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sabato 1 novembre 2014

Ombre - 242

Il presidente vuole “una figura collaudata”, una persona “di esperienza e standing internazionale”, qualcuno in grado di “gestire i dossier più caldi”: i quirinalisti non si risparmiano venerdì sui requisiti che Napolitano vuole dal nuovo ministro degli Esteri. E allora Renzi fa ministro Gentiloni.
Da Monti senatore a vita a Gentiloni agli Esteri, una cosa buona Napolitano l’avrà fatta: ha svuotato il presidenzialismo di fatto.

Per salvare De Magistris salvano Berlusconi.
Ma non è detto, c’è sempre una terza via – i giudici sanno come proteggersi.

Valentina Nappi vuole fare pipì sul pensiero di Diego Fusaro, “filosofo marxista” di “Micromega”. E perché? Perché ha criticato un suo articolo intitolato “Oggi il fascismo si chiama anticapitalismo”. Suo di lei, scritto nelle pause dei suoi film senza vergogna, con Rocco Siffredi e altri stalloni, pubblicato sul suo blog di “Micromega”. Dunque Valentina è una columnist di “Micromega”. Ecco perché la filosofia va forte. 

La Leopolda ennesima si svolge e si segue come un congresso di partito. Aperto, al tempo delle primarie. Non più ritualistico. Ma nemmeno politico nel senso della discussione. È un evento, come usa, per far sentire alcuni vivi. Come un concerto.
Analoghe le forme di reducismo: io ero alla Leopolda Due, io ero alla Leopolda Quatro.

Per spostare l’auto di un familiare del sindaco Marino a Roma, parcheggiata abusivamente in una zona riservata ai senatori, si è fatta un’ordinanza del prefetto. Dopo un’interrogazione parlamentare. Cosa bisogna rottamare?

Violante rinuncia a fare il giudice costituzionale e subito, dopo poche ore, è indagato da Palermo sullo Stato-mafia. I giudici non perdonano.

Riparte a Roma Magia dell’opera, undicesima edizione: un’opera insegnata, parole e musica, appresa, e rappresentata ogni anno (quest’anno la “Carmen”), dalle scuole elementari. Un’iniziatica ormai decennale dell’Associazioen Tito Gobbi, fondata e presieduta dalla figlia Cecilia, col sostegno della Federmanager, dell’editore Curci e, quest’anno, dell’Accademia Santa Cecilia. L’Opera di Roma infatti non c’è più.

Singolare scena, di giudici, avvocati e giornalisti siciliani in piazza del Quirinale, al centro di Roma. Di arroganza, camuffata di umiltà: di furberia cioè. E uno finisce per capire la Lega.

Napolitano, che è di Napoli, chiede l’immediata trascrizione della sua deposizione al giudice Montalto. Montalto, magnanimo, gliela concede. Ma non immediata come oggi è possibile, no, coi tempi della giustizia, cioè verso il week-end dei Santi. Quando avremo altro a cui pensare.
Per intanto è sagra siciliana, di giudici, avvocati e giornalisti, che ci dicono loro cosa Napolitano ha detto. Palermo-Napoli 1-0.

Deposizione, che brutta parola: sinistra. Davanti ai giudici come davanti agli sbirri.

A sera, all’ora del Tg 3, il giornalista di Palermo che vive dello Stato-Mafia, intimo di Montalto e di Teresi, il pubblico accusatore, sa lui che cosa Napolitano ha detto. Palermo-Napoli 2-0.

Tutti allievi, i giudici palermitani, seguaci, discepoli, perfino amici, di Falcone e Borsellino. Mentire sempre non è la divisa dei Riina?
Di Lello, l’unico giudice ad avere effettivamente lavorato con Falcone, non ha più voce, essendo di diverso parere – “la trattativa Stato-mafia è un commedia, non un processo”..

Su quattro modelli di auto proposti ogni settimana per cinque settimane di seguito da “L’’Espresso” non una è intaliana. Non del ggruppo Fiat-Chrysler vcioè. Ora, è vero che gli odii padronali si riverberano anche sulle redazioni motoristiche, sono un riflesso condizionato, ma i lettori dell’ “Espresso” sono tutti esterofili? Col conto in Svizzera, anche loro?

Che la Deutsche Bank sia coinvolta in varie procedure speculative e processi per i quali ha accantonato tre miliardi è notizia che solo questo sito ha ricordato a proposito degli stress test della Bce. E il “Wall Street Journal”. C’è una museruola?

Il “Wall Street Journal” rileva degli stress test che la Deutsche Bank è ritenuta solidissima mentre non lo è. E a proposito degli accantonamenti per liti rileva che la Eba, la European Banking Authority, ne calcola i costi nei primi nove mesi del 2104 in 470 milioni, mentre la Bce li calcola in 1,4 milioni – all’Eba è saltato un 1?

Fra i difetti dell’Italia, Giovanni Stringa ne spiega sul “Corriere della sera” martedì uno individuato dall’Eba: “A fronte di un impatto negativo medio (di una recessione prolungata)  sul capitale del 2,6 per cento nella Ue, l’Italia viaggia… peggio della media a quota 3,3 per cento – in dodicesima posizione (partendo dalla Norvegia che non subisce alcun impatto)”. La Norvegia dunque, che si tiene con cura fuori dalla Ue: ce l’hanno messa nell’Eba per dare peso al Nord?

Build-up frenetico a Bruxelles di un Katainen filo-italiano, da parte del partito tedesco. Cioè,  praticamente, tutti i corrispondenti italiani. Magari non li pagano nemmeno.
Katainen è talmente filo-italiano, dicono, che gli piace il risotto e il ciclismo.

È un voto ampiamente riservato, quello ucraino, se non critico, contro l’europeizzazione forzata in chiave antirussa. Se avessero votato le regioni orientali il partito filorusso di Yanukovich sarebbe stato il partito di maggioranza e di governo. Confrontato da affaristi e concessori. Ma per i media italiani è un trionfo dell’Europa, della libertà e della democrazia.

La fabbrica degli eroi si fa in famiglia

Il padre temuto detentore della legge, la madre di volta in volta amata e odiata, le relazioni incestuose e conflittuali tra fratelli e sorelle: presi uno per uno, i concetti di cui in queste opere sono scontati, da linguaggio ormai comune. Alle loro articolazioni nel triangolo familiare, edipico e non, sulle quali il “romanzo familiare” si costruisce, Freud non dedica molto, poche righe. Ma sono la materia di buona parte della letteratura. Di quella contemporanea dichiaratamente: il “romanzo familiare” è genere dominante. La ricerca e sopravvalutazione fantasmatica è costante di origini comunque uniche, se non più eroiche e nemmeno nobiliari.
La prevalenza odierna del romanzo familiare in forma narrativa è forse causa, nella raccolta francese, della sua sopravvalutazione nell’economia di Freud, al punto da farne un concetto nodale come l’Edipo, e suo complemento. Freud ne scrisse poco e malvolentieri. Ogni volta obbligandosi a  precisare: devo il concetto a Otto Ranke, seppure diminuendolo – “un giovane ancora sotto la mia influenza a quell’epoca”, “un concetto che elaborò su mia istigazione”, “lungi da me l’idea di diminuire il valore dei contributi autonomi di Rank a questo lavoro”. Nell’introduzione al lavoro di Rank nel 1909, “La nascita del mito dell’eroe”, lo limita ai nevrotici. Nel “Mosè” lo applica in forma quasi inintelligibile, troppo contorta.
Tutta l’analisi storico-critica di Mosè, del resto, e l’anamnesi del monoteismo sono forse il lavoro meno convincente di Freud. La riproposta si segnala unicamente perché, in questa che sarà la sua ultima ricerca, come già nella lettera a Rolland, quando aveva ottant’anni, Freud fa onestamente professione di psicoterapeuta più che di filosofo del linguaggio e dello spirito.
Farsi perdonare il padre
La raccolta francese ha anche il merito, oltre che di assemblare i testi convergenti di Freud, Rank e Ferenczi, di sottolineare che i cofondatori, sia Freud che Rank, avevano un padre da farsi perdonare. Un problema di paternità da rigettare in qualche modo. Entrambi il proprio padre naturale, Freud anche quello spirituale – Mosè, l’ebraismo. Operazione non difficile, né del tutto nevrotica, il ruolo naturale del padre essendo per natura incerto. .
Come genere letterario, il mito delle origini risale allo studio di Rank, sulla “nascita” degli eroi e personaggi mitici: tutti in qualche modo abbandonati, e allevati all’insaputa dei genitori fuori del lignaggio naturale, che poi essi rincorrono, più o meno consci, e superano o magnificano. Oggi a tutti i livelli sociali, e anzi di preferenza a quelli bassi, di povertà, disadattamento, irregolarità, asocialità – migranti, ragazze-madri, alcolizzati, drogati, etc. La patente di nobilitazione essendo la democraticità. Come già nel primo adattamento americano del genere, che gli scrittori e artisti professavano  una lunga vita precedente di taglialegna, vagabondi, strilloni, lustrascarpe, etc.
Dove Freud si avvicina di più alla tipologia di Rank è nella lettera a Romain Rolland per i settant’anni dello scrittore, lui già ottantenne, nota col titolo “Un disturbo della memoria sull’Acropoli”, che la piccola antologia francese collaziona. Il resoconto di un viaggio che lui fece, del tutto casualmente, a Atene, mentre voleva andare a Corfù, col fratello minore Alexander cinquant’anni prima. Sull’Acropoli si sorprende a pensare che tutto gli è noto, e di più per l’incomparabile bellezza. Mentre a Trieste, continua a riflettere, all’idea di andare a Atene invece che a Corfù, avevano incongruamente litigato col fratello, per oscuri sensi di colpa.
Un romanzo mediterraneo
Una considerazione si può aggiungere: che il genere è, bizzarramente, mediterraneo e forse latino, considerando le appendici ispaniche e latinoamericane. Uno degli ultimi cui la scienza europea avrà ricorso? I casi che Rank studia, Mosè, Edipo, Romolo, etc., di riferimento anche per Freud, sono elaborazioni mediterranee del romanzo familiare. Ci saranno nelle altre saghe, ma non si celebrano. Schiller nel 1804, nel “Gugliemo Tell”, non sa immaginare l’assassino del tiranno, il liberatore, che col nome latino di Parricida – Johann Parricida.
Sigmund Freud, L’uomo Mosè e la religione monoteistica, Bollati Boringhieri, pp. 152 € 8
Le roman familial des névrosés et autres textes, Payt, pp. 107 € 5
Otto Rank, Il mito della nascita dell’eroe

