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venerdì 2 ottobre 2009

Il sinistro golpe continuo

Scandalo da manuale per la ministra Prestigiacomo. Da manuale del dossier, anonimo, feroce, inutile – se non a svilire la politica. Magistrale anche nel senso di spiegare quanto la sinistra sia imbelle, questa sinistra berlingueriana, e anzi sia sinistra e non di sinistra. E di confermare Pascal nel suo nobile precetto che “la morale se ne infischia della questione morale”, quando questa è opera di spioni, seppure in veste di Guardia di Finanza, ufficio I, e di giudici.
In un’inchiesta di cui non si sa nulla, un interlocutore di cui non si sa nulla dice al telefono una frase che tutti i ministeriali dicono ogni giorno: “Quella spenne con la carta a destra e a manca”, perché il ministro "rubba", si sa. I ministeriali romani dicono di peggio, non avendo da lavorare: una volta dicevano troie la moglie e le figlie dei ministri e dei sottosegretari, ora con le pari opportunità non hanno più bisogno dello stato di famiglia dei loro capi.
Naturalmente, tutti “sappiamo” che c’è ben altro. Che la telefonata è “organizzata”, e serve solo ad accedere ai conti della carta di credito ministeriale. Che la Guardia di Finanza sa già che la Prestigiacomo ha fatto, fosse pure per una volta, un uso personale della carta ministeriale. E che si sia fatta la telefonata per poter accedere ai conti della stessa carta. Accedervi pubblicamente, poiché già li conosce. Avremo infatti ora lunghe liste di cosa la Prestigiacomo compra con la carta, sua o del ministero: mutande, e di che colore, reggiseni, e di che misura, pellicce, una ministra dell’Ambiente, oh scandalo, eccetera.
Ma tutto questo ci fa paura e non piacere. Che ci siano ufficiali dello Stato che passano il loro tempo non a indagare e punire evasori, mafiosi, grassatori, ma ad architettare trappole per i politici. A Pisa come a Bari. Non secondario motivo d’inquietudine è che l’indagine “dovuta” si chiuderà, fra un anno o due, con un nulla di fatto. Ma avendo squalificato ancora un poco la politica, sia pure di destra. Ora, non si capisce perché ci siano corpi dello Stato che operano unicamente a sabotare la politica. Se questo non è un golpe continuo, sia pure di giudici e servizi non deviati giacché si professano compagni.

L'inferno del diavolo Santoro

È buio lo scenario di Santoro, livido, anche le facce in primo piano. Con un fondale virato al rosso, specie l’ambulacro dove si riprendono le tricoteuses che plaudono, se non sono figuranti. Un mondo infero che paga, l’uomo è regista accorto, visto che tiene incollati al televisore sette milioni di persone per tre noiosissime ore. Maestro del cattivo gusto, com’è giusto nell’era del gossip: la faccia della D’Addario ingingatita, incombente da ogni lato, come una balena vorace, e “in camera”, per rocordare il bordello, con l’intervistatore sudato, come ansimasse.
Sono sette milioni d’italiani che ci credono: non si divertono, ci credono. La parte nobile, si penserebbe, di una audience. E tuttavia, il diavolo è sempre infido, specie se è troppo intelligente. I suoi seguaci li fa sentire di parte, grazie all’opera solerte del regista alle immagini (scenografie, tagli, risate e applausi di una sola parte), e a Vauro e Travaglio, come se partecipassero alla rivoluzione, alla resistenza, all'antiqualcosa. Ma tante palle personalmente, freddamente, alza, che ieri sera avranno finalmente rincuorato i berlusconiani. Compresa la D’Addario che dice: “Questa è la prima serata che faccio in Italia”. Ora dovremo sapere quanto chiede la D’Addario ai giornali compagni, e quanto l’ha pagata la Rai - lei e Bernstein, notoriamente molto venale, per dire che Berlusconi è Stalian, con l'aria per di più avvinazzata.
Berlusconi l’ha detto per stizza, ma non è inverosimile che Santoro, che lui stesso scelse a suo tempo per le prime serate di Mediaset, non gli porti voti: a sinistra c’è anche gente che ragiona. Non si capisce altrimenti che la Rai faccia festa coi suoi guai, l’orrenda D’Addario che fu la sua compagna di letto: quattro ore di prestazione gratuita a grande ascolto, due ore e mezza da Santoro, visto da sinistra, e un’ora e mezza da Vespa, visto da destra - qui con i malimconici figuranti che applaudono quando devono, e devono farlo spesso, per tenere desta l'attezione.

