Between the Woods and the Water”, 62.

Ib. 36: Da Carlisle al mar Nero i legionari romani di frontiera avevano sempre con sé un bassorilievo di Mitra dal berretto frigio, che sgozza con la spada un toro.

La Magna Grecia viene prima della colonizzazione. Era nota e frequentata dai greci prima delle prime colonizzazioni stabili, attorno al 700 a.C., a Siracusa, Napoli, Crotone, Taranto, Locri. I resti micenei lo documentano, la diffusione della simbologia del Toro, la toponomastica.

Calabria
A 33 anni Dumas lancia un prestito per “La Méditerranée et ses cités”, un progetto di cui presenta il 10 ottobre 1834 il prospetto su giornali e riviste. Riesce a ottenere il patrocinio del governo. E due mesi dopo parte. Ha con sé le commendatizie del presidente del consiglio e dei ministri della Marina e degli Affari Esteri, ma non gli artisti e i poeti promessi dal prospetto. Ha con sé solo il pittore Jadin, col suo gatto Mylord, e un truffatore, Jules Lecomte, che si fa passare per de Musset, e già a Marsiglia ha affondato la spedizione sotto i debiti. Per il discredito Dumas perde anche i finanziamenti governativi. Lancia allora una società per azioni, col proposito di raccogliere centomila franchi. L’esito non è noto: solo si sa che Victor Hugo ha sottoscritto 250 franchi, Nerval mille, e che il Lloyd francese ha dato il patrocinio. Quanto basta comunque perché Dumas parta, il 15 giugno1835, in carrozza. Fa tappa a Firenze e a Roma. Qui l’ambasciatore del re di Napoli, Ludorff, gli rifiuta il visto d’ingresso. Dumas si fa fare allora un passaporto falso da Ingres, che dirigeva a Roma l’Accademia francese, a nome di Joseph-Benoît Guichard. A Napoli s’imbarca sulla speronara Santa Maria di Piedigrotta, del capitano Giuseppe Arena, della Pace di Messina. Con la cantante Caroline Ungher e il di lei fidanzato Henri de Ruolz Monchal, che presto soffrirà il mal di mare e si ritirerà dalla competizione. Sulla speronara Dumas fa il giro della Sicilia, incontrando qua e là la notte Caroline, che intanto è andata a cantare la “Norma” a Palermo.
Lo sbarco in Calabria, contro burrasca, bonaccia e correnti, sarà specialmente benedetto da Dumas. Ma il viaggio lungo la costa calabrese, da Villa San Giovanni a San Lucido (Cosenza), sarà un seguito di sfide e pericoli. Così perlomeno lo racconterà Dumas sette anni dopo, scrivendone in volontario esilio a Firenze, in una camera sulla via Rondinella, il progetto “La Mediterranée” recuperando in tre titoli che vende via via a puntate ai migliori giornali di Parigi e poi in volume, separatamente e, in due tomi, col titolo complessivo “Le capitaine Arena”: “Moeurs et coûtumes siciliennes”, “Excursions aux îles éoliennes”, e “Voyage en Calabre”.
In quest’ultimo viaggio Dumas, al quale “la prudenza del serpente” era stata raccomandata per la Calabria, non va oltre le aspettative. Con non memorabili: “Tutti streghe e stregoni in Calabria”, “Per quanto calabresi, sono uomini”, e “Questi fannulloni di calabresi”. Dipingendo tra l’altro una società borbonica che oggi si direbbe democratica. Si può viaggiare dunque solo per scrivere libri.

Rossano ha molti titoli di nobiltà: due papi, un antipapa, sette monasteri, le chiese della Panaghìa, di san Marco evangelista, di Santa Maria del Pàtire, nascite illustri, san Nilo eccetera. Il pensionato che sulla piazza sopra la Cattedrale discute con gli amici la politica nazionale non sa del Codice Purpureo, dove si possa trovare, dov’è il museo diocesano che lo ospita – è sotto la cattedrale.

C’è una Madonna di Reggio, detta anche l’Africana, a Vernazza, nelle Cinque Terre. In un santuario dello stesso nome, che risale al Mille. Ma nulla si dice delle origini.

I calabresi che mangiano un pane di paglia era topos ricorrente un secolo fa. In De Amicis, “Sull’Oceano”, pp. 45-47-59. In Corrado Alvario, conferenza al Lyceum di Firenze, 1929.
.
In “Etruscan places” D.H.Lawrence ricorda a Cerveteri “il vino nero della Calabria” – di malumore, per un pasto insapore.

Calabraise e braise fanno tutt’uno”, dice Paul Louis Courier, ufficiale napoleonico, nelle “Lettere di un polemista”.

Le donne sono rapidissime, fulminee, gli uomini torpidi, e quando decidono restano indecisi. Se siamo stati popolati dalle locresi, donne libere che si unirono con gli schiavi, si spiega: è un fatto di dna.

Bernardino Telesio Bacone tenne in considerazione per la sua filosofia della scienza “più seria che celebre” ("Cogitata et visa”, XIII).

Pochi santi e moltissime Madonne. Molte sorgenti d’acqua, anche, elemento femminile della fisica naturale (dei quattro elementi). Il culto di Persefone persiste, se non vi è nato, della Grande Madre, e del matriarcato ad esso collegato di Locri. Non solo a Solano, Bagnara,e altre isole matriarcali, ma nell’insieme dei comportamenti culturali.

Secondo Gautier, della sotadica “Lettera alla presidentessa”, la Calabria è “quella regione che dà lo stivale in culo alla Sicilia”.

