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sabato 7 maggio 2011

Napolitano sancisce la partitocrazia

Ha lasciato tutti a bocca aperta, perché sembrava impossibile. Ma l’impossibile è arrivato: a opera di un presidente ultraottantenne, reduce peraltro di un’esperienza storica e politica fallimentare. L’impossibile è l’assunzione della partitocrazia a regola di governo, e la vanificazione del mandato parlamentare di rappresentanza. La Costituzione vuole il parlamentare senza vincolo di mandato. Napolitano introduce motu proprio il vincolo di mandato. E per conto di chi? Di Casini e di Fini, che sono stati i primi a tradire il “vincolo di mandato” politico, quello giusto e costituzionale.
Secoli, e biblioteche, di giurisprudenza sulla rappresentatività e il mandato parlamentare sono stati vanificati dall’ultimo messaggio di Napolitano. Nonché decenni d’indignazione, da parte laica e da parte anche del suo Partito, il vecchio Pci, contro la cosiddetta partitocrazia, o invadenza del partiti nella vita politica, soprattutto in quella parlamentare. Ora è un presidente della Repubblica a chiedere addirittura l’assunzione dei partiti a soggetti parlamentari, invece dei parlamentari eletti. Forse tradito dalla memoria del centralismo democratico ferreo che regolava il suo Partito, può succedere in tarda età. Forse portato a mali passi dai protagonisti di questa seconda Repubblica o delle toghe, giurisperiti e giudici dell’antipolitica.
E dunque l’impensabile è avvenuto: l’instaurazione anche de jure della partitocrazia, che per riconoscimento unanime è la causa della storia rachitica della Repubblica. Ma non è una vera sorpresa. Che il Quirinale stravolga la Costituzione non è da ora, e non solo in materia di rappresentanza. È dai tempi di Scalfaro che il Quirinale si segnala per invasioni di campo in ogni istante e per ogni evento della vita politica: in materia di giustizia, di guerra, di fisco, perfino di salario, per non parlare delle garanzie costituzionali all’individuo, calpestate liberamente, alla verità, all’onorabilità, alla presunzione d’innocenza, e perfino al diritto di difesa nei tribunali. La Costituzione tanto invocata in realtà non c’è più: il presidente Ciampi ha tentato di riportare il Quirinale entro i suoi limiti, ma era – era ritenuto – un “incidente di percorso”.
I costituzionalisti del partito Democratico annacquano il messaggio: Napolitano non vuole un voto di fiducia su un nuovo governo, vuole solo delle dichiarazioni, un chiarimento, etc. Ma debolmente, non insistono più di tanto. Che invece i santoni della Costituzione in materia di rappresentanza, gli antipartitocratici di sempre, da Scalfari a Sartori, tacciano, questo è solo segno di mala fede.

Talk show Quirinale

Consiglia prudenza ma solleva pietre d’inciampo. Invita alla collaborazione, per il bene del paese, ma semina zizzania. Si vuole patrono della Costituzione e non fa che sgretolarla. Nei confronti del Parlamento, nei confronti del governo, sulle tasse, sulla guerra, sulla giustizia, e perfino sui sottosegretari. I comportamenti del presidente Napolitano da alcuni mesi sono criticati dai costituzionalisti – ultimamente lasciano perplessi pure i suoi amici e sostenitori.
I nemici – anche Napolitano ne ha – vanno oltre. Di tutte le istituzioni non critica mai la magistratura, che più di tutte meriterebbe le critiche. È presenzialista, ogni giorno vuol occupare la scena, come nei vecchi regimi imperiali o del culto del capo. Ha nugoli di consiglieri che scalpitano, a fine presidenza, per incarichi e prebende stabili, nelle Autorità di settore, magari del calcio, nelle Agenzie, nelle Corti e i Consigli, contabili, costituzionali, consultivi. Esercita un moralismo assurdo: prevaricante, antipolitico, antinazionale.
L’evidenza è che il Quirinale non si sottrae all’imbastardimento della politica. Ridotta a un giornalismo superficiale del pettegolezzo, della chiacchiera continua, tra talk show e reality, le forme espressive dominanti – che questo sito in più occasioni ha rilevato non casuale ma preordinato, all’imbastardimento della politica e quindi al suo depotenziamento.

venerdì 6 maggio 2011

Le aquile Usa sono casiniste

È il racconto di un’incursione americana nella prigione di Evin a Teheran trent’anni fa. Che s’immaginava scritto a risarcimento della disastrata missione di incursori ordinata sullo stesso carcere dal presidente Carter. Ma riaperto dopo l’incursione e l’assassinio di Osama, si manifesta (si conferma) tutto incredibilmente falso: 1) non capita d’incontrare libri falsi, e così lunghi, articoli sì, dichiarazioni, ma libri sembrerebbe impossibile; 2) l’autore stesso dà i riferimenti per dichiarare falso il suo inno; 3) si priva, per essere falso, di elementi e personaggi (iraniani) che ne rafforzerebbero la narrazione; 4) rende i suoi eroi irrefrenabilmente antipatici.
Scritto bene evidentemente, è un best-seller duraturo. Ma è talmente immorale che porta a interrogarsi su che mondo è in realtà questo della pax americana. È imperialista. Violento, quasi razzista. E pretende la salvezza per una società che non ha pagato le tasse, e anzi ha corrotto delle persone per non pagarle. Anche a pensare che sia stato scritto su commissione, di Ross Perot o della Eds, anche in questo caso è falso: è controproducente.
Gli eroi risultano una banda di americani stupidi, con l’eccezione dello “stupido” Simmons, il militare. Il cattivo Dedjer è un magistrato solerte e integro, che da solo, contro lo steso regime iraniano, tiene testa alla corruzione Usa. La posta in gioco, per cui si monta la “liberazione”, è un contratto frutto di corruzione. Nemmeno per un istante la brillantissima Eds si rende conto che tutto è perduto, compreso il contratto, per quello che tutti vedono, anche i presumibili lettori del Mid-West: c’è una rivoluzione in atto. Tuttavia, questo polpettone è stato un best-seller ammirato. E ha servito per una serie tv pare di successo, e da manifesto politico per Ross Perot. Poi Perot ha lasciato, era solo un vecchietto bisognoso di protagonismo: che Follett non abbia scritto, facendosi pagare magari da Perot, un libro-beffa? Altra dignità, perlomeno nel riciclaggio che ne fa DeMille ne “I Dieci Comandamenti”, ha il titolo analogo del rev. Southon nel 1937.
Ken Follett, Sulle ali delle aquile

Ombre - 87

Il decreto anticrisi viene nei notiziari Rai dopo: 1) la celebrazione che Obama fa a Ground Zero a New York, 2) la riunione a Roma del gruppo di contatto sulla Libia, 3) la nomina dei sottosegretari, con relative polemiche, 4) una lettera di Fini a Berlusconi, con relative polemiche, 5) l’incontro di Napolitano col papa. Informazione?

Un dossier di “Tuttoscuola” sull’istruzione media superiore ha spunti interessanti, In particolare sul numero abnorme di precari tra gli insegnanti al Nord, e di abbandoni dopo il primo o secondo anno, sempre al Nord. Rileva anche che il Sud e le isole hanno fatto il balzo più grande negli ultimi quattro anni in fatto di qualità. Ma il “Corriere della sera” ne fa una pagina sui “prof reggini che “si ammalano più del triplo degli astigiani”, e sul record sospetto di Vibo Valentia in fatto di diplomi col massimo dei voti. Razzismo?

