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giovedì 8 novembre 2007

Il mondo com'è

astolfo

Cina – Lo sfruttamento organizzato dal comunismo sembra uno slogan da guerra fredda ed è il modello Cina. Ora che organizza, nella sede storica del Pc a Shangai, dove il Partito fu fondato nel 1921, incontri il sabato sera tra venti milionari, che pagano diecimila dollari l’uno, e trenta belle ragazze che a questo scopo hanno vinto uno speciale concorso. È il vero lato oscuro, minaccioso, della Cina: che un governo comunista organizzi lo sfruttamento. Più della dittatura, del carcere politico, della pena di morte facile.
Si chiama capitalismo, ma raramente in Cina lo è. Le condizioni di lavoro sono prevalentemente servili, per igiene, orari, carichi di lavoro, sicurezza nel lavoro e del posto, diritti sindacali, nell’edilizia, nel lavoro a façon e in tutto il conto terzi, nell’alimentare. Il modello Hong Kong, o della pelletteria a Firenze, governato dal Partito comunista.
Lo sfruttamento è il piede d’argilla del gigante Cina. Basta niente perché si sbricioli, il gigante e il comunismo.

Elite – Deve avere funzione pedagogica. Se la classe dirigente è specchio del paese, la teoria dell’élite è sfondata. Mastella, il “Corriere della sera”, Bazoli devono dare buoni insegnamenti e indicare buone strade: se sono il popolo bue ne facciamo a meno.
La “crisi” perdurante dell’Italia, la carie infinita della seconda Repubblica, le supplenze dei giudici, dei giornalisti, dei banchieri, dei mafiosi, tutto questo non è colpa del popolo ma della classe dirigente. Il popolo è colpevole di non liberarsene, ma che può fare? Non può ammazzarli tutti, leggere altri giornali, cambiare banca. Ci ha tentato, ma poi deve scegliere nel quadro di un’offerta che gli viene presentata sempre peggiorata.

Occidente – È, si vuole, diritti civili e diritti umani. Anche di tolleranza. In questo senso è – può essere – percepito in altre culture e in altri sistemi politici: a lungo per i paesi comunisti dell’Est, e per i latinoamericani, gli africani, gli asiatici. Da tempo, bisogna anche dire, non aggredisce più: non sono più i cristiani che ammazzano gli infedeli, o gli europei che ammazzano gli africani o gli asiatici. Anche se rimane da precisare la natura delle guerre occidentali di liberazione, alcune di significato coerente, in Europa, in Corea, altre di significato incerto, in Vietnam, in Iraq, nello stesso Afghanistan, nonché la natura e il ruolo di Israele, che è Occidente a tutti gli effetti pratici.
Il rifiuto dell’Occidente avviene sulla stessa base, dei diritti di uguaglianza, e perfino dei diritti umani. Non però per una diversa concezione dei valori. Neppure in nome del relativismo dei valori – si “giustifica” perfino il cannibalismo. Ma per un rifiuto preliminare: l’affermazione del proprio essere, anche nel confronto e con l’esclusione. Che si vuole naturalmente diritto a essere se stessi, e a combattere ogni forma d’imperialismo, sia pure sotto la forma dei diritti d’uguaglianza, ma è l’ideologia del nazionalismo, ben europea, fino all’irredentismo: realizzarsi nella guerra. Il fondamentalismo, per ogni altro verso insensato, nel bestialismo familiare, nel terrorismo, nel martirio di massa, nella repressione fine a se stessa, su questa base è diventato – sta diventando – punto di riferimento nei paesi islamici anche dell’intellettualità laica, che del fondamentalismo è il primo, e realistico, obiettivo: per una forma cioè d’intossicazione occidentale.
Il confronto può sembrare asimmetrico, tra un Occidente grande e potente e un piccolo fondamentalismo. Ma s’inscrive in una tendenza ormai consolidata che vede l’Occidente discorde e frammentato, non più il monolite del Novecento - dei conflitti mondiali, dell’anticomunismo. L’Europa non condivide e non accetta la supremazia americana. Non tanto per il vetero antiamericanismo della guerra fredda, quanto per la vaga ma persistente automutilazione che persegue, della politica ridotta a commercio, e per l’irenismo (contro gli eserciti, contro la pena di morte, contro ogni pena, per il relativismo culturale). Gli Stati Uniti, ancora più distintamente, da un trentennio, dal cosiddetto pentapolarismo di Kissinger, sempre meno prendono l’Europa in considerazione nelle loro decisioni, orientati a una politica di potenza nella globalizzazione. La globalizzazione è opera americana, e vede gli Stati Uniti interessati e coinvolti più nell’Oceano Indiano e nel Pacifico che sull’Atlantico. Le stesse guerre che gli Stati Uniti hanno portato nel Medio Oriente, in Afghanistan e Iraq, vanno viste col Crescente rivolto a Oriente, sono il segnale della potenza americana per l’Asia, dalla penisola arabica al Pakistan e all’Indonesia, e non una barriera a difesa dell’Europa. Anche il multiculturalismo soft americano, inquadrato cioè in un concetto della nazione solido, concorre alla diseuropeizzazione dell’America.