giovedì 1 ottobre 2009

Risparmiateci la provincia

Se lo dice il Fondo monetario è vero, che ci governano le banche. Se lo dice Tremonti è una sciocchezza, un’aggressione eccetera.
Tutti concordi su Tremonti e le banche, con lo stesso titolo, “Repubblica”, “Stampa”, quotidiani locali di “Repubblica”, “l’Unità”. Non si potrebbe modificare il titolo?
Le rendition di terroristi internazionali - i rapimenti di persona - sono un delitto grave per la Procura di Milano se fatte all’epoca di Bush. Non quelle fatte all’epoca di Clinton e Gore, che la hanno volute.
Le guerre di Bush sono cattive. Ma se le fa Obama sono buone.
Il “Times” è "glorioso" - trent’anni fa, forse.
Le migliaia con la virgola, invece del punto: 1,000,000. Un milione non è un euro.
L’Iran è come il Kuwait, oppure la Libia. Insomma, sono da quelle parti, musulmani.
Non è una trama, è un giallo.
Il “Financial Times” e l’“Economist” sono bibbie. Di che? Sono giornali inglesi, come altri sono italiani – solo Ronchey credeva che fossero “diversi”. La differenza è che la Regina non legge il “Corriere della sera”, e se lo legge non lo porta ad esempio.
Le graduatorie del “Financial Times” e dell’“Economist” sono molto inglesi, per buoni inglesi – già gli scozzesi le leggono con disagio.

Lo scopo non è quello di...

Quello. Ci vorrebbe una crociata per la sua abolizione. “Quello” è pleonastico: l’intento sarebbe quello di, lo scopo è quello di, la tendenza è quella di…

Oltre. Il magistrato e scrittore Carofiglio, che tiene corsi sul giallo giudiziario, scrive nel risvolto di “Testimone inconsapevole”, suo primo best-seller: “Oltre varie pubblicazioni di settore... (quest’opera) è la sua prima opera narrativa”. Oltre? Scerbanenco fa l’uno e l’altro, “Sei giorni di preavviso”: “Il suo compito, oltre che di.., era quello di…”.

Mentre. “La previsione del debito era di 1200 miliardi mentre le uscite reali 4800 milioni…” E perché non il punto dopo il migliaio, 1.200, 4.800? “Mentre”, “invece” sono usati come congiunzione, mentre invece sono avversativi. È insensato dire “sabato alle 21 spettacolo di Wilma De Angelis, domenica invece, sempre alle 21, di Milva”. O “a Milano l’indice Mibtel è salito dello 0,24 per cento, mentre il Cac a Parigi dello 0,21”.

Parentesi. Si mettono le cose tra parentesi. Il filosofo Diego Marconi nel suo libro “Per la verità”, in cui afferma la verità delle cose, mette tra parentesi la sua definizione “(la verità non appartiene a un regno più sublime dell’umile dominio dei fatti)”.

Virgolette. Si mette tra virgolette, che indicano una forma d’irrealtà, tutto. “Lo show di Santoro è “aggressivo””. Lo sarebbe senza le virgolette, o non lo sarebbe? Nella Spagna al tempo di Franco si metteva tra virgolette “Israele”, come ancora nella stampa araba.

Più di. Sky nella pubblicità 2008 esibisce “più di” 19 generi narrativi in catalogo. Quanti sono, venti? trenta? diciannove e mezzo? Anche scrittori buoni scrivono: “Ha più di vent’anni”. Venti e mezzo? Trenta?

Fatto. “È un fatto che”: questo fatto è ridondante. Il “fatto innovativo” è la novità.