Reggio si pensa greca, poco sotto Atene, e parla latino, ciceroniano – come immagina che Cicerone parlasse. Ma non si può ridere. È la debolezza del Sud, il ritardo culturale. Non rispetto alla contemporaneità, cui anzi il meridionale, in quanto provinciale e per di più sradicato, è disponibile più di altri, è l’assenza o il rifiuto della propria storia o specificità. Che è la conseguenza del Risorgimento, di un’unità intesa come annessione, cui il meridionale più di altri fu pronto – sempre per la disponibilità alla modernità. La lotta al Borbone si faceva con Inghilterra, Francia e Piemonte, anche fuori dalle logge massoniche, nel nome della libertà e del futuro, e quindi l’annessione è stata un esercizio di libertà, nella specie della servitù volontaria. Ma fu – è – in realtà una colonizzazione: il dispossessamento attraverso la libertà, che passa per la negazione della personalità del colonizzato, per l’obliterazione o la vilificazione del suo modo d’essere – il colonialismo s’immagina truce, con la forca e il forcone, ma no, viene nel nome della libertà e del progresso

Tucidide, “La guerra del Peloponneso”, libro secondo, pp. 77 segg., stabilisce che i Siculi abitavano la Calabria. Che fu chiamata Italia da Italo, un re dei siculi. Pressati dagli Opici, i Siculi passarono lo Stretto e sconfissero i Sicani. Questo trecento anni prima che nell’isola, che si chiamava Trinacria ed era stata ribattezzata Sicania, approdassero i Greci. Ma trovandovi già gli Elimi, che erano ex Troiani, stabiliti a Segesta e Erice.
Zancle fu fondata dai pirati calcidesi di Cuma, nel paese degli Opici (campani): il nome però le fu dato dai Siculi, che chiamavano zancle la falce. I Siculi furono cacciati da Messina dai Samii, in fuga dai Persiani. I Samii furono a loro volta cacciati da Anassilao, tiranno di Reggio, che dà alla città il nome di Messana, in ricordo della sua patria di origine.
Non è una storia semplice, e gli effetti si vedono. I reggini sono calcidesi, vengono quindi alla penisola calcidica, nell’Egeo. Oggi sarebbero mezzi turchi.

È tutta a rischio sismico elevato. Nella vecchi carta di terremoti e nella nuova. Per questo i calabresi sono nervosi, anche se non sanno il perché.

Calabria in epoca romana era il Salento. Si sono invertiti i nomi, ma condividono le Madonne della Purità, la cadenza della parlata, il linguaggio asintattico , al limitare delle aree grecaniche propriamente dette. In tante parole che fanno sentire a casa come in Grecia: spasa per vassoio di offerta, ruga per quartiere, tigana per scodella, torre per villaggio, e ovunque i vopi.

Il calabrese va per antifrasi, la costruzione sintattica, o la semplice appoggiatura della voce, per cui si intende, e si dice, il contrario di ciò che “si dice”. Con tono naturale. Il calabrese buono – intelligente cioè e onesto – che vede la realtà scorrere in modo anomalo, la mima sorpreso. Sprezzante anche, ma profondamente deluso: il crimine, la menzogna, la stupidità lo urtano in quanto essere razionale, come negazioni della logica. È l’umorismo di Lionello o Ezio Luzzi, understated più spesso che espressivo – Lionello aspetta il nemico alla sua tagliola, Luzzi lo aggredisce.

Andare a Roma, e tornare. Nello stesso giorno. Far marciare il frantoio per sedici ore di seguito. Sei, sette giorni di seguito. Elevare la casa di un piano in una notte: mura perimetrali e sottotetto. Sono casi di normale follia in Calabria: la capacità di applicarsi non mancherebbe, ma il lavoro non è ritenuto onorevole.

Anziane analfabete in Calabria pagano mille euro al mese a giovani, belle, istruite polacche, rumene o ucraine per essere accudite - non da ora, lo facevano in valuta forte, marchi o dollari, prima dell’euro: le vecchie analfabete, che solo conoscono il dialetto, sapevano procurarsela. Non c’è verso per una donna calabrese disoccupata, allora e oggi, di assumersi questo reddito.

leuzzi@antiit.eu

Ombre - 37

Mourinho vuole dire che nella partita Juventus-Inter gli sono state fischiate troppe punizioni contro. Ma non lo dice, accenna. Allude. E dunque la mafia ha contagiato l’italiano? Sembrerebbe: i giornalisti spiegano solleciti che Mourinho non può dire di più, altrimenti verrà censurato o punito dalle autorità calcistiche, ma proprio questo è mafia, il qui lo dico e qui lo nego, e l’omertà dei giornalisti.

C’è sempre violenza politica a Milano, c’è stata il 13 dicembre, c’è stata il 12, c’è stata un anno fa, per il 12 dicembre e per il 25 aprile, c’è stata nel 1969 alla Fiera e a piazza Fontana esattamente come quarant’anni prima, forse a opera della stessa polizia politica. Ma la città non se ne fa un cruccio. Nemmeno il cardinale pensa di dover dire le solite parole buone. Anzi gli attentatori sono sempre figli di buona famiglia, morigerati, studiosi, di buone compagnie. Sarà qui, in questa impermeabilità, il segreto del successo? Altrove sarebbe detta insensibilità.

Seduta accanto alle regine e principesse scandinave, Michelle Obama potrebbe essere una di esse, non fosse per il colore: stessa robusta ossatura, stessa mascella forte, stesso abbigliamento un po’ come viene. Sono sedute anche alla stessa maniera, da educande impacciate sulle sedie troppo piccole.

Premio Nobel per la Pace, Obama fa a Oslo il discorso della guerra. Partendo dalla premessa che la guerra giusta o umanitaria è discutibile. È più onesto dei suoi giudici.