Resistenza - Entrano nella resistenza i repubblichini, a opera di studiosi e alte autorità dello Stato ex Pci, ma non i liberali: Pizzoni, Brosio, Montezemolo, Cefalonia, Porzus. La dialettica destra-sinistra è in realtà un’altalena: l’una tiene l’altra. Resistono alla libertà.

astolfo@gmail.com

Se Why Not è la loggia di Prodi

È un’ipotesi. Forse solo una simulazione. Il magistrato dell’indagine non convince, per il protagonismo partenopeo, dell’arroganza mista a superficialità. Né convince la priorità: in una regione che ha duemila attentati intimidatori l’anno, sei al giorno, incendi di macchine, bombe, tiri a vuoto, ha il record dei furti in rapporto alla popolazione, e ha il record dei morti assassinati in rapporto alla popolazione, l’apparato repressivo predilige i delitti della Pubblica Amministrazione. Dal caffè degli impiegati comunali alle raccomandazioni, i carabinieri sembra che non facciano altro. La materia penale in Why Not è la raccomandazione – il gergo politicamente corretto la nobilita in voto di scambio, ma quella è. È grave - si capisce che i magistrati vogliano che la Calabria sia la Svezia - e non lo è. Nemmeno a Cuneo – cioè anche a Cuneo si fanno le raccomandazioni.
E tuttavia la loggia potrebbe esserci. Non necessariamente massonica, e forse neanche a San Marino, ma un’organizzazione stretta, politica, degli aiuti europei alla formazione e all’avviamento al lavoro. Messa su da Prodi quando era a Bruxelles, con amici nelle varie regioni che hanno contribuito all’ossatura del suo partito-non-partito. Prodi, com’è noto, non è il capo della Margherita, che a sua volta non è a capo dell’Ulivo, e tuttavia comanda, la Margherita, l’Ulivo e il governo, indiscutibilmente è il capo. L'ipotesi, la simulazione, è che abbia chiamato non solo Saladino, l’imprenditore calabrese della Compagnia delle Opere e dell’avviamento al lavoro, ma tanti saladini in ogni regione. Da sempre la Compagnia delle Opere è specializzata nella creazione di lavoro. Il suo capolavoro fu la riconquista della Capitale trent'anni fa, al tempo di Andreotti trionfante col compromesso storico, sottratta al Pci proprio nella periferia comunista, con la creazione di posti di lavoro.