Oggettivo. “Oggettivamente a mio avviso” è residuo delle cellule Pci.

A parte che. Dice il Procuratore Capo dell’Aquila in tv dopo il terremoto: “A parte che, se ci saranno illegalità, chi le ha commesse non sarà indagato ma subito arrestato”. A parte che andava detto: “Se emergeranno illegalità”, che ci sono già state cioè e non ci saranno. Ma “a parte che”?

A livello. A livello culturale, sociale, politico….

martedì 29 settembre 2009

Il pazzo che si crede Pizzuto o la filologia inutile

Una lettura sterile. Di “Così” a dieci anni dalla prima pubblicazione, recuperato da Antonio Pane, che da Firenze coltiva con passione la sicilitudine, al recupero autorizzato “da un codicillo testamentario”, e a sessanta dalla composizione. Di “Sul ponte di Avignone”, recuperato venticinque anni fa per Mondadori da Pedullà, che lo dice “il primo romanzo della seconda vita di Pizzuto”, già pubblicato settant’anni fa, con lo pseudonimo di Hais. Impossibile quella di “Testamento”, a quarant’anni dalla prima pubblicazione nel Saggiatore con una nota superlativa di Contini, che ora si ripubblica sempre per la cura di Pane, in quella che Polistampa porta avanti come l'opera omnia dello scrittore-questore palermitano.L’ultimo Pizzuto, “la seconda vita” della scrittore, è un caso di Spätstil, il tardo stile comune a molti compositori tedeschi e qualche scrittore, dirompente ma più per essere ermetico, o insomma involuto: più che l’apertura di nuovi fecondi percorsi in genere segna la stanchezza.
L’unico interesse è la luce retroflessa che Pizzuto, col suo enorme credito, getta sulla migliore filologia del Novecento, Debenedetti, Nencioni, Contini, Jacobbi, Bazlen, Montale, Luzi, Pedullà. Si può dire che non ci sia stato patrocinante eccellente che non si sia esercitato, con entusiasmo se non con gusto, su Pizzuto. “Scoperto” da Lerici-Bazlen con “Signorina Rosina” nel 1959, a 66 anni, dopo lunghe e insistite peripezie, dieci anni dopo ha già un suo capitolo nella “Letteratura dell’Italia unita 1861-1968” che Contini pubblica nel 1968. Con un’ampia presentazione, in questa stessa storia della letteratura, di “Testamento”, che uscirà per il Saggiatore nel 1969. La sintassi di Pizzuto, dice il filologo principe, “rammenta” la classicità, “ma nell’essenziale porta addirittura lontano dall’indoeuropeo, per quell’attenuazione e tendenziale soppressione dell’opposizione tra nome e verbo che qualifica il cinese e lingue affini” – tre “–one” in una riga dicono l’attenzione di Contini, certo sperduto tra il cinese e gli affini.
Letto tutto Pizzuto cosa resta? Parole in libertà. “Sul ponte di Avignone” è una storia reale di abiezione, a fronte della complice finzione sveviana. Ma non più di tanto, su una traccia struggente da “Tre orfanelle”. Lo scrittore non maschera il neo realismo, la stucchevole commedia all’italiana da disgrazie cumulative: “Sul ponte” è l’insostenibile pesantezza della bigamia, che si stiracchia per anni e generazioni, una forma di egoismo incredibilmente selvaggia, un personale tsunami - con gli irritanti palermitani “esci il piedino”, “uscì il braccio” (un miracolo è semmai la prefazione di Pedullà, di attenzione, cura, misura, ma è la enensima manifestazione del critico che fa l'autore).
Che si possano utilizzare le parole senza senso, neppure onomatopeico (musicale), per lessico grammaticale o sintattico, questo è insensato. L’espressione compiaciuta dell’inespressione, la “lezione” di Joyce capovolta, e quindi delle avanguardie, il futurismo, il surrealismo, le macchine letterarie. Forse è un effetto dell’antindustrialismo (antiumanesimo), comune alle prefiche del Diamat e del fascismo, di cui Pizzuto fu funzionario più che volenteroso alla Polizia Politica, non sapendo che la macchina in sé è sterile. In uno dei tre, forse in “Testamento”, c’è il pazzo che si crede Pizzuto, e questo è tutto.
Antonio Pizzuto, Testamento, Polistampa, pp. 312, € 23
Così
Sul ponte di Avignone