venerdì 31 ottobre 2014

Letture - 190

letterautore

Antitaliano – È tema e genere antico. Ma soprattutto toscano. A partire da Dante, nel quadro dell’antipolitica. Tanto che molti lo vogliono tedesco – lui che pure era distintamente italiano, cultore di ogni memoria anche locale e remota, che tanti luoghi, eventi e personaggi ha “fissato” nella memoria e nella storia, riferimento oggi di ogni storia locale, da Pozzallo al Grossklochner. Dallo steso Petrarca. Fino naturalmente ai toscani del Novecento, da Papini a Montanelli. Ma escluso Malaparte, toscano antipatizzante come nessun altro e tuttavia uomo di mondo.
È esercitazione borghese – le imputazioni a Dante comprese – e provinciale, di chi s’immagina un mondo meraviglioso là fuori.

Antipolitica – Ha debuttato presto come genere letterario: “Roma” è corrotta e spregiudicata già nel 1983, anno di uscita di “L’eredità Ferramonti”, di Gaetano Chelli. Due anni dopo recidiva Matilde Serao, con “La conquista di Roma”. Presto imitati da molti, compreso il siculo-napoletano De Roberto, “I viceré”, 1891-4, forse il più cattivo. Fino a “I vecchi e i giovani” di Pirandello, una sorta di anteprima del “Gattopardo”. Questo si può dire dunque genere meridionale.
Il Risorgimento letterario finì presto. Con non molte opere. Anzi, solo con una: le “Confessioni di un ottuagenario”, pubblicato tardi, come un residuato, e tuttavia a ogni rilettura vivo. Preceduto – non granché - dalle “Mie prigioni”. E seguito da qualche – non granché – epopea garibaldina.

Italiano – Primeggia come way of life, nota Prezzolini in “L’Italia finisce”, come sistema di vita. Che non è codificato e forse non codificabile, e tuttavia reale. Che suscita invidia e ostilità, naturalmente represse, si può aggiungere. Da qui, argomentava Prezzolini, “l’amore senza stima”degli stranieri per l’Italia, e “una esagerata valutazione accompagnata da un non soverchio amore” degli italiani verso gli stranieri.
Anche come personalità influenti, sulle lettere, le scienze, la filosofia, l’arte, non c’è male. La lista naturalmente è lunga, ma non potevano che essere italiani Dante ovviamente, Petrarca e Giotto, Boccaccio anche, Michelangelo, lo stesso Leonardo, Machiavelli, Vico, con Campanella e Bruno, perché no, Manzoni. E Cavour, Mazzini, Garibaldi non sono inventati, hanno in varia misura organizzato e realizzato l’unica rivoluzione senza residui dell’Ottocento europeo – copiata maldestramente da Bismarck, con infiniti lutti poi. Perché italiani e non altro? Perché senza pregiudizi, aperti sul mondo.

Mafia – Camilleri ne tratta (di più nell’ultima raccolta di Montalbano, “Morte in mare aperto”), come di un fatto. A volte criminale. Criminale cioè al fondo ma regolata. Criminale come una classe dirigente borghese, si sarebbe detto – e lo è stato, è stato detto - in termini classisti, ugualmente illegittima, e legittimata dal suo potere. Di una politica borghese, altrettanto legibus soluta, crudele perfino, ipocrita, e immutabile. Più rispettosa della legge semmai che non quella politica, che invece si vuole al di sopra della legge. A volte confliggente con la legge, di cui però è rispettosa: ogni “sgarro” essa stessa punisce preventivamente, tempestivamente. Ma sempre ne parla come di un mondo separato.

Camilleri usa richiamarsi a Sciascia, ma ne è agli antipodi per molti aspetti, e per questo in particolare. Anche Sciascia racconta la mafia come un dato di fatto, un aspetto di un mondo. Ma non separato. E non rispettoso della legge, non “migliore” della classe dirigente politica. Per una diversa forma di radicalismo: quello di Sciascia è ancorato nella “vis repubblicana”, dei “valori laici e civili”. Quello di Camilleri in un comunismo di maniera che è in realtà il cappello di un anarchismo di fondo – comunistoide e fascistoide ugualmente.

Novella – La più italiana delle forme letterarie, è stata detta, e lo è. Sensuale e satirica. Realistica. In un duplice senso. È di linguaggio diretto e non rituale – bolsamente retorico, ripetitivo, che è il mainstream della prosa critica dopo Galileo. Il novelliere, da Boccaccio a Camilleri, è uno che si guarda attorno e “trascrive” le scene che vede, in una sorta di diretta differita. E non sfida ma segue il codice del mondo: il bello preferisce al brutto, il giovane al vecchio, il coraggio alla viltà, l’intelligenza alla stupidità. Come tutti. Anche quando rovescia i termini, e punta sul brutto, il furbo, la viltà, la sofferenza, la crudeltà, connotandoli giocosamente gioiosamente.
Questo fino all’Ottocento. Poi, da Manzoni in poi, prevale anche nella narrativa lo schema “attacchiamoci alle Alpi”: si adottano col romanzo i modelli stranieri, via via storico, verista, psicologico, decadente, sociale, autofinzionale. Calvino resta leggibile per questo, come tutti quelli che hanno continuato a scrivere novelle, Pirandello, Soldati, Gadda, il primissimo Arbasino.

D.H.Lawrence, che aveva già tartdotto moltissimo Verga, traducendo nel 1929 “La storia del Dottor Manente” del Lasca (Anton Francesco Grazzini), nota che lo spirito della novella italiana è crudele – quando è proprio buono, l’uomo di spirito manca di carità. Ma è un’apparenza, il puritanesimo può essere più crudele, sia quello che Lawrence sfida, sia naturalmente quello che lui stesso esercita, a danno dei sardi, dei capresi, e anche dei liguri, il Mediterraneo rimanendogli fondamentalmente incompreso.

