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sabato 4 luglio 2015

Renzi sacrifica Pietrasanta alla segretaria

Nessun accenno, in nessun giornale o tg, al caso del sindaco sospeso da Renzi a Pietrasanta, all’indomani delle elezioni. Per nessuna colpa specifica ma la scomunica del capo di gabinetto legislativo di Renzi, Antonella Manzione. Nemica personale di Mallegni, il sindaco defenestrato. Dopo che questi l’aveva sospesa dall’incarico di capo dei vigili urbani a Pietrasanta.
Il capo dei vigili urbani di Pietrasanta a capo dell’ufficio legislativo di Palazzo Chigi: c’è tutto Renzi. Manca solo che la faccia senatrice.
C’è anche da ridere. La sospensione a Mallegni è stata comminata dal Prefetto di Lucca, su ordine del ministero dell’Interno, a firma del sottosegretario Domenico Manzione, giudice distaccato da Renzi al Viminale, fratello di Antonella. Ma non una parola sul fatto, tace tutta la stampa italiana.

L'antisemitismo allegro

Uno scritto breve, qui tradotto col francese a fronte, a eguire a una lunga excusatio di Antonio Gurrado. Ma di precisa, arguta anche - voltairiana - fondazione dell’antisemitismo.
Voltaire, Gli ebrei mangiavano carne umana?, il melangolo, pp. 61 € 6

Ombre . 274

La Grecia non rimborsa al Fondo Monetario la rata di un prestito alla scadenza, il Fondo non obietta. Non protesta il Fondo Monetaroio. Il Fondo Europeo Salvastati, che non c’entra, invece sì: subito “ufficialmente riconosce “ che la Grecis è in default. Il Fondo è gestito da Klaus Regling. 

Non subito: ka Grecia non paga il 30 giugno, Regling non la dichiara in fallimento il primo luglio, no. Aspetta il 4, la vigilia del referendum. Cosa salva Klaus Regling? La sua patrona Angela Merkel, che l’ha messo in quel posto?

Una vicenda di pedofilia continuata e aggravata per decenni si processa a Firenze, a carico di una comunità di assistenza ai minori, il Forteto. Ma senza scandalo, i giornali anzi non se ne occupano. Perché non ci sono preti? Perché è una vicenda del Pd – finanziamenti e comunità?
Ma non c’è nemmeno opposizione: berlusconiani, grillini, leghisti su questo fronte tacciono. Più pedofili o più incapaci?

Giorgio Dell’Arti opina, nella sua pagina “AltriMondi” della “Gazzetta dello Sport”, che Renzi abbia sospeso De Luca non solo con un “decreto suicida”, ma che addirittura il decreto se lo sia fatto scrivere dagli avvocati di De Luca. È perfino probabile, anzi certo.

A Massa Carrefour sperimenta l’apertura 24 h. Il “Corriere della sera” dice che è un successo, “La Nazione” dice che è un mezzo fallimento. La Cgil è contro l’apertura continuata. “La Nazione”, tradizionalmente moderata, è ora di sinistra? E il “Corriere della sera”, che si vuole democratico, è invece di destra? O è la Cgil che si è spostata? 

I fenicotteri rosa si acclimatano in Italia accanto al complesso petrolchimico di Priolo. È una nuova ecologia? Le spiagge ecologiche sono più velenose?

“Tutto questo un giorno sarà storia”, si consola filosofico un omino nella vignetta di Castellani. Ma l’altro è restio. “Sarebbe desolante leggere che l’unico segno di vitalità dell’Europa  fu il default della Grecia”.

“Renzi va dalla Merkel e fa il tedesco” – Roberto Giardina, decano dei corrispondenti italiani in Germania, dove vive da oltre trent’anni. Renzi imita Crozza?

Renzi a Berlino e invitato a tenere una lezione alla prestigiosa università Wilhelm von Humboldt. Usava anche quanto la von Humboldt era Berlino Est: l’invito faceva parte del cerimoniale tedesco di benevolenza, con il fascio dei fiori e il bacio in bocca.

137 mila migranti clandestini attraverso il Mediterraneo nei primi sei mesi, il doppio che nel primo semestre del 2014. Come non detto.

Il “Corriere dell sera” fa la prima pagina con Poroshenko, il presdente ucraino, che chiede “armi pesanti”(missili)  contro la Russia, dimenticandosi di dire chi è. Uomo d’affari, ministro corrotto del corrotto governo Yanushenko, un oligarca dai metodi di arricchimento torbidi, a capo di un governo di oligarchi con eserciti privati, antisemiti oltre che antirussi. E di un paese che ha ridotto alla fame, dopo un inverno al gelo, con salari inferiori a quelli del Ghana. Moltiplicando le spese militari.

Scoppia il finimondo e Renzi cosa dice: “È derby tra l’euro e la dracma”. Fuori dai videogame si perde.

“L’Unione Europea si fonda sui principi della solidarietà, della democrazia,  della comprensione e del rispetto reciproco, non su ricatti e ultimatum”- Chi l’ha detto, Renzi? No, Tsipras. Ed è vero. Cioè dovrebbe, Renzi per esempio non se ne è nemmeno accorto.

Strauss Khan assolto da tutto, dopo processi e arresti spettacolari, basati su “prove” certe. Ci vogliono togliere la fiducia anche nelle prove?
Ma una certezza ce l’abbiamo: che era inviso all’Fbi, che l’ha fatto arrestare tramite una donna civetta - un socialista a capo del Fondo Monetario?

Harald Wester, il general manager dell’Alfa Romeo, spiega che per la Giulia ha voluto sopperire alle frustrazioni che subisce quando prova le supercar della concorrenza piene di optional che richiedono corsi plurisettimanali di apprendimento. Facendoli anche pagare cari. È il mercato, si dice. Di che?

Valentino Rossi vince se parte da primo e vince partendo da ultimo. La “Gazzetta dello Sport” lo celebra non per l’impresa di vincere da ultimo, ma come “terminator da venti anni”: uno che ha “demolito tutti i rivali” a sportellate.

Un Ferrarella, portavoce della Procura di Milano, ha l’esclusiva della cronaca giudiziaria milanese sul “Corriere della sera”. Quando ci sono assoluzioni scrive prose come qualche giorno fa, “Corruzione archiviata dopo quattro mesi di carcere”, incomprensibili. In cui non spiega l'assoluzione, e il difetto o errore di incolpazione. La notizia non è per quale motivo Pelaggi, il dirigente (“funzionario”) pubblico commissario al risanamento dell’area Pioltello-Rodano, la terra dei fuochi lombarda, è stato assolto, ma per quale strano motivo non è stato condannato. Forse Robledo ha sbagliato, il Procuratore dell’accusa. Forse la Cassazione ha spostato il processo a Roma arbitrariamente.
Forse, la Procura di Milano ha sempre ragione. Ma non potrebbe scriversela meglio?

Maria Luisa Agnese rispolvera su “Sette” da tempo, evidentemente con successo, le foto dei politici con le dita nel naso che facevano l’inserto sessant’anni fa del “Borghese”, settimanale neo fascista, per  illustrare le nefandezze della democrazia. È strano vedere che in sessant’anni il giornalismo non è cambiato. E come la destra sia ora sinistra. Effetto della vecchiezza?  

A che punto è la Ue

Alcune verità emerse nella crisi greca, che non vengono dette:
1) Non c’è collegialità a Bruxelles, decide la Germania. Contro gli Statuti europei, che sono confederali.
2) Angela Merkel usa costantemente di un diritto di veto che nessuno Statuto europeo prevede.
3) C’è un’egemonia tedesca di fatto a Bruxelles. Di fatto, cioè non sottoposta ai checks and balances che sono il fulcro delle Costituzioni moderne, e per questo tanto più pericolosa.
4) C’è un Fondo Salvastati a Bruxelles ma non per la Grecia.
5) Juncker fu eletto con un piano di investimenti da 300 miliardi. Poi Tsipras andò al governo a Atene e del piano di investimenti non s’è più parlato. Anche se Tsipras questo chiedeva: non di non pagare i debiti, ma di poter investire per bilanciare i tagli e pagare i debiti.
6) Non c’è mai stata  una vera trattativa sui problemi della Grecia ma solo un’esercitazione contro il governo greco e la Grecia.
7) Non c’è mai stata una vera rappresentazione della posizione greca nei negoziati, c’è stata fin dall’inizio solo la volontà di jugulare il governo greco. La posizione del governo Tsipras era ed è che la Grecia non presentava nel 2010, quando fu posta in amministrazione controllata, un problema di liquidità (immediata) ma uno di solvibilità (futura). Per prevenire il quale doveva consolidare i centri di spesa (età pensionabile, coefficienti previdenziali, sanità, numero dei dipendenti pubblici, retribuzioni pubbliche) e insieme rilanciare l’economia – la solvibilità futura va costruita anche con la produzione e la produttività.
8) C’è una perversa volontà di rappresentazione dell’Unione Europea da parte dei media, dei torti e delle ragioni, e dei modi di funzionamento, seppure abnormi e anzi golpistici. Mentre il giudizio autonomo degli elettori e dell’opinione pubblica allargata restringe la fiducia nella Ue a non più di un europeo su cinque. C’è un difetto, costante e quindi non per errore, di informazione sullo stato dell’Unione. 