L'attore è scimmia dal Settecento

All’origine della filosofia dell’attore? Michel Sticotti ne anticipa i due fondamenti: “Singerie sublime”, poi adottato da Diderot, e “Le caractère prope du Grand Acteure est de n’en avoir aucun”.
Claudio Meldolesi, Gli Sticotti, comici italiani nei teatri del Settecento

Il patto per l'unità d'Italia non decolla

Fini si tira fuori dal patto per l’unità d’Italia? Il presidente della Camera è rimasto solo, alla festa milanese del suo partito, tra gli sponsor del patto nazionale destra-sinistra, Tremonti e il “Corriere della sera”. Il patto che lo stesso Tremonti ha lanciato un mese fa sul “Corriere della sera”, d’accordo con Bazoli e D’Alema, col pretesto delle celebrazioni, l’anno prossimo, dell’unità d’Italia. Per un governo di unità nazionale, anche senza Bossi, sicuramente senza i dipietristi, nell’ipotesi “in morte di Berlusconi” – in morte politica, beninteso,
Tremonti è stato al copione. Ha fatto finta che Fini non l’abbia sabotato in tutti i modi nel passato governo berlusconiano, sulla finanziaria, che disse “truccata”, ed era vicepresidente del consiglio, la vendita degli immobili pubblici, la questione Fazio. Fino a farlo cacciare brutalmente dal governo stesso. Il presidente del consiglio in pectore ha anzi elogiato Fini per la sua sagacia sulla questione immigrati. E ha proposto di riportare al centro la famosa questione meridionale, altro ritornante cavallo di battaglia del presidente della Camera, nelle pause della sua signorile distrazione. Ma non è stato ricambiato: Fini gli ha confermato la sua altezzosità, da superba seconda o terza carica dello Stato.
Il motivo non è stato capito. O è Fini stesso che si vuole candidare all’unità nazionale. Oppure il presidente della Camera ha capito che a Milano non è aria di aperture verso gli immigrati, per la cittadinanza e il diritto di voto, prematuri, demagogici, e per la questione meridionale, che è solo parole. D’Alema, che è stato a Milano per altri convegni e avrebbe dovuto fare il secondo passo, d’altra parte non si è sbilanciato. Si sa che da sempre ritiene Fini il suo dioscuro, uno col quale gli piacerebbe dividere il futuro dell’Italia. E che sarebbe perplesso sulla capacità di Tremonti di tessere la tela: “Tremonti non è Amato”, è stato sentito dire.
Il congresso democratico ancora non è chiuso, e D’Alema non ha voluto rischiare di danneggiare Bersani? È possibile. Ma c’è anche chi gli consiglia di puntare su Casini. Che sarebbe miglior uomo di collegamento politico, per una sorta di Dc interpartitica. Senza essere più forte di Tremonti.

lunedì 28 settembre 2009

Letture - 15

letterautore 

Galileo – Si rovesciano i ruoli curiosamente nelle celebrazioni: i laici sono per la tribunalizzazione della storia, i credenti felici che la chiesa si sia sbarazzata delle pretese tribunalizie. Curiosamente ma non troppo: questo Duemila è un seicento rovesciato, altrettanto svagato, pettegolo. La scienza è inquisitoriale, che si vuole senza limiti, fino a imporre cloni e morti precoci, i fedeli invece sono contenti che la chiesa li lasci liberi.

Nietzsche - È molto Machiavelli, nel discorso sulla fortuna (ratio irrationalis) e contro la virtù cristiana. 
 
