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sabato 4 marzo 2017

I servizi sauditi

Il futuro complottista avrà buon gioco a dire che i servizi americani, così come quelli inglesi,  di cui è noto l'opportunismo,  erano nel 2016 e sono nel 2017 al soldo dell'Arabia Saudita. Se il nemico dell'Occidente è la Russia e non l'islam radicale - o la Cina, il vero player globale alternativo agli Usa, ma di questo non si parla. Oppure al soldo del big business del riarmo. O di tutt'e due. Naturalmente non è vero, che ne sappiamo noi?, ma è come se.
Dal "New York Times"all'"Atlantic", l'opinione più radicale anti-Trump si interroga sul perché questo stia avvenendo. La scoperta in continuo di contatti dei trumpiani con Putin. A che scopo non si sa. Perché  i 25, o 27, servizi Usa d'informazione non hanno prevenuto l'attacco informatico russo. E, sopratutto, dove è come questo attacco si è realizzato, e a che fine. Allo stato è una colossale fake news. E perché questi servizi la alimentano?
Si rispolvera l'insofferenza dell'ultimo Obama, onest'uomo, stanco, di fronte alle cabbale che gli ammannivano Cia e Fbi. In generale c'è  riserva,  non entusiasmo, per la campagna dell'Fbi, contro le nomine di Trump, di strutture e funzionari non noti come liberal, che si servono anonimamente del "Washington Post" di Jeff Bezos.
In generale, non detto, non oiacciono questi servizi che intercettano tutti su tutto. Anche Angela Merkel. Approffittando forse del poco rigore delle amministrazioni Obama. E non hano prevenuto un solo attentato.
Su un punto c'è più di un sospetto della manina "saudita", dei potentati arabi: lo schieramento di Trump a favore di Israele, il primo atto concreto della nuova amministrazione. Molti dirigenti hanno lasciato il Dipartimento di Stato,  ma con buone sistemazioni.

Il mare sia di Putin

Dopo la Siria la Libia - questo sito lo prevedeva un paio di mesi fa,
http://www.antiit.com/2017/01/la-pace-di-putin-per-la-libia.html
ma è nell'ordine delle cose. Il Mediterraneo è uno spazio aperto. Per la debolezza Usa dopo il 2011, di Obama al secondo mandato e ora della transizione. Nell'assenza dell'Europa, soddisfatta di aver creato un problema all'Italia - beffardamente nel centenario dell'occupazione (la guerra è finita lo stesso mese dello sbarco delle truppe di Giolitti).
Era, è, quasi un obbligo per Putin occupare quella casella vuota. Tanto più se la metà della Libia glielo chiede, quella che ha il petrolio. La parte trascurata dall'Italia, su indicazione Usa ma non si sa perché.
Doppio paradosso: l'entrata in gioco della Russia è auspicato dall'Italia. Segretamente ma non del tutto. Perché, facendo salvi gli interessi petroliferi, è l'unica possibilità di ri-governare quello che a tutti gli effetti è un "paese aperto", un lungo confine incontrollato, se non dai trafficanti di uomini.

L'immigrazione è l'effetto Schengen

L'immigrazione selvaggia è uno degli effetti dell'abbattimento delle frontiere all'interno della Ue. È argomento degli anti europeisti, ma non infondato.
L'assalto, non c'è altra parola, alle coste italiane, greche, spagnole, e alle frontiere deboli dei Balcani esplode con l'attuazione degli accordi di Schengen. La libera circolazione europea ha significato offrire ai trafficanti di uomini, in Africa e in Asia, frontiere aperte, per tutto il Mediterraneo e nelle plaghe balcaniche. Per un traffico talmente conveniente che si è allargato da ultimo all'accantonaggio - alle tribù africane che, sebbene stanziali, si fanno un mestiere dell'elemosina.
Non importa le destinazione, basta entrare nello spazio europeo. Il che dà diritto a benefici che, benché minimi, sono un tesoro per molte vite africane. Garantiti dagli stessi trafficanti con proteste e manifestazioni.
La regolazione dell'immigrazione selvaggia deve prevedere, oltre che accordi con i paesi di provenienza, anche una revisione di Schengen. La Danimarca se ne è tenuta fuori e la Gran Bretagna trova più conveniente uscirne. Ma il "tagliando" a Schengen si impone comunque.

Il tricolore rivisitato

È il giornale dell'unità redatto al liceo per i 150 anni nel 2011, un fake riuscitissimo. Ci scrive anche Cavour.
Una celebrazione e uno scherzo colto, molto. Una serie di pastiches riescono a creare l'atmosfera postunitaria. Se non vera, verosimile. Di aspettative ottimistiche. Ma anche, all'ingrosso e al dettaglio, per entusiasmo o pregiudizio, di problemi che non si prospettavano o si aprivano.
"Il Tricolore", 2011, liceo Melchiorre Gioia, Piacenza
free online

venerdì 3 marzo 2017

L'America di Trump, fuori controllo

Immigrazione e sanità, su questi temi - e sull'orgoglio dei bianchi poveri - Trump ha vinto le elezioni, e su di essi quindi si concentra l'opposizione liberal e democratica. Ma più quella intellettuale, non la politica. Il partito Democratico teme le iniziative di Trump su immigrazione e sanità perché potrebbe ottenerne la legittimazione che ora gli viene negata.
Nuove regolamentazioni sono necessarie. Gli Usa hanno sempre avuto politiche selettive dell'immigrazione (scaglioni, contingenti), grazie alla semi-insularità, e non sanno assuefarsi alle porte aperte, all'europea, ora che il passaggio dal Messico è libero, cioè organizzato dalle mafie. I costi della sanità, un sistema pubblico governato dalle assicurazioni, strano ibrido, sono eccessivi,  per gli Stati e per i meno abbienti - fuori controllo anche negli Usa, negli Stati del Sud, dove i redditi medi sono più bassi.


