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sabato 11 novembre 2023

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (543)

Giuseppe Leuzzi


L’Istat ridimensiona infine, dopo quattro decenni, la presa della malavita sull’economia nazionale: dei 192 miliardi di “economia sommersa” nel 2021, ultimo dato ricostruito, 18 miliardi derivano da “attività illegali”. Trent’anni fa si attribuiva alle mafie un terzo, se non la metà, dell’economia somemrsa o ilegale. Per creare un mito?
 
Uno studente fuori sede spende in media in un anno 19 mila euro (alloggio, pasti, trasporti, tasse, materiale didttic, salute) – poco meno di 17 mila in un ateneo del Centro. Poi si dice che il Sud s’impoverisce, che alimenta l’economia dei “fuori sede”, da Roma in su.
 
La sentenza-lezione della Cassazione alla sezione del Tribunale e alla corte d’Assise di Palermo in materia di Stato-mafia non è ridicola, come sembra (in effetti, i giudici bocciati delle sue istanze restano ai loro posti e anzi avranno fatto carriera, per anzianità, “a cieli aperti” come usa in magistratura). Non lo è perché fa capire come nei vent’anni dell’inchiesta e dei giudizi la mafia sia rimasta intonsa a Palermo. Anzi, se non fosse per la cronaca quotidiana, non ci sarebbe, la giustizia non se ne cura. Hanno solo arrestato Messina Denaro, ma era uno di trenta e più anni fa – se non si è consegnato lui, per un ultimo sberleffo.
 
Com’e(ra) ricco il Sud
Alessandro Gassman, nella veste di ecologo, fa sul “Venerdì di Repubblica” il caso della seta a Catanzaro, a proposito della Cooperativa Nido di Seta, messa su da Miriam Pugliese, Domenico Vivino e Giovanna Bagnato: “Pochi sapranno che dal XIV al XVIII secolo Catanzaro è stata una delle città europee più importanti nella produzione e tessitura della seta. Una grande tradizione, che purtroppo nell’era dell’industrializzazione si è via via perduta”. No, si è perduta con l’unità, definitivamente. Già intaccata dalle ultime politiche doganali borboniche. Il medio svizzero Horace Rilliet la descrive ben viva e produttiva a metà Ottocento, nel diario “Colonna mobile in Calabria 1852”, un resoconto dettagliato e figurato, per imagini, del suo attraversamento della Calabria nell’autunno del 1852, al seguito del re che visitava le province con un “colonna mobile” - di soldati di tute le lingue, per lo più tedescofoni.
“La seta”, scrive alla “Giornata XVI” (le pp. 179-180 dell’edizione Rubbettino), “una delle prime fonti di ricchezza di questo paese, era stata così sfruttata dalle imposte drurante il feudalesimo da esserne completamente schiacciata”. Ma anche successivamene, abolito “l’antico feudlesimo”, dai “grandi proprietar” assenteisti, che il loro interesse limitavano al prestito a strozzo ai coltivatori, la seta era solo un cespite da tassare: “La seta cruda, ad esempio, pagava un diritto che, per il modo in cui si percepiva, era estremamente vessatorio e oneroso; la seta era pesata al momento in cui usciva dalla filatura, cioè ancora imbevuta d’aqua, e quindi quasi al doppio del suo peso reale”, e la tassa si pagava sulla seta bagnata.”C’erano anche altri diritti”, continua Rilliet, “locali, feudali, reali, provinciali” sulla lavorazione della seta. “Per esempio: il diritto di Bisignano prendeva 7 grani a libbra, oltre il diritto provinciale, che ammontava a 42 grani e mezzo. Poi bisognava aggiungere I diritti d’esportazione, da cui tuttavia una saggia legge del 1804 liberò l’industrtia sericola” – del 1804, cioè ancora di mano del re Borbone Ferdinando IV, il regno diventerà napoleonico due anni dopo, anche I Borboni sapevano quello che facevano. “D’allora questa industria”, continua Rilliet, “ha preso uno sviluppo notevole e il regno fornisce attualmente un milione di libbre di seta che fruttano tre milioni di ducati”. Una produzione “suscettibile di grande aumento perché il gelso è ancora poco coltivato e anche completamente sconociuto in molte località”.  E perché la coltura del gelso non si estende? Per la diffidenza del conatdino. E perché il conatdino è diffidente? Perché non ha un patto di fiducia con il grande borghese che lo finanzia, e gli propone il cambamento.
Ma non c’è solo la coltivazione: “La Calabria possiede parecchie filande che, benché primitive, forniscono un’eccellente seta per cucire”. Piccole e grandi. “Primitive” ma  “a un livelo di perfezione simile a quello di altri paesi, del Piemomte, della Lombardia, e i cui prodotti sono molto ricercati. Tali sono le più belle filande di Reggio, Villa San Giovanni (costruita sul modello di San Leucio, vicino Caserta), Cosenza e molte altre, che hanno aumentato e migliorato di molto la loro produzione”.
L’industria della seta in Calabria, è la conclusione del medico svizzero, è meno produttiva rispetto a Napoli, a San Leucio, “ma ogni anno porta progresso e miglioramento e va detto che negli ultimo venti anni gli utili sono quasi raddoppiati”.
È una storia molto raccontata, ma sempre sorprendente, quelle del Sud che avrebbe potuto essere e non è staao. Per esempio industriale - anche della grande industria a Napoli e dintorni, che era anche il primo porto europeo dell’Asia, la “porta d’Europa”. La ferriere di Mongiana, per esempio, per restare al Rilliet, altro caso che dovrebbe essere stranoto e invece non lo è, “le cui numerose fabbriche di acciaio e d’artiglieria sono le più importanti del regno”. La siderrugia di Mongiana era pubblica, si potevan senz’altro modernizzare, adattare alle tecniche in evoluzione di produzione e di mercato, ammesso che gli imprenditori-gestori locali no ci riuscisero, ma non si è fatto.
Un secolo prima, poco meno, nel 1770, lo scrittore e naturalista scozzese Patrick Brydone si meravigliava della ricchezza delle colture in Sicilia: “Ci stupimmo a vedere come erano ricchi I raccolti, molto più abbondanti che in Inghilterra e nelle Fiandre, dove il buon terreno è curato con tutte le arti”. Ma qui senza beneficio per ilcoltivatore: “Qui il misero contadino ce la fa appena a solcare il suolo, e mietere col cuore grosso la messe più abbondante. A che pro gli viene largita?”, la natura è genersoa? “Soltanto per gravare come un peso morto sulle sue braccia. Quando non va persa del tutto, dato che l’esportazione è proibita a coloro che non possono pagare al sovrano un prezzo esorbitante”. E commenta: “Che differenza tra la Sicilia”, ubertosa, “e la piccola selvaggia Svizzera!” – che il viaggiatore aveva appena visitato. Analoga considerazione farà anche lo svizzero Rilliet, sempre domandandosi perché tanta ricchezza producesse tanta povertà: “Il paesaggio che attraversiamo è un soggetto serio, perché alla vista della fertilità e dell’abbondanza che vi regnano, ci si domanda da dove può venire questa indolenza degli abitanti, questa mancanza di spirito d’impresa, questo abbandono di ogni attività e commercio presso un popolo che nei tempi antichi della Magna Grecia produceva anti capolavori, contava tanti filosofi importanti, e aveva una cultura e una civiltà d’avanguardia”. Non per denegerazione, arguiva il medico: “Gli abitanti di questa provincia si distingono per la loro forza fisica, la loro forma slanciata ed elegante, i lineamenti belli e regolari così come per la finezza del loro spirito e della loro intelligenza”. E si rispondeva: hanno pesato la decadenza e le guerre, contro i barbari, tra “greci”, contro gli arabi e poi i normanni, gli angioini, gli svevi. “Il risultato per questo popolo”, è l’analisi del medico svizero, “fu una diffidenza incurabile per tutto ciò che gli veniva da fuori e quindi la distruzione di ogni comunicazione, di ogni commercio e scambio di idee. In seguito allo spopolamento dle paese, immense distese di terreno furono abbandonate e trascurate. Questi stessi terreni inondati dai fiumi generarono febbri e malattie pestilenziali….”.
Lo spopolamento in realtà è costante da alcuni secoli, quindi andrebbe indagato (re-indagato) più a fondo. Ma da qualche tempo, si può dire già da dopo l’unità, l’aggiornamento fu costante e per certi aspetti febbrile, l’adeguamento ai canoni di produzione e d’immagine. Ma fu un aggiornamento non fecondo, non riproduttivo. Si emigra e si copia, ci si adatta e non si costruisce, o poco, troppo poco. Sul passato, e sulla mentalità?, ha gravato la feudalità, un millennio e più di regime feudale, remoto e vessatorio, di diritti e non di doveri, che ebbe il suo acme nei primi secoli del secondo millennio, tra Normanni, Angioini e Svevi, ma perdurò sotto i regni di Aragoma e di Spagna. Tra Sette e Ottocento, tra Filangieri e i francesi a Napoli, la feudalità fu cancellata, ma perdurava negli istituti del fedecommesso, il sistema diffusissimo per secoli per cui si compravano e si vendevano fondi, sulla carta, fra proprietari assenteisti (un abbozzo di riesame ne tentavamo su questo sito in più occasioni qualche anno fa, in particolare
http://www.antiit.com/2009/12/sud-del-sud-il-sud-visto-da-sotto-51.html
http://www.antiit.com/2011/09/sud-del-sud-il-sud-visto-da-sotto-100.html)
La Calabria restava affidata ai contadini poveri, indebitati col padrone lontano, che se sapeva qualcosa erano solo i confini dei possedimenti che aveva acquistato e il numero dei “fuochi”, delle famiglie che gli dovevano ogni anno qualcosa.
 