mercoledì 7 novembre 2007

Se muore un moralista, sobrietà

Enzo Biagi è figura centrale della questione morale. Sempre al centro giusto di ogni vicenda. Sempre corretto, a suo modo di vedere, ma fermo nell’apparente bonomia, che ha fatto la sua fortuna come scrittore, e quella del suo editore, se ha venduto sette milioni di suoi libri. E' anche al centro della nuova resistenza: quattro anni fa, per un figlia pre-morta, Biagi non interruppe né variò il colonnino settimanale anti-Berlusconi sul "Corriere della sera". Il moralista però si vuole sempre sobrio. E il funerale non lo è, sceneggiato dalla Rizzoli, con la rizzoliana figlia Bice, e dai giornali del gruppo, “Corriere” in testa - e meno male che Napolitano ha resistito alla tentazione del funerale nazionale.
Il funerale, un tempo specialità gesuita, diceva Gioberti, è appannaggio di chi non ha nulla da dire – a lungo il Pci. Ora si fa anche per vendere libri, bene, si può soprassedere, non è etico, ma solo per un fatto di buon gusto. Se non che il nome di Biagi compare non solo nelle fantasiose presentazioni di libri sul Mar Rosso al tempo di Angelo Rizzoli jr.. Compare anche sui taccuini in cui Angelone, che per questo perdette l’impero, per avere utilizzato fuori contabilità 29 miliardi, segnava i compensi fuori bilancio, magari di sabato o domenica, ma in contanti, e a suo dire in Svizzera, agli autori che lo facevano guadagnare, tra i quali Biagi. Che per suo conto è andato in pensione nel 1975 a 55 anni, deprivando l’Inpgi di cinque o dieci anni di contributi, e aggravandolo di cinque o dieci anni di pensione anticipata.
Tutto ciò è meschino, la grandezza ha sempre qualche ombra. Ma più squallido ancora è doversene occupare, non riuscire a liberarsi, dovendo fare i moralisti, di queste debolezze umane. Avendo di Biagi immagine amena, di quando nelle prime letture di rotocalchi si trovava il suo commentino tv su “Epoca” invariabilmente critico verso il Vaticano che imponeva i mutandoni alle ballerine della Rai. Era il Vaticano di Giovanni XXIII, ma fare il Candido forse non è un delitto. La coerenza invece è un dovere. E Biagi, portato a Roma dai socialisti, imposto anzi alla Rai di Bernabei come direttore del telegiornale, ne sarà il più acerbo nemico – dei socialisti di Craxi naturalmente, e non senza ragione, ma da antisocialista.
I moralisti ci hanno privati, in questo tornante di millennio, della politica e dell'informazione, lasciandoci soli con tro gli affari. Bisognerebbe che non ci privassero anche della questione morale.

Sempre cannibali tra (ex) Dc

Per l’omicidio Fortugno la vedova onorevole Laganà fa spesso il nome come mandante di un concorrente politico di suo marito nella Margherita, Domenico Crea. Lo ha detto alla Procura e lo ripete al processo in Tribunale. Ma Crea non è indagato: non sarebbe un atto dovuto? O i giudici non credono all’onorevole Laganà?
Il congresso provinciale (Reggio Calabria) della Margherita era stato vinto nel 2005 da Fortugno (corrente Loiero-Prodi della Margherita) contro Crea (D’Antoni) e contro Demetrio Naccari (Rutelli). Naccari aveva abbandonato il congresso urlando: “Mi è stato impedito perfino di parlare”. E alle Regionali si era presentato con una lista scissionista. Fortugno invece aveva fatto lista con Crea. Era stato eletto, ma il suo leader Loiero, politico navigato, non gli aveva dato l'agognato assessorato alla Sanità.
C’è poi sullo sfondo la relazione Basiloni, commissionata dopo l’assassinio di Fortugno al prefetto Paola Basiloni dal ministro dell’Interno (ex) Dc Pisanu, e poi fatta sparire. Per le troppe faide – dice chi l’ha letta – tra gli (ex) Dc della provincia di Reggio Calabria. Promuovendo la Basiloni a prefetto di Vibo Valentia. E subito dopo, nell’aprile 2006, commissariando la Asl di Locri, almeno questo. Uno dei primi atti del governo Prodi è stato di ri-(p)romuovere il prefetto Basiloni a Roma, a capo del servizio scorte.