L''America di Trump, o dei corpi separati

L'Fbi è contro Trump, la Cia era contro Hillary Clinton. L'Fbi ha già fatto silurare, via "Washington Post", una nomina eccellente di Trump, e ora vuole affondare il ministro della Giustizia. La Cia aveva affondato H. Clinton con un siluro diretto.
La più grande democrazia del mondo - dopo l'India certo, bisogna essere corretti - è in mano alle sue spie e polizie. Avrà effettivamente molto di inventare Trump se vuole "restaurare" l'America.
L'Fbi accusa il ministro Sessions,  e cioè Trump, di aver tramato con Putin per fare aiutare Trump. In realtà accusa Sessions-Trump in base al dossier di un "consulente" psgato, una ex spia inglese. Su un hackeraggio russo in favore di Trump, che sarà la più colossale fake news in circolazione - non si spiega né chi né come, e nemmeno che cosa. Nel caso, Sessions è accusato di aver parlato con russi nel quadro di un comitato interpella mentre.
È l'esito naturale della presidenza prr missiva di Obama. Aggirarsi alle spie inglesi, ancorcohé ex, roba da romanzi. Che si penserebbero,  al meglio, al soldo di Putin: era un povero russo e ne hanno fatto un gigante, alzandogli palle facili, su campi in realtà aperti, senza avversario, in Crimea, in mezza Ucraina, in Siria, e ora in Libia.

Le miserie del bullismo

Il primo romanzo dell'infanzia tradita (è del 1999), il trademark di Ammaniti. Qui ancora senza il rapporto col padre. Una catastrofe, una serie di catastrofi, generate dal bullismo - un tempo so sarebbe detto delle cattive compagnie.
Meglio andrà Ammaniti sull'infanzia e l'adolescenza rubate, pervertite, con "Io non ho paura", Viareggio, record di vendite prima di "Gomorra", e con "Come Dio comanda", Strega. Ma questa prima prova evidenzia il genere - suo come di Saviano: una sorte di docuprosa. Una messa in narrazione di test-case, di situazioni psico-sociali, anche reali, ma ipotetiche. Non di storie uniche, o personaggi scolpiti; restano inevitabilmente, anche se drammatiche, figurazioni piatte, non memorabili.
Niccolò Ammaniti, Ti prendo e ti porto viaLa Biblioteca di Repubblica - L'Espresso, pp. 495 euro 9,90

giovedì 2 marzo 2017

Problemi di base grillini - 316

Spock
Mi si nota di più se mi querelo?

Grillini piagnoni, come al tempo di Savonarola?

Savonarola fu bruciato, Grillo?

Votiamo Grillo in massa per il reddito di cittadinanza: benefattore dell'umanità?

L'Olimpiade no, lo stadio si: meglio spendere che incassare?

Torino e Roma, è forte Grillo coi voti di Berlusconi: non sarà una staffetta?

Si chiama Grillo ma non sarà Berlusconi, coi riccioli?

Sa tutto Grillo, di tutti i suoi, cosa si dicono al telefono, e anche in camera da letto: è  come Dio?

Virginia Virginia, il nome e tutto ( sotto il nome niente)?

spock@antiit.com. eu

Contro Rousseau

Joseph de Maistre da destra, come già Voltaire da sinistra, vedevano in Rousseau un "nemico del genere umano". Ma mentre Voltaire si è schermito, rifiutandosi al commento degli invii omaggio, De Maistre ci ha riflettuto sopra con durezza. Dapprima contro il "Contratto sociale", subito dopo, in questo pamphlet,  contro "L'origine della disuguaglianza" - la natura è buona, la società cattiva.
Ironico, sarcastico, sferzante, rilegge questo Rousseau in modo quasi spassoso. Nessuna incongruenza, nessuna faglia è trascurata. Soprattutto il tono generale della dissertazione: una scorribanda senza senso, così la legge meravigliato il suo critico. Insensibile alla natura, che vorrebbe santificare. Insensibile alla procreazione, alla donna, ai figli. Superficiale: "Non vede in tutto che la scorza delle cose". Di "carattere eccessivo". Svagato:"L'errore, negli altri scrittori,  procede lentamente e nasconde il suo incesso; ma in Rousseau non ha pudore". Tesi sbagliata. Dedica presuntuosa, "alla città di Ginevra", che non l'accolse bene.
L'obiezione di de Maistre è semplice: l'uomo è attivo e perfettibile, un essere sociale. La partita si gioca a ruoli rovesciati; l'antillumimista adotta la ragione, che Rousseau chiama invece "i lumi funestidell"uomo civile". Più che il rovesciamento, a de Maistre piace spiegare che il "filosofo" Rousseau procede in realtà "a casaccio", come lui stesso dice in nota.
Numerosissimi i rimproveri specifici. La società civile? Termine equivoco. E chi è primitivo e chi civilizzato? Ma,poi, anche lui è fine, vivace, e apodittico, come Rousseau.
Joseph de Maistre, Stato di natura. Contro Jean-Jacques Rousseau, Mimesis,  pp. 70 euro 10

mercoledì 1 marzo 2017

Ombre - 356

L’Fbi che paga una ex spia britannica per confezionare un rapporto contro Trump (“Trump e Putin”) in campagna elettorale è troppo vera per essere inventata – a parte il fatto che non ci sono “ex” spie. E questa è l’America buona.

“Insensibili, assenti, disorganizzati, incapaci”. Non trovano parole abbastanza aspre i familiari di Fabrizia Di Lorenzo, una delle vittime della strage del mercatino di Natale a Berlino, per dire della Germania. Dell’indifferenza.
La Germania risponde il giorno dopo, fredda e insensibile.
L’Europa è di là da venire. Anche come genus umano – soprattutto come genere.