Sul “Corriere della sera” Ferrarella e Guastella ricostruiscono oggi il processo a Berlusconi per prossenetismo come un dossier, farcito di illegalità, a opera di Bruti Liberati e della sua vicaria Boccassini. Ma senza dirlo. In una prosa questurina, faticosa (“l’indagine asseritamente riferita”, “conversazioni omissate”, frasi lunghe di 10-15 righe – l’ultima colonna ne ha una di 27 – piene di ablativi e gerundi). Anche i titoli sono incomprensibili. Paura?

Sir Alex Ferguson si gode il poker del suo Manchester di riserve sullo Schalke 04 titolare: ride, chiacchiera, racconta storie, se le fa raccontare, con i collaboratori, fa ridere gli spettatori che riescono a sentirlo, benché sappia di essere in televisione, dove peraltro nessuno lo registra o ne fa leggere il labiale, la cosa migliore restando sempre la partita. Analoga scena in Italia, ammesso che un allenatore parlasse liberamente, avrebbe ancora strascichi per sapere se se ha detto “ce l’abbiamo fatta” oppure “vaffanculo”. Giornalismo?

Visi inespressivi nella Situation Room della Casa Bianca, eccetto Obama e Hillary Clnton, dei tanti che seguono in diretta l’assalto a Osama. Senza neanche le esagerazioni di “Stranamore”. Niente curiosità, nemmeno ira. Gli Usa sono un mondo a sé, un altro mondo.

“Il suo odio non ci ha cambiati”, scrive McIverney in morte di Bin Laden. Ci ha infettati: c’è un odio più odioso di quello “occidentale”.

Prescrizione a Firenze per un prete pedofilo. Che la chiesa ha allontanato dalla parrocchia nel 2005, e ridotto allo stato laicale nel 2008. Il Procuratore fiorentino Quattrocchi redige per l’occasione una protesta vibrata: ma non contro i suoi uffici, né contro quelli del tribunale, contro la chiesa.
Massoneria? Sentito il patron Gianfranco Fini?
La Procura di Firenze ce l’ha con la chiesa perché, dice, “toglie la fede a chi la ce l’ha, la rende impossibile a chi la cerca”. Che è vera massoneria, migliore della chiesa. E la prescrizione?

“Primo maggio, la Lega Nord lavora per chi lavora”. Non è vero, ma è ben trovato.

L’architetto Cervellati annuncia il Primo Maggio che voterà Lega. “Loro affrontano i problemi”, dice. L’architetto, “l’urbanista del Pci”, è stato assessore e simbolo della Bologna da bere, offerta negli anni Settanta alla stampa straniera con abbondanza di bollicine, quale modello urbano e sociale. Non ha piantato nulla? A Bologna che si governava bene pure sotto il papa.

giovedì 5 maggio 2011

Il mondo com'è - 62

astolfo

Guerra - È il solo evento regale, a prerogativa insindacabile, senza giustificativo. In una epoca che si vuole di pace. Si fa il conto del costo e dei benefici di tutto, comprese le operazioni al cuore, al cervello o ai tumori (in Germania non si fanno sopra i 75 anni), mentre per la guerra si decide e si spende senza alcuna considerazione economica.

Oriente – I cinesi come si sa, hanno sempre ritenuto gli europei dei barbari, e il loro sistema di vita una follia.

Prescrizione – È acquisitiva o estintiva: acquisisce o fa decadere certe condizioni di legge – la proprietà o un onere (una pena). È acquisizione medievale, quindi onorevole in un ambito poco legale. Ma modernamente, nello stato di diritto, in entrambe le versioni più si allunga e più è “la tirannia, l’abuso della forza”. Flaubert fa riflettere in questi termini uno dei suoi personaggi idealisti dell’“Educazione sentimentale”. La cui grande opera in elaborazione sarà “La Prescrizione considerata come base del diritto civile e del diritto naturale dei popoli”. La prescrizione lunga è “dare la scurezza dell’uomo onesto all’erede del ladro arricchito”, argomenta eloquente il personaggio ai suoi esami di avvocato. Un privilegio: “Aboliamolo; e i Franchi non peseranno più sui Galli, gli Inglesi sugli Irlandesi, gli Yankees sui Pellerossa, i Turchi sugli Arabi, i bianchi sui negri, la Polonia…”.

Stato (ragione di) – Dalla guerra del Golfo alla Libia, l’Onu copre la ragione di Stato americana. La guerra di difesa (ma tutte le guerre sono di difesa) è il nocciolo più consistente della ragione di Stato, e gli Stati Uniti hanno scelto, caduto il Muro e ogni altra consistente contrapposizione, di farsela avallare dall’Onu. Con ciò però caratterizzando la ragione di Stato stessa come distintamente impositiva, anche se morbidamente totalitaria: il diritto multinazionale gli Usa, un diritto peraltro “giovane”, di recente elaborazione, da vent’anni piegano agli interessi nazionali. E anzi alle decisioni della Casa Bianca, gli interessi nazionali non curandosi di rappresentare, neppure agli alleati che di volta in volta chiamano a supporto.
È stato il caso della Serbia, dell’Afghanistan e dell’Iraq, e ora della Libia. Che è una guerra volta e prepara dagli usa, benché ne sia stato messo a capo il presidente francese Sarkozy – il presidente più debole della Quinta Repubblica francese, che dura ormai da 53 anni. Contro Gheddafi che finanziava, armava e praticava il terrorismo poco o nulla è stato fatto. Quando Gheddaf ha voluto e ottenuto al rispettabilità internazionale, collaborando alla guerra al terrorismo, è stato attaccato con un colpo di stato e una guerra.
La ragione di Stato Usa è particolarmente solitaria - poco o nient’affatto confidenziale - con gli alleati. La cui fedeltà si dà per supposta e non da guadagnare. Si veda l’Italia. In Italia Gheddafi ha ucciso o fatto uccidere un centinaio d persone, dai palestinesi, dai giapponesi e dai suoi propri servizi, a Fiumicino, alle basi Nato e tra gli esiliati libici. Senza reazione. Quando i rapporti erano stati incanalati in un trattato di collaborazione, l’Italia gli fa guerra.
La ragione di Stato è l’interesse nazionale. Ma in accezione ristretta agli organi decisionali, governo, sovrano, apparato repressivo (giustizia e polizia), genericamente compreso nella dizione segreto di Stato. È una politica cioè presunta e non dichiarata. Che però si esplicita e viene giudicata (letta, capita) nei suoi fatti. In subordine, non necessariamente, ma costantemente, essa si realizza contro dottrine o principi ideali dichiarati, e in modo quasi sempre violento (spregiudicato, falso) per un interesse presunto eccezionale e superiore.
Filosoficamente, dal coniatore del concetto, il gesuita Giovanni Botero (1589), a Croce, la ragione di Stato sarebbe la scienza della politica, che con saggezza e accortezza sa garantire gli interessi nazionali in accordo con la morale. Su questo terreno si sviluppò dopo la prima guerra mondiale il concetto della sicurezza collettiva, dapprima nella Società delle nazioni, poi nell’Onu. Ma il realismo, più che l’ideale, si presume il suo fondamento, secondo il principio che ogni azione dello Stato, se risponde al bene dello Stato stesso, diventa legittima, indipendentemente dalla sua moralità.
Essa si esercita tipicamente nella politica estera. In politica interna sconfina in altre categorie, non democratiche e anti-democratiche quali il totalitarismo, la tirannia, o quanto meno lo stato d’eccezione. Ma vuol essere un’eccezione. In politica internazionale è invece ritenuta la normalità, e anzi prende solitamente una connotazione popolare, e quindi democratica. A lungo esercizio tipico della Kabinettenpolitik, della politica delle cancellerie, è modernamente “popolare”, e quindi democratica. Una legittimazione che nasce dal nazionalismo, e dalla sua fase più acuta, il jingosimo – ampiamente descritto da Hobson, il teorico dell’imperialismo. Una “politica delle masse” che ingigantisce i fenomeni da tifo allo stadio, partigiano per antonomasia, o da colosseo. Confluendo in tal modo nella definizione di Stato che Marx dà nel “Capitale” – che è stata a lungo la sua affermazione più contestata: “Violenza concentrata e organizzata dalla società”.