Nostos, richiamo ancestrale
C’è una personalità dei luoghi. Invasiva anche, intromettente. Molti ne risentono gli efetti, tra gli emigrati, anche per scelta, che conservano l’mmagine, tra i tanti luoghi dove possono essere transitati o finiti, di quello dove sono nati e cresciuti, e spesso ci ritornano anche, anche a costo di un delusione – che è inevitabile, e però si rimargina. Helen Barolini, la scrittrice americana che prese il nome del marito, Antonio Barolini, lo scrittore vicentino che fu corripondente di “Epoca” e “La Stampa” a New York, di suo Helen Mollica, morta a marzo di 98 anni, di nonni calabresi, lo spiega nel romanzo “Umbertina”. Tina, la pronipote di Umbertina, bisnonna emigrata quasi un secolo prima negli Stati Uniti, dove ha creato una famiglia prospera, malgrado il carattere ruvido e l’ignoranza, ha deciso di andare a vedere il luogo dove Umbertina è nata. E ne resta delusa, ovviamente, ma insieme attratta, da una forza che non si spiega: “Sempre più si sentiva un’intrusa in quell luogo in rovina come il monastero della valle di sotto. E a cosa le serviva inseguire Umbertina? si domandò. La sua venuta a Castagna era stata motivata più dal desiderio di perdersi che da quello di trovare Umbertina. Cosa l’accomunava ai tuguri impoveriti di questo luogo…, all’isolamento e all’arretratezza? Ora lei era il prodotto di un’istruzione. Non c’era via di ritorno. Infatti il messaggio di Umbertina era: partite, prendete uan direzione, andate vanti seNza più voltarvi.  Eppure Tina era lì perché nessun messaggio riusciva a sopraffare il suo sentimento di dover essere lì. Si sentiva legata a questo posto da una sorta di necessità ancestrale…”.
 
La bellezza è leghista
Le ragazze a Palermo sono libere in famiglia e in società, nota ancora Brydone nel 1770, con meraviglia. E si sposano “giovanissime, spesso riescono a vedere la quinta o sesta generazione”.
Brydone non depreca la costumanza: “In generale sono vivaci e simpatiche; in molte parti d’Italia sarebbero considera te attraenti. Un napoletano o un romano senz’altro sarebbero di questa opinione”. Non invece al Nord: “Un piemontese invece le direbbe molto ordinarie (e allo stesso modo la penserebbe la maggior parte degli inglesi)”.
La bellezza Brydone trova “regionale”, localizzata: “Ricordo che dopo aver fatto il giro della Savoia e del basso Vallese ogni donna che incontravamo in Svizzera ci sembrava un angelo”. Lo stesso accade in Germania, aggiunge, e chiede retoricamente al (finto) corrispondente cui indirizza  le sue impressioni: “Ti sarà facile ricordare che incredibile differenza ci sia tra una bellezza di Milano e una di Torino, nonostante che queste due località siano così vicine”.
 
Cronache della differenza: Napoli
“Un paradiso abitato da demoni” è copyright di Mary Shelley. Croce, nella sua dottissima ricerca (ottimamente sintetizzata su wikipedia, https://it.wikipedia.org/wiki/Un_paradiso_abitato_da_diavoli)
ne trova traccia già nel Cinquecento, ma Mary Shelley ne sarebbe stata il veicolo di maggiore diffusione.
 
Gli Shelley abitarono Napoli nell’inverno 1818-1819. L’avevano eletta loro residenza italiana, ma la lasciarono dopo tre mesi, durante i quali erano vissuti in isolamento – avevano ricevuto solo un medico, dicono i biografi. Lasciarono Napoli su un tema “napoletano”: una bambina comprata fatta passare per loro figlia, di Mary oppure della sua sorella Jane\Claire che li accompagnava. La bambina moirrà di pochi mesi, ma intanto gli Shelley erano stati denunciati da una coppia di domestici, Paolo ed Elisa, che avevano licenziato perché si erano sposati.
A Napoli Percy Bysse Shelley dedicherà un’ode, nell’entusiasmo per i moti liberali del 1820-1821.
 
Al solito semiserio, Gadda ne celebra una gloria dimenticata, Ernesto Cacace (nella raccolta di saggi “I Viaggi, la Morte”), l’inventore della nipiologia, o scienza del lattante, come distinta dalla pediatria. Nipiol è per i più la linea dolciaria per l’infanzia della Buitoni (ora Heinz). Ma la nipiologia esiste: è, dice la Treccani, “ lo studio integrale del lattante da tutti i punti di vista: biologico, psicologico, antropologico, clinico, igienico”.
 
“Il nuovo oro di Napoli” è a Scampia – “Corriere della sera”: “L’università Federico II vi trasferisce la nuova sede.” Fare bene si può, anche rapidamente – cambiare. Specialmente contro il crimine, a Scampia come a Caivano: basta agire.
 
“ I napoletani, come i Greci, detestano i forestieri”, annota Alvaro, “Quasi una vita”, durante il soggiorno a Napoli nel 1947, dal 7 marzo al 15 luglio, alla direzione del giornale “Il Risorgimento”, di proprietà di Achille Lauro (che presto rimprovererà ad Alvaro un “accentuato orientamento di sinistra”): “Temono di essere offesi con le grossolanità di cui soltanto Napoli può giudicare la portata, perché sono maestri in materia”.
 