A chi l'Alitalia? Prodi vuole Toto

C'è più di intesa dietro Toto, il patron di Air One, nella gara per Alitalia. è ilk presidente del cinsiglio in peprsona che patrocina Toto, e ne caldeggia l'irrobustimento finanziario attraverso le istituzioni finanziarie amiche, Intesa e Goldman Sachs. Tramite Costamagna e direttamente. L'imprenditore abruzzese è riuscito a risalire la filiera politica da Mastella a Romano Prodi. Il cui obiettivo residuo è la sistemazione dell'Alitalia. Dopo aver sistemato in pochi mesi la Banca d'Italia, le banche, Telecom, gli ex enti energetici e i Benetton.

A volte la verità è di destra

A volte la verità è di destra. La Sei, la casa editrice dei salesiani, chiede in un’antologia ai ragazzi di scuola media di organizzare l’eliminazione di un compagno, senza lasciare tracce – per imparare la tecnica del giallo (“Il Giornale”).
Roberto Genovesi scrive al “bambino romeno romano”: “Walter ha cercato di trasformare la tua città (sì, la tua) in una sorta di luna park fatto di cerchi concentrici al cui centro, dove vivono i belli e i ricchi, si faceva festa con canti, suoni e balli, mentre ai bordi si continuava a vivere sotto i ponti”. E, certo, “non può mandare Elton John o i Genesis a Tor Bella Monaca”. Altrimenti, i suv dei militanti del Pd devono fare tutto il Raccordo”, per evitare le strade intasate. (“Il Giornale”)
Giulio Sapelli, storico dell’economia italiana, vecchio Pci oggi diessino, abbandona sdegnato la presidenza dell’Autostrada Serravalle (“ho appreso molte cose e, se non mi ammazzano prima, le scriverò”). Nazionalizzata a carissimo prezzo, a favore del venditore Marcellino Gavio, dal presidente della Provincia di Milano, il diessino Alessandro Penati, quale primo atto della sua giunta dopo le elezioni del 2005, la Serravalle paga un milione al mese d’interessi a Banca Intesa, e assorbe per consiglieri e sindaci tutti intieri gli aumenti di fatturato. (“Il Giornale”)
Le Ferrovie, per i pochi treni sporchi che mandano in giro, hanno preso dallo Stato 19,3 miliardi di euro nel 2006, 22 nel 2004-2006. (“Il Giornale”)
Veltroni nel 2003 ha finanziato un corso di archeologia per i rom, 45 mila euro. (“Il Giornale”)
Raffaele Costa: “Alla metà degli anni ‘90 il Comune di Torino spese 73 milioni di lire per un corso di arti marziali per giovani nomadi” (“Il Giornale”, 6 novembre). È una persecuzione!
Nicola Porro e Mario Cervi anticipano i risultati della loro “Sprecopoli”. La commissione Antimafia, che non ha mai fatto male a nessuno, costa ogni anno tre milioni, di cui 1,7 per consulenze. Ma il primato ce l’ha la commissione Mitrokhin: spesa due milioni, 1,9 ai consulenti. C’è anche una commissione che indaga sull’occultamento dei fascicoli dei crimini nazifascisti, che spende 971 mila euro per le consulenze, e 200 mila per i viaggi dei commissari – in taxi evidentemente, poiché i fascicoli occultati si trovano a Roma. (“Il Giornale”, 6 novembre). Gli affarucci si fanno con i consulenti.
Il governo aveva annunciato tagli ai costi della politica per 1,3 miliardi. Ma la cifra si è già ridotta a un terzo.(“Il Giornale”, 6 novembre)
Il ministro Santagata ha contato 300 enti inutili, proponendo di sopprimerne subito 110. La Finanziaria ha ridotto il numero a 17, il Senato l’ha ulteriormente ridotto a 14 (“Il Giornale”, 6 novembre)
Salvatore Lo Piccolo, il mammasantissima, il capo dei capi, prospera(va) con gli appalti, le guardianie e le estorsioni. Tra queste “l’esazione sistematica si una quota sociale per le utenze elettriche: 15 euro per non avere problemi (con l’Enel) e tenere le lampadine accese nei cubi di cemento con i muri in cartongesso dello Zen”, quindici euro al mese. (“La Gazzetta del Sud”, 6 novembre). Ecco, il controllo del territorio.