Terrorismo – Carlo Galli, grande rilettore delle categorie del politico, sulle orme di Carl Schmitt, dice su “Repubblica” il terrorismo una sorta di virus che gli organismi politici elaborano al loro interno: “Il terrorismo è (e ancora sarà, benché si trovi in difficoltà strategica) non un nemico di civiltà come il fascismo, né un nemico di sistema, come il comunismo – e meno che mai un nemico convenzionale come erano gli Stati uno per l’altro, prima dell’età delle ideologie -; è un nemico biopolitico, ovvero una sorta di parassita cresciuto dentro alla globalizzazione, pervasivo come questa e – versatile, mutante e imprevedibile come un virus mortale – capace di attaccare le potenze territoriali, per colpirne la sostanza vitale: le popolazioni.
Ma questo si può dire solo del terrorismo brigatista, che non è morto, ma non è globale e anzi solo italiano (la Rote Armee Fraktion tedesca, la più vicina alle Br, è stata tutt’altra cosa). Il terrorismo islamico fondamentalista (qaedista, salafita), di cui si sta parlando, non è globale (politico) e non è pervasivo: è una copia del Vecchio della Montagna, nelle ricostruzioni perlomeno che l’Occidente ne ha fatto, da Freya Stark indietro fino a Nerval, e alle prime storie delle crociate. Di un’organizzazione terroristica anarchica, seppure vanti matrici islamiche: un’armata di avventurieri, a disposizione anche dei principi cristiani, tanto più per essere puri di cuore e quindi gratuiti. Di nichilisti, si potrebbe dire con più proprietà, che l’anarchia dissolvevano nella violenza.
Abbiamo avuto in anni recenti forme di terrorismo molto diverse nell’organizzazione e le finalità, seppure tutte sconfinanti nell’ambiguo (i “rossi” giapponesi finanziati e organizzati da Gheddafi…). Quello palestinese, legato a un territorio, a una popolazione, a un partito politico – prima Fatah, poi Hamas. Quello delle varie Armate Rosse, stimolato da Mosca a fini eversivi in Occidente. Quello, appunto, delle Br. E questo vecchio-nuovo creato da Osama.

Vendetta - È l’unica ratio dell’assalto, con ludibrio, a Osama Bin Laden. Che esalta l’America e la rende perfino felice – suscitando naturalmente l’indignazione dei professionisti dell’antiamericanismo, quelli che si dicono molto americani, i più veri, i più sinceri, ce ne sono in ogni giornale (New York è all’apice delle ambizioni di ogni giornalista). Uscirà ora la vendetta dai recessi del primitivismo, nelle categorie dell’antropologia della violenza? Si potrebbe arguirne con uguale plausibilità una rivincita (una vendetta?) del Sud contro il Nord…
Ma il cardine della vendetta è l’inestinguibilità. Ha deciso Obama, o la Cia per lui, o i Seals della Marina, di rilanciare con Osama la faida con l’islam che si stava estinguendo? È questa la sola ratio del massacro dello stesso, indifeso, dopo la cattura, e della sua non sepoltura – la collera non si esercita a freddo, e i Seals devono essere soprattutto freddi, coi nervi solidi.
Il pregiudizio della vendetta impedisce l’esercizio della legge. Questo si legge in un romanzo di Balzac, ma è realtà evidente in qualsiasi paese della Corsica, dove il termine origina, o della Calabria, con le interminabili faide tribali.

astolfo@antiit.eu

Problemi di base - 59

spock

C’è mercato per tutto, il conto costi\benefici, solo per la guerra la spesa resta suntuaria?

Quelli che fischiano al Primo Maggio sono della Cisl mascherati da Cgil?

Quando Napolitano si appella all’unità senza ipocrisie si riferisce ai lavoratori oppure alla Cgil?

E perché l’Italia dovrebbe bombardare unita la Libia?

L’articolo 1 non sarà l’articolo 18?

C’era l’intellettuale organico (al Partito) di Gramsci, c’è l’intellettuale organico (ai media) di Sergio Luzzatto: ma l’organico non dovrebbe essere più digeribile?

In che anno cominciò la creazione?

Dio si stancò prima o dopo la Bibbia?

spock@antiit.eu

mercoledì 4 maggio 2011

La concorrenza dispiace a Milano

L’arrivo al ministero infine di Paolo Romani, un liberale, aveva lasciato presumere un varo immediato del provvedimento, almeno in consiglio dei ministri. Ma la legge sulla concorrenza non c’è e non ci sarà: non si possono sciogliere i controlli incrociati.
Tante materie sono già disciplinare dalle leggi antitrust e dall’Autorità Antitrust, ma non quella sugli incroci tra controllori e controllati. Che è la tara secolare del mercato in Italia, ed evidentemente non si può eliminare. Oggi in particolare riguarda le banche, che “si nominano” i consiglieri d’amministrazione nominandoli prima alle fondazioni, specie i cosiddetti indipendenti o tecnici, professori, commercialisti, tributaristi – prassi ultimamente agevolata dalle quote rosa, suore incluse. Ma soprattutto riguarda l’incrocio tra Mediobanca e Generali. Che sembrerebbe – è – piccola cosa, ma in Italia è tutto. O a Milano, che è l’Italia. Anche perché si può fare scudo del gruppo Rcs-Corriere della sera.
È in questa chiave che viene letto anche il silenzio del governo, in ogni suo interstizio, sulle ultime vicende in Generali. Malgrado l’allontanamento brusco di Geronzi, il banchiere non milanese che ha letteralmente “salvato” Berlusconi in almeno un caso, nel 1994, e forse in due, anche nella quotazione di Mediaset tramite Ben Ammar e la finanza araba. A opera di Della Valle, nemico dichiarato e impertinente di Berlusconi.
Il silenzio di Berlusconi e dei suoi sulla manovra contro Geronzi e Ben Ammar-Bolloré viene collegato alla posizione attendista che i giornali del gruppo Rcs hanno assunto nei confronti della politica e degli affari di Berlusconi – dall’editoria (lodo Mondadori), e la sfida Mediaset-Sky, al Milan. Nonché dei suoi processi, dopo il tanto dileggio sulle accuse di prossenetismo.