“O.J.: Made in America” vince, “Fuocammare” perde. Due docufilm su problemi attuali, entrambi corretti  politicamente, il secondo è anche un capolavoro, narrativo e di immagini, ma vince il primo perché Ezra Edelmann, che l’ha confezionato, è afro. C’è correttezza e correttezza - Trump è una reazione forte, ma non strana.

Mahershala Ali, che Hollywood autocelebra come il primo mussulmano a vincere un Oscar, doppia sconfitta quindi per Trump, è di una confessione fuorilegge nel suo paese di origine, il Pakistan, paese islamico.

Quarantaquattro milioni gli americani che nel 2015 vivevano in povertà, il 15 per cento della popolazione. Non invisibili: sedici milioni risiedevano nelle periferie urbane, tredici milioni nelle città.

“Lo stereotipo della sessualità gay come trasgressione è molto comodo per gli omofobi” (Ivan Scalfarotto). È – era – comodo anche per gli eterosessuali, lo stereotipo della sessualità come trasgressione. La liberazione è dal desiderio.

“Sesso a pausa pranzo” raccomanda un Comune svedese - naturalmente autorevole, in forza della latitudine. Era la ricetta di Lukáks, il filosofo, che non avrebbe saltato un giorno, pur facendolo, monogamo, a casa con la moglie. Ma anche l’orario spezzato di uffici e negozi ci deve – doveva – entrare, la cosiddetta “pennichella”. 

 “Democracy dies in darkness”, il “Washington Post” adotta come testata un motto di Bob Woodward, lo scopritore del Watergate. Forse potrebbero spiegare, il giornale e Woodward, come e da chi seppero del Watergate, roba di servizi segreti.

“Bullizzata perché eterosessuale”, la cestista Candice Wiggins da Baltimora lamenta dopo aver lasciato l’attività: “In un ambiente composto al 98 per cento da omosessuali”. Bulle insomma, come gli uomini, eterosessuali e omo.
Bisognerà difendere la specie.

Mediaset ha acquistato a caro prezzo i diritti di Champions’ League, tanto da mettere a rischio la solidità patrimoniale. Ma fa vedere le sintesi delle partite all’una e mezza di notte. Un caso di suicidio assistito? L’eutanasia pende piede anche nel calcio, sarà una moda.

E dunque, finito il lungo travaglio, partorito il nuovo partito, la novità è che D’Alema dà dell’arrogante a Renzi.
Si terranno primarie su questa sfida, ma ognuno con un suo proprio partito, sicuro di vincerle.

I notabili sono sbarcati

Recuperato trent’anni fa, alla vigilia della morte, su “Micromega”, è il racconto di una beffa radiofonica che viene giocata al circolo dei civili nel paese dell’autore alla vigilia del voto del 1948: i russi sono già a Roma e comandano l’Italia.  Circolo di cui Sciascia confessa candido di essere stato parte: “Questo racconto l’ho pensato davvero”, scrive in una nota, “come uno scherzo da fare ai soci di un circolo che in quegli anni usavo frequentare”.
Pubblicato nel 1958 in edizione privata dall’Istituto Statale d’Arte di Urbino, il racconto fu da Sciascia lasciato fuori dalla raccolta “Il mare colore del vino”, la prima di suoi racconti. Perché aveva scoperto che lo scherzo radiofonico era già in una commedia di Eduardo De Filippo,”La paura numero uno”.
Lo scherzo antonomastico di quel tipo è – all’epoca lo era di più – “La guerra dei mondi” raccontata da Orson Welles la sera del 30 ottobre 1938 alla radio all’America sbigottita: i marziani sono sbarcati. Sciascia cita Eduardo e non Welles per conformismo politico? Il racconto è il prototipo dei tanti circoli di paese di Camilleri, e dei notabili da circolo, nelle caratterizzazioni e nel linguaggio.
Leonardo Sciascia, Arrivano i nostri

martedì 28 febbraio 2017

Letture - 294

letterautore

Accademia - All’Accademia Francese, la più prestigiosa, fanno la fila per entrare, e sono accolti, i letterati più modesti. I migliori non si candidano o sono respinti: Aragon, Bachelard, Beauvoir, Bernanos, Breton, Camus, Céline, Césaire, Colette, Duras, Gide, Giono, Gracq, Le Clézio, Malraux, Modiano, Perec, Proust, Sartre, Simenon, Tournier. Questa la lista che Franz-Olivier Giesbert fa dei respinti eccellenti su “Le Magazine Littéraire”.
Camus, Sartre, Le Clézio, Modiano sono premi Nobel.
Del passato Giesbert ricorda Anatole France, l’accademico per eccellenza, per questo anche premio Nobel, “del tutto morto il giorno del suo decesso”. Mentre il suo contemporaneo Zola si vide la candidatura respinta venticinque volte (il calcolo esatto viene continuamente rifatto, venticinque sembra il numero più probabile). “Ironia della sorte”, conclude Giesbert, Anatole France fu incaricato dell’orazione funebre in morte di Zola, che proclamò “monumento della coscienza umana”.

Nobel – Quello di letteratura è stato nel dopoguerra eminentemente francese: Gide (1947), Mauriac (1952), Camus (1957), Saint-John Perse (1960), Sartre (1964). Anche quello della pace: Léon Jouhaux (1951), Albert Schweitzer (1952), René Cassin (1968), 
La Francia è la più premiata dal Nobel Letteratura, 15 volte su 112. Fu francese il primo laureato, Sully Proudhomme. Sono seguiti Frédéric Mistral, Romain Rolland, Anatole France, Henri Bergson, Roger Martin du Gard, André Gide, François Mauriac, Albert Camus, Saint-John Perse, Jean-Paul Sartre, Claude Simon, Gao Xingjian, Jean-Marie Le Clézio, Patrick Modiano. .