Reazionario – “L’Italia ha una doppia anima reazionaria”, scrive Francesco Piccolo sul “Corriere della sera” (28 ottobre 2014): “È reazionaria perché è conservatrice…; ed è reazionaria perché è vittima, a sinistra,del sentimento di sconfitta dei rivoluzionari”. La cosa non ha molto senso – che dire allora degli altri paesi e mondi? L’Italia è il paese meno conservatore, della Germania certamente, della Francia e della Gran Bretagna, e un po’ meno eccessivo e superficiale, più considerato  della Spagna. Ma i rivoluzionari? Dove sono in Italia, o sono stati, i rivoluzionari? Togliatti, forse. Piccolo ne è – inconsciamente? – cosciente: “Soltanto con la sconfitta la purezza è difendibile, soltanto con la sconfitta non si mettono alla prova le idee e quindi si conservano intatte”. Con la sconfitta oppure rinviando la battaglia.
Ma è nel concetto riduttivo di riforma, o innovazione, che Piccolo soprattutto inciampa – come la mula del Berni, che sollevava i sassi per inciamparvi sopra. Cos’è la rivoluzione, tagliare le teste? No, è gestire il potere nel senso della democrazia e dei bisogni dei più nel rispetto delle minoranze. È la riforma. Riformista è termine svalutato dalla polemica politica, e allora? È svalutato da un secolo, e allora? Il secolo non è stato onorevole, e lascia l’Europa sconfitta e incapace.
Si capisce l’incongruità di Piccolo là dove torna a proporre Berlinguer come ideale dì’innovazione e democrazia. Uno che disprezzava – letteralmente, visceralmente – i liberali, i radicali e i socialisti. Intollerante cioè nel midollo, poiché accettava solo i nemici politici, in quanto dotati di potere. A questo Berlinguer Piccolo contrappone come alfiere della reazione Fanfani, il politico che ha rinnovato l’Italia, dalle autostrade, la scuola media e i patti agrari all’autogoal del divorzio – il referendum di Paolo VI che imbarazzò Berlinguer. Reazionario è l’uso delle categorie: reazionario, progressista-riformista, rivoluzionario. Non in sé: a lungo la distinzione è stata netta nei termini, diciamo fino alla guerra contro Hitler. Poi è intervenuta la guerra fredda, che ha imbrogliato le carte. La scelta di De Gasperi per la Nato è stata, è, progressista o reazionaria? E la scelta della Dc di Fanfani per il Mec, ora Ue? Poi è intervenuto il mercato. Che smazza le carte con la stessa abilità delle streghe e i maghi, invasivo, sottile, le riserve annacquando e cancellando le necessarie controindicazioni – una persuasività di cui si ricorda l’eguale nella storia, benché prodroma di guai per (quasi) tutti.

Prezzolini, l’ultimo reazionario patentato dell’intellighentsia italiana, risulta oggi alla rilettura straordinariamente vero e verace – cioè intenzionalmente vero, non preconcetto, perfino non di parte. E dunque democratico nel senso buono del termine, e progressista? Tanto più oggi che nessun progressista sa - o si cura di - rilevare le carte truccate dell’ideologia del libero mercato, benché eccessivo, impudico, imprudente.  

letterautore@antiit.eu

L’art.18 famigerato sono i giudici

La pubblicazione online
del contributo di Andrea Del Re ha riportato in vita questa vecchia raccolta di saggi brevi, sui meriti e demeriti dell’art.18. è un repertorio di giudizi talmente straordinari, per soperchieria e strafottenza, da sembrare inventati, come in una farsa.
L’art. 18 ha segnato per il bene più che per il male il mercato del lavoro. La rassegna ne organizza una rappresentazione in chiaroscuro. Ma non può negare che ha introdotto una prima protezione del lavoro contro gli abusi, e ha indotto a migliorare le relazioni industriali, prevenendo le fratture più che sanandole. È diventato pietra dello scandalo dacché il mercato del lavoro è divenuto a sua volta aleatori, in una fase d’incertezza nell’industria stessa. Quella manifatturiera perché rivoluzionata dalla globalizzazione. E quella dei servizi rivoluzionata dall’elettronica. Ma soprattutto per gli eccessi, anzi gli abusi, perpetrati da alcuni – non pochi. Col sostegno dei sindacati. E più ancora dei giudici. I veri detrattori dell’artt. 18 sono i giudici, con tanti reintegri forzati sotto ogni aspetto.
“In nome del popolo italiano”, il capitolo redatto da Andrea Del Re, avvocato del lavoro, in Finreze, il dettaglio non è irrilevante?, è un repertorio comico degli abusi che i giudici commettono nel nome dell’art.18. Ma sconcertante: il pompiere rapinatore, l’ubriaco fisso e assenteista ingiustificato, il violentatore, gli assenti per malattia impegnati al loro secondo o terzo lavoro – non vale nemmeno la truffa all’Inps. I giudici strafanno per divertimento, più che per una difesa preconcetta o ideologica del posto di lavoro. Reintegrano perfino chi non lo chiede, cioè lo chiede sghignazzando, e poi non si presenta. Le dieci paginette fanno capire ad abbondanza dov’è l’intoppo.
Massimo Bornengo-Antonio M. Orazi, Art. 18: la reintegrazione al lavoro… e la riforma?, Esculapio, pp. 99 € 20

Italia sovietica – 23

Verso la caduta del Muro culturale
Rai Tre, sempre lei
Radio Tre – eccetto la Barcaccia
La Rai tutta
La 7
Ballarò
Di martedì
Servizio Pubblico
Fazio again, con Gramellini
Litizzetto

giovedì 30 ottobre 2014

La guerra contro l’Italia

In dubbio e sotto tiro non è il debito pubblico italiano, ma il fronte ostile contro l’Italia che si è manifestato a Bruxelles e Francoforte con gli stress test, alla Commissione uscente e con alla Bce. È questo che agita i mercati. È a questa ostilità, non tanto surrettizia, che i mercati guardano con preoccupazione, non ai 2 miliardi di capitale che Mps in qualche modo troverà.
Che gli stress test servissero a movimenti speculativi, più che al consolidamento delle banche, era perfino ovvio. Ma sotto tiro sono venute solo le banche italiane. E per un motivo preciso: l’isolamento dell’Italia contro l’asse Merkel-Draghi. Per motivi politici: la tenuta dei cristiano–democratici tedeschi, e personale di Angela Merkel, contro la marea antieuropea crescente. E quindi su basi nazionalistiche, creando e ravvivando un nemico-fantoccio di comodo.
Le banche italiane sono a giudizio generale le più solide patrimonialmente in tutta la Ue. E non corrono rischi dal lato titoli pubblici, di cui sono larghe sottoscrittrici. Il debito rimena alto, ma è sotto controllo. Il bilancio pubblico è a norma Ue. Lo spread ne tiene conto, che non è peggiorato. Ma gli stress test hanno isolato l’Italia, e le banche italiane soto tiro, Con possibili ripercussioni negative sullo spread.
Sempre per lo stesso motivo, viceversa, gli stress test hanno esteso il vantaggio comparato sull’Italia dalla Germania a Francia e Spagna. Ciò è possibile solo sullo sfondo dell’isolamento dell’Italia: Francia e Spagna non hanno i conti in ordine con i patti Ue, e fanno galoppare  l’indebitamento.
Gli stress test hanno inoltre chiarito la posizione della Bce. Draghi è solo nominalmente a favore della stabilizzazione finanziaria dell’eurozona. Di fatto è obbediente esecutore della politica di isolamento dell’Italia. Come già con la lettera contro l’Italia dell’estate 2011, ora con gli stress test, organizzati in modo da portare su tutte le banche del blocco tedesco, comprese quelle spagnole tecnicamente fallite, facendo capire che l’Italia è un sorvegliato speciale del blocco di comando della Ue, e forse una vittima sacrificale. 