Metà storia dell’Italia è repubblicana, non onorevole

Emanuele Macaluso, il più giovane a 87 anni della sinistra, prende la direzione del “Riformista” con le idee molto chiare sulla storia della repubblica: “La Dc ha dominato per cinquant’anni e il Pci esercitava un’egemonia politica fortissima”.
I cinquant’anni sono tra poco settanta, quasi metà di tutta la storia dell’Italia unita. Senza più l’egemonia politica (culturale) del Pci – l’egemonia resta forte alla Rai e nell’editoria, ma è dubbio che faccia cultura, non è più legittimata. Un’egemonia che non è andata, alle somme, oltre “I miserabili”, il partito dei vinti, brutti e cattivi cui chissachì dovrà un giorno la redenzione, e non ci ha dato un’opera o un momento di gioia.
La storia di questa quasi metà repubblicana dell’Italia unita è democristiana. Che è un modo d’essere più che un orientamento politico, quello cosiddetto doroteo: non so, non ci sono, vediamo. Gli anni della Repubblica hanno coinciso con un periodo di pace, all’ombra della guerra fredda, e di crescita della ricchezza senza precedenti nella storia europea e mondiale, cui l’Italia ha saputo accodarsi. E questo è l’esito migliore della Repubblica. Conseguente alla scelta della Nato, dell’Occidente, la decisione più coraggiosa e di grande avvenire.
A merito della Repubblica si ascrive anche l’Europa, ma questa non è stata una scelta, giusto un modo di essere – e poi questa Europa, benché unita, non è diversa da quello che è stata, non molto, a parte l’euro. Il resto di questi settant’anni, e cioè gli ultimi quaranta, sono storia recente e non onorevole – Macaluso dice “opaca”: dal terrorismo brigatista a quello giudiziario. Sempre col fine, non camuffato, d’impedire all’Italia una qualche forma di governo, o l’“autonomia del politico”, per la quale Craxi è stato perseguito e ha pagato. Macaluso ricorda la fase che precedette la “rivoluzione dell’antipolitica”, in cui tanti servitori inutili e falsi compagni di strada si adoperarono per portare il voto Pci, il 30 per cento dell’elettorato, al servizio di Andreotti e De Mita.

martedì 3 maggio 2011

Prove di pace tra Milano e Berlusconi

I giudici è certo che lo condanneranno, in tutti i processi: guardando alla composizione e agli atti dei collegi i giudizi sono scontati. Ma i procedimenti decadranno variamente, per prescrizione, per derubricazione dei reati, per disarticolazione degli stessi. E soprattutto, i giudici non contano più: Milano ne è stanca.
Forse i processi a Berlusconi sono troppi. Forse il processo per prossenetismo, a Fede oltre che a Berlusconi, è troppo anche per lo stomaco virtuista di Milano. O si dà per scontata la conferma dei berlusconiani alla guida della città, dopo le divisioni a sinistra. E quindi alla gestione dell’Esposizione 2015, che bene o male si terrà. E bene o male sarà un’occasione di lauti guadagni, specie nell’immobiliare - che è già partito, anche con i grattacieli, benché si fingano ancora polemiche. Il fatto è però evidente da qualche settimana, che un disarmo bilaterale, se non un avvicinamento, è in corso tra l’establishment meneghino, Intesa-Unicredit-Mediobanca-Rcs, e Berlusconi.
L’establishment non è più devastante, e anzi prospetta un Berlusconi inoffensivo. Accettandone anche la critica sempre più feroce alla Procura. Berlusconi dal canto suo accetta di farsi processare, per la forma. E non vara la legge sulla concorrenza, da tempo promessa e poi minacciata. Un rinvio di non poco peso, giacché la legge non potrebbe non incidere sulle partecipazioni incrociate sulle quali si reggono i grandi affari a Milano e il potere economico: di Intesa e Unicredit, delle Fondazioni loro socie e dei consigli d’amministrazione di comodo, di Mediobanca in Generali, di tutte le banche nel “Corriere della sera”.

Il debito vuole una ripartenza dell'euro

Non è finito l’effetto perverso dei mutui sub-prime, è già in atto una minaccia ancora più grande con gli swaps, il mercato i controllato dei credit defaults, dei crediti incagliati. Una settimana di “primi piani” del “Sole 24 Ore”, culminate domenica di due paginone, tracciano un quadro agghiacciante – tanto più per venire dietro la prima pagina, sempre piena delle irrilevanti diatribe italiane.
“Il Sole” definisce “cinica” la Germania di Angela Merkel. Che un anno fa fece finta, argomenta, di voler salvare il debito greco per “salvare l’euro”, e ora invece parla “sempre più disinvoltamente di ristrutturazione del debito greco”. Un argomento che i “primi piani” dello stesso giornale ribaltano, delineando una nuova bolla, ben più pericolosa dei mutui senza garanzie: per l’ampiezza, e perché tocca in larga misura direttamente i conti pubblici. Un mercato di cui non si sa nulla (“l’asimmetria informativa è in tutta Europa”, si consola caratteristicamente il pur coraggioso giornale). Che in Italia presenta già un conto da 52 miliardi - “è la perdita potenziale di enti territoriali, imprese, società finanziarie e piccole banche”.
Il presidente dell’Antitrust Catricalà conferma: i credit default swaps, il mercato dei crediti incagliati, sono “strumenti snaturati”. Erano polizze, sono ora un volano della speculazione: “I credit default swap, nati per temperare l rischio di determinati investimenti mobiliari, hanno assunto una valenza autonoma e vengono venduti in modo autonomo: la funzione originaria l’hanno persa e potrebbero costituire il volano per manovre speculative”. Al di fuori di ogni sorveglianza, dice Catricalà, che semplicemente non c’è. un rischio accresciuto dal fatto che gli Etf, i fondi che replicano gli indici e quindi dovrebbero dare garanzie totali ai risparmiatori, hanno preso a “investire” essi stessi in Cds. Non è tutto, ammonisce il presidente dell’Antitrust: “nuovi subprime”, finanziamenti senza garanzie, “hanno alla base i crediti delle carte di credito e i crediti al consumo”. Insomma, un’altra valanga si sta addensando.
Le inchieste del “Sole” ne hanno dato i numeri. A poco più di due anni dal fallimento di Lehmann, banche e fondi americani investono massicciamente in strumenti speculativi: mille miliardi di dollari in Etf. Sedici volte tanto è il valore dello shadow banking, l’intermediazione finanziaria “tra il sistema bancario ufficiale e un mondo sotterraneo di veicoli societari, impacchettatori di titoli strutturati e fondi speculativi sottratti a qualsiasi controllo”. Ma saldamente in mano a pochi operatori: cinque banche Usa gestiscono il 96 per cento del mercato dei derivati (JP Morgan, Citibank, Goldman Sachs, BoFa, Wells). Da capogiro le cifre messe insieme da Isabella Bufacchi e Fabio Pavesi: quello degli swap è un mercato da 360 mila miliardi di euro, fuori di ogni controllo. I crediti a rischio di questi contratti sono valutati in 2.430 miliardi di euro, “tre volte il debito di Spagna, Grecia, Portogallo e Irlanda”.
“Il Sole” dice la ristrutturazione, o consolidamento, “un eufemismo per la stessa cancellazione parziale dei debiti che un anno fa, a detta dei sostenitori del salvataggio, avrebbe condotto al naufragio della moneta unica”. Lo dice naturalmente, verrebbe voglia di aggiungere, essendo anche il giornale degli imprenditori un giornale di finanza, ma terroristicamente, e con buona dose di disinvoltura. In alternativa c’è solo da rifinanziare il debito greco, cioè da ricomprarselo. E dopo quello greco magari quello irlandese, portoghese eccetera. E cioè da trasformare il debito dei paesi membri in debito europeo. E perché non comprarsi anche lo stratosferico debito italiano…
La ristrutturazione, o consolidamento, è il fallimento parziale dell’euro, è vero. Che però è inevitabile, e sarebbe improcrastinabile. Opera infatti come un tumore: se non rimosso o curato invade ogni angolo sano. L’euro è nato male, ha prodotto quasi vent’anni ormai di danni, e va corretto o rifondato. I motivi sono tanti, esposti in questo sito il 2 marzo 2009 (“Consolidare il debito” http://www.antiit.com/2009/03/consolidare-il-debito.html). La più importante è la più visibile: al coperto dell’euro l’Europa ristagna, anche dove sembra che l’economia sia in crescita. Non vive. Non crea investimenti, non crea lavoro, non crea ricchezza e sopravvive mangiandosi le rendite accumulate. E la ragione è che l’euro è nato male: troppo forte per economie troppo deboli, sopraffatte dai debiti. O può darsi che le economie europee siano forti, storicamente sono state fortissime, dominanti, che siano ancora dei grandi squadroni: devono allora ripartire, per restare al gergo del calcio, come fanno le squadre anche più titolate quando hanno subito un attacco pericoloso, organizzare una "ripartenza".
Demandato ai banchieri centrali, che capiscono poco di moneta se non come cassaforte, l’euro è nato pesantissimo, due volte il suo valore reale, su una base fragile, di debiti ingovernabili. Troppo grandi rispetto alla casa, quello italiano e quello greco. O alla capacità produttiva (di servizio del debito) nazionale, è il caso del Portogallo, e anche del Benelux. O rapportati favorevolmente, cioè fraudolentemente, a economie drogate, quella spagnola e quella irlandese.