Luca Asprea – Volle essere tutta la vita un sacerdote, l’autore de “Il previtocciolo”, il romanzo delle fantasie sessuali dei seminaristi, ma non ci riuscì. Una sua foto in clergyman ne accompagna i revival come autore del libro scandalo nel 1971, ma era solo un desiderio. Forse non pio.
Una storia che sembrerebbe romanzata. Anche perché coincide con quella, mezzo secolo prima, di Frederick Rolfe, il fotografo e scrittore inglese erotomane – gay – e autore  anche lui in pratica di un solo libro, “Il desiderio e la ricerca del tutto”. Conosciuto come Baron Corvo, lo pseudonimo ricevuto a Roma ai suoi trent’anni, dopo l’espulsione dallo studentato teologico Scozzese a San Pancrazio, dalla duchessa Sforza Cesarini (la londinese Caroline Shirley in origine), per tutta la metà dei sui cinquant’anni tentò in vario modo di farsi prete – si era convertito per questo al cattolicesimo, e si firmava a volte Fr. Rolfe, Frate Rolfe.
Ma per l’autore del “Previtocciolo” la questione è acclarata da Rocco Liberti, dotto e preciso storico locale, compulsatore inesausto di archivi, diocesani, comunali, privati, e in questo caso beneficiario delle confidenze del direttore del seminario di Oppido Mamertina negli anni 1950-1960, mons. Giuseppe Pignataro. Liberti, concittadino di “don” Luca Asprea sempre a Oppido, di una generazione più giovane, ne ha scritto sul sito Storicittà- Rivista d’altri tempi.
Carmelo (Carmine) Ragno, meglio noto con lo pseudonimo di Don Luca Asprea, fece gli sudi dalla IV elementare (ripetente) fino alla maturità in seminario. Dapprima (medie) nel seminario di Oppido Mamertina, poi in quello di Reggio. Dove, possiamo aggiungere, fu compagno del futuro arciprete Formica, che ritroveremo nel racconto, e di don Vincenzo Tripodi, che si farà un nome nella diocesi per avere adottato la catechesi neocatecumenale.  
A Reggio “Carmine” ebbe conferiti gli ordini minori, ostiariato, lettorato, suddiaconato. Dopodiché, nel 1946, Carmine aveva già 23 anni, sia il rettore di Reggio, padre Finelli, che il vescovo di Oppido, il famoso mons. Canino, ritennero opportuno mandarlo lontano, fuori dell’ambiente, al seminario di Molfetta, per testarne la vocazione. Il responso fu negativo. La congregazione dei Filippini, alla quale provò ad appoggiarsi, lo giudicò anch’essa “non chiamato alla vita religiosa”, sia a Napoli che ad Acireale. Da Acireale, Carmne s recò allora a Catania, dove chiese e ottenne l’ordinazione sacerdotale da un vescovo di rito greco, che si scoprirà scismatico. Dopodiché tornò a Oppido, dal successore di Canino, mons. Raspini, a cui si presentò come prete consacrato. Il vescovo chiese lumi alla Congregazione del Sant’Uffizio, che rispose doversi ritenere Carmelo Ragno “laico a tutti gli effetti, non eccettuato il matrimonio”.
Quello di Catania fu il primo di una serie di tentativi di Ragno, presso vari metropoliti ortodossi in Europa occidentale, di ricevere l’unzione sacerdotale. Intanto insegnava a Roma in una scuola privata, religiosa, raccomandato da mons. Raspini. Infine, ottenne un incarico, sempre di insegnamento, al seminario di Rossano in provincia di Cosenza. Fino al 1971, anno di pubblicazione del “Previtocciolo”.
Ragno-Aspera ci provò successivamente ancora col sacerdozio. E secondo Liberti riuscì almeno una volta a dire messa a Oppido, nella chiesa retta da un comune amico, di Regno e di Liberti (forse lo stesso don Formica), che non pretese da lui il celebret, il patentino dei preti. Seguì un piccolo scandalo, e Ragno si eclissò da Oppido. Dove tornerà giusto per qualche funerale – ma, “non trovando più ospitalità nel paese natale, si faceva accogliere da amici nei paesi vicini”. Vivrà a Roma, sempre insegnando in scuole private religiose.
Il Comune di Oppido, però, se non la diocesi, ne onora la memoria, come concittadino illustre. Gli ha fatto funer ali solenni, e la tomba onora di una grande incisione in bronzo, “A don Carmine oct. 2005”, e l’indicazione in maiuscolo “Sac. Carmine Ragno”.  
Come Rolfe “Baron Corvo”, anche Ragno-Asprea scrisse altro che “Il previtocciolo” – sul tema sempre del “Previtocciolo”: gli ardori sessuali delle femmine, soprattutto, e dei maschi di Oppido, dell’Oppido popolare. Se ne conoscono almeno due titoli, “Le baracche” e “I ‘mbozzichi”. La presentazione che Antonio D ‘Orrico fa alla riedizione del “Previtocciolo” lascia peraltro supporre che l’opera sia stata abbondantemente  editata alla Feltrinelli. Cioè tagliata e cucita se non riscritta. D’Orrico parla di un “voluminoso pacco”, e cioè “decine e decine di quaderni di scuola, quelli tradizionali, con la copertina nera, riempiti riga per riga con una fitta calligrafia” – i quaderni da 36, o forse 72, pagine. Poi precisando: “In tutto, erano centotrenta quaderni e rimasero in via Andegari per dieci anni”..

Evola – “Un matto abbastanza simpatico, scientificamente eccepibile ma narrativamente piacevole” lo dice Eco in una “bustina d Minerva” ora in “Pape Satàn A leppe” – e sempre “antisemita, anche dopo la guerra”.