Alla conferenza dei grandi della terra a Copenhagen, Sarkozy si copre la bocca con la mano per parlare con Brown. Ridicolo, rifare Totti in campo. Privacy? Diritto all’informazione? È ludibrio, il disfacimento di ogni autorevolezza, insieme con la riservatezza. In quel terribile egualizzatore che è il pettegolezzo: tutti merde.

Il boss mafioso Gerlando Alberti, condannato all’ergastolo per aver fatto uccidere, tra gli altri, una ragazza diciassettenne, è stato messo in libertà dopo pochi di carcere. Non è evaso, ha avuto la libertà dai giudici. Che a suo tempo avevano anche dimenticato di farlo carcerare, dopo averlo condannato.
La ragazza era stata uccisa perché, stiratrice in una lavanderia, aveva trovato nella tasca di una giacca di Alberti un’agenda, e forse l’aveva letta.

Il giudice Claudio Dall’Acqua, e che giudice, presidente di Corte d’assise d’appello, seppure di Palermo, si umilia a farsi rimbeccare da un mafioso: “Perché dovevo ricorrere ai politici, non ero stato condannato”. In un processo a cui s’è prestato a dare un rilievo abnorme, spostando a grandissimi costi la sua Corte da Palermo a Torino. Non sarebbe stato dovere del Pubblico ministro sentire prima il suo inattendibile teste? Perché il giudice Dall’Acqua non ammonisce il Pubblico ministero? Perché si umilia?

La Spagna è a tutti gli effetti fallita, ma non si può dire. Poggia su una bolla immobiliare che da quasi due anni è una partita di giro senza una domanda e senza prospettive, ma banche che sono piene di crediti inesigibili vengono date per solide. Come le sue super squadre di calcio, che hanno tanti debiti da far rabbrividire (gestite da immobiliaristi…). Lo spirito nazionale è forte: ma è un asset o un handicap?

Si fa una festa nel reatino dell’olio d’oliva. A cui partecipano specialisti e scienziati del settore. Si possono così ascoltare analisi spassionate del tipo: “L’olio spagnolo è connotato all’olfatto da inconfondibile piscio di gatto”. Vomitevole allora? No, al contrario, dev’essere connotazione di pregio, poiché l’extra vergine spagnolo si vende ad almeno otto euro al kg, quasi il doppio che l’equivalente italiano – non si vende in Italia, ma nel Centro Europa sì, così pare. E il perché non è un mistero: è il marketing, che la puzza fa diventare un sapore.

martedì 15 dicembre 2009

Se liberale è autoritario

Dell’attentato a Berlusconi il “Guardian” se la ride: “Saluti da Milano”, titola, “un colpo spedisce Berlusconi all’ospedale”. Non è solo, e non è importante, non più. Ma il giornale di Manchester è stato, e si vuole, un baluardo liberale in Gran Bretagna. Una lettura per questo obbligata, a lungo. Fino al luglio del 1996, quando pubblicò una lettera di Orwell a Celia Kirwan, con una lista di scrittori e giornalisti da contattare per una campagna antistaliniana, e la proposta di una lista di scrittori e giornalisti da evitare, “criptocomunisti, compagni di strada o simpatizzanti, su cui non si può contare per una tale propaganda”. Tanto bastò al giornale liberale per dire Orwell al soldo dei servizi segreti. Tanto più che Celia Kirwan era cognata di Koestler, e quindi, lasciava intendere il “Guardian”, essa stessa nella manica dei servizi. Tacendo ciò che il giornale stesso sapeva: cha la Kirwan lavorava per la BBC, e che la BBC aveva o stava montando un servizio radio per l’Est Europa.
Nulla di “comunista” evidentemente in questo giornale, nel 1996 non ce n’era motivo, e a maggior ragione ora. Ma nulla nemmeno di liberale, in senso proprio. Se non della rovina del liberalismo, in Gran Bretagna come in Italia, preda dei corvi pieni di sé di ogni bordo. O, a voler essere seriosi, di un illiberalismo che è la deriva autoritaria del liberalismo quando è pieno di se stesso: che è il nucleo ancora vivo dell’orwellismo, nell’analisi di Jean-Michel Michéa. Dell’autoritarismo di ogni ideologia slegata dalla “decenza naturale” del lavoratore, dalla “società decente”. Nel giornalismo si chiama supponenza e pregiudizio, ma la sua natura è sempre violenta e totalitaria.
Questa natura ridicolmente conferma l’appaiamento con la reazione della Bindi, di Franceschini e altri democristiani professi. Il “Guardian” probabilmente sarebbe sorpreso di pensare e parlare come dei sacrestani, ma una differenza non c’è. È la stessa mentalità poco positiva e molto pregiudiziale che, ora che contro i totalitarismi il mondo è vaccinato, servirà probabilmente ad andare in paradiso, chissà.

Secondi pensieri (34)

zeulig

Città – Quell’ombra che gli antichi prediligevano nel’edilizia urbana “era rifugio ai cupi soltanto, o non più ancora alle anime?” (B.Croce, “Storie e leggende napoletane”, 17). La città come antro. Un rifugio anonimo, un viluppo di pieghe nelle quali l’uomo si appiattisce nascondendosi perfettamente. Ecco perché la visibilità è difficile nelle città, la visibilità umana: è difficile mettere a fuoco, difficile ricordare, difficile significare. Ecco donde viene l’inaridimento dell’uomo urbano: perché è venuto in città per attaccarsi, con nervi e articolazioni, a un labirinto di pietre, strettamente, fino a farsene camaleonte, dello stesso grigio colore della pietra. Quale altro animo può proteggere l’ombra urbana, se non quello di diminuirsi, sottrarsi, camuffarsi, cancellarsi?