lunedì 2 maggio 2011

Marchionne batte Mercedes

L’ha pagata (la sta per pagare) cara, mentre Mercedes l’ha presa per poco, con un furbo “merger of equals”, al tempo delle vacche grasse, al culmine delle presidenze Clinton nel 1998 che sono state il più lungo boom della storia nota. L’ha presa al fallimento, nel mezzo della crisi mondiale, la più pesante e duratura che si ricordi ultimamente, mentre Mercedes godeva di un mercato sostenuto, coi più alti tassi di motorizzazione dopo i balzi iniziali un s ecolo prima. L’ha rimessa in bonis in meno di due anni, mentre Mercedes l’ha distrutta in dieci. Il soggetto è la Fiat, l’oggetto la Chrysler - la Fiat o meglio Marchionne, non c’è altra Fiat fuori di Marchionne.
Mercedes-Chrysler fu l’opera di Jürgen Schrempp, “l’onore della nazione”, il manager più miracoloso di tutti i tempi della storia tedesca. Uno che girava con una S 600 limousine corazzata da un milione di dollari. Che volle Chrysler per creare la settima potenza mondiale. E dopo nove anni di perdite riuscì a venderla per 5,5 miliardi. Il nome è potenza nel famoso mercato che sarebbe la nostra superiore logica. Anche se al costo complessivo di 70 miliardi di dollari di valore di Borsa per gli azionisti, e di 36 miliardi di dollari sui bilanci della società per ripianare le enormi perdite.
Bisogna intendersi sulla razionalità del mercato. E serve sapere che non c’è un destino nazionale, una superiorità precostituita, in affari e nell’economia in genere. Se non come massa d’urto. La quale è soprattutto convinzione – in Germania ancora non si crede che Chrysler sia risanata, se non per una furbata di Marchionne e la Fiat, perché l’Italia è furberia, la capacità in affari tedesca: non c’è paragone tra Mercedes e Fiat, etc. Il giudizio è pregiudizio.

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (88)

Giuseppe Leuzzi

Il delitto è moderno
I carabinieri antichi.

Record a Milano dei pensionati baby, un quarto del totale. Ci sono, ci sono ancora, 532 mila pensionati baby, per quasi due terzi sono a Nord dell’Appennino, e per quasi un quarto sono lombardi. Non fa scandalo e anzi non se ne parla, ma sono cifre Inps e Inpdap, e quindi vere.
Va al Nord il 70 per cento delle pensioni baby Inps e il 61 per cento di quelle Inpdap. Che però sono la stragrande maggioranza, quattro su cinque. Il pensionato baby è infatti tipicamente un\a impiegato\a della Pubblica Amministrazione, quasi sempre insegnante. Ma ci sono anche Di Pietro (pensionato a 44 anni), la moglie di Bossi (39), e tre onusti banchieri, Masera (44), che è stato anche ministro, Gallo (45) e Sarcinelli (48), con assegni da 15-18 mila euro, al mese.
La Lombardia ha 110.497 pensioni baby. La Sicilia, con una popolazione analoga, 21 mila. Al secondo posto viene il Veneto, con 57 mila assegni, al terzo l’Emilia-Romagna, 53 mila, quarto il Piemonte con 48 mila. Con le altre regioni del Nord si arriva a un totale di 334 su 532 mila.

Che fine ha fatto la Torino-Lione? È il Ponte sullo stretto il solo Ponte dei sospiri? E la Pedemontana? O la Variante di valico? Per non dire della Malpensa. Per esempio al confronto con Gioia Tauro – non c’è confronto: lo sperpero e il malaffare sono solo a Gioia, si sa.

Nelle indagini locali, delle Camere del lavoro, di qualche sociologo, anche di qualche storico, raro, e nelle memorie orali che ultimamente si vanno raccogliendo, la campagna di buona metà della Toscana nei dieci-quindici anni dopo la guerra, in Maremma, nel pisano, nell’entroterra della lussuosa Versilia, nelle Apuane, in Garfagnana, nel Pistoiese, nonché del Veneto, da Belluno a Rovigo, nell’alto Friuli, nell’entroterra marchigiano, era in condizioni miserrime. Braccianti, fittavoli, mezzadri vivevano in case minime, senza vetri, più spesso senza pavimenti e senza gabinetto, senza acqua corrente, senza elettricità. Il ritardo del Sud è recente, ha perso il treno della Repubblica.

“Porca madosca!”, familiare parabestemmia un tempo in uso, sarebbe toscana? La usa Nino Filastò, l’avvocato fiorentino scrittore di noir. Di padre calabrese, è vero.