“Il vero presente per i napoletani è il passato”, annota ancora Alvaro della tavolata che lo festeggia dopo le dimissioni dal “Risorgimento”.  “A proposito del quale”, annota ancora,  cioè del giornale, “un collaboratore mi diceva ironicamente: «L’Europa a Napoli!». E un altro: «Se Picasso fosse a Napoli, non gli faremmo decorare neppure un bar»”. Ma a Napoli, commenta Alvaro,”gli scrittori e gli artisti credono di essere al centro”.
 
Ancora di Napoli Alvaro registra questa cosa vista: “Un tale toglie l’asfalto da una strada, e lo carica su un carretto per venderlo poco oltre. C’è qualcuno attorno che protesta. Altri lo difende dicendo: “Tanto, non è roba nostra”.


Al seguito di Ferdinando II che nell’autunno del 1852 faceva una ricognizione dei possedimenti nella Calabria Citeriore, il medico svizzero Horace Rilliet nota (“Colonna mobile in Calabria”, XVII giornata, 13ottobre) “nella retroguardia…un esercito di venditori di commestibili e di rinfreschi”: un’“orda di uomini e donne semivestiti, che ci hanno seguiti da Napoli, a piedi nudi, dormendo sul primo albero che trovano e non avendo altro bagaglio che un barilotto o un paniere; gli uni vendono caffè, altri vino, pane, lardo o molto semplicemente acqua” (gli acquaioli fanno gli affari migliori”).

 
leuzzi@antiit.eu

La vita sboccia, e risboccia

Settembre o della malinconia? Rivisto – questione di attenzione? di umore? – è un altro film. Curioso, attraente, per la sua semplicità. Senza i dolorismi che erano sembrati affiorare alla prima visione  all’uscita.
Quattro-cinque storie si intrecciano, di disattenzioni coniugali, o dell’amore come abitudine, e di attenzioni giovanili timide. Che si compongono su un fondo di verità, e di promesse di felicità. Una ragazza dell’Est prostituta col suo cliente, barone della Psicologia abbandonato dalla moglie – uno sprovveduto, che si paga mezzora di conversazione al mese. Una moglie e madre forse colpita da un tumore che per il marito è un oggetto e per il figlio la donna delle pulizie. Un ragazzo panettiere a cui la giovane dell’Est toglie il respiro. Una coppia di ragazzetti che provano i gesti dell’amore. Due amiche che fanno uno, tanto si vogliono bene – un rapporto tanto più affascinante, forse, perché evita le retoriche dei “diritti” e del femminismo.
Il racconto è aiutato da dialoghi parchi, senza sbavature (peccato che la copia Rai 2 sia semi-intelligibile, poche parole restano del sonoro). Anche nella disperazione, nella scoperta dell’inesistenza. E dalle immagini, altrettanto semplici. Si direbbero di scuola: due facce il più spesso dialoganti. Però significanti, in ogni taglio e sotto ogni illuminazione, per la scelta ben caibrata dei visi, Bentivoglio, Ronchi (premiata per questo ai David come miglior attrice del 2022), la cantante Thony, e i tanti debuttanti, specie quelli che hanno molte pose, Tesa Litvan, la ragazza prostituta, e i ragazzetti Margherita Rebeggiani e Luca Nizzoli, che recitano da veterani.
Soggettista e sceneggiatrice, oltre che regista, Giulia Steigerwalt, già attrice di Muccino, De Biasi, Fragnelli, si è consacrata al primo film col David di Donatello.
Giulia Steigerwalt, Settembre, Rai 2, Raiplay

venerdì 10 novembre 2023

Appalti, fisco, abusi (235)

Le stazioni di servizio fai-da-te in autostrada impegnano la carta di credito per l’ammontare massimo “autorizzato” del rifornimento, che poi addebitano, in attesa di “contabilizzazione” (di addebito o stralcio definitivo), insieme col costo esatto del rifornimento. La “contabilizzazione” può durare fino a venti giorni- durata che il gestore volentieri si prende con comodo - durante i quali la spesa massima “autorizzata” è sottratta al plafond della carta di credito. Due viaggi in autostrada andata e ritorno nelle due settimane, da Roma a Milano per esempio, e viceversa, possono così impegnare 500-600 euro, non spendibili.
 
Non è il solo arbitrio dei gestori delle pompe, o dei gestori delle carte, Visa, Mastercard, Poste, etc. Bisogna anche vigilare, perché (è successo) la spesa autorizzata viene in qualche recesso “contabilizzata” a danno dell’utente, anche se non utilizzata, e in quel caso il recupero del non speso è arduo.
È semplice arretratezza tecnica, del sistema di pagamento? Ci sono interessi delle carte di credito (valuta)? delle banche (id.)? Ma le banche e\o i circuiti di pagamento non ci rimettono, riducendo la disponibilità di debito?  
 
Gli esercenti, 800 mila quelli residui secondo l’Istat, sono stati gravati, in occasione del rinnovo della lotteria degli scontrini, di una tassa di 160 euro per l’uso, obbligatorio, del pos, del terminale per le carte. La lotteria non si sa se funziona – è farraginosa. Ma ha dato un gettito di un miliardo, più o meno. A nessuno “scopo” dichiarato e contrario all’equità fiscale. Una imposizione – di un governo, si può aggiungere, votato anche perché prometteva di non mettere “le mani in tasca”. Naturalmente la tassa degli esercenti la pagano i consumatori, nel calderone “inflazione”.
 
A Roma i vigili urbani del Gruppo XII, Monteverde, e del Gruppo I, Prati, non si vedono mai, nemmeno per caso, in Via Carini o Fonteiana, o in via Cola di Rienzo. Dove si parcheggia in doppia fila, da entrambi i lati, creando anche problemi ai mezzi pubblici. E cosa fanno nelle sei ore di lavoro ? Escono a coppie, due ore. Per le vie più recondite dei due quartieri. A dispensare multe. Sempre alte, il massimo possibile: non divieto di sosta ma sosta sull’attraversamento pedonale, anche di centimetri, o in prossimità d’incrocio. Dai novanta euro in su. Non molte, quattro o cinque – se la coppia è affiatata ha anche il tempo di un caffè. In un certo senso si guadagnano la giornata.
 
È anche invidiabile – ammirevole? – la leggerezza con cui questi vigili dispensano il massimo possibile delle multe per nessun reato. È possibile, si vede, che il denaro non abbia valore.  

I turbamenti della felicità

Un racconto semplice, di una vita semplice, di tre vite semplici, marito, moglie, figlia quindicenne. . Un mondo “normale”, di garbo e simpatia. Finché non arriva l’infatuazione della figlia. Da parte di un ragazzo forse afflitto da turbe, cattive. E violenze si scatenano. Un quadro di innocente domesticità che un primo amore “malato” distrugge. Rifiutato, il ragazzo decide di vendcarsi. La decisione implica contro vendette.
La sintesi è di un film truculento. Ma è un film delicato e inquietante. Di buoni sentimenti, buonissimi, gioiosi, pieni di luce, che degenerano in tormento, in violenza. Non sul piano psicologico, di persone con proprie turbe, ma sociologico, di modi di essere e di reagire, di rapportarsi. Un senso di morbosità, distruttiva. Di cui De Matteo, il regista di “La bella gente”, ha fatto la sua cifra, che inquieta invece di commuovere: facciamo il male per volere il bene? Ma lo racconta come di un padre con una figlia adolescente, che teme le peggiori cose – qualsiasi cosa possa capitare alla sua bella figlia è distruttivo. Soprattutto per la grazia fresca della debuttante Greta Gasbarri, la figlia, che dà freschezza e sorriso là dove ora le cronache si fanno immaginare la violenza in agguato, solo in città, o con le amiche, in discoteca, la notte, l’alba.  
Ivano De Matteo,
Mia, Sky Cinema


giovedì 9 novembre 2023

Secondi pensieri - 527

zeulig


Bigottismo – È laico – puritano. Aprendo il diario “Quasi una vita” nel 1937, lo scrittore Alvaro lo nota a proposito dell’Italia: “La morale laica è stata introdotto in Italia, e forse non soltanto in Italia, dal liberalismo e dal socialismo. Nel cattolicesimo non c’era bigottismo, e vi si è insinuato da quando le fedi laiche hanno operato nella società”.
 