Parola – Vale – pesa – per la quantità? Un tempo significava, aveva anche sensi forti, ampia materia ha dato alla filologia. Era l’epoca del riserbo. Ora tende all’indistinto: le parole esagerate devono esserlo sempre di più, e sono il linguaggio della politica, dell’economia, della sociologia, della giustizia (i tribunali stabiliscono che niente più è ingiurioso, visto i linguaggi correnti), perfino della tecnica, ma non dicono nulla. Quelle della filologia è da tempo che non dicono più, e bisogna inventarne di nuove, come se i concetti fossero nuovi tipi di particelle, quanti, quark, bosoni. È l’epoca della loquacità: telefono, televisione, internet, talk show, reality. C’è un’epoca per le parole significanti e una per le insignificanti? Se è così, non può essere la pace (siamo in pace da sessant’anni, malgrado tutto) il pegno del linguaggio insignificante, le passioni spente, la noia? La pace e il benessere, malgrado tutto. O necessitano le parole balzi sempre più azzardati, eccessivi, per farsi udire? O è in corso un rinnovamento semantico, un’altra specie di uomo e di linguaggio? Forse per questo la letteratura non recupera più, come ha sempre usato ciclicamente da Omero, le vecchie ambizioni di durata. 

Pirandello – Curioso il suo fascismo: tiepido, se non ostile, quando tutti erano fascisti, Croce compreso, passa con Mussolini per il delitto Matteotti. C’è una vena di bastian contrario in questo autore così poco, anzi nient’affatto eccentrico, tutto casa e lavoro? La vita coniugale, di follia ordinaria, e il rapporto virginale con Marta Abba, altra follia. Pirandello non sarebbe che un realista, dietro il linguaggio espressionista delle narrazioni, e i soggetti tagliati sul bizzarro – più che nei bozzetti siciliani. Per uno, certo, che era nato al Caos. Vicino ad Agrigento, la città di Empedocle – c’è un destino in tutti i suoi nomi, da Caos in qua. Non fa un teatro dell’assurdo ma delle possibilità. "Soltanto i pazzi sono sicuri e risoluti", direbbe il Montaigne dei "Saggi" (I, 26). Esplora altri terreni, allentando la briglia all’invenzione. Senza preoccuparsi della norma e senza esercitarsi nell’innovazione che divora se stessa. Alla maniera di Dante all’"Inferno" (XI, 93): "Che non men che saper dubbiar m’aggrada". Procede così a ranghi sciolti su un fronte vasto, da esperienze trite: la casa, la famiglia, la professione, il reddito. Ibsen irrompe nella personalità – nella personalità della morale puritana: non c’è una Nora palermitana o napoletana, e neppure lombarda. Pirandello irrompe nell’ordinario quotidiano.

Romanticismo - È una forma di femminismo. Si fa nascere da un falso, il falso Ossian, puritano, cioè portato alla morte. E questa tendenza ce l’ha, sono due secoli ormai che opprime il mondo. Ma l’idea romantica della donna e dell’amore è opera delle donne: D’Aulnoy, Monaca portoghese, Lafayette – quella dei trovatori e della cavalleria è posata, formale. Quindi nei romanzi e all’opera una serie di eroine si sono succedute, Bovary, Anna Karenina, Norma, Violetta, Tosca, Lucia, con un contorno d’imbecilli.

Roth Joseph – Wittgenstein incontra a Vienna ("Diari segreti", 6 gennaio 1915) un capitano Roth "infinitamente antipatico" a pranzo a Möndling. J. Roth è invece "infinitamente simpatico": è questa la qualità della sua prosa, accattivante. È eccezionale perché è tedesco. È l’unico scrittore tedesco (forse anche Schiller – Goethe l’avrebbe voluto) aperto alle passioni. Scrittore di cuore e non di testa. Perché è ebreo? Ma era ebreo Freud, che invece scrive di testa. C’è uno scrittore ebreo passionale e non cerebrale? Qualcuno arriva all’ironia – Singer, Philip Roth. È poeta dei reduci. Poeta in quanto non è riuscito a andare a fondo del loro dramma, da idealista buttato nel sangue e nel fango. Non si pone mai la domanda, con facile risposta: che idealismo era il suo? Per il vecchio kaiser? Per una patria che nessuno minacciava? Per acquisire un’altra identità, tedesca, comoda nello Stato plurinazionale? Se così è, è un caso drammatico dell’assimilazione – della trasmigrazione in una cultura e una società "superiori". Perché l’ironia di J. Roth, il suo senso critico, si ferma al di qua? La sua tragedia è in questo essere un moderno nessuno, vissuto e non di comodo. Si salva col dono della scrittura, da giornalista e da narratore. Può darsi che la capacità di affabulazione ottunda o acuisca l’autocritica (l’autodissoluzione, il masochismo involontario)? Heine se ne sta fuori allegramente, Kafka e J. Roth vi s’impantanano. Se l’autocoscienza è una pesca random, l’affabulazione ne ingigantisce e irrobustisce le reti micidiali.