Un piccolo trasportatore di Caulonia si fa spesso la fine settimana un viaggio fino a Roma, se necessario fino a Bologna, con cibarie cotte e semicotte della mamme di Caulonia, Gioiosa Marina, Locri, Bovalino, per i figli in carriera nell’Alta Italia. La cosa si merita ampie pagine dei giornali italiani dopo che il “Wall Street Journal” ne ha scritto – sì, il giornale finanziario, di Wall Street.
Il “Wall Street Journal” ne fa un articolo di colore, racconta una curiosità. Tra l’altro non omette di segnalare il carattere sessantottino, più che meridionale, delle mamme, professoresse in pensione, impiegate della Regione, delle Poste, del Comune, che “fanno la vita” dei figli anche in pensione. Il ”Corriere della sera” ne fa un caso di etnologia – “guarda come sono strani!”

Sud
Muore Ernesto Sabato, quasi centenario, ricordato con ampiezza e simpatia dai giornali. Ma non abbastanza per menzionare che era figlio di genitori calabresi. Se fosse stato figlio di brianzoli?
È però vero che i figli non condividono la nostalgia dei genitori, sia pure quella che dev’essere stata fortissima dei genitori Sabato, calabresi albanesi, doppiamente cioè caratterizzati: i figli vogliono essere “del luogo - non estranei, non minoritari. E come loro i loro figli, condannati a essere comparse. È alla terza generazione che si risveglia solitamente la curiosità e l’orgoglio delle origini. Il Sud rivive così nelle terre d’emigrazione, in Canada, in Australia, in Sud America, quale era prima della guerra, e talvolta prima della grande guerra.

“L’invenzione del Sud” è titolo di Nicola Zitara, sulla manomissione del mercato dei capitali al Sud da parte di banchieri e speculatori del nord dopo l’unificazione. Ma la nozione è molto più ampia, anche se ha radici nell’unificazione. Sosterrebbe un genere narrativo.

I calciatori del Bologna usano permessi di parcheggio contraffatti, da invalidi. Sul “Resto del carlino” e sul “Corriere della sera” la città si è per questo “meridionalizzata”.
Per Severgnini, colonna del “Corriere della sera”, è anzi l’Europa che si “meridionalizza”. Perché ha visto gli inglesi a Londra piangere ai funerali di Lady Diana: “Londra sembrava Napoli”, scrive. E si ricorda che un etnologo svedese che sostiene questa tesi vent’anni fa gli ha spiegato che la Svezia si è appunto “meridionalizzata”: “Siamo diventati più emotivi, più sensuali, più indisciplinati”.
L’etnologo svedese, di nome Ake Daun, aveva sostenuto la sua tesi un po’ provocatoriamente, ma come a dire. “Stiamo migliorando”. E ha intitolato il libro che ne aveva ricavato “Stiamo diventando italiani?” per vendere qualche copia in più. A Milano invece la cosa puzza.
Nella realtà il mondo non si sta meridionalizzando, sta solo peggiorando: superficiale, asfittico, presuntuoso. Un certo mondo: l’Europa, gli Usa. Ma al Sud – anche Milano è al sud in Europa - i migliori sono sempre convinti che il mondo peggiora per colpa del Sud. La famosa linea dalla palma di Sciascia che sale come una marea irrefrenabile. È così che il Sud si trova a governare il mondo, pur non contando nulla. Come se il meglio del Sud fosse, alla fine, la stupidità.

La riscrittura della storia negli ultimi cinque secoli, in conseguenza della Riforma e della fuga da Roma, con la serie infinita di abiure imposte e richieste di perdono per gli errori (che tali peraltro non sono in chiave comparativa: quanti orrori nel protestantesimo!), ha comportato non solo la squalifica della chiesa al di là dei suoi demeriti, ma anche quella del Mediterraneo. È la Riforma, più che le scoperte, ad avere emarginato il Mediterraneo. La riprova è nel destino infelice di Spagna e Portogallo, potenze anch’esse atlantiche, e prima della Riforma meglio piazzate nelle scoperte rispetto all’Olanda e all’Inghilterra un secolo dopo. In conseguenza della Riforma, la chiesa è riuscita a recintare l’Italia, la Spagna e il Portogallo, ma anche i riformati hanno steso un cordone sanitario, dottrinale e pratico, sopra il Mediterraneo. Dei paesi cattolici hanno prosperato la Francia e l’impero asburgico, potenze continentali più che mediterranee, che peraltro si tenevano a cavaliere, con gli ugonotti, i libertini, gli illuminati, il giuseppinismo, della Riforma.
Da ricco ch’era, e considerato, il Mediterraneo è diventato d’improvviso povero, e non considerato. Con la perdita quasi in contemporanea dell’autostima, come oggi si dice, di ogni considerazione di sé. Le ultime idee buone dell’Italia, i Comuni e il Rinascimento, sono “opera” di due svizzeri, Sismondi e Burckardt. L’unico apprezzamento della mentalità pietistico-cattolica si deve a un tedesco, Max Weber, che conosceva bene la latinità. E la rivitalizzazione del mondo greco, qualsiasi cosa esso fosse, si deve a due tedeschi, uno ispirato all’antichità, Nietzsche, e uno di formazione cattolica, Heidegger. Ma col ridicolo tentativo – molto “riformato” – di saltare la storia e fare dei greci, dei filosofi greci non dei pastori di capre, i progenitori dei tedeschi, il nazionalismo può facilmente essere ridicolo.
Il disprezzo del Sud è ipermoltiplicato nell’ultimo quarto di secolo. È un pregiudizio: si applica già a chi abita al pianterreno rispetto a chi abita all’attico, e alle persone basse di stature rispetto a quelle alte. Come tale potrebbe quindi rovesciarsi d’improvviso: le persone brune, per esempio, sono ritenute più sane di quelle pallide, oggi rispetto a uno-due decenni fa. Ma la tendenza resta solida.
L’unico filone vivo del Mediterraneo è il rinato ebraismo. Mette insieme il fondamentalismo, cioè il recupero totale della tradizione, con il suo opposto, il modernismo, anzi con una sorta di bulimia delle novità. È rinascente, quindi pieno di energia e di stimoli. Se si confermerà un fenomeno mediterraneo, il che però è dubbio. È nato in Germania e viene dall’America - dall’America come luogo culturale più che geografico: l’università di Gerusalemme potrebbe trovarsi nella Nuova Inghilterra. Tende anche a saltare la sua millenaria storia mediterranea – latina e cristiana.

Sicilia
Raffaele Lombardo, eletto alla presidenza della Regione Sicilia da Berlusconi, governa col Pd.
Rinviato a giudizio per mafia e non difeso dal Pd, cerca conforto a Roma da Berlusconi.
Poi torna a Palermo e governa col Pd, che malgrado l’accusa di mafia, che condivide, non gli ritira il voto.