Riso – Si vuole impossibile in –u. il riso è accertato nelle altre vocali, aperto in a e in o, riservato e maligno in e, isterico in i, per essere femminile, o intellettuale, impossibile in u. Ma le parlate lusitane allora, in Portogallo e in Brasile, Anfola, Mozambico, Guinea Bissau, e la catalana, la genovese, la calabrese?

Storia – “È permesso (lecito) violentarla, a condizione di farle bei figli” è battuta di Dumas. Che non è dei “Tre moschettieri”, come si è detto, e sarebbe stata detta in risposta alla critica di violentare la storia con i romanzi per cui era famoso (della battuta si danno varie redazioni: “Si può…”, “Che importa…”). Preso a partito per questo da molto femminismo, Dumas voleva solo difendere i suoi libri: i “bei figli” sono i libri, il “violentatore” ammesso è lo scrittore.  

Velo – Segnala – segnalava – nei libri di viaggio un altro mondo. Annemarie Schwarzenach fa la differenza in Bulgaria, passando da valli animate da “degne e amabili contadine che filavano sulla soglia di casa” a”vestigie dell’antica Turchia”: “Uomini in pantalone a sbuffo e turbante colorato, donne timorose velate di nero dalla ettas fino al pantalone annodato sulla caviglia nuda – le maomettane. Come schiave”.

letterautore@antiit.eu

Montalbano di lusso, contro la micragna

Un morto assassinato due volte. E i segreti cosiddetti inconfessabili tra un padre “scannatore” e i figli. Il racconto di Camilleri è sostanzioso, ancorato alle passioni prime. Sironi riesce sempre a magnificare la scena, malgrado le riduzioni di budget (evidenti: interni prevalenti, non più di quattro o cinque scenografie, pochi “campi”, tutto “piani”, schiacciati sulle figure). E a mantenere il ritmo ormai classico, del personaggio e dell’ambiente.
Alberto Sironi, Un covo di vipere

lunedì 27 febbraio 2017

Oscar trumpiani

Si comincia a capire il “fenomeno Trump” (perché l’America lo ha votato), rivedendo la cerimonia degli Oscar. L’autocelebrazione dei belli-e-buoni, della correttezza, della nuova politica. Che a Hollywood la notte degli Oscar doveva essere tre cose – tre cose da programma: premiare gli afroamericani (“Moonlight”, “Barriere”), dirci dei “relitti umani” (“Moonlight”, “Manchester by the Sea”, “Il cliente”, “Barriere”), e dire male di Trump. Che però potrebbe essersene rallegrato.
Tanta pompa per film tanto malinconici e anzi crudeli non può che rivoltare. È stato premiato anche “La La Land”, ma era ovvio. I premi politici invece, se si possono considerare in linea con la crisi che stiamo vivendo da dieci anni, colpiscono per la loro assurdità: la crisi è interiorizzata, non ci sono colpevoli, siamo vittime ma non si sa di che. Tutti grigi, tutti condannati. Anzi, i colpevoli siamo noi, vittime di noi stessi.
Uno non può che ribellarsi, per istinto di sopravvivenza. E se tutto questo è celebrato, tra papillons,  decolletés e champagne, allora vaffa, è l’ora dei Grillo-Trump. Manchester-by-the-sea, la cittadina a Cape Ann, nel ricco Massachusetts, dove il film è ambientato, ha votato compatta per Trump. Così come la Paterson di “Paterson”, film di ambientazione analoga, tra personaggi minimi e relitti umani – ma di altro spessore, non ha avuto bisogno degli Oscar per promuoversi.   
“Non rispondere alle provocazioni” era la parola d’ordine del Sessantotto - del movimento, dei cortei, delle manifestazioni: si dava per scontato che sotto e dietro ci fossero dei malintenzionati: Digos, fascisti, cani sciolti. Fino a che, presto, la “provocazione” non venne dall’interno – dalla purezza, la correttezza, la civiltà etc.: il disfacimento.

Il mondo com'è (296)

astolfo

Don Bosco – Allegro e sadico, per questo desueto? Un santo che influisce molto, attraverso l’ordine da lui fondato, i salesiani, e nella chiesa in genere, per l’attenzione ai giovani, ai poveri, agli sconfitti. Ma rimosso. Il suo manuale pedagogico, “Il giovane provveduto”, ha pagine cattivissime sul peccato e la morte.

Elettronica di consumo – Ha una velocità eccessiva di ricambio. E fa perdere tempo più che liberarne. Procedimenti e utensili si rinnovano a velocità insostenibile, con effetto di sostituzione  prima ancora del pieno sviluppo e utilizzo dei precedenti. Causando in tropi casi ingolfamenti – alcuni famosi sono degli stessi sistemi di scrittura Windows. Forse per un eccesso di sensibilità alla concorrenza. Sicuramente con l’esito di massimizzare la spesa, di alimentarla costantemente. Un effetto cui concorre anche con la politica del prezzo civetta, minimo (frantumato) o in riduzione.
Per questo eccesso di velocità è anche inemendabile. Anche nelle procedure riconosciute nocive, per esempio in face book. È asservitrice più che liberatoria.

Giuda – Divide con Ponzio Pilato il proscenio delle evocazioni evangeliche: non è tempo di martiri, e neppure di apostoli, ma di traditori e menefreghisti. Da Scorsese (i suoi gesuiti di “Silence” si vedono alla fine sicofanti dei persecutori nipponici) a Amos Oz: la salvezza attraverso il tradimento. Come tutto in questa epoca di crisi, anche la fiducia viene confusa col suo opposto, il tradimento. Non tanto per un gioco dialettico, o degli opposti che si toccano, ma per uno scadimento e forse una confusione: il rimescolamento dei valori in un pantano, un terreno abbandoanto.