Dio – Esiste solo per la ragione. Alla fede si presenta ostico: dovrebbe essere un signor Dio, onnipotente, onnisciente, di ogni virtù e ogni bontà. Ma è duro da amare, o anche soltanto da obbedire, chi ti fa soffrire – Gesù non lo soffriva. Razionalmente, invece, c’è solo da aspettare.

Avrebbe creato il mondo per stizza? Se siamo figli anomali di Dio, non si viene a capo di nulla, a meno di bestemmiare. Si torna alla natura unica di Dio, e all’opposizione fra Dio e mondo, e noi siamo la parte brutta.
La storia del peccato originale è la meno convincente: Non ha senso: prova? sfida? ribellione? L’opposizione fra Dio e natura dev’essere anteriore, altrimenti non c’è sfida possibile né provocazione. Ma allora la natura sarebbe il diavolo. E come può essere?

Sono io. Anche io. E non perché è la somma, come è stato detto, di tutti i punti di vista, ma perché il creatore non esiste senza il creato – non è un paradosso, dev’essere un nodo teologico notevole, l’eternità e la creazione (meglio l’evoluzione…).

Filosofia - Dice Jünger di Heidegger: “Io stavo a Berlino, lui è un uomo della Foresta Nera”. E intende: io sapevo cosa succedeva, lui era un pensatore. Ma il pensiero non è sempre critico? Quello consolatorio è ideologia, esortazione, teleologia, etc., è il contrario della forza attiva.
Dice Kant: la filosofia non è una scienza ma una morale. O non il contrario? La filosofia non può essereche critica, in senso kantiano, e dunque non morale.

Gesù – Non ha corpo né storia – non ha desideri. È interamente verbo, messaggio. Creatura dell’ermeneutica.
Nella passione soffre. Ma è vero sangue il suo? Poiché risuscita integro e bello.

Libertà – “Puttana libertà” ha il Berni, nelle “Rime”. La libertà si definisce solo socialmente, con la libertà degli altri. La legge che modernamente entra nei diritti soggettivi (suicidio, eutanasia, droga, terrorismo intellettuale) ha in ciò l’origine e il limite. Individualmente, la trasgressione può essere grande quanto quella della legge, per il piacere dell’abiezione, e della violenza.

Morte – La paura della morte è recente. Viene con la chimica, la medicina spagirica di Paracelso? Nei racconti degli antichi (Cicerone, Agostino…), come dei moderni non aggiornati (Mozart…) il trapasso non apre scompensi, è naturale.

Narciso - Il basilisco lo fulmina la sua propria immagine.

Normale - Come orthos, di cui è l’equivalente, serve in grammatica per indicare un ordine. Senza sanzione, non sottopostio cioè al potere. Non è quindi da buttare, né la parola né il concetto. Anche se – Ovidio – l’ordine (l’età dell’oro) non può deviare, una normalità regolarità che è mediocre, aurea mediocritas.

Parola – È la scoperta più straordinaria. In sé e come strumento. È lo strumento più creativo – la musica viene ovviamente dopo. E non è inventio – non è strumento cognitivo, checché la filosofia dica. Se non per qualche mostruoso caso dal quale evidentemente siamo lontani.

Progresso - È un fatto. Cioè una costante nella storia. L’uomo nella stria ha alti e bassi, con regressioni crudeli, ma il progresso materiale, o tecnico, dal più sporco al più pulito, dal più al meno faticoso, dalla povertà alla ricchezza, dalla malattia alla salute, questa ricerca non ferma. Neanche nei secoli di regresso sociale o morale: il barbaro vuole anch’egli migliorare le condizioni materiali.
Perché questo fatto è discusso e irriso? Per la vergogna – della guerra di massa, il nazismo, la bomba atomica. Perché l’aristocrazia dello spirito rifugge dalle cose materiali. Per accelerare la crisi e la rivoluzione. E perché non sappiamo. Essere conservatori d’altra parte fa fino, per tutti.

È nell’idea della creazione come in quella dell’evoluzione. La creazione non può avere altro senso che come prova voluta dal dio. Altrimenti non avremmo che incongruenze logiche: una cosa che è eterna ma fino a un certo punto non c’era, e una materia che diventa spirito.
Ma è vero che la resurrezione costituisce una seconda interruzione del tempo, dopo la creazione. Il tempo, come il progresso, va a sbalzi?

Quello della tecnica è indubitabile. Anzi, è troppo veloce: lo vogliamo infatti, ne siamo curiosissimi, ma ci sfianca, si vede. Non altrettanto può dirsi dell’etica, o organizzazione sociale: antiquata sempre – oggi con i suoi riti paraindividuali in un mondo compattato da sfasciacarrozze.
È anche vero che il progresso accelera in una fase di accentuata confusione delle lingue, e di appiattimento – comunicazioni di massa, consumi di massa, edilizia di massa. È come un pesce fuori dal mare gelato.
.
Religione – Non c’è senza il destino individuale, un disegno di consolazione (intelligenza, salvezza). Altrimenti è culto: rito, iniziazione, festa cerimoniale, una misera manifestazione di ordine.

Pensiero – Democrito si strappa gli occhi per non pensare.