Shakespeare – L’onestà, secondo Antonio del "Giulio Cesare", è la forma più raffinata d’inganno. Di che cultura è la violenza di Shakespeare: della Controriforma, della Riforma?

Stendhal – Il Cenci-don Giovanni assomiglia al "Don Juan" di Byron. Stendhal incontra Byron con Hobhouse a Milano nel 1816: è uno sconosciuto, gli inglesi se lo filano poco. Byron compone il "Don Juan" nel 1818. Hobhouse è l’unica testimonianza vera su Stendhal a Milano. Tardiva, a cinquant’anni dai fatti, quando scopre che Stendhal è diventato una celebrità. E tuttavia sempre riduttiva. Lo incontra con Byron, a casa Breme e altrove, con "molte celebrità", che Monti, Pellico…: "Uno degli Intendenti dei Mobili della Corona, già segretario di gabinetto di Napoleone"; "c’era lì un Monsieur de Bayle, uno dei segretari di Napoleone"; "ha un modo troppo crudo di dire le cose"; "ha l’aria d un materialista, e lo è senza dubbio".

Strutturalismo – Musil, "Saggi", 76, contro le analogie cui indulge Spengler: "Esistono farfalle giallo-limone ed esistono cinesi giallo-limone. In un certo senso si può allora dire: la farfalla è il cinese nano alato mitteleuropeo". Che c’entra Spengler con lo strutturalismo? Già. 

Tomasi di Lampedusa – L’incongruità di una moglie lituana, nobile spiantata, analista. Moglie di quanto di più siciliano c’era a Palermo, e refrattario alle psicoscienze. Chi la frequentava? Aspiranti mondani, abbastanza freddi da superare il ridicolo? Borghesi ricchi? Le signore? O non era la principessa Tomasi ritenuta una strega – atteso anche l’aspetto fisico? La psicanalisi si presterebbe a rinverdire l’esoterismo – pendoli, divinazione, spiritismo – in ambiente disponibile. I cugini Piccolo ne erano ghiotti. Tomasi sarà stato inattaccabile a tutto quello con cui ha convissuto.

Wagner – Come non leggerlo con la "grammatica" di Ludwig I e II, falso Rinascimento, Neuschwanstein, etc.? Con la differenza che i Ludwig non ne facevano una filosofia, tanto meno dell’avvenire. Non ne facevano nemmeno un’arte, essendo in parte buontemponi in parte matti. 

 Woolf, Virginia – Il cambiamento di sesso ("Orlando"), come trovata, non è inedito. Come caso doloroso, di grave squilibrio psicologico (Herculine Barbin). Come caso d’avventura ("L’alfiere"). Nel porno (Eleonora, nel racconto omonimo della rivoluzione francese, cambia sesso con le circostanze). Altre volte è vissuto, nella realtà o nell’apparenza (Capitan Fracassa, Giovanna d’Arco), come maschera liberatoria, un esercizio teatrale. Ma Orlando non soffre, non gioca e non insegue il piacere. È l’indifferenza sessuale. letterautore@antiit.eu

Ombre - 29

Attacca la Rai il governo Berlusconi, e la attacca "il Giornale" di Berlusconi. Una cosa che più sfrontata non si può. E tuttavia, i sei milioni di ascoltatori di Santoro, l’oggetto dell’attacco, sono isolati. Come se gli altri diciotto milioni di spettatori fossero tutti contro di lui. Sono fascisti i diciotto milioni o i sei?
Santoro dal canto suo gongola: tra Berlusconi e Masi non potrebbe augurarsi nemici migliori.