Merita ricordare che Oz ripropone Giuda sulla scia di Scholem Asch, scrittore yiddisch, polacco emigrato negli Usa – Shemuel Asch si chiama il protagonista di Oz, uno studente in crisi. Asch nel 1939, nel romanzo “Il Nazareno”, fece di Giuda l’agente del Cristo: tradisce perché Cristo ne ha bisogno per completare il suo disegno. Giuda, quindi, come quello che ha innescato il cristianesimo. Che di Cristo e delle sue parole ha consentito la Passione, e quindi la Morte e la Resurrezione, e quindi il coagularsi della sua figura e il suo messaggio nella dottrina cristiana e anzi nella chiesa.
Ma già Borges e Caillois avevano preceduto Oz. Non sulla scia di Asch, ma di
De Quincey, che il Giuda salvatore ha proposto un secolo e mezzo fa. Il Giuda salvatore era “un’ipotesi tedesca” per De Quincey, “Giuda Iscariota”: “Giuda Iscariota condivise la comune delusione degli apostoli circa il regno terreno che, con l’avallo e gli auspici di Cristo, essi credevano predestinato e prossimo a maturazione per il popolo ebreo”. Decise allora di provocare il Cristo all’azione (alla crocefissione), di “comprometterlo”.
Come i suoi “fratelli apostoli”, così De Quincey sintetizza l’“ipotesi tedesca”, Giuda era calato nel “vecchio progetto biblico”, del Messia liberatore politico: “Nella loro mente, come nella sua, non si era ancora fatta strada l’intuizione della vera grandezza del messaggio cristiano”.
Non è tutto. Gesù era  il messia, continua De Quincey: “Attraeva a sé le folle”, e questo è il segno più sicuro della sovversione, ciò che più turba i poteri, quale ne sia la ragione, verità o dubbio: è “la paura del cambiamento” che “turba i monarchi”. Dunque, Cristo è un rivoluzionario mancato. Non fosse stato per Giuda, che lo convince al sacrificio.
Per lo stesso motivo poi Giuda finì male, suicida. Ma, benché suicida, De Quincey vuole che non si condanni. “Quanto più Giuda fu incline all’audacia, tanto meno può essere sospettato di ambiguità. Credeva di realizzare i più intimi propositi di Cristo”. E insieme “i desideri e le aspirazioni segrete della plebe di Gerusalemme”. Male e bene uniti nella lotta.
Oz fa finire la storia diversamente: Giuda si suicida quando perde la fede. Ha spinto Gesù alla crocifissione, ma non regge all’idea del figlio di Dio morto.

Grillo – Si può dire un prodotto del Sessantotto – è del 1948. Nel movimentismo, e nella radicalità. Anche nell’ambiguità politica, tra “valori” di sinistra e di destra. Un prodotto atipico, oltre che tardivo, poiché non ha fatto parte del movimento, in nessuna forma. Ma ne ha mediato lo spontaneismo, e la radicalità – imprevedibilità. 

Iscrizioni – Il patrimonio architettonico romano in Libia richsiò la cancellazione nel 1970, subito dopo la presa del potere da arte di Gheddafi. Che, in sintonia con le Guardie Rosse di Mao, aveva dichiarato la cancellazione di tutte e iscrizioni imperialiste. Si cominciò con le targhe dell’occupazione coloniale, quasi tutte peraltro di epoca fascista – ma la gran parte furono nascoste dai curatori del museo di Tripoli negli scantinati. Poi si cominciò con le antichità romane partendo da Sabratha. Senza il fanatismo e la ferocia delle Guardie Rosse: tutto era affidato a uno scalpellino, che poi era un custode, ignorante. Ma qui,dopo pochi giorni, alle prime segnalazioni allarmate dei visitatori, l’ordine fu fermato.
Le iscrizioni devono possedere magia potente, ancorché illeggibili. L’arte ha esiti sicuramente terapeutici, quasi taumaturgici. La pietra stessa diventa nell’arte più pietra. Si ricorda che gli assiri di Urmia scorticavano gli inglesi quando li beccavano a trascrivere antiche iscrizioni. Che non erano le loro, gli assiri erano arrivati nella regione non prima del settimo secolo. E che poi, partiti gli inglesi, hanno lasciato ai curdi, i quali la abitavano prima e non avevano cessato di combatterli. Pure i Borbone di Napoli proibivano la trascrizione delle lapidi a Pompei.

Movimenti – Non hanno prodotto leadership, né il Sessantotto né il Settantasette. Capanna, Boato, lo stesso Sofri? Hanno rinnovato, anzi ribaltato, la società, per moltissimi aspetti, l’etica, il diritto di famiglia, il diritto del lavoro, e i linguaggi, ma non hanno espresso nessuna forma di leadership politica, se non questa, tarda, di Grillo. Tra i politici ancora in attività si possono ricondurre al Sessantotto D’Alema e Bersani, che però sono piuttosto un prodotto del Pci, anche se hanno flirtato coi movimenti - mentre Grillo non era in politica e non era nel movimento.

Sacco di Roma – Nonché dominante nel romanzo di Manzoni, e nella storia del Sud Italia, la Spagna è stata la più grande nemica dell’Italia indipendente, da Carlo V a Filippo III. Dal “sacco di Roma” nel 1527 alla congiura spagnola di Venezia, o di Bedmar un secolo dopo, nel 1618. Un secolo che ha visto consolidarsi i grandi Stati europei, ma non l’Italia, per la repressione spagnola.
Col “sacco di Roma” il cattolicissimo imperatore Carlo V umiliava il papa, contro il quale mandò per spregio i lanzichenecchi tedeschi. E col papa avvilì Roma, ciò che Roma ancora rappresentava nella politica e nell’idealità europee.
La congiura spagnola a Venezia nel 1618 era stata preparata dall’ambasciatore, marchese di Bedmar. Su istruzioni del duca di Osuna viceré di Napoli, Pedro Tellez Giròn. Si trattava semplicemente, abbattuta la repubblica, di impadronirsi delle terre veneziane, in terraferma in Italia, e lungo le coste del Mediterraneo orientale, dall’Adriatico in giù. Venezia non era comunque più in grado di rispondere al gesto ostile: scoperta la congiura, si limitò a rimpatriare l’ambasciatore.