Teologia – Ultimamente è materia femminile.

zeulig@antiit.eu

lunedì 14 dicembre 2009

A voce bassa il paese reale

Ci saranno molti interrogativi sull’attentato a Berlusconi – perché è andata bene, e anche ridicolmente bene, ma è un attentato. Chi è l’attentatore? Sarà lo storione più frequentato, e facile prevederlo, tutti i grandi attentati sono eseguiti da persone instabili: Gianni Versace, Rabin, Lafontaine, Reagan, Lennon, Robert Kennedy, Jack Kennedy, giù giù fino all’incendiario del Reichstag, l’attentatore è sempre instabile - su uno di essi, Gary Gilmore, che amava uccidere per essere ucciso, Norman Mailer dovette sospendere il giudizio, dopo le mille e rotte pagine di "The Executioner's Song". E perché non c’è protezione attorno a Berlusconi? Perché i contestatori del comizio sono saliti fino sul palco dove doveva parlare Berlusconi? Perché c’è sempre di mezzo in queste cose Milano, quella del 12 dicembre 1969, come quella del 12 dicembre 2009, e del 13 dicembre? Perché il questore lascia scoperto Berlusconi, nominato da Maroni e da questi protetto?
Si ricamerà come al solito senza fine. Il complotto è peraltro infine dichiarato come una forma del pettegolezzo. Ci si chiederà anche perché non abbiano parlato i cardinali, né Bagnasco né Tettamanzi, né il12 né il 13 dicembe. Ma forse erano alla funzione. Per ora vale attenersi a cosa ne pensa il pubblico, alle file infinite alla Posta per l’Ici, al mercato, al bar. I commenti sono disparati. Ma tutti a voce bassa. Solo si distinguono un giovanotto con molta barba e pochi capelli, che però fa anche lui il pazzo, e una signora, una gentile impiegata delle Poste. La quale dice che tutti sentano: “L’hanno menato. Eh beh?” E uno non sa se è una fascista, magari liberale di Fini, oppure una comunista.

"Un governo si fa in cinque minuti"

Un frizzo ha ghiacciato le schiene dei politici nel weekend, prima che l’attentato a Berlusconi riportasse il sorriso: il governo che “si fa in cinque minuti” dell’onorevole Casini ha lasciato senza parole tutti quanti. Per l’eterno ritorno della Dc, maneggiona, sprezzante, buggerona. Non fantasmatica, poiché l’onorevole è la punta di diamante dei vescovi. Per l’avvilimento delle ragioni del proporzionale. Per la spettrale riesumazione di Mastella in aspetto di Casini, il vecchio ticket - nel 1994 Casini, che a Bologna non aveva i voti, si faceva eleggere a Mastella in Campania. Con uno spruzzo di leghismo sicilianista, e l’inevitabile richiamo al milazzismo. Da Bersani al Quirinale, la certezza dell’onorevole Casini deve avere dato, col brivido, anche un senso di vuoto, dell’inutilità della passione politica, poiché l’onorevole disinvolto li ha letteralmente lasciati senza parole.
Oggi va un po’ meglio, lo sconcerto è parzialmente rientrato, di fronte a questo nuovo candidato leader della sinistra. Se ne vedono i limiti, oltre al cinismo dei governi che si fanno e si disfano. Avere Napolitano in tasca. Avere Bersani in tasca. Avere i giornali di Lor Signori in tasca. L’onorevole Casini appare nuovamente come al solito superficiale: avere in tasca Lor Signori...
Da Prodi a Casini l’itinerario non è esaltante per il centro-sinistra, da una terza fila della (ex) Dc a un figurante, l’attor giovane. È vero come dice Albertazzi che ci vuole un sessantenne in teatro per fare bene un giovane, ma allora è teatro. E Lor Signori non sono stupidi. Dopo il fallimento di Tremonti, che sembrava il Candidato ideale del ribaltone, si sono anzi fatti d’improvviso cauti con gli attor giovani, Fini e Rutelli inclusi, e le autocandidature in genere.

La Spagna è più fallita della Grecia

Prima e più che la Grecia, la Spagna avrebbe dovuto essere declassata nei rating internazionali. Il paese iberico è sempre ammirevole per il senso nazionale di unità, fra destra e sinistra, fra Nord e Sud, fra cattolici e mangiapreti, e nei giornali, dove vale il principio che cane non morde cane. Tanto più mentre si dilania: la Catalogna fa i referendum sull‘indipendenza, il diritto civile è ridotto a burla (si cambia sesso con una telefonata), si scavano le fosse comuni del franchismo. Ma i fatti sono lì, nel senso del fallimento incombente del sistema economico, e difficilmente ricomponibili. Anzi, dopo un anno di sotterfugi contabili, non più rinviabili. La Spagna ha e continua ad avere il dbeito pubblico più basso di tutta l'area auro, in rapporto al pil, e tanto basta per tenerla al riparo dai giudici di Bruxelles e New York. Ma l'economia galleggia sul nulla.
Il dato è certo e chiaro. La Spagna si regge su un boom immobiliare che da due anni ormai, prima ancora della crisi dei mutui subprime, galleggia come partita di giro: le banche si reggono mutuamente l’un l’altra, ma non c’è denaro fresco: nessuno compra, gli immobiliaristi non rientrano delle enormi esposizioni, e chi ha comprato spesso non paga il mutuo. La contabilità delle insolvenze non è tenuta, non pubblicamente, ma si sa che tutto il sistema bancario, grande e piccolo, si regge sul vuoto.
La situazione è diversa che nei sistemi bancari americano e britannico, i sue più toccato dalla crisi, perché i grandi banchi spagnoli hanno attività limitate sui mercati speculativi. Ma è anche più solida, i buchi sono reali, e semmai non è coperta dalle grandi operazioni a termine. Il reddito è peraltro in forte contrazione per la disoccupazione record. Che è quasi tutta dell’edilizia-immobiliare e difficilmente riallocabile.
La Spagna è il paese più indebitato d’Europa, dopo la Gran Bretagna – che però è più solida economicamente e molto più diversificata. Sia in valori che in rapporto al pil. Tre mesi fa il Cgia Mestre calcolava per la famiglia italiana un debito medio pari a 21.270 euro, contro i 36.150 euro della Francia, i 37.785 della Germania, i 55.886 euro della Spagna e i 63.447 del Regno Unito. I valori della Spagna sono poi rapidamente peggiorati, e oggi si aggirano sui 60 mila euro. In rapporto al pil i debiti delle famiglie sono il 34,2 per cento in Italia, in Francia poco meno del 50 per cento, in Spagna dell’83,6 per cento. Rapporto anch’esso peggiorato, poiché il pil è in forte contrazione.