Le due Germanie

Ci sono due Germanie, una tedesca e una da esportazione. Mariana Mazzuccato l’ha confermato autorevolmente mercoledì su “Repubblica” – è la rappresentazione che si può ritrovare in “Gentile Germania”- e dunque, malgrado la cortina fumogena dell’affarismo, che domina l’informazione, la verità comincia a emergere: la Germania di Angela Merkel impone all’estero l’esatto opposto delle ricette che adotta a casa.
Mentre impone l’austerità all’esterno, Angela Merkel sussidia i bassi salari con elevati contributi sociali a carico dello Stato. E alimenta i contributi a fondo perduto per l’innovazione, l’ecologia, la formazione professionale. Nonché il credito pubblico a lungo e lunghissimo termine per gli investimenti industriali privati. Ciò attraverso la Kfw, la vecchia “Cassa del Mezzogiorno” inventata venticinque anni fa per la Germania Est.
La Germania di Angela Merkel è uno dei paesi che più ha accresciuto il debito pubblico nella crisi, per continuare ad alimentare gli investimenti e la competitività (produttività) - ha un debito più alto di quello dell’Italia. Ma contemporaneamente ha alimentato la crescita, e quindi ha un debito più che sostenibile, pagato cioè da un’economia in pieno sviluppo, l’unica della Ue.

venerdì 3 luglio 2015

Problemi di base - 235

spock

Che cosa ha fatto l’Europa in questi (quasi) dieci anni di crisi, a parte jugulare la Grecia?

“Quando sarà giudicato, fa’ che sia trovato colpevole”, Salmo, 109: s’intendeva Berlusconi, già al tempo della Bibbia?

Com’è che non compreremmo un bottone né una stringa di tutto il campionario dei settimanali maschili, e anche dei femminili?

È meglio Tacito – più saggio, onesto – oppure Tiberio?

Viene prima la mafia, o prima i giudici?

Viene prima la mafia o prima i giornalisti, taciti sdegnati?

E chi viene prima: i giudici, i giornalisti o la mafia?

E l’antimafia?

spock@antiit.eu

Colpo di fulmine sul vicario inquirente

L’ispettore il senso di osservazione ce l’ha esatto. Per esempio di “come le donne brune invecchiano più in fretta delle bionde, mentre agli uomini accade esattamente il contrario”. E quindi non ci sarebbe storia: un delitto accertato è certo. Ma il suo antagonista, mite e attonito vicario di parrocchia, che vorrebbe dissotterrare un delitto giudicato senza alcun dubbio sedici anni prima, non ha torto: la verità ha mille pieghe. Non è la sola sorpresa.
In questo giallo finora trascurato della giallista teologa si viaggia per la campagna inglese in Lancia Flavia – nel 1967, altra epoca? – “una macchina molto  bella”. C’era ancora l’interdetto sugli illegittimi, in Italia i famosi N.N. di cui si trovava difficile l’abolizione. Ma non c’era il leghismo, anche il Nord esercitava liberamente la superstizione – “si dice che porti male procedere in senso antiorario  attorno a una chiesa”.
Un giallo atipico, dall’esito non prevedibile – piuttosto un noir. Ma con una sensualissima storia  d’amore, senza alcunché di sconveniente, tra il vicario attempato e una top model – che è la verità, poi, dell’amore, quel soprassalto di vitalità, morbosa e non.
Ruth Rendell, La morte in versi, Fanucci, pp. 253 € 7,50

L'ultima illegalità del Monti-Napolitano

I giudici napoletani hanno deciso politicamente, ma gli argomenti dei legali di De Luca contro la legge Severino erano inoppugnabili. La legge discrimina i termini per la sospensione o la decadenza tra parlamentari e consiglieri regionali. La legge pretende applicazione retroattiva. Due assurdità. Due “reati” commessi da un grande avvocato, al cui nome s’intesta la legge, ministro di Monti. Quanti guai hanno combinato gli osannati “tecnici” in Italia, è da non credere. Ma.
Ma la legge è di un governo voluto e protetto dal presidente della Repubblica Napolitano, “il primo comunista presidente della Repubblica”. Ed è stata votata da Berlusconi, che ne sarà la prima – e quindi ora l’unica – vittima. Oltre la “tecnica” scadente, anche in campo giuridico in aggiunta a quello economico, questo governo Monti cos’altro aveva dietro – sotto, sopra - che lo ha reso così disastrosamente necessario?
Avendo riguardo alla comune cittadinanza dei protagonisti, la ministra, i ricorrenti, i giudici, il giustiziere anticorruzione, si sarebbe tentati di dirla una giustizia alla napoletana, dell’essere, non essere e può essere, dei “paglietti” principi del foro - la severa Severino è avvocatessa principessa. Ma, poi, la legge è stata applicata una sola volta, dal presidente del Senato Grasso. Che è invece palermitano, ed è un Giudice Capo, di questo e di quello. E uno non sa che pensare. Contro il fondamentale principio della irretroattività della legge. Grasso non lo conosce?
Grasso è un politicante - ha fatto sanzionare Berlusconi a scrutinio palese mentre il regolamento del Senato voleva lo scrutinio segreto, la famosa orrenda giustizia ad personam - e questo è tutto. E i giudici che danno ragione a De Magistris e De Luca? 

Il governo sovversivo

Le argomentazioni del presidente del Tribunale di Napoli, Ettore Ferrara, sul caso De Luca, che non possono non essere prese sul serio, sgomentano. Il giudice è intervenuto per la “straordinaria gravità della situazione scaturita dall’abnorme decreto di sospensione”.
Renzi si è fatto un “decreto suicida”? Tale cioè che i giudici dovessero cassarlo, automaticamente riconoscendo a De Luca una patente di onorabilità.. Molti lo sostengono. D’altra parte lo stesso Renzi ha fatto sospendere dal Prefetto a Pietrasanta il sindaco rieletto Mallegni, sempre sulla base della legge Severino, ma senza nessun presupposto. Eccetto l’odio contro Mallegni del suo capo di gabinetto legislativo, l’ex vigile urbano di Pietrasanta Antonella Manzione, e del di lei fratello, giudice…. Disinvolto come sempre, già nella nomina d Antonella Manzione, bocciata dalla Corte dei Conti per mancanza dei requisiti ma a nessun effetto. Ma qui al limite del golpismo. I  Manzione in effetti sono una famiglia di rispetto. Antonella non era vigile ma capo de vigili, e suo fratello Domenico, il giudice, è sottosegretario all’Interno, l’unico del governo Letta che Renzi abbia confermato. Gente influente insomma, ma allora Renzi ne ha paura?
Si rilegge così con apprensione il giudice di Napoli. Ma non si può non dargli ragione, dare ragione al giudice: “Occorre conservare il risultato elettorale a tutela degli eletti, ma soprattutto del diritto degli elettori a essere governati dai propri rappresentanti democraticamente eletti”. Mentre le pratiche del governo sono “sovversive di una democrazia rappresentativa” e “un’abnorme revoca delle elezioni, un’estemporanea rottamazione degli organi della Regione”.

Renzi dopo Monti, e la Severino: gli “eletti” dei non eletti. Di cui Mattarella non ha nulla da dire, il presidente garante della Costituzione. 

giovedì 2 luglio 2015

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (250)

Giuseppe Leuzzi

Ridotta dalla sociologia di caserma a ballo mafioso, la tarantella “affascina” Ludovico Einaudi, che ne edita un’antologia, “Taranta project”: “Una musica che ha un potere che è in grado di curare. Il primo passaggio per entrare in questo stato alterato è il ritmo. Trance o estasi, comunque la taranta ci offre un’elevazione rispetto al quotidiano. Può accaderti in chiesa, in piazza, ma anche quando fai jogging”.
Il ballo (ritmo) e il sacro non è una traccia molto lavorata. Ma è indubbio che in antico si legavano – come si legavano fino a qualche anno fa, prima della modernizzazione, in Africa e in Asia.

Dei 15 progetti di grandi opere da cofinanziare da parte dell’Unione Europea con una diecina di miliardi, presentati dal ministro Delrio, non uno a Sud. Nemmeno al Centro, tutti padani.