Renzi arbitro a Berlino

Tenersi stretto a Angela Merkel, o aprire ai suoi alleati e concorrenti di governo, i socialisti? La scelta non è ovvia come sembra, per essere i socialisti al governo a Berlino parta del Psd europeo, il partito di Renzi.
È con sangue freddo che Renzi ha preso l’esito degli stress test, già scontato, e guarda agli sviluppi. Anche questi erano scontati e in qualche modo non preoccupano. Ma la scelta da fare sì: da essa dipenderà lo sgonfiamento di un’altra crisi stile 2011 che si minaccia.
La minaccia viene da fuori, queste le prime conclusioni di Renzi: dalla Germania, da Angela Merkel. Con la quale Renzi ha una partita aperta. Il dubbio riguarda come giocare questa partita, se di conserva con, e quindi in aiuto di, Angela Merkel, oppure contro, in aiuto alla Spd, la socialdemocrazia tedesca, che è al governo con la cancelliera ma da alleato contro.
La Spd è a rischio cancellazione, tra la reazione antieuropea, che si rafforza col rallentamento economico, e la sinistra. Ha tentato di reagire, ma è prigioniera del patto con Angela Merrkel. A questo punto, la sua sola carta è che Renzi abbia successo a Bruxelles, varando il piano di rilancio economico da 300 miliardi. Che il neo-presidente della Commissione Ue Juncker aveva proposto (con Tremonti) nel 2010 come piano salvastati. Ma Juncker è cristiano-democratico come Merkel, e difficilmente ne farebbe passare il varo come un successo del Psd. A meno che Renzi non ci metta il sigillo.
Renzi è tentato. Ma sa che per rilanciare il piano salva-Ue deve passare dal governo tedesco. Difficilmente passerebbe contro. E il governo tedesco è l’asse Merkel-Schaüble, la Spd non conta. L’apertura di credito di Schaüble lunedì l’ha presa come un invito a riflettere. Con che parte politica mettersi.
Renzi sarebbe tentato di fare il Robin Hood, ma comincia a capire che il gioco politico - dove si fa ancora politica e non a Montecitorio - è complicato e insidioso: una vittoria può portare a una sconfitta. Ha capito presto che la sua vittoria politica, come leader di partito e di governo, lo rende tenuto e insieme oggetto di inimicizia. Incluso nel suo stesso ambiente: per esempio i socialisti di Hollande nel Psd europeo. Sicuramente a Bruxelles, dove la Commissione, malgrado le ambizioni personali di Juncker, è saldamente merkeliana, col supporto degli hollandiani. Lo stesso a Francoforte - Renzi ha sempre ritenuto Draghi inaffidabile.

Un’altra crisi stile 2011

Non sono le riforme, o le mancate riforme, né le questioni di bilancio a mettere l’Italia sotto tiro. È la prima conclusione di palazzo Chigi alla piccola tempesta in corso. Una constatazione più che altro. Forse ovvia ma preoccupante.
Più che una piccola tempesta, si tratterebbe di un preannuncio di tempesta. Si attaccano le banche, che sono ben difese, avendo di mira di nuovo i conti pubblici e il governo. Anche questa si reputa una constatazione, seppure senza pezze d’appoggio. Altro fatto certo è che dietro l’attacco c’è l’asse Berlino-Francoforte, Merkel-Draghi. Con un blocco antigoverno tutto italiano, per comodità definito filotedesco, come già nel 2011. Col contributo di parte del Pd, il partito del presidente del consiglio – come già nel 2011 (Fini, Alfano). Che fa perno sul no alle riforme, come nel 2011. Un blocco contrario al “partito tedesco”, ma utilmente concorrente a indebolire o cassare il governo..
L’esito dell’analisi è incerto. Lo sbocco più ovvio, che Renzi recuperi la dissidenza interna, isolando il “partito filotedesco” almeno nell’opinione, è contestato sia dal presidente del consiglio sia dai suoi consiglieri: la sola forza in questa fase, anche elettorale, del Pd e del governo sono le riforme (più lavoro, meno tasse, migliore gestione della cosa pubblica). L’unico sbocco che s’intravede possibile è per ora quello internazionale, il più arduo: ristabilire l’equilibrio in sede Ue. 

Montalbano meriterebbe un’inchiesta

Veramente la raccolta esordisce con un Montalbano accusato di decrepitudine, nel solito alterco della coppia misogina Salvo-Livia. Altri errori sono sparsi qua e là, un paio in ogni racconto. Una compilazione, dunque, affrettata. Di camilleriano c’è l’ordine: capitoli brevi, di 18 mila battute ciascuno (dieci pagine del computer di Camilleri, ognuna di 1.800 battute). Solo in numero di 4 invece che di 18. In totale otto gialli brevi, di 40 pagine del computer di Camilleri. E la capacità affabulatoria, che questi sketches hanno il merito di mettere in risalto.
Il racconto dal titolo più bello, rimato, anagrammato, scelto per la raccolta, è il più confuso e inverosimile. È stanca pure la lingua di Camilleri, il suo personale dialetto, tirata via – non “risuona”. Anche la moltiplicazione del commissario, che a lungo Camilleri ha minacciato apertamente di voler uccidere, meriterebbe un’inchiesta.
Dalla parte del lettore c’è Camilleri. L’esumatore felice della novellistica. Fuori dalle righe come sempre. Sull’amore. Sulla donna. Il sesso, anche estremo, rimettendo al centro – ne soffre pure la mafia – e l’ingegno. Sulla gioventù. Sulle mafie stesse - un dato di fatto, una situazione sociale. Sulla Sicilia, di cui l’occupazione principale fa la donna. Di un racconto mette al centro una milanese emigrata a Vigata. Per fare la barista. Mimando sardonico la migliore scrittura ambrosiana, la più aperta: “’Na biunna splapita e tanticchia caprigna, ‘nsignificanti, l’occhi cilestri senza ‘spressioni come a quelli di ‘na pupa”.
Riecco la novella, crudele
L’approssimazione della raccolta mette in risalto il novellismo di Camilleri – il segreto del suo successo di lettura. Affabulatore senza complessi e senza remore, anche nei “romanzi” di Montalbano. Negli altri romanzi no, che sono fuori della vena novellistica. Nel ciclo di Montalbano è invece reinventore felice della novella, che fu il meglio della narrativa italiana: grassa, furba, “evidente”.
Storie di appetiti per lo più, di avidità (di sesso, denaro, potere), e delle difese a basso costo. Per le quali si è costruito un ambiente, Vigata, consentaneo, urbano e primitivo insieme - diversamente dall’altro grande novellatore agrigentino, Pirandello, che si è costretto invece nelle maglie asfittiche della piccola borghesia urbana, finendo per converso per idealizzare (manierare, anchilosare) in forma di primitivismo quasi folklorico il mondo rurale e agreste. Solo politicamente corretta, e perciò compassionevole, al contrario della novella classica. Ma quella di Camilleri è una compassione epidermica, anche opportunistica. Nella sua novella solo il gioco degli opposti conta, le vittime sono compiante ma pezzo inerte della storia. D.H.Lawrence, traducendo il Lasca, notò che la novella italiana è crudele, e così è - ma il bene “s’arricampa”, direbbe Camilleri. Dell’amore  tratteggia il tratto animale. Individualistico anche e antisociale, anticompassionevole – ben prima dei femminicidi. Da misogino forse ma indifferente, come il vero affabulatore si vuole, testimone sorridente e irridente. 
Andrea Camilleri, Morte in mare aperto, e altre indagini del giovane Montalbano, Sellerio, pp. 317 € 14

mercoledì 29 ottobre 2014

L'innominabile Draghi

Tremonti, intervistato da Roncone, finisce mercoeldì su “Style”, ma vale la pena. L’ex ministro del Tesoro è contro i complotti: “È sciocco e riduttivo prendersela con la cancelliera Angela Merkel”. E con i poteri forti: lui i “poteri forti”, dice, non li ha mai incontrati. Non ha mai incontrato Mario Draghi?
Evidentemente no. Ma subito dopo l’ex ministro aggiunge, sul ferale 2011: “Considerazioni finali della Banca d’Italia 31 maggio 2011: «La gestione della crisi è stata prudente… Il pareggio di bilancio 2014 è appropriato»… Poi qualcuno o qualcosa ha spedito in Italia prima una lettera e, subito dopo, un uomo: la lettera-ricatto Bce-Banca d’Italia e Mario Monti”.
Tremonti ha ancora oggi paura di nominare Draghi? Era l’autore delle Considerazioni lusinghiere del 31 maggio. E due mesi dopo della lettera affossa-Italia.
Oggi va invece sul “Corriere della sera” invece che sul supplemento, e in prima, inverosimile, perfino stucchevole, una intera pagina, l’elenco delle nefandezze dietro gli stress test bancari che Fabrizio Masssaro fa – “Tutte le trappole degli «stress test»”. A danno delle banche italiane. A tutto vantaggio delle tedesche.
Si potrebbe chiedere che ci fanno i corrispondenti italiani e Bruxelles e Francoforte, compresi quelli del “Corriere della sera”. Ma neanche Massaro nomina la Germania, né Draghi. È innominabile o che?