martedì 6 novembre 2007

Dopo la Serbia, guerra alla Romania

Forse è perché si avvicina il decennale della trionfale guerra alla Serbia, combattuta dai prodi Scalfaro e D’Alema a fianco del compagno Clinton, che si vuole far celebrare al mite Veltroni, l’uomo del cinema, la guerra alla Romania, anzi alla Transilvania, la terra dei vampiri, di cui gli zingari sono figli, che non si sa perché si fanno chiamare rom. Le alleanze non sono così fortiu: Scalfaro e D'Alema marciavano dietro il super democratico Clinton, mentre da Bruxelles questa guerra la vogliono impedire, dal prode Barroso in giù, tuti i democristiani d’Europa, e anche i liberali e ogni destra. Ma il danno è fatto: Veltroni si è fatto mettere nel sacco da Prodi, e dal suo compagno D’Alema. Col decreto, ora senza padri, ma subito controfirmato dal presidente della Repubblica, dovrà ora fare marcia indietro dal fronte, e non è facile in guerra.
Veltroni, lui, fa l'irenico. Va a Auschwitz, va in Africa, ad Auschwitz e in Africa porta i ragazzi delle medie, e continua con le feste. Nel mentre che spazza via ogni divevrso parere nel Partito democratico, e minaccia di spazzare via tutte le stamberghe degli immigrati, che deturpano ponti e fiumi - li butterà sul bagnasciuga? La sinistra più spesso non sa che fare e perde la testa. Nella memoria di molti italiani, di Francia e ritornati, c’era fino a qualche anno fa, fino a quando sono vissuti, l’abominazione del Fronte Popolare, che per non saper che fare nel 1936 aveva emanato un precedente decreto Prodi di deportazione nazionale.

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (6)

Giuseppe Leuzzi

Ci resta, a noi del Sud, quello che a Camus restava già nel 1954, nell’“Estate”, a Tipasa, la spiaggia di Algeri: “La lunga rivendicazione della giustizia consuma l’amore che pure l’ha fatta nascere. Nel clamore in cui viviamo l’amore è impossibile e la giustizia non basta. Per questo l’Europa odia il giorno e non sa che opporre l’ingiustizia a se stessa. Ma per impedire che la giustizia si racornisse, bel frutto arancio che non contiene che una polpa amara e secca, riscoprivo a Tipasa che bisogna conservare intatte in sé una freschezza, una fonte di gioia, amare il giorno che sfugge all’ingiustizia, e tornare alla lotta con questa luce riconquistata. Ritrovavo qui la vecchia bellezza, un cielo giovane, e misuravo la mia fortuna”.
Prefazio direbbe: “Qua si campa d’aria”.

È ricorrente negli scrittori meridionali, anche in Sciascia e Camilleri, di forte coscienza civile, la distinzione tra vecchia e nuova mafia. E dell’“ominità”, o altrettali, di valori forti che avrebbero pervaso i vecchi mafiosi.
Non è vero niente. È solo un segno del perdurante galantomismo. Il galantuomo non è stato distrutto da Salvemini, prospera sempre nelle forme dell’amicizia, del rispetto, dell’influenza, anche evidentemente tra i grandi letterati. Non ci sono, e non ci sono stati, mafiosi retti, timorati, La mafia è un fenomeno di anarchismo che in parte risponde a esperienze storiche, e forse a “caratteri nazionali”, ma soprattutto è alimentato dalla stessa mafia. Dalla criminalità quando non è perseguita. È una sfida contro tutti – che inevitabilmente, dopo i tanti lutti che provoca, finisce nel nulla.
Il vecchio mafioso poteva anche cercare una sponda con i notabili (possidenti, giudici, avvocati, medici, mestri) ma ai fini del suo potere mafioso. Non amministrava giustizia, faceva favori. Non era maestro di saggezza Non toglieva ai ricchi per dare ai poveri. Non ricostituiva l’imene delle ragazze disonorate, al massimo imponeva matrimoni inutili. Non sparava col kalashnikov, ma col coltello dava non meno colpi. Il che, se non altro, richiede più cattiveria.

