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sabato 14 luglio 2018

Il mondo com'è (347)

astolfo


Baccalà – Un pesce del mare del Nord che è alimento diffuso del Mediterraneo. Non se ne fa cucina in Germania, in Svizzera, in Olanda, in Austria, in Francia. Sì in Italia, in Portogallo, paese a suo modo mediterraneo, in Spagna, in Grecia. In Italia diffuso e apprezzato nel Veneto, in Toscana, in Abruzzo, a Roma, e in Calabria – Messina inclusa, in quanto rivierasca dello Stretto. Alimentando un vastissimo ricettario. In Calabria (e a Messina) come alimento pregiato, in forma di stoccafisso (“stocco”), il merluzzo essiccato invece che sotto sale.
In Calabria la Norvegia ha tenuto un consolato a Reggio Calabria dopo il terremoto e fino agli anni 1960 – poi spostato a Messina. Per il commercio dello stocco. La Norvegia, prima di arricchirsi col petrolio, a partire dagli ani 1960, era un paese di contadini e pescatori, di pesce povero, merluzzi e balene.

Complotto – Quello “gesuita” è particolarmente robusto. Dopo che i gesuiti stessi avevano provveduto nell’Ottocento a creare numerosi complotti, in genere liberali-massonici, dall’abate Barruel alla fondazione di “Civiltà cattolica” e ai romanzi di padre Bresciani, ma questo non esime. Tuttora è attivo un sito in rete che attribuisce ogni nefandezza dell’Otto-Novecento ai gesuiti. Di cui una rassegna fa online Joël LaBruyère, “Le monde malade des jésuites”, che tutti gli eventi malefici del mondo, di oggi e del passato, riesce a mettere in conto ai gesuiti. LaBruyère, musico e mistico,  il guru del gruppo musicale femminile francese Les Brigandes, di estrema  destra. Ma sul complotto dei gesuiti si sono prodotti personaggi notevoli: Pascal, “Le Provinciali”, 1656-57,  Michelet, Quinet, l’abate Gioberti, “Il gesuita moderno”, 1846.

Cristiani – Non sono protetti, nonché dai governi occidentali, cristiani per storia e tradizione, nemmeno dalle chiese, per prima la chiesa di Roma. Non in Africa (Etiopia, Egitto, Sudan), non in Asia  dove erano radicati dalle origini: Libano, Palestina, India, Iraq. Nonché dove erano e sono,  seppure sparsamente, presenti, dal Pakistan alla Cina.  
Secondo Open Doors, un’organizzazione americana, ogni giorno 10-12 cristiani vengono uccisi nel mondo, quasi tutti a opera di islamici, e settanta subiscono violenza (arresto, sequestro di casa e beni, tortura). Secondo la stessa organizzazione, c’è una graduatoria distinta dei luoghi di persecuzione. I primi dieci sono nell’ordine: Corea del Nord, Iraq, Eritrea, Afghanistan, Siria, Pakistan, Somalia, Sudan, Iran, Libia.  Seguono: Yemen, Nigeria, Maldive, Arabia Saudita,. Uzbekistan, Kenya, India, Etiopia, Turkmenistan, Vietnam e Qatar.