Se gli Zappadu ingombrano le Feltrinelli

Tra i libri in evidenza nelle librerie Feltrinelli, in alte pile, negli angoli strategici, negli aeroporti e in città, ha dominato l'autunno questo Zappadu: non si può nemmeno scappare, uno se lo ritrova sempre davanti. Se va alle Feltrinelli beninteso - ma in certi luoghi non c'è altro. Questo Zappadu è il fratello dello Zappadu fotografo con sede alle Bahamas, che ha avuto agio di fotografare le palle di Berlusconi sotto la doccia. E ne fa la biografia: di quando il fratello ebbe la visione della fotografia, delle sue prime macchine fotografiche, di quali filtri usa. Poiché è un instant book, si suppone che sia un libro in grande domanda. E uno si scopre d’improvviso un alieno: che ci faccio qui, in queste librerie?
Cioè. Le Feltrinelli non vendono Cicciolina, nemmeno Moana. Non vendono i manuali di difesa personale (pistole, coltelli, armi occasionali). Non vendono neppure le barzellette dei carabinieri. Non si censurano, è da presumere, ma sanno che i clienti delle Feltrinelli non comprano questi generi. Invece evidentemente comprano Zappadu fratello che illumina il fratello. E il problema si pone: non saranno infettivi?
Salvatore Zappadu, La vera storia di Antonello Zappadu, Castelvecchi, pp. 185, € 12

domenica 13 dicembre 2009

Letture - 21

letterautore

Baudelaire – Vede e soffre, nella vita e nella poesia, tutto il male possibile, ma opera con costanza, con forza. Il protopito del pessimismo è invece un ottimista - l’ottimismo non è l’entusiasmo ma la fiducia, il pessimismo non è il senso critico, ma la sfiducia. Pessimista è Verlaine, o Rimbaud: qualcuno che fa l’amore intensamente, è molto attivo nel suo mondo, della letteratura, ricerca e sperimenta, ma non crede all’amore e non ama la poesia.

Per primo apre la poesia alla musica – Wagner – e alla pittura – Delacroix. Con lui la poesia si lega alla musica, nel secondo Ottocento e nel Novecento. La grande lirica di fine Settecento-primo Ottocento si lega invece alla filosofia e alla filologia: Hölderlin o Schiller a Schelling, Hegel (Manzoni, Foscolo, Leopardi, sono loro migliori filosofi e filologi, perché i loro pensatori erano mediocri). La musica, anche grande, era isolata culturalmente: Mozart, Rossini, Beethoven – Stendhal ne scrive le biografie per guadagnare.

Guareschi – Era detto fascista, e lo sarà stato, se ne compiaceva. Ma nessuno più di lui ha fatto per il Pci, nemmeno Togliatti. Per i comunisti violenti, quelli della Bassa. La serie dei “Don Camillo”, che si ripete immarcescibile in tv, così campanilistica, arguta, gozzaniana, piena di buoni sentimenti, è quelle che ha indelebilmente reso popolare, buon italiano, buon compagno, ogni comunista. Dunque, ci vuole un fascista per fare un buon comunista.

Koestler – Nella sua passeggiata da Londra a Costantinopoli Leigh Fermor incontra un personaggio di grande spessore, il conte Eugenio, o Jëno, Teleki. Che tra le tante teorie interessanti argomenta solidamente quella di Hugo von Teleki sulla discendenza degli ebrei ashkenaziti dai khazari, l’impero sconosciuto che aveva abbandonato nell’Alto Medio Evo il paganesimo per l’ebraismo.
“Il ricordo del conte emerse in una taverna di Atene circa vent’anni fa”, racconta Leigh Fermor in “Between the woods and the river”, p. 119, nel 1986, “a pranzo con Arthur Kostler. Subito all’erta, Koestler disse che la cosa interessava anche lui, ma che non ne sapeva quanto avrebbe voluto. Un anno o due dopo “La tredicesima tribù” apparve”, opera di Koestler.
Patrick Leigh Fermor non è l’unico a esprimere dubbi sulla correttezza di Koestler. Come per Silone, può essere che l’abbandono del comunismo – o la pratica del comunismo – induca alla simulazione?

Latino – È lingua morta ma di grammatica ricca, soprattutto di forme verbali (concettuali), gerundio, participio futuro, e di una serie imbattibile di complementi (azioni, eventi). Tale da superare la capacità nostra di padroneggiarlo, donde il suo fascino, da miniera inesauribile.
Le lingue progrediscono per semplificazione? Si dice di più dicendo di meno?

Machiavelli – La politica è l’assunzione e la gestione del potere, non ce n’è altra. E come si può far finta (Rousseau) che non ci sia un potere, una violenza legalizzata? Come Hobbes, e a differenza dell’accademico Rousseau, Machiavelli aveva scritto senza protezione in tempi minacciosi: basta questo a rendere credibile la sua (e quella di Hobbes) ricerca della libertà.

Manzoni – Uno che non ha amato le mogli, e neppure le figlie, e forse odiava la madre – la disprezzava. Come Tolstòj, che però era appassionato, non contava le virgole.