Secondi pensieri - 193

zeulig

Coppia – Scoppia perché è l’estrema forma dell’amore romantico, assoluto. Cioè personalissimo,  slegato, la libera scelta per eccellenza. E definitivo. Diversamente dall’amicizia, dal lavoro, dalla famiglia, dalla stessa scelta politica e perfino della squadra del cuore.  Un libero esercizio della volontà. All’unisono con i ritmi segreti dell’universo, ma che si esplica ora nel divorzio (matrimonio) breve e brevissimo – altrove già istantaneo, in Nevada o in Spagna. Nel mentre che la vita di coppia si riduce alla vita in appartamento, più spesso tropo piccolo, in condominio, in città. Unicellulare. Forzatamente, per le condizioni socioeconomiche, cioè in omaggio alla rendita urbana. Ma anche per scelta, anche rispetto agli amici e ai parenti: per una iperromantica sfida.
È una scelta cioè di carcerazione. In una vita senza tempo.  Scandita dal lavoro di entrambi, compreso il pendolarismo che non si calcola, con orari e luoghi più spesso non coincidenti.. Peggio quando ci sono bambini, che ora dividono invece di unire.
Lo stress non è nella disorganizzazione sciale – ah se ci fossero più asili nido o più scuole, ah se ci fossero trasporti pubblici, ah se non c fosse il precariato, etc.: l’organizzazione sociale è sempre insufficiente. Ma nella scelta volontaria, romantica, eroica del rapporto assoluto. L’amore è sempre stato sociale, nel linguaggio e nell’organizzazione. Nella famiglia ma anche in coppia. Di rispetto reciproco se non di comprensione-compassione.  Anche quando le forme sociali (linguaggi, comportamenti) erano anchilosate, infelici, contraddittorie.
La coppia libera – aperta, solubile - è una novità impossibile più che difficile (una sfida), e forse è un’illusione. Confligge col riconoscimento e la comprensione dell’altro che presuppone. Le solitudini si potranno incontrare ma non formare coppia. L’amore romantico è amore di solitudine.

Opinione pubblica – Il giovane Milton dell’“Aeropagitica” già nel 1644 faceva della libertà di stampa lo strumento per eccellenza della teologia morale. Il mezzo migliore per distinguere il vero dal falso, intendendo il bene dal male. Ferdinand Tönnies a inizio Novecento ne sapeva di più: della stampa dice che “essa è ben comparabile, e per certi aspetti superiore, alla potenza materiale che gli Stati possiedono grazie ai loro eserciti, alle loro finanze e ai loro funzionari”.
Il potere che conforma l’informazione non è ininfluente sull’opinione pubblica. Nell’organizzazione del lavoro. E nella produzione (confezione) delle notizie: le notizie no sono neutre. Il quarto potere, inoltre, si esercita a senso unico: i suoi riscontri non sono diretti come per i poteri costituiti (il voto popolare, i regolamenti amministrativi, le procedure, le giurisdizioni), ma generici (il mercato, il pubblico), o interiorizzati (la credibilità). E può essere più pericoloso degli altri perché il suo mezzo è semplice, la parola.

Riso – Ridere è meglio che piangere? Democrito ride, Eraclito piange, ma il primo è superbo.

Storia – Si suole dire ciceroniamente maestra di vita. Ma in un solo senso è possibile, che il presente illumini il passato. Che si suole dire, anche questo, ma è vero in un modo particolare – oggi per esempio non c’è storia perché non c’è “presente”, un presente presente a se stesso, critico. Solo un presente intelligente (attivo, illuminato, appassionato) può aiutare a capire (estrarre, conformare) il passato, individuarne ed estrarne delle verità. In un presente inerte il passato è muto, insistente. Perfino, oggi, un passato prossimo e drammatico come il comunismo e il Muro per i ventenni. È il presente maestro di vita, e di storia – è la vita maestra di storia.

È muta. Senza un presente-presente non c’è tradizione e non c’è storia. Si veda dal folklore, quando è ripetizione senza altro senso che l’apparenza. O dal turismo di massa, necessariamente indigente in fatto di storia. Per un cinese dello Shenzù, un americano del Kansas, il Panteon è ammirevole perche è grande, perché ha le colonne originarie, perché sta lì da un paio di millenni. Per l’industriale di Cuneo, persona probabilmente più egregia,  il calligrafismo giapponese è macchia d’i chiostro, che altro può essere.

È la sola realtà. Sempre equivoca, in più di un modo: le fonti, le cause, buone o cattive, i fini, i sentimenti, gli imprevedibili avvenimenti, e le bugie, le furbizie.

La storicità sempre indeterminata di Castoriadis è un distillato del trotzkismo - l’anarchia nel totalitarismo, nel pensiero politico comunque “totale”, la metafisica in azione. Ma è un fatto e la verità: è ciò che si vede. Per un succedersi di cause ed effetti, per un processo logico. Si costruisce il presente come si costruisce il passato, costantemente, inderogabilmente.  Si prenda per esempio la sessualità che ora – come già nel Concilio Vaticano II: a ogni tentativo di ammodernamento - domina la chiesa di Roma: la chiesa è vittima di un problema essa stessa ha creato e alimenta. Che in sé, e in altra epoca e civiltà, non “esiste”, non è un problema.
Il relativismo dell’etica è connesso al relativismo della storia.

Stupidità - Si presume indifesa, e anzi una debolezza, un handicap.  Mentre è una forma di aggressione, seppure irresponsabile, e non sanzionabile. Incluso nelle sue forme più deboli, al limite della disattenzione. Più pericolosa perché non violenta, e senza sensi di colpa e ravvedimento. Nella qualità della cosa – altrimenti si dice incapacità. E nella sua invincibilità: scontrarsi con la stupidità è sempre una sconfitta.


zeulig@antiit.eu

L’eredità svanita dell’Italia

Titolo infelice, nel 1981, di un originale del 1948 che Prezzolini aveva titolato “The Legacy of Italy”, nel quale aveva raccolto le sue lezioni alla Columbia University prima della guerra. Ma – involontariamente? – profetico.
Conservatore da ultimo, e anzi polemico “esule volontario” anche dall’Italia repubblicana, dopo l’allontanamento sdegnato da quella fascista. Benché repubblicano, molto sospettoso di ogni forma di signoria, sia pure intellettuale, e francescano senza riserve, fu bollato come reazionario. Ma fu impegnato sempre. A partire dalla sue riviste giovanili a Firenze. A liberare l’Italia dalla retorica.
Volontario nella guerra del 1915-18. Quindi funzionario, in quota italiana, alla Cooperazione Internazionale alla Società delle nazioni. Finché non si volle esule dal fascismo, trasmigrando a New York. Morì nel 1982, in esilio ravvicinato, in Svizzera, senza illusioni. Chi lo frequentò – Emilio Gentile tra gli altri, da giovane storico della cultura, curatore dell’edizione storica de “La Voce” quarant’anni dopo – lo dice nient’affatto reazionario, ma amaro sì.
Questa sua dell’Italia è la “storia contro” per eccellenza.  Non  semplicistica o polemica, e di corto respiro. Di grana fine invece a ogni pagina, a ogni capoverso. Con punti di vista e giudici spesso originali, ma non infondati. Sulla divisione anzitutto - che meravigliava e irritava anche il giovane Goethe in viaggio in Italia: fu la sua prima impressione - la litigiosità. La democrazia come regime politico importato. Il Nord e il Sud divisi e diversi, molto, molto prima dell’unità. Il Comune come oligarchia, ristretta anche – e anch’essa litigiosa: non l’istituzione democratica dei romantici e dei nazionalisti. La costante dell’emigrazione intellettuale. E i molti primati dell’Italia. La chiesa, invenzione italiana. L’università. Il teatro. Il teatro in musica. Il Comune. La Signoria. L’Umanesimo. Di un paese ponte di cultura per il resto dell’Europa dal Trecento in poi, e fino al Seicento.
Giuseppe Prezzolini, L’Italia finisce, Bur, pp. 295 € 9,50