Numerose  teorie alla Dan Brown sono circolate, di una chiesa di Roma infeudata a interessi laico-massonici, anche per privilegiare gli interessi economici rispetto a quelli umani e di fede. E per questo prona, al coperto del dialogo interconfessionale, a sacrificare i suoi fedeli in giro per il mondo. Teorie naturalmente complottistiche, tanto vere quanto false. Che si basano però su trascuratezze effettivamente bizzarre del Vaticano. Per esempio per lo stillicidio di assassinii di cattolici in Pakistan, o di cristiani in genere nella Nigeria del Nord, il “terzo” mussulmano del grande paese africano. Un caso è preclaro, della Comunità di Sant’Egidio a Roma, che è quanto dire il Vaticano, che ha sponsorizzato con convegni, aiuti umanitari, e conferenze politiche l’indipendenza del Kossovo dalla ortodossa Serbia. Di una porzione della Serbia cioè che si vuole parte della Grande Albania, a sua volta proiezione non dissimulata di un disegno neo ottomano della Turchia. La cosa viene addebitata alla dabbenaggine dei gestori della Comunità, ai quali veniva inviato quale uomo di paglia un piccolo Gandhi locale, Ibrahim Rugova. Nel mentre che Hashem Thaçi, un giovane mafioso che poi diventerà il capo del Kossovo indipendente, bruciava e distruggeva tutte le chiese e i monasteri cristiano ortodossi della regione. Le distrusse negli anni di Rugova, sotto la copertura del mite intellettuale, che comunque nessun seguito aveva nel paese.

Globalizzazione – La vera rivoluzione del Novecento, benché tarda, la sola. Economica e sociale, come quella che ha apportato benessere in quantità apprezzabili ai miliardi di persone, in Asia, in America Latina, e anche in Africa. A partire dal Kennedy Round, sviluppatosi negli anni 1970, con le prime aperture dell’Occidente, o Ocse, alle produzioni-esportazioni dei pivs. Seguito dal rinnovo dei regolamenti Gatt e Wto. Con il Doha Round che ha avviato e stabilizzato la liberalizzazione degli scambi - benché sospeso da tre anni. E con la creazione di aree di libero scambio in Nord e Sud America, il Nafta e il Mercosur. Con l’emergere prima delle tigri asiatiche, Taiwan, Hong Kong, Singapore  - la “Cina esterna” - e la Corea del sud. Quindi dei Bric: Brasile, Russia, Cina, India e Sudafrica.

Grecia – “In nessuna parte della Grecia storica c’è stato il sacrificio umano, né le mutilazioni volontarie, la poligamia o la vendita dei bambini per la schiavitù, né mai obbedienza totale e illimitata a un individuo”, Georg Simmel, “Saggio sulla negatività dei modi di comportamento collettivi”. Ci sono dei geni della civiltà – delle dotazioni forse genetiche (nel tempo diventate genetiche).

Liberismo – Non h adepti più acritici degli ex comunisti in Europa. Dalla Russia di Eltsin, e dopo, ai governi Pd in Italia, a Tsipras in Grecia. Quest’ultimo, capofila dell’estrema sinistra in Europa, con una lista a suo nome perfino in Italia che alle Europee ha eletto tre parlamentari, ha venduto le proprietà statali, compresi i porti, a chi prima veniva, senza aspettare il miglior acquirente, ha ridotto le tasse ai ricchi, dà sgravi fiscali stabili agli investimenti esteri, non importa di che natura e provenienza.

Referendum – È volentieri distruttivo, anche quando è propositivo. Il rigetto referendario, a fine 2016, della riforma istituzionale che tutti volevano non è un’eccezione. Prima che l’istituto debordasse in Europa, a partire dagli anni 1970, i casi di scuola erano tutti negativi. Da ultimo quelli gollisti: “tutti” per De Gaulle nel 1958 e nel 1962, “tutti” contro nel 1969. In Svizzera, il paese referendario per eccellenza, il Novecento si inaugurò col rigetto dell’assicurazione malattia, che i due rami del Parlamento avevano appena votato all’unanimità, nell’interesse del “popolo”. Il sociologo Simmel ne faceva uno dei casi meno contestabili della “negatività dei comportamenti collettivi”, che argomentava da sinistra, e non da destra, nel breve saggio dallo stesso titolo.