astolfo@antiit.eu

Neo realismo made in Usa

Casey Affleck, premio Oscar, ha la stessa faccia per tutto il film, due ore e mezza. E lui c’è in ogni scena: da caso umano o povero scemo - “cosa volete da me?”. Ogni tanto fa a pugni ma come riflesso condizionato, da belva impaurita. Ogni scena – altro Oscar - è peraltro uguale alla precedente. Non ci sono scarti. C’è una sorpresa, ma prevedibile. Quando celebriamo gli Oscar cosa celebriamo?
È il quarto o quinto film americano della stagione, con gli altri due premiati, “Barriere” e “Moonlight”, e con “Paterson”, che adotta lo schema neo realista. Dei semitoni, dei grigi, della ripetitività - di facce scene, battute. Per ragioni forse di economia, sicuramente di poetica: sarebbe il cinema della crisi. Che però si vive a parti invertite. L’Europa ci ride su, in qualche modo, alla Frank Capra, l’America affetta sofferenza – impegno sociale, impegno civico.
"Manchester va oltre, volendosi monotono -non sdrucciolo. Qualcosa vuole de "La donna di sabbia", l'impareggiabile exploit del giapponese Hiroshi Teshigehara - anche la lunghezza è uguale, 147'.
Kenneth Lonergan, Manchester by the Sea

domenica 26 febbraio 2017

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (318)

Giuseppe Leuzzi

Garibaldi fu un brigante, anche lui? Come non pensarci? I bersaglieri gli spararono ai Piani di Aspromonte, e lo arrestarono.

“Bossi odia tutti i meridionali (e se percepisce poi uno stipendio pagato anche con le tasse dei meridionali, questo è proprio il capolavoro della malevolenza, dove all’odio si unisce il piacere del danno e della beffa)”. Questo Eco scriveva nel 2011 (“Pape Satàn A leppe”, 246), ora magari Bossi è mite, la mano dell’irruenza è passata a Salvini. Che, non essendo senatore né ministro, non percepisce lo stipendio dai meridionali. Ma il suo partito sì, è ben spesato.
Lo fu anche la famiglia di Bossi.

Il caso Tifanny ha avuto un seguito, la pallavolista brasiliana che è stata uomo ingaggiata dalla Golem Palmi. La Delta Informatica Trentino, che Tifanny ha personalmente e quasi da sola sconfitto, medita ricorso. Ma più di tutti protesta la Millennium Brescia, prossima avversaria del team palmese. Come è giusto per una città leghista.

Protesta con Tifanny alla Golem Palmi per la Millennium Brescia un dg di nome Catania. Il leghismo non ha confini. O: il Sud è terra di quisling.

La linea della palma
Scandalo e sconcerto a Milano perché un ragazzo ha dato fuoco a una palma, giornali e tg allarmati, invocazione all’esercito, e i soliti “chi c’è sotto” e “a chi giova”. Anche a casa mia i ragazzi hannp dato fuoco a una palma, e non è successo nulla. Si può dire che una casa in Calabria non è piazza Duomo a Milano – la palma bruciata era situata in piazza Duomo. Ma l’incendio davanti casa non era più pericoloso che sulla grande piazza lapidea? Il Nord è per questo inarrivabile: si protegge anche nelle virgole.

O lo scandalo nasce perché le palme in piazza del Duomo le ha volute Starbucks, la multinazionale del caffè, come messaggio promozionale del prossimo sbarco a Milano? Dev’essere così, lo scandalo lo alimentano i Moratti, che sono soci del caffettiere americano nei suoi progetti di macdonald’s del caffè in tutta Italia.
Il ragazzo che ha dato fuoco alla palma è venuto a proposito, per tenere vive le palme-caffè Starbucks qualche altro giorno, dopo quelli dello scandalo per le palme in piazza Duomo. Ma Milano non  ha bisogno di conferme, sa fare gli affari. 

La palma è stata incendiata di notte, che la fiamma splendesse, all’ora dell’uscita dai cinema del centro. Quindi fotografata molto e postata sui social network. Senza chiamare il 112 o il 113. No lo allertano nemmeno i pompieri, quando intervengono a incendio spento. È per questo che la proprietà il giorno dopo si è mobilitata, con  suoi apparati di relazioni pubbliche, per far nascere lo scandalo. Oportet ut scandala eveniant.

Ma le palme in piazza Duomo sono piantate o soprammesse - se ne parla come di installazione estetica? Se piantate, non si è alterato l’assetto lapideo e la ceduta sgombra di piazza duomo? Fosse successo a Reggio Calabria…. Se sovrammesse, perché sacrificare le palme a una promozione pubblicitaria? Ma di queste cose i protettori dell’ambiente non chiedono conto a Milano, il business  è sacro.

Sciascia, che ha inventato la “linea della palma”, la corruzione che dalla Sicilia sale invasiva, ne sarebbe deluso. L’ottimo Daverio spiega che le palme si Milano non sono quelle arabe e mediterranee – le vittime “del punteruolo rosso, il temibile Rhyncophorus ferrugineus, stupidamente importato da vivai a basso prezzo dall’Egitto dove è endemico”. No, le palme del Duomo sono quelle nobili “dei giardini di fine Ottocento in Inghilterra come nell’Italia del Nord”, e vengono dalla Cina”. Oggi paese racé. C’è palma e palma.