martedì 28 ottobre 2014

L’Ucraina divisa di fatto

L’Ucraina verso la partizione? Ne è convinta la diplomazia, italiana e di buona parte dell’Europa.
Le elezioni chiamate in una parte del paese sarebbero una conferma di un’intesa di fondo in tal senso tra Poroshenko, l’uomo forte in carica a Kiev, e Putin. Non si parla più della Crimea ucraina: la penisola è ormai indipendente di fatto, solo in attesa di un riconoscimento giuridico, che potrebbe arrivare presto. Mentre delle regioni orientali dell’Ucraina, filorusse, Kiev avrebbe rinunciato alla riconquista.
La diplomazia tedesca se ne fa già un merito. A fine settembre il responsabile Europa e Asia del Consiglio tedesco delle relazioni esterne (Dgap), Stefan Meister, ha rivendicato la partizione sul “Moscow Times”, giornale del governo russo: “Sono stati i leader tedeschi in particolare a tenere in sospeso fino a fine 2015 parti importanti dell’accordo di libero scambio (Ucraina-Ue, n.d.r.) e ad accettare il riconoscimento di fato dell’autonomia dei separatisti nell’Est dell’Ucraina”. Della nuova entità ci sarebbe anche il nome, Donbass. Con capitale Kharkov, e la bandiera. Anche se lo statuto d’indipendenza si presenta più complesso e lento che per la Crimea. 
In un primo momento il Donbass servirebbe a Mosca per tenere l’Ucraina sotto controllo dall’interno. Ma non diversamente dagli stati satelliti, o cuscinetto, che Mosca si è già creati con la Ue, la Bielorussia, la Crimea e la Transinistria. Che formalmente sono indipendenti, uniti (Bielorussa) o da unire (Crimea, Transnistria) a Mosca in federazione. Puntare a una Ucraina antirussa è follia, prima che una provocazione. Un paese che per emtà è russo. La cui capitale è considerata la madre di tutte le città russe - “la madre dele città russe è Kiev”, proclamava un secolo fa come dato di fatto lo scrittore Andrej Belyj, alle prime righe di Pietroburgo”, il romanzo della città che si riedita. 

Il fantasma di Renzi a Berlino

La finanziaria di Renzi sarà approvata oggi da Barroso. Per un motivo semplice: una diversa percezione del presidente del consiglio italiano e leader del Pd da parte della cancelliera Merkel.
Renzi leader del Psd, il partito socialista democratico europeo, sta sparigliando le carte politiche a Berlino, nel governo di grande coalizione, tra cristianodemocratici e socialdemocratici. I socialisti, che per un anno si sono limitati ad appoggiare la politica deflazionistica della cancelliera Merkel, sono tentati di chiedere un cambio di rotta. La tentazione cresce ogni giorno col manifestarsi dei segnali negativi anche per l’economia tedesca.
Il governo tedesco è cambiato in Germania da un anno, meno omogeneo di quello conservatore degli anni 2009-2013. Merkel governa ora coi socialisti, per i quali una politica di puro contenimento della spesa potrebbe diventare un harakiri politico. Da qui le speranze riposte nell’azione del governo italiano in sede europea per un cambio di rotta.
Uno smarcamento, il tentativo socialdemocratico, che Angela Merkel ha subito contrato, come è nella sua tecnica di governo – giocare d’anticipo, su avversari e alleati. L’intervista di Schaüble ieri, per la prima volta dopo quattro anni aperto all’Italia, ne è un segno: se ci dev’essere un cambiamento vuole essere le, il suo partito cristiano-democratico, a governarlo.
Sullo sfondo c’è – emersa da qualche tempo in Germania – un’opportunità per i socialdemocratici, sia pure remota: di spostare il voto cristiano-democratico, fino ad ora monolitico. Renzi può aiutare ad abbattere anche in Germania il Muro. A scalfire il blocco conservatore, per il quale la Spd è ancora veleno.
Renzi è per l’opinione tedesca l’unico capo di governo che è uscito confermato dal voto europeo di fine maggio. E l’unico leader del Psd che le ha vinte. Su posizioni politiche che offrono ai socialisti tedeschi l’opportunità di rivoltare contro Angela Merkel il suo stesso camaleontismo - fare da destra le politiche della sinistra. In passato lo scambio di posizioni ideologiche era stato tentato dal partito socialdemocratico, senza successo. Schröder ha liberalizzato nei primi anni 2000 il lavoro, sia pure a carico della spesa pubblica, e la Spd ha perso due elezioni di seguito, con larghissime defezioni. Ha perso i suoi propri voti senza guadagnarne uno solo del centro-destra. Il cristianodemocratico può ora cominciare a pensare anche in Germania come in Italia, e cioè che può votare socialista, che non è anatema – il voto in Germania è ancora molto ideologizzato.

Problemi di base - 202

spock

Grillo al 2 per cento a Reggio Calabria: è troppo poco o troppo?

Alfredo Montalto, senatore subito?

Perché non fare senatori subito i giudici che lo desiderano? Si risparmierebbe

Dice che prima c’era il comunismo: dove?

Dice che il comunismo è tutto: di tutto un po’, o un po’ di tutto?

C’è il tutto e c’è il niente, ma legati allo stesso filo?

L’Ucraina è lo Stato europeo più vasto: è per questo che vuole dividersi?

E che c’entrano le sanzioni alla Russia?

E che c’entra la Russia, se l’Ucraina si vuole disfare dei russi?

Dice che Moratti ha buttato nell’Inter 1 miliardo e 200 milioni: di lire?

spock@antiit.eu

Fisco, appalti, abusi (60)

Equitalia manda con data 1 luglio una “comunicazione preliminare all’avvio delle procedure esecutive e cautelari”. Col conteggio degli interessi di mora al 5 agosto. Consegnando la lettera il 25 agosto. Senza timbro.

Indagando su  tanta sbadataggine, si apprende che la legge 228\2012, contro gli abusi di Equitalia, pone un termine di 120 giorni prima delle “azioni cautelari (es. fermo amministrativo dell’autovettura) ed esecutive (es. pignoramento)”. E questo termine calcola “dall’invio, mediante posta ordinaria, di una comunicazione contenente il dettaglio delle somme dovute a seguito di iscrizione a ruolo”.
Il dipendente pubblico in Italia (Equitalia è un ente pubblico) è più che altro uno sbirro: bara con la legge.

Perché il dipendente pubblico è in Italia sbirro? Perché la legge glielo consente, cioè i giudici. Stessa pasta?
Non si contano i casi in cui Equitalia esce perdente in giudizio, perché non esistono.

Rispondere a Equitalia richiede due ore mediamente di lavoro: reperire i titoli di debito, redigere le risposte, preparare il dossier. Più l’attesa alla Posta e le spese di raccomandata – della posta elettronica non ci si può
fidare, i giudici la contestano. Per ogni pratica infondata Equitalia manda mediamente tre-quattro comunicazioni,. Obbligando quindi a otto ore di lavoro. Più una-due di attesa alla Posta. Più 22,40 euro – o 24 - di spese postali. Ammettendo che Equitalia spenda altrettanto per ogni singola pratica, quanto ci costa?

Ma Equitalia spende di più. Meno per la Posta, e non fa la coda all’ufficio postale, ma più per la redazione delle contestazioni e relative subordinate. Una giornata di lavoro, anche due. 

L’epica delle piccole cose

L’altra “saga dell’emigrante” di ritorno. Non quella dolore e ira sancita da Francesco Perri, di Careri, “Emigranti”, 1928 – tornata in voga con Mazzucco (“Vita”) e Gangemi (“La signora di Ellis Island”). O in altri ambiti, specie tra gli anglo-indiani, magnificata – “Il Dio delle piccole cose” ne è epitome. Ma quella onorevole della piccola borghesia, i manovali compresi, industriosa e anzi avventurosa, al suo modo piano, in pace con se stessa, aperta sempre e accomodante. Che fa scuola negli Usa, specie tra gli americani di origine italiana, John Fante, Scibona, Rotella. Fante prima di Talese, ma limitatamente all’esperienza americana. Scibona e Rotella sull’esempio esplicito di Talese, con l’immedesimazione nell’ambiente di origine, qui Maida in provincia di Catanzaro, storia, eventi, persone. Ricostruito con impegno di ricercatore, per dieci anni buoni.
Talese ripete, memorabile, il miracolo dell’emigrante. Piccolo, di età spesso, di mezzi, di mestiere, di orizzonti, che non era mai uscito dal suo paese, proiettato di colpo a Napoli o Genova, in treno, con masse di sconosciuti, e poi, dopo dieci-venti giorni di mal di mare, su continenti sterminati e forse ostili, e dentro città misteriose, senza lingua, comunque senza diritto di parola. Talese fa il miracolo inverso: da newyorchese s’immerge nella vita di paese, la esplora, le microcomunità familiari con le loro, spesso tignose, microstorie, se ne impadronisce, e sa farle rivivere.
Veniali gli errori: Maida a quattro miglia dallo Stretto di Messina, le raccoglitrici di olive col culo nudo all’aria e le tette in vista, e altri pochi. Il più è raccontato col taglio sempre giusto, leggibile per seicento fittissime pagine, benché senza eroi e senza imprese. Con temperamento al fondo beffardo, molto calabrese, benché Talese sia newyorkese in tutto.
Una narrazione avvincente malgrado se stessa. Un’epica delle piccole cose. “Delle ambizioni”, come l’autore fa dire in esergo a Theodore Zeldin, “di chi non è mai diventato molto ricco, non ha fondato una dinastia o un’azienda di vita lunga, e ha vissuto al livello medio-basso del mondo degli affari”. Solo apparentemente di cose viste.
Gay Talese, Di padre in figlio