astolfo@antiit.eu

Il prezzo del miracolo greco

Il prezzo dei soldi è l’investimento in riciclaggio: il boom della Grecia dopo l’eurocrisi è l’“investimento” di ignota provenienza. Piovono aumenti salariali in Grecia, dopo anni di tagli, e tredicesime, e quattordicesime, ma di che provenienza? Sì, dalle isole Cayman, ma prima?
Questi “investimenti” che hanno rifatto ricca la Grecia sono anche liberi di uccidere. Valendosi di killer immigrati, pagati per uccidere e per autodenunciarsi, in modo da bloccare la giustizia. E di questa libertà Charitos si deve sorbire l’apologia.
Un racconto di immigrati e ricchi tranquillamente assassini. Conturbante ma stanco, come rassegnato. Di un Markaris probabilmente stanco lui stesso, stanco delle bugie, di cui fa una stanca illustrazione. Molte pagine dedicando alla festa della santa Pasqua. E alla esumazione ripetuta delle ricette greche di cui ha infiorettato la serie di Charitos: come un rituale di lutto, o della sola cosa onesta.
Un libello più che un giallo, un pamphlet sulla mafia al potere. Caduto nel nulla – è un anno che è stato pubblicato. E questo sì, è inquietante: la cosa è vera? l’autore è depresso?
Petros Markaris, Il prezzo dei soldi, Gedi, pp. 302 € 7,90

venerdì 13 luglio 2018

Letture - 351

letterautore


Ablativo - Mandel’štam non amava lo “stato in luogo”, nota Serena Vitale (“Quasi leggera morte”), l’ablativo, e lo infastidiva la “buddistica quiete ginnasiale del caso nominativo”.
L’ablativo è brutta parola in  effetti, sa di taglio, circoncisione, castrazione – un caso che indica “un allontanamento, un'uscita da un luogo o da uno stato, una dislocazione, un'asportazione”, per l’ablativista Enrico testa.

Acqua – “Tutta l’ “Odissea” sa di mare”, è la constatazione improvvisa di Citati , “La mente colorata”, 134. E di metamorfosi – “chi parla di mare, parla di metamorfosi. L’acqua è il “brodo primordiale”, luogo e materia della metamorfosi, dalla gestazione alla catena dell’evoluzione. E con l’acqua-metamorfosi, l’isola, la distinzione, separazione.

Bagattella – Secondo Kant un latinorum per peccatillum, il “peccatum philosohicum” della morale per confessori gesuita, a proposito delle bugie a fin di bene.

Borges – Il tema delle tigri è puro Blake, “The Tyger”, fine Settecento – “Tigre! Tigre! Divampante fulgore\ Nelle foreste della notte”, nella traduzione di Ungaretti.

Censura – È andreottiana per antonomasia – era, quando si esercitava, nella “prima Repubblica”. Basata sugli orientamenti stabiliti da Andreotti quando era sottosegretario di De Gasperi dopo la guerra, e applicata nei decenni da funzionari tutti più o meno “suoi”. Esercitata in particolare sulle scene in qualche modo discinte, al cinema. Mentre è stata ferrea nei decenni da parte del Pci, che si ergeva a paladino della libertà d’espressione. Con una ferrea organizzazione editoriale nei giornali e nelle case editrici: non c’era scampo per un intellettuale non “in linea”, quale che essa fosse – il Pci si-ci concedeva un “pluralismo” di “linee”. Da Morselli a Fellini e a Muti. A Firenze ricordano in questi giorni come nel 1971 ci fu una guerra feroce al giovanissimo Muti e a Roman Vlad per avere programmato al Maggio Musicale “Cavalleria rusticana” e “Pagliacci”, opere non in linea. La guerra a Muti è proseguita a Milano alla Scala, tramite l’orchestra “orchestrata” dalla Cgil, fino al suo licenziamento.
Il ricordo della censura a Firenze è oggi in forma di celebrazione, a opera degli eredi politici dei censori di allora.

Corpo – “Coloro che trovano una differenza tra l’anima e il corpo non hanno né l’una né l’altro”, Oscar Wilde.