Il suo catalogo è certo impressionante: mafia, stupro, aborto, anche in convento, gli sciacalli nella peste, la corruzione della giustizia e della religione, morte, puzza, idiozia. Non c’è altro romanzo, gotico, nero, che accumuli così tanta turpitudine. Tanto più per un’anima pia, che si assolve nella Provvidenza, e proprio perché si assolve. Pretendendo che Dio lo ascolti e lo aiuti.
Mario Soldati nel “Natale giansenista” (il racconto è nella raccolta “Rami secchi”) osserva che “Manzoni credeva di credere ma in fondo non credeva, era soprattutto superstizioso e temeva l’inferno” – mentre “Leopardi, al contrario, credeva di non credere e invece credeva”.

Petrarca – O della poesia come professione. Colto, appassionato il giusto, intelligente, produttivo, lagnoso quanto è necessario sui destini del mondo ingrato. Quasi perfetto, un modello. Da imitate e imitato. Mentre al poeta come a ognuno è richiesto anche qualche vizio, l’ira, la superbia, l’accidia, e qualche debolezza. Ne ha perfino Gesù nei Vangeli, testi apologetici.
Cosa distingue Petrarca da Omero, Dante, Shakespeare? E la letteratura italiana dalla letteratura – Dante non è italiano (lo è?). L’ammanieramento della fantasia. L’oleografia: mancano gli inciampi. Troppo ordine, troppi sbadigli: la perfezione è nella maniera (nella maniera c’è anche l’avanguardia)?

Prosa – Viene dopo la poesia, insistono Vico, Rousseau e Borges. Per Leopardi, secondo i “Ricordi” di Antonio Ranieri, pp. 121-122, la buona prosa è più difficile della buona poesia: quella è come una donna abbigliata riccamente, questa è come una donna nuda.

Proust – Ha canonizzato prima e meglio di tutti (Joyce, V.Woolf, Céline, Svevo-Zeno) la “frase pregna” (stream of consciousness), con flashback, anticipazioni, precisazioni, digressioni, ricordi, insinuazione, e l’ha ordinata, logicamente e grammaticalmente. È questa riuscita l’handicap del romanzo? Perché su quattromila pagine la scrittura aperta o pregnante provoca inconvenienti gravi: Saint-Loup fa gli scherzacci a quattro con gli amici, la combriccola, ma ha una donna, ma perché la umilia nella casa d’appuntamenti, e perché è ebrea? di lei non sappiamo niente altro, per esempio perché si umilia). Insensatezze: “Albertine” è il romanzo della gelosia di un amore che non c’è stato - e come può succedere che due ragazzi convivano, e la serva-padrona taccia, dopo il profluvio di mamme, zie, conoscenti, patronesse? Ridicolaggini: le frequentazioni dei Verdurin. In più della stessa lunghezza insensata. Decisamente, Proust non esce dai personaggi e i soggetti della letteratura fin-de-siècle e del deuxième rayon, la ragazza maschietto, il gay pamé, la piccola borghesia con le piccole virtù, le demi-vierges, le grandi baciatrici.

Se la chiave fosse l’ironia, invece che l’elegia, potrebbe diventarne il capolavoro –tanto più che con l’ironia non si costruisce. Quel mondo che rappresenta, che non vuol essere passatista (romantico), ma non sa essere moderno (democratico), ha il peggio di tutt’e due: incistato nella memoria, e nel disprezzo (lo snobismo è l’orrore di essere). Riflette l’incertezza della élite, anche in senso pratico – l’élite è un palcoscenico affollato di entrate e uscite. Incerta e aggressiva, non amabile, a differenza della casta, odiosa ma amabile. Come appassionarsi dei suoi problemi? Mai esistenziali, e di semplice posizionamento nell’abbondanza, e nell’occhio della gente. Borghesi.

Il tempo durata, invece che frazionato dalla minuzia cronologica, è dei verbi semiti, ebraico, aramaico (Aron, “Gli anni oscuri di Gesù”, pp. 63-67). Che distinguono solo compiuto (passato remoto) e incompiuto (imperfetto).

Psicanalisi – Lo studioso Bachtin e molti erotomani la pongono nel triangolo magico. Che è femminile: il triangolo magico non è esoterico, e femminile. Tanti studi e tante fatiche letterarie si concentrano in effetti su quel posto minimo, il triangolo femminile.

Rinascimento – È voglia di essere esteticamente, ricreando cioè modelli alti. Non è rinascita, non nel senso generativo, di flusso vitale nuovo. La voglia del modello fu però tale che la riproduzione è creativa. Molto di più, quantitativamente e qualitativamente, di qualsiasi altra epoca di rottura, romantica, espressionista. C’era molto mestiere (applicazione) nel Rinascimento, oltre all’ambizione. È da qui che nasce il buongusto, cioè la “produttività della creatività”.

Rousseau – O della diseducazione. Dell’incitamento alla violenza: pericoloso è autoingannarsi, non sapere (Machiavelli, Hobbes). L’autoinganno genera la misantropia oppure la violenza.
Dell’ipocrisia anche.

È la rivoluzione nell’accademia: concorsi a premi, amicizie ossia consorterie, polemiche graziose.

Saturnino – È propriamente ozioso, più che malinconico, il temperamento del rinvio. Saturno è il pianeta dell’evoluzione lenta, l’astro dell’esitazione e del ritardo.

letterautore@antiit.eu

Il mondo com'è - 28

astolfo

Cina – Nel Duecento i mongoli avevano conquistato il mondo, dalla Cina all’Ucraina e all’Ungheria. Si apprestavano a marciare su Roma ma all’improvviso, essendo morto nel Karakorum Ogoda, il successore di Gengis Khan, i capitribù voltarono i cavalli per correre alla successione. Dopodichè si scordarono di tornare. I mongoli che sono stati a lungo e sono in buon parte i manciù, i cinesi di due metri, i capi della Cina.