lunedì 27 ottobre 2014

La speculazione al comando

Virano al rosso le Borse per le ridotte previsioni di crescita della Gerrmania da parte dell’Ifo, l’istituto per la congiuntura tedesco. Anche. Ma di più perché si rianalizzano gli stress test delle banche organizzati e comunicati dalla Banca centrale europea. In particolare delle banche tedesche, che sono la ruota debole del sistema, e invece gli stress test hanno detto le più solide. Ma anche delle banche francesi, anch’esse promosse a pini voti da Draghi, benché legate a un’economia in sofferenza da tempo, e per almeno ancora un paio d’anni Gli stress test, cioè, hanno attizzato i dubbi, proponendosi esplicitamente come fasulli..
Era inevitabile, peraltro, ed è accaduto. Nella maniera peggiore, l’esame a cui le banche si sono sottoposte essendosi rivelato truccato. E rivelato non a speciali indagini ma dichiaratamente, come un provocazione. Un invito alla speculazione. Inevitabile se una banca centrale sottopone le banche su cui vigila alle voci. L’esame pubblico delle banche è un falso omaggio al mercato: le banche non si governano esponendole al ludibrio e mettendole in difficoltà con prove impossibili – o favorendole con finte prove. Un’indagine da cui le banche (ex) centrali dei paesi aderenti alla Bce sono state escluse. Se non è speculazione, è delinquenza.

La Banca d’Italia di che?

Gli esami di positività – stress test – non sono stati uguali per tutte le banche europee. Per la parte principale erano ponderati su situazioni di rischio specifiche per ogni paese di appartenenza. Senza contare che Intesa e Unicredit, le maggiori banche italiane, sono multinazionali, ma questa non è l’anomalia maggiore. Le banche italiane dovevano confrontarsi con una situazione così concepita: cinque anni di recessione, consumi di guerra, debito pubblico a rischio default, tassi alle stelle, credito a zero.
Missione impossibile. Ma non per la Bce, che l’ha imposta. Né per la Banca d’Italia che l’ha accettata senza opporsi.
Così le banche tedesche, che sono le più deboli, son risultate le più sicure. Le banche regionali e locali, piene di crediti politici insolubili. E delle due banche nazionali una, Commerzbank, a rischio fallimento, negli Usa e nella stessa Germania, e Deutsche Bank che ancora ammortizza i tre miliardi accantonati per possibili perdite sulle speculazioni avviate nel 2010-2011. Più 1,1 miliardi per la manipolazione dei cambi, per la quale è in corso negli Usa una offensiva giudiziaria per danni da 30-40 miliardi. A carico di un paio di banche americane, e di un paio svizzere, insieme con le banche privilegiate dagli stress test, la Deutsche e le britanniche..
Solo a stress test pubblicati la Banca d’Italia ha segnalato le integrazioni patrimoniali effettuate dalle banche italiane nel 2014 (anche quella gigantesca del Monte dei Paschi?). Di cui la Bce non ha tenuto conto. Impossibile? È avvenuto.

Prima per aiuti di Stato è la Germania

Le banche europee si sono salvate con robuste iniezioni di capitale pubblico. Quelle tedesche si sono salvate come quelle anglo-americane, con nazionalizzazioni mascherate. Con soldi pubblici cioè regalati alle banche private. Contro ogni divieto di aiuti di Stato. Che per l’occasione “Bruxelles” si è dimenticata di applicare.
Gli interventi pubblici si sono avuti in questo ordine e dimensione: Germania 250 miliardi, Spagna 60, Irlanda 50, Olanda 50, Grecia 40, Belgio 19, Austria 19, Portogallo 18. L’Italia viene ultima con 4 miliardi.
Il dato non è segreto, è nelle statistiche Eurostat – ne diamo conto per esteso in “Gentile Germania”. Ma solo ora la Banca d’Italia lo rende noto in dettaglio e lo ufficializza. Anche polemicamente: con un terzo degli aiuti tedeschi, “avremmo avuto un surplus di 77 miliardi”, ha detto il vice-direttore generale Panetta. 

Aperta (e chiusa?) la caccia a Renzi

La Banca d’Italia dà conto solo ora delle procedure artificiose e le incredibili difformità di analisi degli stress test bancari perché considera conclusa la caccia a Renzi? È possibile. Una ragione ci dev’essere nell’acquiescenza di Visco ai criteri così assurdamente punitivi verso l’Italia. Nonché pericolosamente assolutivi nei confronti di banche più o meno fallimentari quali quelle tedesche.
Che cosa ha fatto passare la Banca d’Italia dalla supina acquiescenza agli assurdi diktat tedeschi, via Mario Draghi, alla polemica? Visco si considera in corsa per palazzo Chigi, e continua a costruirsi una faccia? O non è il contrario, che considera la corsa chiusa, e si rimette al suo posto? Il suo vice-direttore generale Panetta lo copre in che senso?
Giudicando dai giornali che contano e che un mese fa avviarono l’attacco a Renzi, la prima ipotesi sarebbe probabile. Rafforzano questa ipotesi commenti in serie di sociologi della politica e storici su Renzi uomo solo al comando, leader e quasi dittatore, dissolutore dei partiti , a partire dal suo. Sono commenti che si segnalano perché non hanno nulla di sociologico né di storico. E cioè sanno di manovra concertata.
Ma con qualche dubbio. La finanziaria tagliatasse di Renzi ha stordito i media che ne avevano avviato l’abbattimento. Napolitano sembra non marciare. E perfino Barroso si avvierebbe domani a non dare l’aiutino promesso, di bocciare la finanziaria. Renzi ha comunque stroncato subito la manovra bruxellese con la pubblicazione della lettera di richiamo. 

Schaüble chiede un armistizio

La caccia a Renzi potrebbe essere finita oggi con l’intervista di Schaüble, il ministro tedesco delle Finanze e dell’Economia. La sua prima, non richiesta, ai media italiani. In cui da severo censore per tre anni dell’Italia si trasforma in patrono di Renzi. Con una sviolinata, anch’essa non richiesta, alla Francia socialista.
Schaüble vuol dire Merkel: il centro-destra del governo di Berlino. È, non detta ma trasparente lungo tutta l’intervista, una sorta di larga intesa che il ministro tedesco delle Finanze e dell’Economia propone a Renzi. In quanto leader del partito e del governo di sinistra più forti in Europa.
È un riflesso della situazione interna, dove soffiano venti di crisi a un anno dalla formazione della Grande Coalizione. Di fronte al rallentamento accertato dell’economia, i socialdemocratici sono tentati di lasciare il governo: che la disoccupazione cresca, con otto milioni di minijob, sarebbe intollerabile. A meno che la destra non adotti una politica di sostegno alla ripresa. Per salvare la coalizione, l’ipertattica Merkel offrirebbe aperture ai piani di Renzi per il rilancio. Piani generici, che potrebbero soddisfare i socialisti alleati senza urtare senza smettere la durezza sciovinista del suo elettorato 