Pentiti impuniti
I pentiti sono delatori, anche nella forma ora legale di “collaboratori di giustizia”. Delatori, è questa la novità, ora ampiamente remunerati, anzitutto con la cancellazione dei delitti, e poi coi soldi, molti. Nei casi di mafia e in quelli di corruzione. In troppi casi anche pentiti di comodo, manovrati da sbirri, ancorché giudici – troppi pentiti si son mostrati inaffidabili in dibattimento, alcuni scopertamente montati dalla pubblica accusa.
Eco va al cuore del fatto, nella riflessione “Chiedere scusa” (ora in “Pape Satàn Aleppe”): “Una volta chi si pentiva delle sue malefatte anzitutto riparava in qualche modo, poi si dedicava a una vita di penitenza…. Oggi il pentito si limita a denunciare i suoi ex compagni, poi o gode di particolari cure con nuova identità in confortevoli appartamenti riservati, o esce in anticipo dal carcere e scrive libri, concede interviste, incontra capi di Stato e riceve lettere appassionate da fanciulle romantiche”. Il crimine (la furbizia, la sopraffazione) viene celebrato legalmente, e anzi portato a modello.
L’impunità è al Sud l’origine del crimine. Molti criminali sono intoccabili perché protetti dai CC. E sono protetti perché sono informatori. In genere a danno delle persone oneste.

Sicilia
Tutto e solo siciliano era Cagliostro, il Grande Rimosso.  Brillante, cosmopolita, avventuriero dello spirito, Chiacchierone, autodistruttivo.

Succede in Sicilia, succederà in Italia.Vi indulge anche Sciascia, che pure ha visto il mondo ed ha genio posato.
È superbia normalmente teutonica, delle macchine come della follia – si dice(va) di Hitler, un’eccezione anch’essa tedesca, perché “tutto avviene in Germania”. È l’illusione dei perdenti, e rose anche quello che li perde.

Si distende parallela al corso del sole, che è il corso della civiltà.

In “Inseguendo un’ombra”, storia di un avventuriero del Quattrocento, un ebreo di Caltabellotta, convertito, truffatore, violento, cabalista, pedofilo e stupratore (“il suo dolore è il mio piacere”), Camilleri fa i siciliani-siciliani non d a meno: non c’è giorno che non facciano un pogrom nelle giudecche dei loro paesi. Ch non è vero, non c’erano pogrom, e nemmeno appropriazioni indebite.
Ma l’ebreo, seppure tarato dalla conversione, è sempre più cattivo del priore o vescovo più cattivo.

Si ricorda Nino Buttitta in morte, l’antropologo, come un flâneur. Come il fratello maggiore Pietro, lo scrittore. E come il padre Ignazio, il poeta. Curiosi e disincantati, di mille risorse, potenziali. Pigri. Il capitale della Sicilia, intellettuale, è inespresso per lo più, e si bea di esserlo.

In spregio a Trump, va sotto attacco Taormina per il vertice del G 7 a maggio. Comincia “L’Espresso” con una cannonata pesante campale. Nulla di che: l’ossessione americana della sicurezza, le strade strette, le promesse di Renzi che poi è scomparso, e anzi “di imprese legate a Cosa nostra, in effetti, chi arriva in città non vede nemmeno l’ombra”. Ma il tutto montato a effetto, tanto nessuno legge i pezzi – il titolo, a mezza pagina, è “Il gioco dell’appalto”. E, soprattutto, quanti “esecutori volenterosi” con la voglia di scandalo a livello locale.

A Buttafuoco che, come Pif, dà la croce a Crocetta, il presidente della regione, Cazzullo dal “Corriere della sera” ha buon gioco a intimare: “I siciliani piangono seduti su un tesoro: che lo aprano”.

Il tesoro gli viene anche facile da enumerare: “L’isola più bella del mondo, con mosaici bizantini che neanche a Bisanzio, templi e teatri greci che neanche in Grecia, cattedrali normanne che neanche in Normandia, vulcani attivi a strapiombo su spiagge caraibiche, e mari caldi da Pasqua ai Santi”.  E l’agricoltura, tutta primizie e specialità? E la cucina? E le nanotecnologie? E la microelettronica?


È difficile immaginarla. Immaginarne il presidente Crocetta che va oggi a “Domenica In” su Rai 1, e alle famiglie italiane riunite spiega che la sua è “una delle regioni più canaglie d’Italia”.

leuzzi@antiit.eu

Finis Austriae al bordello

Un prezioso recupero di Claudia Ciardi: tre racconti di un scrittrice dimenticata (due dei tre racconti inediti in italiano), benché sia stata  anche molto italiana di formazione, e al centro del Jung-Wien, il movimento che animò la Grande Vienna a fine Ottocento-primo Novecento, avviato da Hermann Bahr, con nomi altrimenti prestigiosi, Hofmannstahl, Schnitzler, Musil, Joseph Roth.
Una suora-infermiera e un paziente moribondo, ai quali  stato negato in gioventù l’amore, si spogliano delle convenienze in punto di morte del paziente, in un monastero-ospedale sotto il Cristallo, “che divide il Tirolo dall’Italia”. Una bellezza – attrice? cantante? una principessa? - che domina l’immaginario dell’Italia ha un momento di tristezza quando una bimba le chiede di chi è mamma. Un salotto raffinato a Vienna pieno di stupidità e brutalità, di ordinario filisteismo, come si diceva all’epoca.
Else Jerusalem, che ebbe vita avventurosa – il cognome è del suo primo marito, il mercante ebreo Alfred Jerusalem - tra Vienna e l’Argentina, è “figura molto singolare di letterata-antropologa”, nella sintesi di Claudia Ciardi. Autrice di racconti e saggi sulle criticità di Vienna Fine Secolo e l’infelicità della condizione femminile. E di un romanzo, il su unico, “Lo scarabeo d’oro”, in cui ambienta l’impero alla finis Austriae in un bordello. Successo immediato, ristampe a dozzine, scandalo, “romanzo immorale”, trasposizione cinematografica, censura. Poi l’oblio.
Else Jerusalem, Liberazione, Via del Vento, pp. 37 € 4