“Folla tenta di impedire l’arresto” del boss della camorra Cuccaro. Avviene e Napoli o nei dintorni. Tg indignati: “Lo Stato qui è il nemico”, etc. Ma si vedono solo donne urlanti, non molte, due o tre. Con mariti, fratelli, curiosi intenti a calmarle.
Il fatto è che la Polizia è arrivata con le telecamere, e quindi ci voleva la sceneggiata.

Paginate contro Vittorio Pisani quattro anni fa, il capo della Mobile a Napoli, accusato di intrallazzi coi camorristi, che era il solo a mettere dentro, e allontanato dalla cttà. Per Pisani assolto definitivamente solo poche righe, in cronaca locale.

I giudici che hanno allontanato Pisani da Napoli, Sergio Amato e Enrica Parascandolo, e il comando della Dia che ha creato le “prove”, invece hanno fatto carriera. Ed è giusto, anche la camorra sta tranquilla:

Sempre notabili
Emiliano, il giudice anti-Berlusconi che d’Alema ha fatto per questo sindaco di Bari per dieci anni, e che ora con Renzi si proietta per altrettanti alla regione Puglia, ha trovato un’amante nell’addetta stampa del Comune, Elena Laterza. Onestamente, come dice , si è separato dalla moglie, e convive con Elena Laterza come compagna in attesa del divorzio. Convive felicemente, al punto che l’ha voluta a capo della direzione stampa della Regione. E si meraviglia che qualcuno glielo rimproveri: “La legge non me lo impedisce”, obietta.
Questo non è vero, la legge glielo impedisce per analogia con altre situazioni analoghe proibitissime, all’università e negli ospedali. Ma se anche la cosa è legale, non c’è un minimo di sensibilità?
È proprio vero che il problema del Sud è un problema di classe dirigente. Di notabili sempre, che al meglio non rubano, ma di nessun’altra sensibilità. Soprattutto di nessun rispetto per il meraviglioso meccanismo accumulativo della democratizza: il Sud è “povero” perché non è democratico.
Non si contano più le gaffes e gli imbroglietti del presidente della Sicilia Crocetta. Che era quello che avrebbe dovuto rivoluzionare tutto. In Calabria a dieci mesi dal voto il protonotabile del Pd Oliverio non ha nemmeno costituito una giunta e non se ne preoccupa. Avrebbe l’obbligo di governare, ma lui evidentemente è al di sopra dei doveri.
Si dice il bisogno. Ma la compagna di Emiliano, con quel nome a Bari, non ha bisogno di mendicare un posto. No, è l’ubbia del potere, il disfacimento è in questa malattia.

La padrona fa la serva – turismo in Calabria
Non ne diremo il nome perché l’esercizio è in attività – è sulla Tonnara di Palmi, una spiaggia omerica su un mare cobalto di cristallo. Un angolo della Tonnara che porta entro il mare, e al tramonto concilia con se stessi, soffice, luminoso, avvolgente. Guardando Capo Faro e il profilo delle Eolie, di Stromboli e Vulcano. Apprestato anche con gusto, tavoli semplici, pochi, entro un recinto appena accennato di losanghe di legno grezzo, l’idillio si colora anche di agreste. Ma non viene nessuno.
Passa mezzora e andiamo a vedere. C’è dentro una signora, che non saluta nemmeno, e dice secca: “Il servizio comincia alle 8”, “Ma le 8 sono passate”. “C’è da aspettare”.
Aspettiamo. Alle 8,30 nessuno s’è fatto vedere, torniamo a chiedere. A chiedere se non altro da bere. Ma la donna non c’è più. Si rumoreggia, si chiede, ma nessuno si fa vedere. Torniamo a sedere indecisi sul da farsi. Ed ecco una soluzione si prospetta: una donna robusta, che sembra una cameriera. È una rumena, ma molto sgarbata. Prende le ordinazioni senza dire né sì né no e scompare.
Alle 9 niente è arrivato. Torniamo dentro – il percorso è disagevole perché c’è da attraversare la strada – a chiedere da bere. La cameriera alza appena gli occhi dal cellulare, prende con l’altra mano le bottiglie e indica con la testa i bicchieri. Torniamo a sedere fiduciosi ma alle 9.30 niente ancora è arrivato.
A questo punto il nervosismo è incontrollabile. Ma un energumeno ci confronta dentro, un tunisino o egiziano, che in genere sono miti, che a colpi di “vaffanculo” e “me ne fotto” indirizzati a non si sa chi, alla rumena? alla padrona?, dice qualcosa come: “Qui nessuno accende il forno e poi vogliono i piatti pronti”. L’idillio è rotto, resta solo la morale – che la padrona fa la serva.
Non lavorare va bene, nessuno è mai morto dalla voglia di lavorare. Ma fino a questo punto?

Il turismo a noi – turismo in Calabria 2
Aldo Busi irritato in vacanza a Malindi (“Sodomie in corpo 11”, p. 276) scopre che non c’è una pensione decente tenuta dai locali: “Non una pensione decente retta da uno zio Tom a prezzi convenienti.  O le stelle o le stalle”.. È in sintesi, per altri motivi, lo stesso del turismo in Calabria. Che mai è decollato – è solo un’ubbia per spendere milioni in “promozioni”. Forse perché non c’è l’arte dell’accoglienza – c’è quella personale e familiare ma non quella professionale. Forse perché non c’è costanza: il turismo richiede una lunga incubazione, soprattutto è un rapporto di fiducia, e la fiducia va costruita. E d’altra parte la Calabria ha rifiutato, per vie legali e per vie abusive, il turismo bene organizzato dall’alto, dalle società finanziarie o di settore, capaci di grandi investimenti e di grandi movimentazioni. Come è stato per la Sicilia a fine Ottocento, e per la Sardegna negli anni 1960.
Il “turismo a noi” è la ricetta del calabrese anarcoide. Per non farne nulla. O piuttosto per disperdere una miniera, invece di metterla a frutto.

Il discorso del Sud
Paul Veyne, lo storico di Roma antica, nel libro-testimonianza su Foucault, si chiede a un certo punto: “Da dove esce questa determinazione suppostamente cieca che è il discorso?”. Il dispositivo conoscitivo attraverso il quale si dipana l’archeologia del sapere: “Da dove vengono le mutazioni misteriose del discorso attraverso i secoli? Provengono semplicemente dalla causalità storica ordinaria e ben nota, che non cessa di trascinare e modificare pratiche, pensieri, costumi, istituzioni, con i discorsi che non fanno che accerchiare le frontiere”.
Il “discorso” è di Foucault ed è al centro della sua “archeologia del sapere” – che lo ha portato a tanti sorprendenti e veritieri lavori di scavo, sulla follia, la malattia, il carcere, la sessualità, il piacere. “Termine scelto male”, lo dice Veyne, ma è il quadro formale attraverso il quale conosciamo – il “dispositivo”: l’archeologo Foucault si voleva alla ricerca di “dispositivi” piuttosto che di “strutture”, che sanno di rigido e immobile.
Ma non è solo questo. Il discorso di Foucault è anche la frase fatta o luogo comune di Flaubert, l’opinione di Nietzsche, la “rappresentazione”, lo stereotipo. L’Idealtypus di Max Weber. La “cosa in sé” di Kant, riportata alla singolarità. Mai definita ma sempre evocata lungo gli anni, “in termini di discorso, ma anche di pratiche discorsive, di presupposti, di epistemè, dispositivi…”. Anche mobili, anzi “erranti”. Più o meno analoghe ai modi (attributi) di Sinoza, alle monadi di Leibniz, ai multipli di Platone. Le mutazioni sono ininterrotte nei secoli, benché misteriose.
Caratterizzazioni innovative dunque. Ma anche, è da dire, statiche e regressive. Il discorso diventa più spesso stereotipo, più falso che vero, prevenuto e non critico (analitico), e quindi punitivo e non conoscitivo. Chiude e non apre. Senza essere migliorativo: non se lo propone e non lo vorrebbe, essendo inteso a prevenire un raddrizzamento. È il nido, coltivato, vezzeggiato, del pregiudizio.
Come tutto, anche il Sud è un discorso - una narrazione, una rappresentazione. Ma restrittivo e punitvo - cattivo. È parte di un pregiudizio, e di una condanna ormai si può dire ancestrale. Al pari della squalifica del negro, del contadino (montanaro), dello sfortunato, della figlia femmina in certe culture, non remote. Essere meridionale è come essere latino negli Usa, paria in India, o italiano sopra le Alpi.
 