Ha impersonato l’Antistato, più di qualsiasi terrorismo. Ha ucciso diecine, centinaia di giudici, Procuratori Capo, onorevoli, generali, dove e quando ha voluto, a tiro singolo e con le bombe, le mine, le bombe a tempo, le bombe radiocomandate, le più protette eccellenze dello Stato, dopo averle minacciate: lo ha detto e lo ha fatto. Nell’impunità. Il generale Dalla Chiesa, i parlamentari illustri La Torre e Mattarella, i Procuratori Capo Costa, Chinnici, prima dei giudici Falcone e Borsellino, tanto per dire alcuni nomi. Ha distrutto la Conca d’Oro e mezza bellezza di Palermo (beh, un pizzico, Palermo e il palermitano sono eccezionalmente belli e ben conservati). Ha infettato e distrutto l’industriosa Catania, i suoi quattro cavalieri nazionali della grande edilizia, i laboratori farmaceutici, i semiconduttori, e la liofilizzazione degli agrumi. Una potenza. Inafferrabile, incontenibile. La Repubblica aveva tenuto testa al papa sul divorzio e l’aborto, agli Usa quando volevano uccidere Gheddafi, e all’Urss tutto il tempo dacché era nata, ma con la mafia era inerme.
Questo per trent’anni. Poi li hanno presi, e si è scoperto che la mafia onnipotente era Totò Riina “u curciu”, un analfabeta di ritorno, e Bernardo Provenzano, un bigotto. Per l’amore sempre della “traggedia”, il romanzo della realtà sovrapposto alla realtà. Dell’esagerazione, sia pure suicida.
Ma Provenzano, dopo che l’hanno preso, nemmeno Andrea Camilleri ha saputo rianimarlo. Non ci resta che farlo confidente.

A Palermo la Procura chiede l’assoluzione per un onorevole Romano, frattanto diventato ministro di Berlusconi: non è concorrente esterno in associazione mafiosa. Ma allora è il giudice che chiede alla Procura di riaprire un’indagine già archiviata nel 2004, per vedere di farlo concorrente esterno. Sulla giustizia in Sicilia non tramonta mai il sole? O, come vuole il detto, “falla come vuoi, sempre è cucuzza”.

Ciancimino figlio è dunque ar gabbio. Era ovvio, per uno che inventa facile. Ed era facile previsione che gli sarebbe finita male dopo che ha tentato di ricattare il prefetto De Gennaro. Meno prevedibile era che l’arresto fosse ordinato dallo stesso giudice che ha sfruttato Ciancimino in tutti i modi, fino al ricatto al capo dei servizi segreti. Il dottor Ingroia se ne è avvalso per tre anni in indiscrezioni pilotate, processi, articoli, e talk show.

Ciancimino figlio è stato arrestato a Fidenza. Strana location, per rinchiuderlo nel carcere di Parma? Per rinchiuderlo cioè con Provenzano e uno dei Graviano. C’è bisogno di supporto per addebitare le stragi del 1993 allo Stato, o meglio ancora a Berlusconi? Il teologo Spatuzza, il centokiller, certo non basta. Altrimenti la Procura di Palermo si costringerebbe magari a indagare la mafia a Palermo, e questo attenterebbe al mercato, in uno dei pochi posti immuni alla crisi.

leuzzi@antiit.eu

domenica 1 maggio 2011

Letture - 60

letterautore

Decameron – Il critico idealista lo apprezza sempre e comunque.
Il pornografo lo trova noioso.
Il critico sainte-beuviano (rifiuta la biografia per meglio insinuarvisi) trova Boccaccio personalità intrigante.
Lo storico recrimina quanto sarebbe stato meglio se donne a cavalieri fossero rimasti a Firenze a raccontarci della peste. Questo è interessante: a condizioni eguali per il critico idealista, il pornografo e il sainte-beuviano, si potrebbero immaginare i “Promessi sposi” rovesciati, o Manzoni, senza la peste di Milano, che a Brusuglio, o su quel ramo del lago di Como, si raccontava con gli amici storie pecorecce.

Flaubert – Nell’“Educazione sentimentale” i due amici ventenni passeggiano nell’umidità “tenendosi per la vita, sotto lo stesso mantello, fianco a fianco”. Poi il protagonista attende “tutta la settimana” un suo nuovo amico, “non osa andare da lui”, anche se lo vorrebbe tanto cioè, “per non avere l’aria impaziente”. Ma, dice Flaubert, “lo cercò per tutto il quartiere latino, una sera lo incontrò, e lo portò in camera sua”. E quando il primo amico riemerge il protagonista, che si appresta al primo agognato incontro con l’amata, si mette “a tremare come una donna adultera sotto lo sguardo del marito”. I due si mettono a chiacchierare, “e, di tanto in tanto”, annota Flaubert, “si prendevano le mani sopra la tavola, guardandosi un minuto con tenerezza”. Poi faranno ménage insieme.
Nelle letture critiche classiche non ce n’è traccia, ma una lettura odierna dell’“Educazione sentimentale” (per non dire dei viaggi in coppia con Maxime Du Camp) sarà sicuramente ingombra di latenze e pulsioni omosessuali in Flaubert. Anche la famosa malattia inspiegabile vi può essere collegata, perché no, la “malattia dei nervi” – ne soffre pure il protagonista di questo racconto amoroso. Cambia qualcosa?

Narrare – È l’arte dei tropi. Del vero << >> falso, del reale << >> irreale, eccetera. È l’arte dell’illusione. O del disvelamento dell’illusione: si regge sulla sorpresa.

Proust- Snob no. È ammirato di tutti, del duca e dello chauffeur, alla stessa maniera, curiosa, irrispettosa, sottomessa, infantile. La preziosità dello stile e la mancanza di misura – il compiacimento della smisuratezza – ne fanno un adolescente attardato. I dettagli minuziosi, che però non danno temi e figure, non li ritagliano, ma solo impressioni, lo fanno un dilettante. È una narrazione che fluisce, non ha radici, va come un’onda che non si spezza - ma paciosa, non richiede il fine tuning o la sfida del surfing.
Il gregarismo, molto distinto nelle lettere (vuole compiacere tutti, più spesso con esagerazione), accanto allo scatto ironico, ne fanno un personaggio alla mano, non chiuso (snob). L’espressione è invece vaga. Di autore del tutto disimpegnato, fuori da ogni incastro o puntura del reale – tipico della letteratura leggera o da secondo rayon. È questo distacco a far pensare allo snobismo, ma è piuttosto incapacità di fissare – cristallizzare – i sentimenti, l’amore, la gelosia, il disprezzo, piuttosto l’inappetenza, che solo i doveri dell’entomologo mitigano.
Ovvero: c’è uno snobismo alto, quello naturale, di nascita cioè, dell’aristocratico e del grande borghese, i Guermantes, Charlus, e d’istinto, l’indifferente Albert-ine. E c’è quello piccolo (petit, petty) di chi annusa incontri, cerimonie, ricevimenti, must di ogni genere, e mendica presenze. Una voluttà (curiosità) che si esaurisce nel gossip, incessante, e nel name-dropping. Questo sì, è lo snobismo di Proust.
E ancora: non tanto nell’opera quanto nelle lettere. Per il semplice fatto di scrivere così tante lettere, così tanto innecessarie, anche da ammalato. È il piacere di guardare, come si dice, dal buco della serratura. Non di imitare scimmiescamente (Verdurin), ma d’impregnarsi al contatto, d’incensarsi ai fumi del turibolo, tipico dei miracolandi, degli psicanalizzati, di chi si abbandona a una realtà vicaria.