Darwinismo sociale – Quello storico, canonizzato da Herbert Spencer, è morto – è considerato morto, sotto la spinta novecentesca della rivoluzione, del mutamento radicale, dell’utopia sociale, della costruzione invece dell’evoluzione. Ma di fatto persiste e anzi s’impone, sotto la forma della psicologia, della psicoterapia. Resta introiettata l’idea che per vivere bisogna lottare. E che bisogna  lottare per moduli vincenti, ora detti “corretti”. Per canoni, impositivi anche se mutevoli – impositivi per tutti nel momento in cui vigono. Di apparenza fisica, o anche sostanza fisica, oltre che di linguaggio e portamento. In famiglia, a scuola, in società (lavoro, relazioni, comunicazione).
In realtà la richiesta è di lottare per l’uniformità. Per dei canoni, che si vogliono terapeutici o scientifici – sperimentati oltre che argomentati. Di fatto, trattandosi di comportamenti, per il conformismo. A modi ideali che sono solo modi di essere, mode, sistemi transeunti, di poteri flebili e labili – insinuanti e dominanti su una debolezza di fondo, che il darwinismo psicologico ha indotto. Ribaltando quella che si può dire la sostanza umana, la tradizione, la fede – la cultura.
Darwinismo sociale si vuole “il” progresso. E in teoria va in una col liberalismo, quindi con l’individualismo. Ma verso l’inconsistenza – un adattamento minuto, costante, distruttivo? E eterodiretto.  
 
Falso – Adrià, lo chef per eccellenza. Il prototipo degli chef,  di questi decenni di foodmania, dice alla fine che cucinare non gli piace. Lo dice per un “ritorno di fiamma” sull’attualità, quindi sul suo business – è da qualche tempo che non faceva più i titoli. Ma è in effetti una strana mania, quella del “gusto”, che si accoppia al fashion e al social (influencer promoter, tiktoker…): un mondo di pubblicità senza sostanza. Se nessuno più cucina in casa, e i ristoranti vendono precotti. Un’epoca del falso.
Viviamo gioiosamente, in mezzo a guerre, inflazione, inverni demografici, migrazioni violente.  Il falso è il meno – o è il tutto?
 
Fede – È immedesimazione, un’appropriazione. È l’ipotesi che lo scrittore e naturalista scozzese Patrick Brydone, libero pensatore professo, fa nel 1770, coinvolto, in quanto viaggiatore curioso,  nelle feste religiose siciliane, in quelle semplici di paese, e nella fantasmagoria di Santa Rosalia a Palermo, rilevando “l’ardore e l’affetto che animavano i volti dei fedeli”. Una forma di amore, “una gioia perfettissima, che rassomiglia forse ai sentimenti puri e delicati che si accompagnano a un amore devotissimo”. Che poi diventa un cuore “corazzato e temprato fino a diventare impenetrabile ala fiamma della filosofia”, della riflessione. Perché è parte di se stessi.
Brydone continua la riflessione con un caso che gli aveva raccontato il celebre dottor Tissot, svizzero, celebre come “principe dei medici e medico dei principi”, studioso dell’onanismo e dell’epilessia: “Ricordo che il dottor Tissot mi disse di avere avuto un paziente che morì di amore per Cristo, letteralmente, e anche negli ultimi momenti sembrava godere di una felicità infinita”.
Una fede, questa “forma di venerazione personale,  che ha bisogno di esprimersi materialmente, nei gesti, nelle parole, “di un oggetto su cui concentrarsi coi sensi”. Del resto, concludeva, anche “gli scrittori sacri… spesso rappresentano Dio sotto forme materiali”.
 
Filosofia tedesca – Georg Christoph Lichtenberg, professore di Fisica a Gottinga, l’università dei “primati”, e uomo di mondo, poteva concludere precocemente, attorno al 1780, in uno degli aforismi per cui è rimasto famoso: “Appena si comincia e vedere tutto nel tutto si diventa in genere oscuri”. Il barone fisico sapeva già che ci sarebbe stata la “filosofia tedesca” per un secolo e mezzo e oltre, dal trio dello Stift di Tubinga a Heidegger, intraducibile per essere inafferrabile.
Il barone però era indulgente: della lingua del Tutto diceva che “si comincia cioè a parlare la lingua degli angeli”. Messianica? Un mormorio?
 
Spinoza – Del filosofo della natura naturans Flaubert, che molto lo aveva letto e amato, scriveva nel novembre 1879: “Questo ateo è stato, secondo me, il più religioso degli uomini, poiché non ammetteva che Dio”.
Anche Goethe ne aveva scritto a Jacobi in termini analoghi: “Vorrei, quanto a me, fargli credito del nome di theissimus  e christianissimus”.
 
Viaggio È un “volo poetico”, perlomeno nell’armamentario  della poesia simbolista. È riflessione di Carlo Emilio Gadda, scrittore farfallone, nel saggio “I viaggi la morte”, una delle sue prime pubblicazioni, sulla rivista “Solaria” nel 1927 (ore nel volume dallo stesso titolo): “Il viaggio, rivissuto o immaginato come fine a se stesso, conferisce alla vita una tonalità ariostesca o disetica, così come fa nei riguardi della poesia la «migrazione estetica» del simbolista, insofferente di ogni adagiamento realistico dell’espressione”.
Con esiti metafisici: “Viaggiatori e simbolisti amano adibire l’esperienza a catalogo per la serie indefinita delle differenziazioni spaziali; e poi che, così praticando, la loro aisthesis  si rivolge con preferenza a questa serie spaziale, essi ne accentuano intensamente il motivo lirico più alto, cioè la sua sognata infinità. Essi vorrebbero rifiutarsi di credere che, come ci è dato vivere un breve tempo (scongiuri), così ci è dato percorrere un breve spazio: auspicano perciò al loro protagonista una sorta di immortalità spaziale, un al di là topografico ove abbia corso la esperienza ulteriore, infinita”.
Ma questo è della poesia non solo simbolista. È della creatività in generale. Di cui il “viaggio”, alla maniera di Baudelaire, del “Bateau ivre” di Rimbaud, è motivazionalmente non meno di chi comunque parte non obbligato, per sua curiosità.

zeulig@antiit.eu

Ma i “Montalbano” sono di Sironi

Un titolo non camilleriano per l’ultimo episodio ancora “sironiano” della serie. Ma non fa niemte: all’ennesima riproposta la serie tiene ancora le posizioni, lo spettacolo che sempre gli spettatori preferiscono - anche se con una platea ora ridotta, da due spettatori su cinque a uno su cinque. Che sia l’ultimo episodio diretto da Alberto Sironi – poi “completato” da Zingaretti (per i dialoghi di raccordo delle varie scene) – questo invece si vede.
Questo curioso passaggio a quattro mani, per la morte di Sironi – oscurata da quella di Camilleri due settimane rima - conferma la prima impressione: i “Montalbano” in tv sono certamente basati sui personaggi e le trovate di Camilleri, ma sono opera di Sironi. Tutto ciò che fa il successo duraturo della serie è opera del regista, qualsiasi lettore di Camilleri vede la differenza: gli interni per un qualche motivo sempre affascinanti, gli esterni leggiadri, da favola, e i personaggi (le facce, il fisico, la dizione). Scelti uno per uno, con caratterizzazioni per qualche verso interessanti, mai scontate - scelti nella grande tribù dei teatranti siciliani. In linea con la migliore tradizione dei film seriali in TV, quella inglese, dei Poirot, Miss Marple, Barnaby, Morse, etc., che si continua a rivedere con gusto, in repliche interminabili.
Sironi-Zingaretti, Salvo amato, Livia mia, Rai 1

mercoledì 8 novembre 2023

Problemi di base bellicosi - 775

spock


All’inizio era Hamas?
 