leuzzi@antiit.eu

L'amore gentile di Joyce parnassiano

Ilaria Natali ritraduce, con l’originale a fronte, le due raccolte poetiche di Joyce, “Musica da camera” (1907) e “Po(e)mi pennyluno” (1927). Con un curioso effetto alla lettura consecutiva: Joyce era, quando cercava attivissimo una strada nella letteratura e la poesia, un parnassiano. Antiromantico ma pieno di sfumature, evocazioni, pensieri delicati, sui toni dell’elegia nella ricercatezza. Anche contro la realtà: l’amore che la curatrice erige a titolo, ricorrente in tante delicatissime composizione della prima raccolta, è Nora, la futura moglie, oggetto di lettere scurrili poi famose e delle fantasie di Mr Bloom, che qui è “mia colomba, mia bella” e “mia sorella, mia amata\ petto di donna immacolata”. Tanto più sorprendenti (irrealistiche) all’epoca della prima conoscenza, in cui la mésalliance era più clamorosa. Tra la cameriera d’albergo dalla fama sulfurea, di amanti sfiniti, e l’ex allievo dei gesuiti e dell’University College, probabilmente vergine – ma non ignaro: “Non essere triste perché tutti\ a gran voce non fan che mentire.\ Mia cara, ritrova la tua pace -\ ti possono forse disonorare?”
Il verbalismo (giochi di parole, mistilinguismo) emerge con la seconda raccolta, di componimenti degli anni di Trieste e, dopo la guerra del 1915, di Zurigo. In quelli “italiani” soprattutto, quando Joyce pensava di farsi scrittore italiano. Con titoli come “Tutto è sciolto”,  “O bella bionda, sei come l’onda”. Ma su un fondo sempre delicato, evocativo. E più nei versi che si ricordano, per la figlia Lucia: “In occhi dolci ti veli\ mia bambina dalle vene azzurre”, o “Datemi, prego, un orecchio di cera\ a scudo dalla sua nenia infantile\ e datemi un cuore corazzato\ da lei che coglie i semplici della luna”.
James Joyce, Ascolta amore, Barbès, remainders, pp. 111 € 3

I giovani di Angela Merkel e Renzi

Rottamatrice per eccellenza, la prima e la migliore, Angela Merkel ha promosso una covata di giovani politicanti europei, olandesi, finlandesi, baltici, giovani e belli, Djisselbloem, Katainen, tanti - Tsipras, anche lui corteggiato, ha scartato. Anche alla Bundesbank ha messo un giovanotto della sua segreteria, che giusto aveva una laurea (non il dottorato, che solo fa la differenza in Germania) in economia, Weidmann. Ma non c’è da eccepire, a parte il fatto di essere i pupilli della cancelliera: hanno imparato il mestiere, sanno muoversi, sanno cosa dire e cosa no, e sanno l’inglese.
Renzi al confronto, pur essendo molto più di loro, in fondo è il presidente del consiglio dell’Italia, il terzo paese dell’Unione, e il presidente o segretario del partito Democratico, il più forte dei partiti socialisti e democratici nel Parlamento europeo, fa la figura del ragazzetto, più che del giovane rampante avveduto. Molto borioso, ma molto provinciale. Non solo non sa stare nel ruolo, ma non sa che dire: non è credibile, e non se ne preoccupa.
Ieri è andato a Berlino, ufficialmente su invito di una università prestigiosa, la Humboldt, per non dire niente. Della Grecia ha detto che in fondo si merita quello che soffre perché non ha fatto le riforme come lui le ha fatte. Pensarlo a colloquio con Angela Merkel dà le vertigini – nessun youtube rubato?

I governi di Angela Merkel

Aveva cominciato con la Grecia, rivoluzionandone i governi eletti, proprio su una chiamata referendaria. Ha proseguito con Napolitano, imponendogli il licenziamento di Berlusconi e il governo Monti. Continua con la Grecia, col niet a una trattativa fino a dopo il referendum, l’obiettivo essendo di spodestare Tsipras.
Sono i casi più macroscopici ma non sono i soli. In Finlandia ha fatto dimettere un premier appena eletto Katainen, che le serviva per la supervisione dell’economia a Bruxelles. Qualcosa di analogo ha operato nei paesi Baltici. È uno dei motivi ricorrenti delle critiche tedesche alla cancelliera, l’ingerenza nei governi eletti degli altri paesi europei.

mercoledì 1 luglio 2015

Merkel über alles

Dunque, l’Eurogruppo non esiste, decide Angela Merkel. È lei che detta la linea e anche i tempi. Non c’era da dubitarne, poiché Djisselbloem, Juncker e Tusk è a lei che rispondono, le istituzioni europee. E Draghi. Ma il blocco di ogni attività fino a lunedì e l’invito implicito alla Grecia di votare contro Tsipras al referendum è un’invasione di campo scoperta in prima persona, senza più uomini di paglia.
Non è una novità. Merkel lo aveva già fatto con la Grecia per un altro referendum. E poi con l’Italia. Con durezza, anche se non così scopertamente, e esautorando senza mezzi termini i simulacri istituzionali.
Si potrebbe arguire che questo è il segno che l’Europa è unita, e che come ovunque c’è chi prende le decisioni e chi si adegua o si oppone. Ma non è così che funziona una non federazione. E non è così che la pensa Angela Merkel. Che un solo disegno ha perseguito, checché ne dicano i suoi laudatori italiani: la Germania e il suo governo prima di tutto.
È così, sotto la sua regia, di cui ora si manifesta scoperta la durezza, che l’Europa è l’unica area al mondo che non sa uscire dal crac del 2007. La Germania sì, gli altri no. Grazie al suo incontestabile metodo del troppo poco troppo tardi. E dei veti che gli statuti europei non prevedono ma lei esercita senza riguardi. Mariana Mazzuccato lo spiega con semplicità e incontestablmente oggi su “Repubblica”: gli andamenti divergenti tra la Germania e il resto dalla Ue nascono dal fatto che Angela Mekel impone fuori una ricetta che è tutto il contrario di quanto la Germania fa al suo interno. 
Non è il caso di discutere se, nella fattispecie, Merkel o la Germania hanno ragione e Tsipras o la Grecia torto. In gioco non sono più le debolezze o le inadempienze della Grecia, ma il principio democratico. Dell’autonomia politica di ogni comunità, e delle libere elezioni. Il passo è facile – si è fatto in Europa il secolo scorso con esiti orrendi – verso l’efficienza antidemocratica. Di sicuro la democrazia è poco efficiente, e allora?. 

Libertà di terrorismo in Libia

Per molto meno è stata fatta la guerra a Gheddafi e alla Libia. Ora, dopo due stragi di inermi turisti europei, al Bardo e a Sousse, comandate e organizzate dalla Libia, l’Europa volta il capo dall’altra parte. I due paesi che vollero la guerra alla Libia, la Francia e la Gran Bretagna, specialmente colpite dai due attentati, la Francia al Bardo, la Gran Bretagna a Sousse, fanno finta di nulla. Benché la leadership sia nei due paesi immutata, l’onnipresente Lévy a Parigi, Cameron a Londra.
Non è la sola incongruenza. Parigi e Londra furono attivissime contro la Libia pacificata di Gheddafi coi loro servizi segreti. Che hanno quindi solidamente impiantati in Libia. Questi servizi sono stati smantellati, e perché? Che non sapessero non è possibile, poiché lo sanno anche i tunisini, un piccolo paese. 
Contro Gheddafi ci volle una guerra vera e propria, con bombardamenti e armi pesanti. Contro gli attentatori basterebbe un’azione di polizia. L’Egitto l’ha fatta e il terrorismo dell’Is on si è ripetuto. L’Europa fa fin a di nulla.

Il silenzio dei non innocenti

Zero quasi totale sulla crisi greca. Paginate, ma tutte contro l’evidenza. Si cercherebbe invano nei giornali un reportage  o un commento che dica la miserie dell’Europa. Ce ne sono, perlomeno a “Repubblica”, al “Sole 24 Ore” e sul “Corriere della sera” (“la Stampa”, che aveva una grande tradizione di giornalismo internazionale, l’ha cancellata), ma confinate in posti reconditi, editate violentemente, titolate senza richiamo. Servizi e commenti abbondano ma in chiave di campanilismo politico interno, ognuno per il suo piccolo feudo o patrono. Oggi Moavero è il solo, l’ex ministro col riportino, a chiedersi come è stata ed è possibile questa tragicommedia, dove è l’Europa, dove sono i politici europei.  C’è chi è per la Merkel, quasi tutti, chi per Tsipras, e nient’altro..
La politica estera non è mai stata il forte dei giornali italiani, anche illustri -  a parte “la Stampa”, che appunto ha abdicato. Il giornalismo italiano è gossipparo (fa quello che in inglese si dice il “colore”, le divagazioni a tinte forti) , e da qualche anno giudiziario – fa il gossip dei processi. Per il resto è buio. Aggredisce il lettore ogni giorno con paginate di politica, ma quella è la sua caratteristica o specificità. Universalmente giudicata male, m inestirpabile: il giornale è solo un gruppo d’interesse attorno al potere – quando ha illustrato che cosa ha twittato Renzi, o il nemico di Renzi, ha esaurito il suo compito.