L’Europa conta poco o niente nel G 20, come conta poco nell’economia globale, che si è fatta a sua insaputa, tra Usa e Cina – mentre ‘Europa si offendeva per Tienanmen, Clinton liberava il drago cinese. Quattro presenze, Germania, Gran Bretagna, Francia e Italia, cinque con la Commissione di Bruxelles, grandi di storia e prosopopea, e niente: le banche falliscono, si salvano, e si pagano lauti bonus senza che l’Europa possa dire bah!, l’euro conta meno dello yuan, e dello yen, le guerre si fanno a sua insaputa, tratta per l’Iran senza saperne nulla. Non è una novità. Ma "La Stampa" e il "Corriere" dicono che solo l’Italia non conta. Per dare ragione a Berlusconi, che lamenta il disfattismo?

Il gruppo L’Espresso avvia, con l’incrociatore leggero "Micromega", lo smantellamento di Di Pietro. Per ora sono tiri d’assaggio. Che non escludono, anzi implicano, una ricomposizione. Ma è uno dei due assi storici di Mani Pulite che si rompe, quello De Benedetti-Passera-Di Pietro.
È un aggiustamento in vista dell’unione nazionale? Certo, l’unione non si può fare senza Di Pietro: Berlusconi non si metterà mai da parte, se non morto.

Si continuano a nascondere le pattuglie dei vigili e della stradale, e gli autovelox, malgrado il decreto del ministro Bianchi che ne impone la visibilità. Non pattugliano le strade per ricordare la prudenza e dissuadere gli imprudenti, ma per fregare gli automobilisti, spesso anche i prudenti. Contro le legge. Una tendenza insopprimibile a essere sbirri: sarà italica? Da segnalare a Ciampi per le celebrazioni?
I comuni che installano autovelox, a guardare bene in giro per l’Italia, sono di sinistra. La sinistra è più lenta? Ha più bisogno di soldi? È legata ai (tre) fornitori di apparecchi, e del relativo servizio di telemetria?

Capita col giornale un supplemento, a pagamento, di pubblicità. Ce ne sono a giorni fissi, che quindi si possono evitare, e per caso. È il caso di "Style", un mensile del "Corriere della sera". Nonché pagarli, non si riesce nemmeno a evitare la curiosità di sfogliarli. Sono la pubblicità più sgradita, perché è scritta come se fosse un articolo, di giornalismo. Ma "Style" di ottobre ha di più: lo scrittore Scaraffia che dandineggia su un signor Perini e la Perini Navi. Che non si sa cosa sia, ma si fa fotografare premiato con i suoi tristi manager in Costa Smeralda, le solite targhe dallo stesso premiato pagate. E gli dà un premio all’eleganza. Eleganza?

Lunga cronaca di Gianluca Luzi su Berlusconi all’Assemblea dell’Onu a New York. In cui si parla soprattutto di quattro righe del "Wall Street Journal", contro Berlusconi e contro l’Italia in Afghanistan.
Lo spazio non manca, ma non basta all’inviato di "Repubblica" per dire che il "Wsj" è di Murdoch e obbedisce al padrone. Che è in guerra contro il digitale Mediaset.
Ma, certo, non è un golpe intellettuale, come Brunetta pretenderebbe. È piuttosto aria di dossier.

Si litiga nel Pd sulla Ru486, l’aborto fai da te. La senatrice Bianchi, capogruppo in commissione Sanità, lascia l’incarico. Commenta Ignazio Marino: "Dorina Bianchi è omai un problema oggettivo per il Partito Democratico".
Questo scienziato che non è scienziato, medico che non è medico, cattolico che non è cattolico, (ex) comunista che non è mai stato comunista, si scopre infine che cos’è: è uno stalinista (oggettivo era il Diamat staliniano, l’indimenticabile materialismo dialettico). È pure candidato a capo del Pd, o anche la candidatura è falsa?