Se vuoi la pace fai la guerra?
 
A ogni azione corrisponde sempre una reazione uguale e contraria, Newton?.
 
“Zerocalcare neppure si rende conto di somigliare ad Hamas”, Francesco Merlo?
 
Zerocalcare è un cretino, l’eroe di tante pagine e supplementi del giornale di Merlo?
 
Ma la guerra è una partita di calcio, che si tifa e dopo due ore finisce?
 
È la guerra tutta fake news, propaganda – conta il tifo?

spock@antiit.eu

“Io capitano”. dal lato Eritrea

Dopo quello sui migranti dalla Nigeria a “Roma”, via Niger, compreso il traffico di prostitute, documentato un paio d’anni fa dalla stessa rivista, un altro documento che non abbiamo mai letto nelle pur sovraeccitate cronache della disperazione dei media italiani – nessuno si avventura in  Africa, che pre non dista molto. Il traffico di migranti dall’East Africa, qui dall’Eritrea e l’Etiopia attraverso il Sudan e la Libia verso l’Italia - un reportage di otto mesi di inchiesta. Quella parte di esso, la più remunerativa, organizzata da un Kidane, un piccolo malvivente eritreo senza mestiere che poco alla volta è diventato un ras della tratta, avidissimo (molto organizzato in tutte le tappe della traversata, a ognuna rincarando la psta, e con le famiglie a casa) e brutale. Da Dubai, dove ora banchetta. Con un’organizzazione che dire mafia è poco.
Curioso cha la parte iniziale del reportage sembra il soggetto del film di Garrone, “Io, capitano”, sulle avventure di due giovani amici per la pelle, solo eritrei invece che senegalesi. Nelle stesse tratte, gli stessi luoghi in Libia, gli stessi maltrattamenti, con la sola sostituzione del Sudan al Niger, la tappa degli orrori intermedia. In Libia luoghi e personaggi, anche le scene, sono gli stessi. Garrone conosceva la storia di Kidane. Non ne aveva bisogno, la storia è quella, da venti e più anni ormai.

Ed Caesar, The Kingpin who kidnapped migrants for ransom, “The New Yorker”, free online

martedì 7 novembre 2023

La guerra perduta d’Israele

Era un guerra, si è potuto dire subito, il 7 ottobre, non un atto di terrorismo. E ora è chiaro che Israele l’ha perduta, una certa Israele.
Con Hamas e senza ci sarà uno Stato palestinese. E questo Stato sarà in Cisgiordania, con mezza Gerusalemme (uno spicchio, quello che la superfetazione israeliana ha lasciato agli arabi). La colonizzazione – l’annessione di fatto – portata avanti da Netanyahu nei suoi venticinque anni di governo andava contro le risoluzioni dell’Onu, e avrà ora problemi con gli Stati Uniti – con la politica americana di riconquista della sussidiarietà araba, dopo la confrontation mitigata degli anni di Obama (di Hillary Clinton) e di Trump.
Sul piano militare non c’è solo l’attacco a sorpresa del 7 ottobre e la catastrofe del Mossad, l’orgoglio d’Israele, del sionismo nel mondo - e la intelligence per antonomasia di miriadi di romanzi. C’è il disagio di aviazione e mezzi corazzati a combattere un fronte inesistente, solo civili ammassati, peraltro profughi, cacciati da Israele. A distruggere cioè, ma senza conquistare.
Con la colonizzazione va in crisi anche l’Israele confessionale e razzista che vi si è accompagnata nel Millennio? Non necessariamente – e questo spiega il mancato cambiamento politico a Tel Aviv dopo il 7 ottobre: la divisione, oggi, favorirebbe questa “nuova Israele”.   