Democrazia – Nelle democrazia più antiche – Svizzera, gran Bretagna, Usa – gli elettori votano in percentuale ridotta, meno della metà degli aventi diritto. Questo viene interpretato come un fatto negativo. Invece è positivo. Sarebbe negativo se ci fossero impedimenti di qualsiasi genere al diritto universale di voto, ma così non è. Va a votare chi ha un’opinione sul voto. Gli altri, gli indifferenti, si adeguano alle scelte di chi ha idee e voglia di farle valere. In queste democrazie solide l’assenteismo al voto è anche assenza di bisogno, e di patrocinio politico.
Da noi si vota in massa per conformismo, obbedienza al potere, per impegni precisi. Infatti si vota per linee conservative – a ogni elezione il voto che sposta è non più del cinque per cento del totale, 2,5 milioni di voti. La massa vota sempre per gli stessi partiti, e il voto di massa è perfettamente integrato con la stabilità del potere.
Uno degli strumenti per cambiare il governo potrebbe essere l’assenteismo – cambiare il governo è un valore, seppure minimo: è la premessa per disboscare il sottogoverno.

Dittatura – I dittatori si formano alla scuola francese (giacobina) e tedesca (imperiale e comunista). Non si formano dittatori alla scuola anglo-sassone.
I dittatori mediorientali e latinoamericani sono deboli perché non sono sorretti dalla convinzione, dopo aver letto i giornali e frequentato le accademie Usa.

Matrimonio - È un fatto di unità abitative. In case grandi è disteso, anche nelle crisi, in case piccole è nervoso, anche nella complicità. Nelle prime è vario (parentela, rappresentanza o socievolezza, adulterio), nelle seconde ossessivo.
In rilievo viene soltanto due volte come topos letterario: nel Cinquecento, per gli intellettuali un po’ gay che si dovevano giustificare (“se s’ha da prender moglie”), e nell’Ottocento. In entrambi i casi non è il matrimonio degli aristocratici, né quello del popolo, che sempre sa di promiscuo e animalesco (incesto, stupro, abbandono, etc.). è il matrimonio “borghese”, di chi vuole costruirsi una vita interiore o, nell’Ottocento, una comunità d’interessi. Il ritorno romantico dell’amore eterno, e correlato tradimento, corona gli altri buoni sentimenti: risparmio, buone maniere, ascesa nel reddito, nella carriera e nella società. La casa era però a due piani, con servizio domestico. L’unità abitativa è da tempo un appartamento comunque piccolo, dove i coniugi stanno l’uno sull’altro, nei momenti in sui sono stanchi di lavoro, e s’intrattengono di problemi necessari, essenzialmente il lavoro. La coabitazione forzata esclude i buoni sentimenti, e anche l’eros?

Multiculturalismo – Si porta a esempio dell’Europa l’America, gli Stati Uniti d’America. Che però sono un altro mondo. La superficie: 6 milioni di kmq l’Europa, senza la Russia, 9,4 gli Usa. Un paese continentale, non finitimo di uno sterminato continente qual è l’Asia. E hanno un’identità fortissima: legale (costituzionale). Maturata a opera di un’élite fortemente connotata e perfino spietata. Gli africani e gli asiatici ne sono stati esclusi per secoli, di qualsiasi religione, e poi gli ispanici, i cattolici e gli ebrei.

Nichilismo – Grumo rappreso (o efflorescenza apparente, quella della petite mort?) dentro la pianura centrale europea, lungo l’asse Meno-Mosca. Con le appendici malinconico esistenziali, quasi romantiche, se non sentimentali. Non turba l’Europa occidentale (se non per snobismo), l’America, l’Asia, l’Africa. Ci prende perché è un falso problema – l’instabilità emotiva (paura) di chi vive con le porte obbligatoriamente aperte – o ha qualche proprietà conoscitiva segreta?

Politica – Quella statale all’origine è polizia. L’economia pubblica di Maria Teresa, o scienza camerale, è economia politica e scienza della polizia (politica): miglioramento, istruzione, educazione, ordine, sicurezza. La stessa polizia all’origine, a Parigi, a Londra, è politica, quella di Vidocq, di Fielding, è il mantenimento dell’ordine nel senso del potere.

Pubblicità – Come linguaggio dovrebbe imporre la sintesi. Ma in Italia, dove pure cresce molto, ciò non avviene. Forse il suo linguaggio è invece l’enfasi – frammentata, ripetitiva.

Pudore – Ce n’è oggi più di ieri, è anzi un argine contro la violenza, sotto la forma della vergogna, e conferma che un progresso esiste – dice Savinio, “Nuova Enciclopedia”, 216. Ma è un pudore legato alla rispettabilità, valore borghese. Anticamente pulizia e impudicizia erano cerimoniali. Il progresso indubbiamente è borghese, prometeico, e non è cosa cattiva. Ma la sua vergogna non fa argine alla violenza.

Riforma – Fabbrica di libertà, oppure (Balzac, Caterina dei Medici) di oscurità? La libertà s’era formata prima, e aveva perfino degenerato nella licenza. Il protestantesimo in tutte le sue forme è un richiamo all’ordine. C’è più libertà in san Tommaso che in tutto Lutero, Calvino, Spinoza – che non è protestante ma ha una teologia molto protestante.
La tolleranza non è calvinista, la libertà non è luterana, l’incredulità non è protestante: la riforma è zelota e settaria. L’incredulità viene da lontano, da Roma pre-imperiale, la tolleranza s’impone nel melting pot americano quale mezzo di sopravvivenza. La libertà del cuore viene da Cristo, la libertà politica dalla storia inglese, fra errori e colpi di coda.

I dissenters hanno proiettato su tutto il protestantesimo un’aura di libertà che è un pericoloso falso storico – è il problema della pax americana. Fa abbassare la difesa contro il conformismo.

astolfo@antiit.eu