Secondi pensieri - 221

zeulig

Capitalismo – Il saggio celebrato di Max Weber sull’origine protestante del capitalismo non dice che la religione ha influito sull’economia, né il contrario – è uno dei tanti saggi che nella Belle Époque tedesca usarono sulle “origini” del capitalismo, tra il 1870 e la Grande Guerra, tutti i grandi sociologi ne hanno almeno uno. Non è un saggio sull’origine, ma sull’evoluzione del capitalismo,  su un certo tipo di capitalismo. Dice solo che un ethos, quello del puritano laborioso, ascetico, risparmiatore, e leale negli affari, è un equivalente costruito (una maschera) del calvinista. Una figurazione intesa da Max Weber stesso, a tratti, con simpatia: la “razionalità” in affari che se ne deduce, seppure con contributo minimo di Weber, ne è una derivazione - sociologicamente, è come se Weber dicesse che un certo protestantesimo si è appropriato del capitalismo, confuso con la razionalità..
Al calvinismo, e allo stesso puritanesimo, in Inghilterra, negli Usa, inappropriatamente si fa risalire il capitalismo, che comunque preesisteva di alcuni secoli. Quello controriformistico, per esempio, di san Carlo Borromeo tignoso fin nelle più remote parrocchie della sua diocesi milanese, è altrettanto produttivo, se non di più. Con più convinzione lo stesso Weber aveva legato, in un’altra opera su capitalismo e protestantesimo, l’accumulazione tedesca piuttosto al pietismo, un culto luterano molto prossimo al cattolicesimo.
Il vero saggio sul capitalismo protestante e quello cattolico è “Il pranzo d Babette”, il racconto di Karen Blixen e il film di Gabriel Axel.  Nel solco di un’altra traccia delle “origini” del capitalismo, da Mandeville a Sombart, che lo lega al lusso, alla spesa suntuaria, in eccesso sul bisogno.

Indizi – Non conducono a niente, né nella pratica legale (poliziesca), né in quella medica, dalle quali derivano. Nella storia sono pietre d’inciampo, non catene causali - lo sapeva già Conan Doyle, che inventò Sherlock Holmes, il principe degli indizi, da medico, non brillante.
L’indizio può agire da stimolo, ma uno tra i tanti. Dipende da troppe circostanze, e quindi è casuale invece che causale. In medicina dall’anamnesi. Nella pratica legale e di polizia anche dall’umore dell’inquirente - e gaddianamente da prima o dopo il pranzo. Apre una serie di incroci, come sa l’appassionato di fantasy, di sliding doors.  

Logica – Ne resta poca, dopo i tanti esercizi di logica. A meno che non si annetta Wittgenstein, il suo demolitore: l’assunto che non vi sono “pensieri” illogici è di una logica stringente.
Resta da decidere se la logica può fare a meno dei “pensieri”, come argomentava lo stesso Wittgenstein, per risolversi nella scrittura, la proposizione, l’elaborazione, orale e anche scritta. Ma allora “automatica” – non pensata? Wittgenstein surrealista non sarebbe male come traccia.
È pure vero che si fa logica anche al bar e al mercato, che non vi sono “pensieri” illogici – che è tutt’altro che negare la logica.

Memoria - Tim Parks sulla “New York Review of Books” arguisce che pretendere di “possedere” un libro è pericoloso e comunque dannoso: impoverisce il libro. Quale libro? Il romanzo, forse. Ma  la storia, la filosofia, per non dire il manuale di economia, di fisica, di chimica? Il ragionamento dello scrittore inglese – che peraltro lo argomenta col paradosso - meglio si applica, o si applica invece, alla memoria. Al libro in rapporto alla memoria.
Parks concede qualcosa a Nabokov, a una citazione di Nabokov trovata su internet, cioè al Flaubert che Nabokov cita. “Come si sarebbe sapienti se solo si conoscessero bene cinque o sei libri”. Che Nabokov articola come segue: “La conoscenza, anche la saggezza, giace in profondità, non in estensione. Il libro, insieme complesso e infinitamente aperto alle rivisitazioni, consente ala mente un atto di controllo prodigioso. Piuttosto che sottometterci a un flusso di informazioni, in preda a ogni precario momento di una singola lettura, possiamo gradualmente arrivare a possedere, anzi a memorizzare, l’opera fuori del tempo”.
Tim Parks argomenta partendo da “Forgetting”, il nuovo libro dello scrittore olandese Douwe Draaisma: le nostre immediate memorie visuali “possono produrre stimoli per non più di una frazione di secondo”. Un limite che ci infastidisce, dice Draaisma, perché siamo generalmente incoraggiati “a immaginare la memoria come la capacità di preservare qualcosa, preferibilmente tutto, del tutto intatto”.
Il che, però, avviene, di fatto: non c’è altro che la memoria.  

Peccato – È in dissoluzione. Il papa Francesco ha problemi a connotarlo  - il suo predecessore Benedetto XVI ne restò confuso, e forse per questo ha gettato la spugna. Se la prende ora con la mafia ora con la corruzione per tenersi aggiornato ma si vede che annaspa. La corruzione è roba di legge. La mafia, in teoria, pure. Altri terreni non rispondono. Il sesso in particolare è scaduto, non c’è peccato se non di pedofilia - i femminicidi naturalmente sono reati, e gli stupri.. 
Anche l’indignazione è scaduta. Si prenda la “casta”, oggetto di  molte denunce. Che però sono opera di altre caste. O le “spese folli” dei consiglieri regionali, che invece sono scontrini fiscali ramazzati ovunque, anche per terra, perché così era “prescritto”: dal momento che, sotto la presidenza Violante della Camera de Deputati,  le “spese” hanno raddoppiato mensilmente la retribuzione di rappresentante pubblico senza giustificativo” - giusto degli scontrini qualsiasi, ai fini delle detrazioni fiscali in conto spese degli enti eroganti, le Camere, i consigli regionali.

Popper - La “società aperta” l’ha dimenticato, lui che ne è stato l’oracolo. O questa non  è la sua società aperta. I vent’anni dalla morte sono passati nel silenzio, nessuna celebrazione, nessuna rilettura. Solo George Soros lo richiama, uno speculatore, non il migliore testimone.

Ritorno – È ben una ripartenza. A volte in senso calcistico, come uno svelto contrattacco. L’eterno ritorno come un’eterna ripartenza dunque. Con l’angelo della storia voltato all’indietro per meglio slanciarsi in avanti.

Scienza – S’intende che sia neutra, e forse lo è stata fino a Galileo, a Newton – per quanto… Di più lo è stata paradossalmente quella applicata, essenzialmente medica e biologica, di Semmelweiss, i Curie, lo stesso Sabin.
Quella applicata non può essere neutra per definizione - finanziamento, progettualità, finalità. Quella teorica non era asettica in passato, comportando visioni e filosofie del mondo, e non può esserlo da quando è diventata emanazione degli Stati.
Il quasi Nobel al fisico teorico Giorgio Parisi negato da Stoccolma sulle referenze negative dei fisici italiani ne è paradigma. Politicamente Parisi, allora all’estrema sinistra, era inviso alla fisica istituzionale, tutta solidamente democristiana, ancorché libertina e atea, per una questione di potere. Ma di più ha pesato il pressing per tenere le porte del Nobel aperte ai “particellari” e ai loro costosissimi acceleratori, col Nobel a Rubbia e agli altri del Cern: una ricerca scientifica che spende ogni anno centinaia di milioni, e forse qualche miliardo.  