Avvenire e popolare, il canto della nostalgia

“Duce, duce, il vestito mi si scuce\ duce, duce, chi lo  ricucirà?” Un’antologia molto vasta di testi e spartiti. Schiacciata purtroppo, da Giuseppe Vettori che l’ha riunita, sul Pci - da reduce invitto benché non fosse, dice, comunista…. Con le solite irritanti semplificazioni: sembra impossibile che il mondo sia stato un blocco comunista, ma c’è chi vuole crederlo e imporlo.
Il repertorio invece è aperto e a suo modo allegro: pieno di umori, irridenti, arrabbiati, sofferenti. In copertina il manifesto dell’Italia che srotola “Viva il socialismo!” I testi in larga misura ricavati dai repertori del Nuovo Canzoniere Italiano, su cui hanno lavorato Bosio, Leydi, Portelli, Straniero, Liberovici, Della Mea, prima di Giovanna Marini – con i non menzionati Lucilla Galeazzi, Ambrogio Sparagna, le Edizioni del Gallo.
Un repertorio anche dello stalinismo, che si tende a rimuovere. Insulsi solo i canti della guerra fredda, della propaganda di Mosca. Terribile nel settembre 1961, a Muro appena eretto, “La marcia della pace”. Improvvisata, dice Vettori, da Fortini e Amodei tra Perugia e Assisi, ma certo non francescana – oppure sì?: “E se Berlino chiama, ditele che s’impicchi”.
Peccato che lo squagliamento del Pci abbia eraso, quasi ne fosse un feudo, il canto popolare. La raccolta e la valorizzazione del canto popolare. Che invece nel Novecento italiano, non molto pingue, ha avuto un ruolo sostanzioso.
Avanti popolo. I canti del sol dell’avvenire, Scipioni, pp. 112 € 3,50

domenica 26 ottobre 2014

Il mondo com'è (192)

astolfo

Chiesa – “La creazione più grande, più duratura, più universale dell’Italia non fu il Risorgimento, ma la Chiesa Cattolica, la quale, come in un altro scritto si espresse l’autore, può essere definita la risposta che il mondo ha dato al Vangelo”. Il riconoscimento viene da Prezzolini (nella prefazione 1981 alla traduzione italiana del suo “The Legacy of Italy”, 1848), un non praticante e un conservatore, e la chiesa non ne mena vanto. Ma è un fatto, trascurato – solo tra gli storici ha qualche attenzione da Galli della Loggia.

Emigrazione  - Quella intellettuale è una costante italiana. Di architeti, pittori, scultori (scalpellini, fabbri),di musicisti, di politici, di inventori anche. Anche di modelli (la terzina, il sonetto, la cupola, etc.), ma molto di uomini. Se non si sottovaluta il ruolo di cerniera che l’Italia dal Trecento al Seicento (in Russia e in  generale nell’Est Europa ancora nel Settecento) svolse tra le culture classiche e il resto dell’Europa, le tracce appaiono evidenti. Nella filosofia e nella morale, la politica inclusa – fino allo Stato fondato sull’utilità e non sulla morale. Nelle scienze. Nella matematica. Nelle arti e nelle arti applicate. Non viaggiava solo Leonardo, ma una miriade di ingegneri e architetti.  

Engels – È in via di recupero, malgrado la recessione comunista, a preferenza di Marx. Tra  comunisti residui è il punto di riferimento più continuativo su ogni questione: le minoranze, il mercato, il lavoro, l’Europa (Italia-Germania, Francia), l’imperialismo, il nordismo. Sulle questioni politiche.
Marx non si cita e non si studia più perché oberato probabilmente dalle ambizioni filosofiche. Che sempre sono state riconosciute confuse, ma nella disgrazia politica sono diventate evidentemente.

Europa - È la fine dell’Italia, diceva Prezzolini trent’anni fa (nella stessa prefazione a “The Legacy of Italy” in traduzione), con spirito profetico ma con argomentazione ora scontata. L’Europa è una scelta quasi obbligata, diceva Prezzolini, “l’Italia fa benissimo”, ma “ciò vuol dire riconoscere che il suo tentativo di formare uno Stato nazionale è fallito. L’Italia sarà forse una provincia dell’impero europeo… Sarà sempre il giardino dell’Europa, e il paese preferito per i viaggi di nozze degli Europei”, ma “rinunzierà a competere con le altre nazioni”. :

Francesco - C’è una distinta diversa percezione del papa in Italia, e altrove. Non da ora. Ma di più ora che s’impersona in Bergoglio, il papa argentino, estraneo cioè all’Italia - e nemmeno romano d’adozione, come era Ratzinger. In Italia è recepito, anche dagli antipapisti Scalfari e Odifreddi cui per primi si è indirizzato, così come lui si presenta, come uno di noi, una persona semplice e alla mano, valigino, scarpe sfondate, et. – che è anche la maniera argetina di fare politica, populistica (la povertà di oggi, in Italia, in Europa, non è quella di san Franecsco). A partire dal nome, scelto perché senza il numerale, con quel che di dinastico che esso comporta. La popolarità coltivando, nll’eloquio, nei gesti, più che la dignità, la familiarità più che il rispetto e l’autorevolezza. Quesiti ponendo, come tutti se ne pongono, più che professare il magistero. Fuori è percepito come il gesuita del rinnovamento e aggiornamento. L’anti-Woytiła che Ratzinger non volle essere, che i gesuiti coi loro dubbi insidiosi aveva escluso dal Vaticano, con la sua chiesa “confessante” – resistente - nel mezzo dell’Europa insidiata dal comunismo, e poi dal capitalismo dello shopping.
L’aggiornamento è l’adeguamento. La conformazione della chiesa alla storia. Bergoglio non è per la resistenza ma per l’accomodamento. Non propone un’altra dottrina dell’amore e del sesso, che includa i divorziati e gli omosessuali, ma un adeguamento. Come quello che Paolo VI, subito fatto rivivere da Francesco, aveva inseguito cinquant’anni fa, tra bizzarre impennate e cadute (la contraccezione, il divorzio).

Imperialismo – Non ha mai funzionato come pura forza. Vuole un disegno in qualche modo concorrente, seppure da posizioni di egemonia. Roma “s’impadronì” di Cartagine e della Grecia, mettendosi al loro passo. Goti, Longobardi e Franchi semplicemente distrussero Roma. Non seppero “impadronirsene” nemmeno quando la capitale dell’impero fu eretta in terra tedesca, a Treviri. E la stessa incapacità la Germania ha mostrato quando ha tentato l’impero tedesco, nel Novecento – e in parte mostra oggi, nell’esercizio dell’egemonia, benché più modesta e non contestata,  sulla Ue.
La sola forza Roma esercitò sulle e contro le popolazioni italiche. Che si limitò a distruggere, spesso con radicali spaesamenti, le deportazioni in massa. Il che concorre probabilmente ancora alla disunione dell’Italia. Una nazione ben distinta, da tutti i punti di vista, geografico, etnico, linguistico, da un secolo e mezzo anche storico e istituzionale, ma sempre  in guerra civile, sia pure a bassa intensità.

Mediterraneo – Si tende a cancellarlo. Distintamente seppure senza ragione, se non il nordismo esacerbato degli ultimi decenni. È terra incognita per il resto d’Europa e per il mondo, nella tratta dell’immigrazione, pure così feroce: il mondo che si appassiona per  diritti civili del più piccolo mammifero, un volatile, un felino, la trascura per essere un “fatto” mediterraneo. È terra di nessuno, benché costeggiata da grovigli politici e sociali minacciosissimi nel Nord Africa e il Medio Oriente, e da guerre. Ed è area indistinta, benché luminosa, aperta, e nota - famosa da tremila anni, cinquemila con l’Egitto. Al più si localizza (si liquida) come latinità, i greci confondendovi e gli altri Balcani. E questo mostra il pregiudizio.

Sessualità – È il segno più evidente della relatività della storia, e dell’etica. Le religioni,per esempio, sono vittime della sessualità, di un problema sessuale che esse stesse hanno generato e alimentano. Dell monogamia (famiglia) e della procreazione (eterosessualità). Cose a cui i religiosi professi non sono chiamati – dominio di Cesare. E perseverano ora che su questo terreno sono sfidati:  continuano a considerare la sessualità materia etica e anzi di fede (sacramento, etc.). Lo stesso per la procreazione.

L’esercizio si può continuare postulando una guerra contro le religioni che induce una guerra tra  religioni - come se ne fanno tra le mafie, aggressive ma mascherate - sulla sessualità. In particolare contro il cristianesimo – l’islam si defila, potendo anche contare sulla poligamia e la pederastia.  I preti sono aggrediti sulla pederastia, il celibato, il matrimonio, l’eterosessualità, la procreazione, e accettano questi terreni di scontro pur non praticandoli, come depositari della fede. Finendone ovviamente massacrati per una sorta d masochismo, talmente sono incistati nel “magistero morale” che loro stessi si sono costruiti. Come una prigione, una corazza arrugginita. Pastori di una religione che invece è della liberazione.

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