Panetta interventista - 2

Non ha lasciato buona traccia all’Ivass, che a lungo ha presieduto: troppe porte girevoli tra l’istituto di sorveglianza delle assicurazioni e le assicurazioni stesse, e comunque l’assicurazione “ha sempre ragione”, l’assicurato se ne “faccia ragione”. Ma in Banca d’Italia è stato un altro, già da vice-direttore, quindi da una dozzina d’anni: interventista, e diretto.
Si ricorda da ultimo per le critiche alle politiche anti-inflazione della Banca centrale europea, del tipo “buttare il bambino con l’acqua sporca”, dentro e fuori del consiglio ristretto (Comitato esecutivo) di cui era membro. Ma lo è stato già in più occasioni da vice-direttore generale – scuola Draghi, si direbbe, tutto l’opposto del governatore uscente Visco. Ed è quello con più esperienza di mondo, e che più ha spiegato, e con precisione, l’ìnspiegato dei media italiani nell’era Draghi alla Bce: dai salvataggi bancari al famoso bail-in, agli stress test, curiosamente modulati a Francoforte su criteri diversi a seconda della nazionalità delle banche.
Con un terzo degli aiuti tedeschi alle banche “avremmo avuto un surplus di 77 miliardi”, irruppe sardonico quando Eurostat tardivamente (molto tardivamente) ha reso noto l’ordine di grandezza dei salvataggi pubblici, cioè nazionali (i deprecati “aiuti di Stato”) delle banche dopo il 2008.
Il 20 ottobre 2015 alla Commissione Finanze della Camera dettagliava: “Le inefficienze nelle ordinarie procedure di gestione dei dissesti bancari… negli anni scorsi hanno costretto numerosi paesi, sia in Europa sia a livello globale, a destinare risorse pubbliche ingenti in favore di banche in difficoltà. Voglio sottolineare che l’Italia non è tra quei paesi, nonostante l’evoluzione assai sfavorevole della nostra economia negli anni scorsi. In base ai dati pubblicati sia dall’istituto di statistica europeo (Eurostat) sia dalla Bce, da noi gli interventi pubblici sul mercato del credito non hanno generato costi per lo Stato, ma un flusso, pur contenuto, di ricavi netti positivi sotto forma di interessi e commissioni. Al contrario, in molti paesi esteri gli interventi dello Stato a sostegno del sistema bancario hanno determinato per la finanza pubblica e per i cittadini oneri assai cospicui, pari al 5,0 per cento del pil in Spagna, al 5,5 nei Paesi Bassi, all’8,2 in Germania, a oltre il 22 in Grecia e in Irlanda. Il volume dei trasferimenti in favore delle banche è stato assai elevato anche negli Stati Uniti e nel Regno Unito. A titolo di esempio, è possibile calcolare che se in Italia fossero stati effettuati interventi in rapporto al pil pari a quelli della Germania, l’onere a carico delle nostre finanze pubbliche sarebbe ammontato a 130 miliardi di euro”. Cifra paperoniana.
E così era stato. Le banche europee si sono salvate con robuste iniezioni di capitale pubblico. Quelle tedesche si sono salvate come quelle anglo-americane, con nazionalizzazioni mascherate. Con soldi pubblici cioè regalati alle banche private. Contro ogni divieto di aiuti di Stato. Che per l’occasione “Bruxelles” si è dimenticata di applicare – senza contare l’uso dei fondi europei, molto maggiore.
Gli interventi pubblici si sono avuti in questo ordine  per dimensione: Germania 250 miliardi, Spagna 60, Irlanda 50, Olanda 50, Grecia 40, Belgio 19, Austria 19, Portogallo 18. L’Italia viene ultima con 4 miliardi.
L’intervento di Panetta in Commissione alla Camera era al seminario sull’applicazione delle nuove normative in caso di crisi bancarie: per primi pagano azionisti e correntisti – il cosiddetto bail-in. La misura, imputata alla Bri, a Basilea, era invece della Bce di Draghi – che è stata discriminatoria, questo si dimentica – e acclamata al Parlamento europeo e nei media italiani come giusta misura anti-capitalista. Bene, solo l’Italia ha applicato il bail-in, rovinando qualche milione di risparmiatori, senza salvare le banche - le banche del Centro-Italia, Mps incluso, e le le venete. Ma Panetta aveva ben avvertito: “Non sanno di che si sta parlando”. 
Il 2015 è anche l’anno degli stress test bancari, gestiti dalla Bce sempre di Mario Draghi, anche se la titolare era una piccola francese paratedesca, di nome Nouy. Stress test discriminatori, soprattutto per Unicredit e Mps.
Fu un esercizio dichiaratamente anti-italiano, al punto che il 2 febbraio Panetta non esitò a denunciarlo: “Il disegno dello stress test europeo aveva caratteristiche che svantaggiavano le banche italiane. Lo abbiamo messo agli atti in Bce durante la preparazione dell’esercizio”. Peggio: “Non si può pensare di risolvere i problemi aumentando in modo continuo, indiscriminato ed eccessivo i requisiti di capitale, frenando ancora l’offerta di credito”. Tenendo le banche cioè, alcune banche, le banche italiane, sempre sulla corda, magari col solito ritornello delle “riforme”.
“Indiscriminato” ed “eccessivo”, che sembrano parole forti, invece non dicevano tutto. E cioè che non si tratta di un errore di metodo ma di uno strumento di attacco alle banche italiane. Per il business  delle merger & acquisitions probabilmente, non per altro. Profumo e Viola, allora a capo di Mps, non erano ancora tornati da Francoforte a Siena, dopo le ramanzine, e non avevano riferito in consiglio e al management Mps, che “Londra” sapeva già tutto e apprestava l’attacco alla banca. Quando non bastò, in estate, la Bce si espose a silurare pubblicamente il Monte dei Paschi. Impensabile, se non fosse avvenuto: non s’è mai visto una banca centrale che dica al mondo che una banca – peraltro in discrete condizioni – è al fallimento. La Bce l’ha fatto.
Agli stress test di fine 2015 Deutsche Bank poté beneficiare di una plusvalenza di 4 miliardi di euro per una cessione che dopo dieci mesi ancora non aveva completato. Sembra fantascienza ma è quello che è accaduto. Mentre altre banche non hanno potuto contabilizzare plusvalenze già incassate. Perché l’iter non era stato perfezionato formalmente.
Ma non c’è solo la Bce di Draghi. Panetta è un governatore che potrebbe anche dire che il re è nudo, giacché lo è. “Un paese dove il recupero dei crediti richiede fino a quindici anni”, è altra sua considerazione ribadita, più cattiva che disperata. Ma forse, questa, nemmeno cattiva: tutti sanno, da molti anni, che fino a 200 mila euro di credito è meglio non fare causa, bisogna accontentarsi del poco che entra. Per favorire gli affari?
(fine)

Fascismo inquietante

Un “manuale” per diventare fascisti? Ovvio che l’assunto è ironico. Senonché questa riedizione (questo sito ha già recensito il volumetto all’uscita:  http://www.antiit.com/2018/11/la-ricerca-del-fascismo-che-non-ce.html) porta in copertina una vignetta di Biani che dice: “Fascista è chi il fascista fa”. Che è inquietante – inquietante dare lezioni, sarcastiche, di fascismo.
Michela Murgia, Istruzioni per diventare fascisti, “la Repubblica”, pp. 101 €9,90      
          

 

lunedì 6 novembre 2023

Panetta interventista

Non ha lasciato buona traccia all’Ivass, che ha presieduto: troppe porte girevoli tra l’istituto di sorveglianza delle assicurazioni e le assicurazioni stesse, e comunque l’assicurazione “ha sempre ragione”, l’assicurato se ne “faccia ragione”. Ma in Banca d’Italia è stato un altro, già da vice-direttore, quindi da una dozzina d’anni: interventista, e diretto.
Si ricorda da ultimo per le critiche alle politiche restrittive della Banca centrale europea, del cui consiglio ristretto (Comitato esecutivo) era membro. Ma lo è stato già in più occasioni da vice-direttore generale – scuola Draghi, si direbbe, tutto l’opposto del governatore uscente Visco. Ed è quello con più esperienza di mondo, e quello che più ha spiegato, e con precisione, l’ìnspiegato dei media italiani, dai salvataggi bancari al famoso bail-in, agli stress test, curiosamente modulati a Francoforte su criteri diversi a seconda della nazionalità delle banche.
(continua)  

La Germania non è più la locomotiva

Esaurita la spinta della liberalizzazione del lavoro, le leggi Hartz del 2004-2005, la Germania ritorna il “malato d’Europa”. Non propriamente. Non ha i cinque milioni di disoccuapti d’inizio millennio. E va in recessione ufficialmente per la debolezza dei consumi e dei servizi. Ma di fatto è in ristagno anche come fabbrica. E la debolezza dei consumi è da correlarsi alla liberalizzazione del lavoro, al ristagno-debolezza del reddito medio.
Pesa sulla Germania anche la guerra in Ucraina. Che ha bloccato il rapporto speciale con la Russia, di cui la Germania era il partner maggiore – rapporto che non potrà più essere ristabilito nel futuro prevedibile. E ha indebolito l’Est europeo oltre che la stessa Ucraina, di cui la Germania era ed è sempre il primo partner.
Un privilegio curiosamente svanito è pure il mercantilismo del quindicennio Merkel. Che la Germania poté esercitare liberamente su Bruxelles, e su Francoforte (negli anni di Draghi). Sulle politiche di bilancio e sugli aiuti pubblici (all’industria, alle banche), mentre si imponevano vincoli più stringenti ad altri paesi, tra essi l’Italia. Perfino gli stress test bancari erano laschi per le banche tedesche e specialmente arcigni per quelle italiane, Unicredit, Mps. Senza contare gli attacchi polemici sul debito e sulle banche italiane - un abominio nelle politiche monetarie, che vogliono riservatezza - del presidente merkeliano della Bundesbank, il suo giovane d’ufficio Weidmann.    

Quando la Germania controllava le banche, italiane

Non si ricorda ma è esistito prima del covid un controllo tedesco delle banche, dopo l’introduzione del bail-in. Un meccanismo adottato ufficialmente dalla Bri, a Basilea, ma di fatto a Francoforte, alla Bce di Draghi: le banche in crisi si finanziano a spese degli azionisti, degli obbligazionisti, e dei correntisti con  più di 100 mila euro di liquidità.
Il bail-in, voluto dala Bundesbank di Merkel, fu imposto alle banche centro-italiane, Mps compreso, e alle banche venete. Mentre Nordbank in Germania, e altre banche statali, venivano salvate dal governo Merkel, coi proibitisismi “aiuti di Stato”.
Per controllare che (in Italia) venisse applicato il bail-in Bruxelles creò una Commissione europea di risoluzione, cui demandare i fallimenti e i bail-in. Sotto la presidenza di Elke König, manager merkeliana dei mercati finanziari – presiedeva la Consob tedesca.  