Dante – È tessitore, fine, complesso, e tintore. Secondo Mandel’štam che come si sa se ne intendeva, di Dante: “Molto colorato prima dell’alfabeto dei colori di Rimbaud. Dante ha collegato i colori con la pienezza fonica del discorso articolato. Ma lui è un tintore, un tessitore.  Il suo, di alfabeto, è quello dei tessuti fluttuanti, tinti con polveri clorate, pigmenti vegetali… Il manufatto tessile in Dante è la massima tensione della natura materiale in quanto sostanza definita dalla sua colorazione”.
È anche velista, in solitario e con pienezza di mezzi, sempre secondo Manldel’štam, “Conversazione su Dante”: “Per arrivare alla meta bisogna tenere con o del vento che soffia in una direzione diversa e prenderlo. Identica è la legge del bordeggio a vela… Non dobbiamo dimenticare che Dante visse nell’epoca della fioritura a vela, e poté osservare i migliori esempi”. Specie all’“Inferno”: “Il ventiseiesimo canto è la più velica tra le composizioni dantesche, quella che più bordeggia, che meglio manovra”.

Heidegger – “Sentieri ininterrotti” è nell’“Odissea”, VII, là dove Ulisse infine a Itaca non trova più i sui riferimenti.

Italiano – È un dadaismo “naturale”? Mandel’štam assegna a Dante un vantaggio per l’uso dell’italiano come lingua, per “il carattere infantile della fonetica italiana, la sua splendida puerilità, la sua somiglianza al balbettio dei neonati, una sorta di connaturato dadaismo”.

Librerie – Sono scomparse dai cataloghi Ikea e Mondo Convenienza, della mobilia per tutti.

Machiavelli – L’elogio più preciso riceve, in forma di critica, dal gesuita Baltasar Gracián un secolo dopo “i fatti”, nell’ “Oracolo manuale e arte di prudenza”, 1647: “Un valoroso bugiardo”, che “sembra aver candore sulle labbra e purezza sulla lingua ma sputa fuoco infernale che divampa i costumi e incendia le repubbliche”.

Odissea – Ma non è un viaggio di scoperta – Ulisse non è quello di Dante: è una fuga. O un nomadismo. Da un “carcere” all’altro. Mentre i compagni annegano, scompaiono, sono mangiati. Una fuga. Alla deriva – non comandata da Ulisse. Lo stesso progetto di ritorno a Itaca è sfuggente per la massima parte.

Scritture - Darwin funziona, Mandel’štam ne è la prova: “Quando è rovesciato sul dorso e si accinge al salto, l’elaterio piega all’indietro testa e torace, di modo che l’apofisi pettorale, sporgendo all’esterno, si trova all’estremità della propria guaina. Durante il processo di curvatura all’indietro, per effetto dei muscoli, l’apofisi si piega a somiglianza di una molla”. Pochi sapranno cosa l’elaterio sia, né è chiara - chiaro? - l’apofisi, ma lo scatto c’è tutto.
Tocqueville pure non è male e Smith, i liberali. Non i romantici, i liberali realisti: Machiavelli, Hobbes. Marx, che molto si cita senza leggerlo. Gramsci sì, che l’ultimo “Quaderno” prima di morire tessé sulla grammatica, la rivoluzione più grande.

Seicento – Si può dire il secolo della menzogna. Teorizzata da Mazzarino come arte della politica, dal gesuita Baltasàr Gracián nel diffusissimo “Oracolo manuale e arte di prudenza” come arte del vivere, analogamente dal Torquato Accetto della dissertazione meno diffusa del Gracián ma più radicale, “Della dissimulazione onesta”, dallo stesso Descartes, che aveva come motto “bene qui latuit, bene vixit”, si vive bene nascondendosi. E di molti bugiardi a teatro, quali e quanti non se ne faranno nei tre secoli successivi, Tartufo, Jago, lo stesso Amleto, don Giovanni, Faust.