"Striscia la notizia" presenta la stagione parodiando l’uso e abuso di dossier nei giornali. Feltri è fotomontato su Noemi Letizia, Ezio Mauro tra due ragazze. I parlamentari Zanda, Pd, e Donadi, Idv, criticano aspramente "la tv di Berlusconi" che "diffama" il direttore di "Repubblica" e presentano istantanee interrogazioni. Su (non) sollecitazione di Mauro, questo (non) è un golpe - che dice Brunetta? In fondo sono cose per ridere.
Da non trascurare: "El Paìs", anch’esso all’istante, denuncia la libertà di stampa defunta in Italia. Ora, "Striscia la notizia" la vendono anche in Spagna? Diavolo d’un Berlusconi….
È sempre lo stesso schema: Berlusconi fa di tutto per perdere, e niente, i suoi nemici lo fanno rivincere.

Sarkozy fa causa in Francia contro Villepin, che voleva incastrarlo per conto di Chirac e impedirgli la candidatura all’Eliseo – i tre sono dello stesso partito. I giornali del made in Italy spirituale sono per Sarkozy. Ma praticando essi stessi ogni giorno gli incastri di Villepin – che non per nulla sarà buon italianista. Anche se la ricetta francese, dossier, traducono in americano, gossip.
È il dossier Villepin di Sarkozy che tace il fatto che Sarkozy in quanto presidente è anche il capo in Francia dei magistrati, e quindi non dovrebbe fare causa?

Bernard Henri Lévy va col ministro francese della Guerra in Afghanistan, e lo trova pacificato. Non tutto, le zone controllate dai francesi. Che hanno avuto più morti degli italiani, con meno uomini impegnati, ma, certo, sono "meglio". Questo, uno, è quello che crede il "Corriere della sera", il giorno dopo i funerali dei militari italiani, morti si è ampiamente scritto per niente.
Due: si può immaginare Vattimo che va in Afghanistan, magari con Parisi che le truppe italiane ce le ha mandate invece che con La Russa, e dica che la pace è possibile?

A due settimane dalla loro partecipazione al lancio del "Fatto", i giudici di Palermo Ingroia e Scarpinato si giustificano col dott. Battista del "Corriere" dicendo che hanno presenziato per informarsi di che giornale si trattasse. Richiesti di collaborare, dicono, volevano vedere che giornale è.
Si può essere ipocriti, la legge non lo proibisce. Ma perché esserlo?
I due giudici si fanno vivi sul "Corriere" a due settimane dalla cronaca di Pierluigi Battista, il giorno dell’uscita del "Fatto". Non per cercare visibilità, per se stessi e per il "Fatto".

Si celebrano i funerali solenni dei morti in guerra, con una coreografia impressionante, con larga partecipazione e anche commozione. Muore anche la prima vittima italiana dell’influenza suina. Ma il cardinale Bagnasco convoca tutti i vescovi italiani e, con le tendine tirate, difende il "caso Boffo". Il caso Boffo?
Roba da preti, di cinquant’anni fa. Per Nassirya il predecessore di Bagnasco, Ruini, era stato il pacificatore degli italiani. Altro carattere forse. Ma altra concezione del sacerdozio: c’era Giovanni Paolo II e ai vescovi politicanti italiani aveva messo la museruola. A fin di bene, come si vede.

Il giudice libera dopo ventiquattro ore Tarantini, che la Procura aveva messo dentro per pericolo di fuga e inquinamento di prove. Dopo un anno, più o meno, che lo indaga, la Procura ha tentato di passare al "metodo Di Pietro": sbattere uno dentro buttando via le chiavi, secondo la terminologia del secondino, qualcosa dirà. Tarantini si è meravigliato, avendo finora collaborato. Ma, evidentemente, non ha detto il nome che la Procura di Bari si aspetta.
Insomma, nulla di nuovo. Ma D’Alema? È lui tutto questo, che sempre preannuncia nuovi scandali?