La vendetta delle donne

Il racconto della disattenzione, dell’amato-per-sempre. Che pure a lei deve tutto, la ricchezza e la posizione. Ogni episodio un nuovo dolore. Fino al rifiuto della nuova gravidanza, fortuita ma da lei presa come il segno di una rinascita. Dopodiché scatta la rivolta. A tutto campo, femmine contro maschi, a buon diritto  – “quasi tutte le donne sono ferite di guerra, in un modo o nell’altro”. E una lunga vendetta, anche molto cattiva. Con esagerazioni di ogni tipo, anche un omcidio “a fin di bene”.
Läckberg si scatena, non ci sono tabù, tutto è permesso. Tanto più che la mano è leggera, veloce. Con molti tributi anche ai fedeli lettori latini, in Italia (prosecco, ragù bolognese – Läckberg è anche cuoca – e tutto il made in Italy del lusso) e Spagna (il “cava” preferito).
L’abbandono è progressivo. Accentuato dall’intermissione del ricordo, sotto forma di vecchio diario, della ragazza che fu, vittima di un padre ubriacone e manesco. Da qui l’attaccamento al marito, l’innamorato-per-sempre. La vendetta è veloce, vertiginosa. Acccrescono la tristezza gli intermezzi di sesso, ogni paio di pagine, in ogni luogo (anche al cinema, a Stoccolma) e in tutte le posizioni, con chiunque. Azionato da lei, per desiderio o per disperazione.
Questo è curioso. È un modo per dare corda allo stereotipo latino della svedese? È un eccesso probabilmente editoriale: prima del covid andava molto il tentativo di sdoganare il porno in letteratura, il sesso esplicito, per sé, alla Edmund White. In parallelo col boom del cibo,  dell’alimentazione, della dieta, che ricorre anche qui: le calorie, i grassi, i gonfiori, e celluliti, il botulino - Läckberg nelle sue tante attività è anche chef riconosciuta, autrice di libri di cucina di culto.
Il primo dei romanzi del ciclo “Faye”, la protagonista, fortunata e sfortunata. Con molte eresie del “modello svedese”: appartmenti da 450 mq, ville al mare da 670 mq, “con spiaggia sabbiosa e pontili privati”. Con molte aperture ai lettori latini. Italiani: tutti, più o meno, i marchi, più il prosecco e gli spaghetti alla bolognese – “insuperabili” quelli di Faye. E spagnoli: la gita d’obbligo a Barcellona, il “cava”. Più che una scrittrice, un marchio, molto produttivo: Läckberg, cinquant’anno l’anno prossimo, quattro figli e alcuni mariti, è attiva nella finanza e nella gioielleria, autrice di mezza dozzina di serie giallo-noir, di canzoni di successo, di libri di ricette, editrice musicale, presentatrice televisiva, sceneggiatrice. 
Camilla Läckberg, La gabbia dorata, Marsilio, pp. 410 € 5.90 

domenica 5 novembre 2023

Ombre - 692

Il ministro israeliano che voleva l’atomica su Gaza viene dimissionato per le proteste dei familiari degli ostaggi di Hamas. Non per altri motivi?
Israele ha l’atomica?
 
Corrado Passera rievoca con Bricco sul “Sole 24 Ore” quando Ciampi, ministro del Tesoro, lo chiamò a gestire le Poste: “Non c’era un bilancio vero e proprio. L’azienda era in mano alla «vecchia» Cisl e ai politici di turno. E l’allora Pds cercava spazi al suo interno. I capi del sindacato mi presentarono quello che loro stessi chiamarono «il foglietto», cioè un elenco di nomi da promuovere. Io lo feci cadere nel cestino. Si imbufalirono e dichiararono trenta giorni di sciopero. Non appena misi mano alle forniture , cominciarono le lettere con minacce di morte, con allegate pallottole”. Succedeva nel 1997.
 
“Si sdegna Edith Bruck: “Sui migranti ho cambiato idea: non possiamo accogliere quelli che odiano gli ebrei”. Cioè il 90 pe cento, o giù di lì, dei migranti? L’immigrazione è un fatto, stabile, non passeggero. Andrebbe ragionata.
 
Inflazione e tassi alti – durevoli, si preannuncia un ciclo nuovo, del denaro caro: si penserebbero le banche in difficoltà, meno attività, minori utili. E invece Intesa dopo Unicredit preannuncia il bilancio migliore di molti anni. Si penserebbe la banca, la banca moderna, anticiclica, che agevola  il credito in tempi difficili, eccetera. E invece è la banca di sempre: più alti gli interessi, meglio mi sento – gli insoluti? qualcuno pagherà.  
 
Putin revoca la ratifica del trattato 1996 per la messa al bando degli esperimenti nucleari. Solo la Russia lo aveva ratificato, gli Stati Uniti no. E nemmeno la Cina.
 
310 milioni del bilancio pubblico aspettano dal 2019 di essere utilizzati da imprese e Comuni per l’efficientamento energetico, per la riduzione dei consumi e dell’inquinamento da fonti d energia. Ne è stato utilizzato un centesimo, meno di tre milioni, 2,9. La transizione c’è, ma verso cosa?
 
Cazzullo deve rassicurare i lettori de “Corriere della sera”: i Palestinesi sono umani, nei “campi profughi” non c’è solo odio , c’è anche “cultura e speranza”. Provincialismo, sotto i buoni sentimenti. È la superiorità dei poveri, di spirito. Era quello che ci diceva dei “boveri negri” in Sud Africa sessanta e cinquant’anni fa: sono buoni da mangiare.
Ma perché i Palestinesi stanno nei campi profughi? Boh.
 
Il “Corriere della sera” ricorda anche il capitano Orde Wingate , il solito eroe della propaganda di guerra britannica, che “insegnò agli ebrei a combattere i palestinesi”, e Israele onora con vie, piazze e centri sportivi. Mentre non era un eroe ma solo un sergente di ferro e un razzista: odiava gli arabi - lavorò per Israele in odio agli arabi.
 
Si sbeffeggia Soumahoro parlamentare di sinistra e di estrema sinistra, sindacalista dei lavoratori africani, che nei suoi “centri di accoglienza” li sfruttava. Ma era sociologo del lavoro, sindacalista di Base, e scrittore esimio - si ricordano suoi interventi molto ben argomentati e scritti anche sul “Sole 24 Ore”. Forse va ricordato che l’Africa è matriarcale, l’uomo in Africa è solo un fuco: non si riesce a credere a un Soumahoro, sociologo, navigato, vittima di moglie e suocera, ma l’Africa è delle donne.   
 
Andava di corsa il Procuratore Chiné della legge del calcio ed è inciampato: il giudice sportivo gli ha bocciato la squalifica. Semplicemente, guardando la televisione. Di un giocatore della Juventus – lui è procuratore anti-Juventus. Il “sistema” balla? La banda si direbbe alla frutta, dopo avere escluso l’Italia da due Mondiali (impensabile), e ora mettendo a rischio anche l’Europeo (con la Macedonia del Nord, di nuovo…). Ma come fa una gestione così fallimentare a tenersi in piedi, solo perché Galliani e Lotito lo vogliono (Gravina è un cache-sex)? Come funziona il calcio?
 
Capita una serata di martedì vuota di sbattere su un talk-show, il più venerando dei salotti politici,  “Di martedi”, dopo molti anni, dai tempi di Crozza, e di trovarlo immutato. Tale e quale come era. Vari salotti, tutti della sinistra, pariolina, tutti compresi della propria superiorità, che sorridono benigni, mentre Floris si incarica di fargli vincere i duelli senza duellare, togliendo e dando la parola, cambiando brusco tema se le cose si mettono male. Ed è un programma di successo. C’è una sinistra che non la finisce di congratularsi con se stessa.
 