zeulig@antiit.eu 

Il gesuita Ignazio si voleva francescano

Una lettura che merita una ripresa, per la doppia anima del papa regnante. Che si scopre non doppia, il gesuita Bergoglio legittimamente si rifà a Francesco: Ignazio di Loyola, il fondatore dei gesuiti, tutta la vita inseguì san Francesco.
Inseguì anche i domenicani, ma soprattutto i francescani, da “contemplativo nell’azione” quale si voleva. O almeno questa è l’impressione che vuole convogliare a 62 anni, quando dettò questa “Autobiografia”. Quindi rinuncia agli agi, mendicità, il raccolto dando sempre ai poveri, “penitenze” (cilici), digiuni, imbruttimenti (il taglio, o il mancato taglio, della barba e le unghie, l’abbigliamento ridotto, il colore dell’abbigliamento, prendono molte pagine), visioni, del Cristo più spesso, e della Madonna, il pellegrinaggio in Terra Santa, sempre da questuante, le maldicenze con le penitenti incinte, il continuo riesame e quasi una persecuzione da parte dell’autorità politica, doppiata per Ignazio dall’Inquisizione. Ignazio subì anche più volte il carcere, che a Francesco fu risparmiato, ma non c’è dubbio che Francesco volentieri sarebbe andato in carcere.
L’aneddotica è anche piuttosto “francescana”, in Spagna, nell’incomprimibile dromomania, nelòe  avventure e avventatezze. Specie l’episodio più famoso, che Ignazio vuole anzi miracoloso: provocato da un moro durante un pellegrinaggio sulla verginità della madonna, il futuro santo lascia decidere alla mula su cui cavalca se raggiungerlo e vendicare l’affronto - la mula saggiamente lo dissuade, cambiando percorso.   
A differenza di Francesco, Ignazio però fece degli studi – forse per adeguarsi allo standing domenicano. Con costanza. Un paio d’anni a Barcellona, un anno e mezzo a Alcalà de Henares, università allora celeberrima, dove nascerà Cervantes, e poi a Salamanca e a Parigi. Studiava la grammatica, la fisica, .. e un po’ di teologia. Sempre con la coscienza che, fa dire al suo alter ego, “gli mancavano un poco i fondamenti”. Su questo, che dire di Bergoglio, è più francescano o più ignaziano?  
Il racconto del Pellegrino, Adelphi, pp. 108 € 16

martedì 30 giugno 2015

Le belle addormentate

Candidate alle Regionali hanno fallito benché vincenti in partenza. Confrontate alla politica estera dicono scemenze: non sanno nulla, non capiscono nulla, non dicono nulla. Lunedì, h. 8, la Grecia ha chiuso le banche, il Tg 1 esibisce Deborah Serracchiani che dice”. “Culturalmente, storicamente, geograficamente, la Grecia non può andare alla deriva dall’Europa”. Alla deriva? Altre belle democratiche di Renzi la sera e le mattine successive ci portano ancora più nel vago.
Le quote rosa di cui Renzi si è attorniato si manifestano per quello che erano: pin-up da talk-show, per fare la parte a memoria, e un furbata per non disturbare il manovratore, l’uomo solo al comando. Lo stesso Renzi non dà l’idea di sapere dove la Grecia è, e quindi la questione è più complessa. Ma sentire Serracchiani discettare di Grecia, o le altre belle di Renzi, è ignominioso. Si salva Boschi, che sulla Grecia opportunamente tace, ma ancora non sappiamo se è Boschi o era Verdini.

L'Europa è una seccatura

Si respira con Renzi a Bruxelles in pieno la vecchia Dc: la Ue remota, da cui volentieri si scappava per tornare a Roma per un sottosegretariato. Di quando il viaggio a Bruxelles era una seccatura, poiché costringeva a portarsi dietro telex e telefoni per continuare a regolare i vecchi conti: mai un dossier aperto o discusso, una posizione politica italiana, un negoziato.  I vecchi Dc dicevano sì a qualunque cosa, purché finisse presto – l’immagine ritorna prepotente quando si vede Alfano che va a Bruxelles per (non) trattare la questione degli immigrati, che pure è  tragica..
La Dc aveva anche solidi agganci e decise posizioni in politica estera, ma solo in riguardo al Pci. Quindi all’Urss e alla guerra fredda. Le contese in materia di Fanfani, Moro e Andreotti, anche attraverso Washington e perfino attraverso Mosca (nel 1971 Fanfani andò a cercarvi la candidatura alla presidenza della Repubblica), furono aspre. Ma sull’Europa zero, solo un compito in classe, noioso. De Gasperi? Lavorò con Schuman e Adenauer per l’Europa, ma sempre in funzione anti-Pci, e comunque morì prima.
Renzi non ha più il Pci, e non si occupa quindi di niente. Dice che ogni paio di giorni va a Bruxelles e dobbiamo credergli, ma potrebbe risparmiarsi il viaggio, nessuno se ne accorgerebbe. Anzi: quell’immagine di ragazzotto tutto twitter alla playstation è particolarmente stridente.

Il mondo com 'è (221)

astolfo

Corruzione – Può essere buona, produttiva. A Città del Messico e al Cairo, pagato il dovuto di quei corrottissimi paesi, i 30 km. della Civitavecchia Nord-Tarquinia, tutti in piano, sarebbe stati approntati in trenta mesi, anche venti con un premio, mentre in Italia, dopo cinque anni, niente si vede. Succedeva a Palermo negli anni dei Ciancimino e Lima, i politici che mantenevano le promesse: la città costruiva, si allargava, patrimoni si accumulavano, e c’era perfino l’acqua.  O in Grecia nelle grandi opere degli anni socialisti, quando il debito si moltiplicò. Uno passava a Ioannina vent’anni fa, città chiusa dalle montagne e reclusa nel suo passato, coi nidi della cicogne sui pali della luce, e l’anno dopo la trovava un’altra, con viali, giardini, luci, edifici pubblici, una piccola capitale.

Non c’è paragone con l’Italia, dove la corruzione è fine a se stessa. Le opere per l’Olimpiade del 2000, che avrebbero indebitato disastrosamente la Grecia, sono state e restano un capolavoro. La metropolitana di Atene è accessibile, le scale mobili funzionano, ariosa e aerata, non claustrofobica, rapida, pulita, con stazioni bene intrattenute e affidabili, non paurose. Nessun paragone con quella di Roma o di Milano, che pure sono costate molto di più del necessario. 
La corruzione vera, o allora doppia, corruzione-corruzione, è quella interessata solo alla corruzione. È il caso delle opere pubbliche in Italia. Poche vanno avanti, cioè si realizzano. Tra esse paradossalmente la più importante e progredita è la Salerno-Reggio Calabria. La Civitavecchia-Livorno è invece un cantiere dell’intrallazzo: varata quattro (o cinque) volte in quarant’anni, ma solo per lucrare sull’offerta, i rinvii, le disdette, le penali, tra consulenti, periti, giudici amministrativi sempre integerrimi, e arbitri pieni di titoli.

Laurea – Fu snobbata da molta filologia nell’Ottocento, da D’Ancona a Croce, anche da cultori della materia che poi saranno cattedratici, intenti a dispensare lauree. È soprattutto titolo – per i concorsi, per lo Stato.

Lega – Ha svuotato il carattere della peculiarità o specificità, della “differenza”, nel mentre che lo afferma e se ne vuole la difesa: sminuendolo, limitandolo, al fondo autopunitivo. Arcigno e isolante. E non protettivo: in quanto concorrenziale, ha sempre qualcuno che è “più” - più nordico, ricco, insolente. Specie rispetto ai modelli che propone. Che devono rivoltarlesi contro, inevitabilmente, essendo la comparazione competitiva.
Così la Germania, per un esempio dall’alto. O gli immigrati, per uno dal basso: quelli interni, quelli extracomunitari poi, e ora quelli extraeuropei. Di cui i leghisti hanno bisogno, come badanti, aiuto domestico, braccianti, manovali, e che in certo modo beneficiano, ma da cui saranno inevitabilmente antagonizzati.