È sempre efficace dire negro al negro. Per una volta Sartre è stato geniale, che ha immaginato un razzismo anti-razzista.

L’ultimo rapito dell’Aspromonte, Alessandra Sgarella, ne è uscita combattiva, i rapitori definendo “scarsamente professionali”. Ecco, che ci voleva?

Nel 1948, o 1949, Montanelli creò il Mezzogiorno, descrivendo – trascrivendo a suo dire – il decalogo per l’uso della tazza del cesso nell’albergo di Crotone. Punto forte: evitare di sedersi sulla tazza.
C’era nei regolamenti dei lager: evitare di sedersi sulla tazza (a p. 112 di Beccaria-Rolfi-Bruzzone, “Le donne di Ravensbrück”). Ma anche stando con i piedi sulla tazza si poteva essere puniti. Le SS punivano chi volevano.
Montanelli non era un SS, era un plagiario e un pulcinella, ma ha determinato a Crotone, dove forse non era stato, il destino dei meridionali nella pubblicistica sul Sud, dall’emerito Bocca al superpoliziotto Dalla Chiesa.

Milano. “La Lega non è propriamente milanese, ma essendo Milano la capitale naturale del Nord, si è rapidamente radicata nella città”, eleggendosi un sindaco leghista. “Anche Mani pulite è nata a Milano. E non si è trattato solo di un fatto giudiziario, ma di un grande sommovimento popolare. La forza di Di Pietro non dipendeva dalla legge, ma dall’appoggio dei milanesi che scrivevano dovunque “Grazie Di Pietro”. Di Pietro non era solo un magistrato, era un eroe popolare, un giustiziere, un capo carismatico. Infine da Milano è partita Forza Italia. In pochi mesi sono sorti dodicimila club. Dopo le elezioni del 27 marzo del 1994 Berlusconi andava al governo. Tre mesi dopo nelle elezioni europee otteneva il 30 per cento dei voti e tre milioni di preferenze personali”. Perché, si chiedeva Francesco Alberoni nel 1997, dopo aver fatto l’elenco dei primati di Milano, “a due mesi dalle elezioni del sindaco di Milano, c’è in giro tanta perplessità e, in alcuni casi, tanta indifferenza?” Perché Milano è frou-frou, ama rispondersi, è volubile, si stanca presto. No, perché Milano sfrutta l’Italia, la tiene col morso stretto: li fa, e li manda a Roma. A quindici anni data, la natura dei primati milanesi fa solo paura.

Sudismi\sadismi. “Gazzetta del Sud”, 21 dicembre 2005: “Ad Africo Nuovo, nell’istituto Serena Juventus, nei giorni scorsi è stato inaugurato il museo permanente costituito in onore di don Giovanni Stilo, voluto fortemente dai fratelli Rocco, Salvatore e Grazia nel sesto anniversario della scomparsa del sacerdote, molto noto non solo nel vasto comprensorio jonico. Erano presenti all’evento numerose autorità militari, religiose e civili. Il taglio del nastro è stato effettuato dal vescovo della diocesi di Locri-Gerace, mons. Giancarlo Maria Bregantini”. Serena Juventus è la scuola che don Stilo aveva fondato. Il don è dovuto al sacerdozio. La notorietà alla condanna nel 1986 per mafia a sette anni di carcere su accusa di un pentito, a numerose pubblicazioni ostili di parte ex Pci. Una per tutte per il prestigio, quella di Corrado Stajano, “Africo”, Einaudi, un grande inviato e un grande editore.
Il museo e la natalizia inaugurazione si fanno perché nel frattempo don Stilo è stato assolto con formula piena, e riconosciuto vittima di un errore giudiziario. Cioè, per intendersi, di una persecuzione. Ma nessun (ex) Pci se ne scusa, nemmeno in piccolo, o in privato. Anzi, a leggere Internet, per gli (ex) Pci questo prete è sempre l’emblema spregevole della mafia. La mala erba, come si suole dire, non muore mai.