Tanti i punti in comune della “Ricerca” con “Lucien Leuwen”: autobiografismo immaginario, snobismo (namedropping, bon mots, bellezza inattingibile), mescolanza di alto e basso (borghese e nobile, affarismo sordido, venalità, gaglioffaggine, e estetismo, rinuncia, santità), parentele, aneddotica, filosofia spicciola, la piccola politica.
Non sarà, per l’uno e per l’altro (per Stendhal solo “Lucien Leuwen”, romanzo abortito) un imborghesimento del sansimonismo, senza più tante arguzie, e nemmeno la cattiveria – Saint-Simon il duca? La scrittura, oltre che la tematica, è da romanziere “nobili”, Scudéry, Tencin, de Duras.

La narrazione a ricalco (Proust ne è maestro già nei pastiches) di cose, persone, ambienti, avvenimenti (un fiore, un albergo, una étagère, un duca…), in scala, nella tradizione francese: la Conti, Saint-Simon, Sade. Il tempo-durata non c’entra, altrimenti sarebbero narrazioni storiche. Mentre sono “spaccati” – a carattere, di direbbe oggi, sociologizzante.

Il culto atroce dei proustiani per il doppio senso, delle parole, dei nomi: di che asfissiare il più mondano e inossidabile degli animi. Di chi la colpa: dei proustiani o di Proust?
Però è da dire che, dei personaggi a chiave, quelli reali sono più affascinanti di quelli della “Ricerca”. I sudici modelli (v. J.-É. Blanche per alcuni, Albert-ine, le démi-mondaines) sono sanguigni, la piccola perfidia della scrittura è faticosa e insulsa.

Psicanalisi - E se gli analisti fossero i sacerdoti di Cicerone, che se la ridono? L’ultima letteratura “comica”, da Svevo e Joyce e Woody Allen, prende corpo in questa radice.

Rilettura – Raramente è più appassionante della prima lettura, quasi sempre rivela punti deboli: noia, imprecisioni, mancanze, aporie, aritmie. Quella dei romanzi – Flaubert, Manzoni, Dostoevskij, Poe… Quella della poesia invece sempre è più ricca della prima lettura. Quella della saggistica rivela, si può dire in parti uguali, una prima lettura traditrice (Garboli, Bloom, Magris, affabulatori) e una risarcitoria (Contini a un estremo, Pedullà all’altro) – con Debenedetti nel mezzo, riservato.

Rilke – N. Berberova (“Nabokov e la sua Lolita”) lo dice “uomo di grande ironia e nient’affatto puritano”, audace a volte. Cosa che non può essere, tutto il rilkismo crollerebbe.

Romanzo – Si è ristretto a questioni di cuore (in francese di “cul”) e di potere. I vizi e le virtù – le passioni – sono più numerose e molto variate, ma il genere si è ridotto a esercitazioni per accumulo. Possibile che non si cavi nulla di avventuroso, di “appassionante”, dall’orgoglio (Ignazio di Loyola e altri santi), dall’invidia, che è la passione oggi dominante, dalla solitudine, passione-condanna della contemporaneità, e dall’accidia, l’ira, l’avarizia, la gola? O dalla giustizia, dalla fede?

Sade – È uomo e scrittore “tipo” della rivoluzione. Nato fuori tempo, una generazione prima – evento di non poco peso, considerato che la rivoluzione abbrevia i tempi, i destini vi si consumano in pochi anni, pochi mesi. Rivoluzionario è il suo filosofare, soprattutto l’incontinente estremismo, per la cui logica nulla è sufficiente.
Altra ironia è che sia lui che la sua rivoluzione, il personaggio e la cosa più incisivi e duraturi, siano passati accanto, inosservati, alla rivoluzione politica.

Viaggiare - Si fa sempre col paraocchi. Ma i francesi si distinguono, rispetto agli entomologi tedeschi e ai trekker britannici. Nella prima metà del’Ottocento erano tutti romantici e vedevano romantico: Gautier, Dumas, Chateaubriand, Staël – con eccezioni, certo: Stendhal, Courier, Custine. Nel Novecento, tornati nazionalisti, buttano fango su tutto ciò che è diverso, soprattutto sul Terzo mondo: perché il mondo non è l’Europa, la Francia, i rivoluzionari francesi?

letterautore@antiit.eu

Come si bombarda male

Si pensano la Nato e l’Onu veritieri, perché organismi burocratici, se non sovranazionali, e invece sono bugiardi come qualsiasi altra potenza, grande o piccola. Specie in guerra. Si pensa la tecnica sempre più perfezionata, anche indolore. E su queste premesse si finisce per credere alla guerra pulita, oltre che giusta: esatta, millimetrica, “rapida, rigorosa e risolutiva” come una operazione chirurgica. È doppiamente sorprendente quindi l’intervista del generale Tricarico a M.Ne. (Marco Nese? Se ne vergogna?) sul “Corriere della sera” del 29 aprile: oltre che per la censura del giornale, cha la confina in un colonnino poco visibile, per la stupidità della guerra che il generale, allora capo delle forze aeree italiane e vice-capo di quelle Nato, conferma con “precisione chirurgica”:
http://archiviostorico.corriere.it/2011/aprile/29/generale_solita_ipocrisia_Come_capito_co_8_110429027.shtml
“In Kosovo i nostri aerei bombardarono fin dalla prima notte del conflitto”, il 24 marzo 1999, conferma il generale: “Fu un' operazione condotta insieme con i caccia dell' Aeronautica tedesca”. Nella solita guerra non dichiarata, non discussa in Parlamento, fortemente voluta dal solito presidente ubriaco di settennato - allora era Scalfaro. Il generale riporta la decisione a D’Alema, allora presidente del consiglio, ma il senso è quello, un intervento voluto “in alto luogo” e ammantato di ipocrisia: “Per tranquillizzare i sonni dell' onorevole Cossutta fu necessario inventare la dizione Difesa integrata. In realtà i piloti italiani colpirono fin dal primo momento. Solo una decina di giorni dopo arrivò l'ordine di intervenire coi bombardamenti. Tre righe scritte in forma incomprensibile a testimonianza delle folli acrobazie lessicali necessarie per scriverle”. Senza speciale organizzazione o tecnologia, a cominciare dalle procedure, la cosa più semplice: “Nella prima guerra del Golfo del 1991, i nostri Tornado vennero immessi nelle operazioni di bombardamento dell' Iraq senza aver avuto una sola opportunità di addestrarsi insieme agli alleati e senza le notizie di intelligence necessarie per inserirsi nello scenario operativo”. Allora la decisione rapida e risolutiva fu di Andreotti. Fino al ridicolo: “(I piloti) Bellini e Cocciolone vennero abbattuti dalla contraerea irachena dopo essere stati gli unici a raggiungere il territorio nemico, dove avevano fallito tutti i nostri alleati. Invece di elogiarli, furono messi sotto processo mediatico”.
La guerra è dura. Anche contro avversari che non si difendono.
Delle tre righe non si trova traccia negli archivi. Ma si sa che il governo D’Alema si era formato in sostituzione del governo Prodi essenzialmente per avere l’Italia in prima fila nella guerra alla Serbia, in preparazione da tempo anche se non se ne parlava. Prodi aveva sentito il bisogno, il 12 ottobre 1998, di mettere un comunicato, ai più allora di oscuro significato, per sostenere: "Nell'attuale situazione costituzionale il contributo delle Forze Armate italiane sarà limitato alle attività di difesa integrata del territorio nazionale. Ogni eventuale ulteriore impiego delle Forze Armate dovrà essere autorizzato dal Parlamento”.