Moro-Andreotti 3 - Pasolini vedeva Andreotti “intriso di un cereo sorriso di astuzia terribilmente insicura e ormai timida senza riparo”. Esiste un’astuzia sicura?
A ottobre 1974 Andreotti fa un golpe politico, tutto da solo: abbatte il governo Rumor di cui è un pilastro,  denuncia tre complotti, e arresta Miceli, capo dei servizi segreti, uomo di Moro. I suoi amici democristiani alzano barricate contro il suo ritorno a capo del governo: dapprima con Fanfani, per prendere fiato, poi hanno Moro di riserva. Ma l’onorevole Andreotti va come un treno: ha fatto arrestare Curcio e gli altri capi brigatisti - i carabinieri obbediscono, se il morso è teso – immemore del pontiere Taviani e del terrorismo che è di destra, il Pci portandosi ai piedi.
I tre golpe li ha denunciati il tre ottobre, direttamente in Procura, come ogni cittadino visitato dai ladri. Un’iniziativa personale e urgente, per l’ansia di salvare la libertà, senza consultarsi col capo del suo governo, l’onorevole è un duro. E il governo si è dimesso, subito. Sublime Dc: denuncia golpe di destra, ma dentro manda Miceli, il generale dell’onorevole Moro. “In generale l’astinenza sessuale non giova a formare uomini d’azione energici né pensatori originali o anche libertari o riformatori, ma deboli dabbene”: Freud toppava anche qui, ma si può scusarlo, non poteva sapere degli uomini d’azione democristiani, conducono essi le truppe uscendo dalla sacrestia e non dall’alcova. L’eroe Dc è uno che vince negandosi.
Non é facile arrestare Miceli, intimo dell’ambasciatore Usa Martin, che da Roma è andato a Saigon, e di James Angleton, specialista italiano della Cia e uomo di fiducia del Mossad israeliano. Andreotti ha annunciato la denuncia il 28 settembre, mentre il presidente Leone e il ministro degli Esteri Moro erano negli Usa. Miceli era andato all’ambasciata, prima della loro partenza, per dire al successore di Martin, John Volpe, che non era il caso di puntare su Andreotti per il nuovo governo. Bene, ora gli americani sanno chi comanda in Italia. È così che Leone e Moro non hanno convinto Ford, cioè Kissinger.
L’Italia è stata prima invitata poi esclusa dal vertice sul dollaro dei grandi dell’Occidente a Camp David. Il presidente Ford e il segretario di Stato Kissinger ne avevano già discusso, del problema sollevato da Miceli, riservatamente coi membri più influenti del Congresso. “Non vorrei biasimarmi d’aver fatto troppo poco per salvare l’Italia”, Kissinger ha detto loro. Il professore è, è stato, un intellettuale liberale, in contatto con Alvaro, Moravia, Enriques Agnoletti. Moro ha troncato la visita, Leone è stato fotografato a fare le corna.
Volpe vuole esclusi dal governo pure i socialisti. Che già si erano esclusi: l’1 ottobre l’onorevole Tanassi, per conto dei socialisti di destra, aveva dichiarato il centrosinistra finito. D’accordo l’onorevole De Martino, per i socialisti di sinistra. E insieme chiedono elezioni subito. Per fare il compromesso? De Martino è consigliato da una Margherita, che viene dal Pci praticando l’entrismo e collaborava con i servizi segreti – ma con Miceli o con Maletti?
Non c’è tempo di rifiatare. A metà mese Kissinger lascia Delhi per Roma, per l’assemblea della Fao, premettendo non richiesto: “Non chiedetemi della politica italiana, non la capisco”. Moro snobba il primo incontro fra Kissinger e Leone a Roma. Al secondo evita di stringere la mano al segretario di Stato, e fa dire: “Esistono interessi che si traducono in pressioni, ma è compito del ministro degli Esteri opporsi alle pressioni illecite e respingere le interferenze: un’area di libertà si conquista puntigliosamente, vigilando”. Una dichiarazione di guerra.
Moro pareva un pappamolla e invece era un incondizionale. A questo non si è riflettuto. Fu sempre fedele all’America, che nel 1964 lo salvò dal golpe di Segni. Fu il più fedele di tutti nella guerra del Vietnam. E non ha mai fatto accordi con nessuno – cordate, alternanze. Ma l’America di Kissinger non lo ha ritenuto affidabile per un governo con il Pci, preferendogli Andreotti. Nasce allora la guerra totale tra Moro e Andreotti.
Ma si può dire anche che i due si somigliano, anzi in realtà sono uguali. Per la comune esperienza nella Fuci di Paolo VI, la federazione degli universitari cattolici, per il carattere diffidente e chiuso. Per questo nemici spietati, è la concorrenza: l’uguale è il nemico. Non per fare questo o quello, per loro era indifferente, il governo era per loro il potere. Il potere per grazia di Dio, non un dovere. Entrambi brevi, il Tiberio che Tacito inventò, dal linguaggio svelto benché oscuro. Ma anche politici alla Henri Queuille, quello del “non c’è problema, per quanto urgente, che in assenza d’una decisione non si risolva” - che de Gaulle aveva spazzato con un soffio, con tutti i radicalsocialisti.
Nello sparigliamento in un primo momento Moro prevale. Viene ordinata la cattura di Sindona e del suo aiutante Bordoni per bancarotta fraudolenta alla veneranda Banca Privata italiana, e quindi Andreotti non ce la può fare: ha incontrato più volte Sindona per fantomatici progetti di salvataggio della lira, e il generale Miceli li ha implacabile registrati. Bordoni è un ex della Banque pour le Commerce Suisse-Israélien. Il governatore Carli, che si immaginava ministro del Tesoro del compromesso storico di Andreotti, deve invece lasciare anche la Banca d’Italia: a Sindona ha fatto prestare 124 preziosi milioni di dollari dal Banco di Roma, un istituto pubblico gestito dal fido Ventriglia.
Fanfani tenta d’intromettersi, il colpo di coda dopo la débâcle del divorzio. Ma altrettanto avventatamente tenta il recupero del Vaticano, in guerra aperta alla Fuci, la gioventù universitaria cara al papa, tra Andreotti e Moro. Paolo VI è ovviamente fermo coi suoi pupili.
Il resto è storia – cioè ancora cronaca, la storia non si fa.

Mussolini – Flessibile, si direbbe, e anzi volubile, non l’uomo tutto d’un pezzo quale si configura il dittatore. Insicuro anche. Nel passaggio all’interventismo e l’abbandono del socialismo, dopo una giovinezza ribelle. Nell’isolamento costante per tutta la sua vita pubblica: non solo in famiglia e nei rapporti umani, ma anche tra i sodali e al governo. Sempre malfidato. In diplomazia opportunista senza mai una regola, nelle trattative internazionali. Per instabilità caratteriale o incapacità (incertezza, timidezza, riservatezza)? Sicuramente sì nella parte iniziale e al finale della sua avventura: l’interventismo, tanto più se finanziato dalla Francia, e la non richiesta sottomissione a Hitler che fu l’adozione delle leggi antiebraiche e della razza pura.
A Hitler che invece aveva una sudditanza psicologica verso l’immagine di Mussolini. Dell’arte e la propaganda fascista dell’uomo forte.  Ma di suo era più forte (monolitico, deciso). Al punto da lavorare sempre “in gruppo”, con collaboratori a loro modo capaci.

Padroncino – Facendo i lavori di ristrutturazione in economia, si ha a che fare sempre con coppie. Uno decide (contratta, propone, definisce il lavoro) e l’altro esegue. Coppie a piramide.
Si parte dall’alto con l’impresario. Che definisce il lavoro ma non lo esegue: non ha un’impresa, è un organizzatore del lavoro, e il contraente: si contrattano con lui i costi, una specie di capitolato, si stabiliscono i tempi, di cui sarà il referente, e se ne avranno le fatture. Il lavoro lo fa il suo subordinato, nel senso che lo suddivide fra vari specialisti, il muratore, il parchettista, l’imbianchino, l’idraulico,eccetera. Ciascuno dei quali si presenterà al lavoro per la parte di sua competenza sempre in coppia, l’esecuzione lasciando al secondo.
È l’economia dei servizi? Per ogni singolo lavoro c’è uno specialista, che a sua volta si avvale di aiuti? È tutto il contrario dell’economia di mercato, poiché non semplifica il lavoro e non ne riduce il costo ma lo moltiplica, lo complica, e lo rincara. È il principio dell’imprenditorialità, cominciare con un subordinato? Ma quanto spreco. 
È l’origine del caro-ristrutturazioni – e in genere dei lavori in economia (dal meccanico, dal falegname, eccetera). Se il mercato è invece il “decentramento”, nel senso del rifiuto del lavoro, ecco l’origine del caro-lavoro. Un lavoro si moltiplica per quattro o per cinque. Sarà un aiuto contro la disoccupazione, ma insieme anche una moltiplica, poiché si faranno sempre meno lavori, solo se indispensabili.

astolfo@antiit.eu


Le sollazzevoli origini della "Divina Commedia"