La Calabria, con 52 mila ricoveri e interventi sanitari fuori regione ogni anno, è in rapporto agli abitanti la regione che più spende fuori i suoi soldi della sanità – ben più della Campania (61 mila viaggi della speranza) e della Sicilia (49 mila). La Lombardia, con 120 mila ricoveri da fuori regione, spiega anche così la sua posizione leader per reddito, rispetto all’ultima della graduatoria, la Calabria. Questa specie di sottosviluppo ha un solo nome, follia.
L’emigrazione sanitaria costa, in cifra, poco: 250 milioni l’anno, su una spesa sanitaria regionale di tre miliardi e mezzo. Non è la bilancia dei pagamenti che fa la differenza, quanto l’intelligenza: non riuscire a curarsi spendendo tre miliardi e mezzo l’anno.

Secondi pensieri (3)

zeulig

Amore - È fede. Un po’ più incostante, e carnale, certo.
Succede nella fede – e nell’amore – come nell’emozione estetica, che è sentita e non spiegata. Anche se l’intelligenza vi troverà il suo più fertile nutrimento.

Dio -
Mette in soggezione, tanto è grande, uno ha difficoltà a riconoscerlo. Come un cane di un uomo, è da supporre. E a quel punto è inesistente per la ragione – non è sostanza né accidente, come don Ferrante diceva della peste. Ma poiché esiste bisogna immaginarselo.
Un po’ svagato, dunque, conforme ai suoi adempimenti. E anche, per quanto amico, un po’ antipatico: uno che promette e non mantiene, solo se costretto. Quando si mise in vacanza nel 1942, gli ebrei per un paio d’anni non riuscirono a trovarlo in nessun posto.

Mito – La mitologia è moderna, se non contemporanea. Le raccolte di Greaves, Kerènyi, etc., sono repertori storici, ma “dicono” quanto il folklore anchilosato.
Per i greci, per restare alla nostra cultura, il mitos non stava fuori né veniva prima del logos, la filosofia, e della vita pratica, la metis.

Opinione - È dura. E può essere tutto, il discorso della cosa che diventa la cosa.

Perfezione - È l’idea della vita. Non si è per essere perfetti.

Poesia - È l’unico linguaggio che non spreca parole, ogni sua parola è significante e si basta.

È evasione. Anche quando è impegnata, civile, politica: è evasione dall’impegno. Tanta poesia d’amore si fa, perché l’amore è il portale massimo all’evasione. Come la natura.

È un pensiero spuntato.

È finzione – effetti speciali, sottigliezze, insinuazioni, ipotesi. Dov’è la verità della poesia? Nella poesia.

Politica - È gioco ed economia, azzardo e calcolo. Come ogni altra attività umana, l’innamoramento, l’impresa, l’amicizia, la guarigione. Ma deve risponderne al gran numero (le masse, l’opinione pubblica), e quindi ne è sopraffatta.

Ragione - È la madre del dubbio – una madre ostile, presuntuosa.

Superteste – C’è sempre un superteste nel giustizialismo, ma a confermarne la natura perversa (illegale, golpista). Se il superteste è una persona onesta, che ha denunciato i delitti per tempo e non è stato creduto, è in realtà un testimone a carico dell’apparato repressivo, forze dell’ordine, giudici, giornalisti a cui si è rivolto. Se è un supertestimone dell’ultima ora è, nella migliore delle ipotesi un mitomane – ma di solito è un profittatore. Oppure è l’equivalente della lettera anonima: uno che apre e tiene vive alcune tracce, senza l’obbligo di certificare le sue affermazioni. E anzi tanto più può aggravarle in quanto è garantito dall’impunità.

Suspense – Fino al giallo era la scrittura stessa, la narrazione. Quella che si chiamava arte della narrazione, anche senza il morto.

zeulig@gmail.com