Il direttore belga, francofono, dell’università Europea di Fiesole non vuole che sia più pronunciata la parola Natale – si può dire “Festa di fine anno” oppure “Festa d’inverno”. È curioso che la massoneria sia ancora anti-cristiana – il Belgio francofono è massone. L’unica differenza è che una volta veniva ritenuta d’influenza ebraica, ora invece islamica. Cosa è cambiato, i soldi della penisola arabica pesano di più?      

La scoperta della Sicilia

L’ascesa all’Etna, dichiara in apertura Vittorio Frosini, il fine filosofo del diritto che il volume ha voluto riedito, noto collaboratore per decenni dell’“Espresso” in materia saggistica, catanese appassionato, è un tornante nella sensibilità e nella letteratura. “Di uno dei più suggestivi miti letterari del romanticismo”, l’ascesa alla “linea di confine tra il mondo infuocato degli inferi e la celestiale verginità degli aerei spazi”. Di due miti, a quello dell’Etna accompagnandosi quello della Sicilia, “terra di vulcani, di passioni ardenti, di straordinari contrasti: un mito, si può ben dire, che dura tuttora”. 
Un viaggio meravigliato attraverso la Sicilia del 1770, malgrado le scomodità di ogni genere, muli, pagliericci e guardie-briganti. Di interesse, a questo proposito, pure per la “storia” della mafia: le guardie armate di cui i referenti locali dei viaggiatori inglesi li dotavano, per i lunghi e accidentati percorsi a dorso di mulo, massoni di condizione elevata come i viaggiatori con le commendatizie, erano per lo più briganti convinti a passare a servizio, minacciosi d’aspetto e dai modi brutali, specie coi contadini e con ogni altro provveditore del necessario ai viaggiatori – dei grassatori. 
Da Malta solo due lettere su trentotto. Precise e simpatetiche, per il popolino, arabizzato, e per le fortificazioni. In linea coi disegni britannici all’epoca sul Mediterraneo. Ma Malta era pur sempre governata dai cavalieri papali, di cui tocca a Brydone in qualche modo parlare, tanto più che sono con lui ospitali.
Alcune lettere, di carattere più naturalistico-scientifico, Frosini riassume in poche righe. Tra queste purtroppo anche la lettera XI, sull’elettricità: con l’idea di un parafulmine, allora la grande novità scientifica, sulla testa delle dame, sulle acconciature montuose. Lichtenberg, che ha letto Brydone all’uscita, propone in uno dei suoi pensieri sparsi, D 511, di applicarlo alle dame, ma alle parti basse: “Un parafulmine per la loro…. sarebbe meglio” (“Lichtenberg si diverte spesso a mettere in relazione l’elettricità e il sesso”, nota il suo traduttore Anacleto Verrecchia). 
Il racconto di viaggio forse più interessante fra i tanti del Grand Tour, che è forse l’unico non ristampato. Di uno scrittore scozzese rinomato per la letteratura di viaggio, e anche come naturalista, membro della Royal Society britannica delle Scienze. Che fu a Napoli e in Sicilia come accompagnatore-istitutore di un giovane nobile, il diciassettenne William Fullerton. Questa edizione, l’unica del dopoguerra, voluta e curata da Frosini, con moltissime illustrazioni d’epoca, risale al 1968. Fu giustamente famosa subito, alla prima uscita, in concorrenza col contemporaneo “Viaggio attraverso la Sicilia e la Magna Grecia” del barone tedesco von Riedesel, pubblicato nel 1770, e due anni dopo già tradotto in francese e in inglese. Il libro di Brydone, in forma di lettere che via inviava a un immaginario amico londinese, il cavaliere William Beckford (il vero William Beckford, l’autore di “Vathek”, era nato appena dieci anni prima del viaggio, nel 1860), uscì a Londra lo stesso anno della traduzione di von Riedesel, 1772, seguito subito da una decina di ristampe, e dalla traduzione in tedesco nel 1774 e in francese nel 1775. Solo in italiano non fu tradotto: la prima traduzione è del 1901, a Messina, la città di cui, dopo Palermo, Brydone fa le più grandi meraviglie.
Singolare destino del libro, e dello stesso Brydone. Al tempo di questa riedizione, 1968, di Brydone non si sapeva più nulla, ignorato perfino dalla “Encyclopedia Britannica”.
Era noto invece, rileva Frosini, in Italia. Per esempio a Ippolito Pindemonte, che nel 1779 fece l’ascesa dell’Etna come consigliava Brydone, allo spuntare del sole. O a D.H.Lawrence, “nei versi immaginosi dell’ode Purple Anemones, ispiratagli da un visita fatta in quei luoghi durante il suo soggiorno in Sicilia nel 1920”. Swinbrune, che fu a Palermo qualche anno dopo Brydone, a dicembre 1777, trovò la nobiltà palermitana impermalosita dal trattamento che aveva avuto da Brydone – l’epopea gattopardesca dei gelati nasce con Brydone. Ma in Sicilia soprattutto diventò un secolo dopo, nota ancora Frosini, benché non tradotto (Brydone si meraviglia dei tanti palermitani, anche non giovani, che parlavano l’inglese: la tappa a Palermo, di cui fu entusiasta. dice facilitata dal fatto di potere parlare quasi sempre in inglese), un autore di riferimento per gli “storici dell’isola, da Isidoro La Lumia a Giuseppe Pitré”, specie per il dettagliatissimo quadro della capitale - “ha ispirato le loro rievocazioni della vita a Palermo sulla fine del Settecento… fonte di curiose notizie sulle costumanze della nobiltà dell’epoca”.
Ma curiose, si direbbe, per non essere scontate. Come la sua anamnesi di quella che sarà la mafia, la malvivenza dentro il potere. La libertà delle ragazze, anche colte, sempre disinvolte, in famiglia e in società. La fede-passione religiosa, locale, popolare. La conoscenza, appunto,diffusa dell’inglese. L’uso, da Brydone apprezzatissimo, della “conversazione”: si fa salotto per “conversare”, e con sollecitudine per tenere compagnia a chi non può muoversi, per infermità o altro inconveniente.
Molte le notazioni sorprendenti. Già a Malta, la notte del 29 ottobre 1957, come oggi in Toscana, una tempesta di acqua e vento “decapitò” l’isola, tetti, mura, palazzi interi, per “un nuvolone nero che man mano che si avvicinava cambiava di colore, finché divenne come una massa di fuoco mescolata a fumo nero”, con “un frastuono spaventoso” - una nave inglese, la prima colpita, “fu fatta a pezzi in un istante”, etc. ,una tempesta di acqua e vento. È qui la prima storia di Colapesce, , poi stabilizzata da Croce nelle leggende napoletane. E la prima del cielo a specchio della terra – del fenomeno ottico poi noto come Fata Morgana. Con la pesca dei coralli, del pesce spada, del tonno (le tonnare).
Ad Agrigento, poi prototipo dell’abusivismo distruttivo, si accede per un viale di agavi americane di due metri, fiorite. E a proposito della Gabrieli, la cantante (più nota come Gabrielli, Caterina), bravissima e capricciosissima, un picco trattati sulla voce,: l’apertura della glottide, l’elasticità delle fibre della gola – senza mai far notare che doveva aver e sui quarant’anni o più.
Tra le lettere omesse il confronto fra la Sicilia di Omero e quella di Virgilio.
Patrick Brydone, Viaggio in Sicilia e a Malta – 1770, Longanesi, pp. 29. ril. ill. pp.vv.