Tutto interessante, “se non che, prima d Dante, l’argomento era veramente res nullius”. Poi venne Dante. La questione delle origini si apre chiudendola. Ma D’Ancona merita la lettura..
“Sono quasi cinquant’anni dacché fra noi si agitò la questione se Dante avesse tolta la materia del suo poema da una Visione, quella di Frate Alberico, che venne disseppellita dagli archivj del cenobio cassinese”. Cinquant’anni nel 1874. La questione delle “origini” della “Divina Commedia” non è nuova, e non è seria - “è assai dubbio se cotesta narrazione varcasse mai la soglia della badia benedettina, ove poi è quasi certo che Dante non ponesse mai il piede”, la narrazione di una visione che Alberico ebbe quando “fu rapito in estasi essendo fanciullo di dieci anni”. La filologia vuole anche divertirsi.
Diverso è il caso quando non si vuole che Dante abbia copiato. Le “Visioni” dell’aldilà furono pratica costante nel millennio fino a Dante. Dante ne cita solo due, quella virgiiliana di Enea, e quella di san Paolo nella “Lettera ai Corinti”. D’Ancona, in questo breve scritto (una conferenza tenuta il 18 maggio 1874 al Circolo Filologico di Firenze) ne rintraccia un’infinità, praticamente in ogni convento se ne celebrava qualcuna. E sa anche sistemarle: le contemplative, le politiche e le poetiche. Con propensione marcata per le narrazioni irlandesi (il “Viaggio di san Brendano”, il “Viaggio di Tundalo”, il “Purgatorio di san Patrizio”), non essendosi ancora posta la questione islamica – ma, inavvertitamente, neanche questa futura pista D’Ancona si preclude: a proposito del ponte sull’aldilà, “sottile come un capello”, lo trova “dapprima mentovato nelle tradizioni persiane, donde passò ai credenti di Maometto”, prima di approdare “nella letteratura cristiana”.
Un excursus molto dotto sull’ovvio: “Tutte le notate visioni sono anelli di una gran catena che risale a tempi antichissimi; e, fors’anche, Dante poté ignorare alcuno di questi non sapidi frutti della letteratura claustrale; ma ben conosceva egli, senz’altro” quello che tutti conoscevano. Le visioni sono d’ogni tipo.. Anche di francescani contro i domenicani. Di anonimi monaci contro il “signore d’Italia” Teodorico, “re barbaro e eretico seguace di Ario”. Del re santo Gontrano contro il fratello Chilperico I, infine bollito vivo - molte di queste visioni non saranno all’“origine” di Shakespeare,  la questione non andrebbe posta? Del vescovo Incmaro contro Carlo il Calvo. Andando indietro fino a Lotario, Carlo Magno, Carlo Martello. Carlo Magno “è veduto nel purgatorio, ove sconta la sua scostumatezza”, ma, annota D’Ancona, “il modo della punizione è tale che non lo riferiremo”, e quindi molto resta ancora da dire.
Ce ne sono anche di giocose e satiriche. Nelle quali eccelse “la famiglia dei Troveri, dei Giullari e dei Menestrelli”, coi “favolelli”. Sollazzi che si celebrarono pure a Firenze, attorno al 1300, specie al Borgo San Frediano e al Ponte alla Carraia. Ma qui siamo tra i precursori “di Rabelais, di Voltaire, di Parny”
Il viaggio nell’aldilà come genere, dunque, millenario, le”Visioni”. Per non dire delle “discese al Tartaro e agli Elisi attraverso gli scrittori pagani”. Tutto è stato già scritto, come no. E allora? La stessa ricerca delle fonti può essere ripetitiva e inutile, oppure no.
Alessandro D’Ancona, I precursori di Dante, Luni, pp. 128 € 18

lunedì 29 giugno 2015

I levantini

Alla fine troveranno una soluzione. Sfilano probabilmente per questo sempre sorridenti, dispensando benedizioni a destra e manca, ai loro ormai quotidiani vertici, Rajoy, Hollande, Renzi, e le altre mezze calzette che governano l’Europa, da furbetti del quartierino: prima che la Grecia, fallirebbero loro e i loro piccoli poteri. E a queste cose ci stanno attenti. Mercanteggiano – sono loro i levantini, invece che i greci.
Ma vederli sfilare, sempre uguali a se stessi, cioè al nulla, evoca irresistibili le immagini dei famosi poteri del nulla, alle sfilate sovietiche, ai congressi cinesi, di facce di cartapecora o biscuit, inespressive, immobili, intercambiabili. E quando si fanno quei ritratti di gruppo, come se avessero passato l’esamino in classe, obbedienti alla bacchetta di una maestra invisibile. L’Europa sarà del primo venuto, purché da sveglio.  

La Grecia non fallisce

Paul Krugman, economista premio Nobel, lo spiega stamani sul “New York Times”. la Grecia non fallisce.
Non domani, se non paga il Fmi, né dopo, se esce dalla zona euro. Lo aveva spiegato anche ieri sul “Sole 24 Ore”, che però l’ha confinato in poche righe in taglio basso - benché l’illustre collaboratore costi. Dopo aver ripreso venerdì i creditori. Furbi, dice, che rimproverano al governo greco di mettere troppe tasse e non dare respiro alla ripresa dell’economia, dopo aver imposto ai governi precedenti “i danni dell’austerità”. Per cui oggi la Grecia avrebbe “un enorme attivo primario se l’economia non fosse così depressa”. Per concludere: “È tempo di finirla di parlare di «Graccident»”, di un incidente grave; “se la Grecia esce dall’euro sarà perché i creditori, o almeno il Fondo monetario internazionale, vogliono che succeda”. Per quale fine?
Sul “Sole” Krugman aveva contestato l’aspettativa di un collasso greco, per l’impossibilità di pagarsi le materie prime, e di governare l’iperinflazione connessa alla svalutazione. Limitandosi poi a contestare questo secondo punto – e gettando una torbida luce sulle “false notizie” che si mettono in circolazione, come in una guerra: “Tutti i casi di iperinflazione di cui ho contezza riguardavano governi troppo deboli per riscuotere le tasse, e che ci crediate o no la Grecia non rientra in questa categoria, nonostante tutto quello che avete sentito dire”.
Sul primo punto la risposta è nei fatti. Le materie prime di cui la Grecia ha bisogno sono il petrolio e il gas. E su queste importazioni, anche se non abbiamo sentito dire nulla, è chiaro che Tsipras ha avuto affidamenti da Putin nei suoi due viaggi a Mosca.

I tedeschi sanno

Lo spiegano spesso i giornali tedeschi, specie “Der Spiegel”. Se ne rendono conto i tanti tedeschi, specie quelli della terza età che passano in Grecia le vacanze a buon mercato di mezza stagione. Ma, soprattutto, come è sempre il caso in Germania, anche se la Germania ufficiale non apprezza la critica e la resistenza, lo sanno i tedeschi in Parlamento.
Valga per tutti l’ultimo intervento al Bundestag di Sahra Wagenknecht, vice-presidente di Linke, il partito socialista alla sinistra della Spd con una trentina di deputati. Tredici minuti puntuti di cose. In estratto:
“Se volete la democrazia fermate gli accordi di libero scambio, le troike, e la riduzione delle libere elezioni a farsa. Se vuole (indirizzata a Angela Merkel, n.d.r.) un’Europa unita smetta di umiliare gli altri paesi e d’imporre le sue riforme strutturali. In virtù delle quali ci sono oggi in Germania tre milioni di tedeschi che pur lavorando sono alla fame. Non da ultimo è il dumping dei salari tedeschi a soffocare l’Europa. L’Agenda 2010 non è stata solo un esproprio di massa dei lavoratori tedeschi, che ha portato a una retribuzione media inferiore del 3,6 per cento rispetto al 2000, ma ha reso possibile un dumping dei salari in Germania, attraverso il lavoro in leasing, i mini-lavori, ed i limiti illimitati degli orari di lavoro
“Il ministro delle Finanze Schaüble ha tacciato il governo di Atene da ultimo di mancanza di realismo. Sarebbe bello se il governo tedesco avesse finalmente il suo appuntamento con la realtà..Con un’azione irresponsabile si presero i soldi dei contribuenti tedeschi nel 2010 per rimborsare le banche dei debiti greci. Se ora desidera indietro i nostri soldi vada a chiederli a chi li ha intascati.
“Sulle riparazioni” (di guerra, richieste dalla Grecia), “c’è un aspetto giuridico della questione nel quale non voglio entrare. Ma essa richiede anche un minimo di sensibilità. Dal momento che sono le truppe tedesche che hanno imperversato in Grecia, e che in conseguenza un milione di tedeschi ha perso la vita” (segue qui un richiamo al presidente von Weiszäcker, la cui memoria gode in Germania di unanime rispetto): “Quando penso a quanto i nostri vicini hanno sofferto per causa nostra, non posso che sperare che niente di simile ci succeda”.
“Quanto l’Europa si è allontanata dagli ideali della sua fondazione? Mai più nazionalismo e odio avrebbero dovuto dividere i popoli dell’Europa. Lei, signora Merkel, ha appena parlato di pace, democrazia, solidarietà. Ma per difendere questi valori lasci che i paesi europei siano governati dai governi eletti e non da lei. Non dai mercati finanziari, non dall’ex banchiere d’affari Mario Draghi, non dalla troike”.
Sahra Wagenknecht è un personaggio, Nel 1989, mentre Angela Merkel, per caso, uscendo dalla palestra con la sacca in spalla, si ritrovò in mezzo alla gente che accorreva alla porta del Brandeburgo e si lasciò trascinare, lei, dottore in filosofia, scelse la Sed, il partito Comunista tedesco, che poi si trasformò in Linke, il partito socialista oggi presieduto da Oskar Lafontaine, il suo compagno, ex leader socialdemocratico. Non ha il cachet bonario dietro cui Angela Merkel si nasconde, ma è donna che sa di politica, oltre che bella.