Shakespeare - Se ne potrebbe fare uno partendo dalla sua ignoranza. Della stessa Verone di “Romeo e Giulietta”.  Della Boemia al mare nel “Racconto d’inverno”. Ignoranza perlopiù geografica, non storica: non leggeva libri di viaggio né consultava carte.
Molto ha ambientato a Roma, le cui università e i teatri ne hanno molto coltivato la memoria per il cinquecentenario, almeno cinque drammi. E anche a Venezia. Ma erano settings d’obbligo, storici, di cui peraltro si limita a dare solo i nomi.

letterautore@antiit.eu

Quando Firenze consacrava e censurava Muti

È il programma di sala del Maggio Fiorentino per il concerto conclusivo della stagione, il “Macbeth” in forma concertistica, diretto da Muti. E della festa di Firenze per lo stesso Muti, per i cinquant’anni del suo approdo a Firenze, a 27 anni, al primo incarico di direttore stabile, scoperto da Remigio Paone, sovrintendente uscente del Maggio fiorentino – a Milano il neo diplomato maestro, benché premio Cantelli per la direzione d’orchestra, vivacchiava, dice, male, con lezioni di piano. Redatto, in dialogo prevalentemente con Muti, da Valerio Cappelli con verve e scrupolo, lasciando parlare cioè l’intervistato, il programma ricrea uno spaccato sorprendente dell’Italia di allora, 1968-1975. Sorprendentemente vero, nel senso che, per quanto ben delineato e importante, non se ne parla (il “Corriere della sera”, il giornale di cui Cappelli è redattore, si contentava ieri di un minima sintesi, lasciando peraltro fuori i punti sorprendenti: “Muti ritrova Firenze…a 50 anni dal debutto”
Muti, in particolare, si diffonde su una serie particolareggiata di eventi e personaggi, che diventa nella penna scarna di Capelli  che assurgono a una sorta di storia della città e della musica in quegli anni. Oltre che su un’aneddotica non comune sua personale.
Una storia purtroppo di pregiudizi e censure, anche se la stagione si ricorda viva, ma per l’ostinazione e la capacità di Muti e del direttore artistico Roman Vlad. Il quale subì un processo, anche in consiglio comunale, per avere programmato “Cavalleria rusticana” e “Pagliacci”, opere “reazionarie”. “Erano anni in cui a Firenze «Il Flauto magico» non si poteva fare perché considerato massonico, e il comunistissimo Luigi Nono ritirò la sua opera, «Intolleranza», perché il teatro voleva accostarlo a «Il console» del vituperato Menotti…”. L’orchestra naturalmente si autogestiva, lungo “linee sindacali”, cioè di partito. Un capitolo della storia italiana – uno dei tanti? - da riscrivere da cima a fondo: la politica culturale della sinistra comunista.
Valerio Cappelli, Muti, ritorno a Firenze, Maggio Musicale Fiorentino

martedì 10 luglio 2018

L'Italia è l'Eni

La politica mediterranea dell’Italia la fa l’Eni. In Libia, a partire dall’accordo del 1974, con cui Gheddafi chiuse il suo giro di valzer nelle capitali europee, e prima di  tutto a Parigi. E ora, nel dopo Gheddafi, con la messa in produzione di nuovi giacimenti. In Egitto, con le nuove scoperte di gas e petrolio, dopo aver fatto del Paese un esportatore netto di idrocarburi. E chissà anche a Cipro, con e contro le provocazioni della marina turca, del disegno neo ottomano di Erdogan.
I ministri vanno e vengono da Tripoli e dal Cairo, a nessun esito. I libici e gli egiziani sono gentili e mezzora non la negano a nessuno - i libici e gli egiziani colti. Non è questa la strada: sanno fare la tara delle chiacchiere, non sono stati levantini per nulla,  si muovono sui fatti. 
Non più l’Eni di Mattei, che si doveva svenare per aprirsi valichi nei paesi del petrolio. Un gruppo all’avanguardia tecnica e commerciale. Con notevole senso politico, delle opportunità e delle convenienze. Che da solo fa la differenza con la Francia, che ha tentato di ripercorrerne le tracce senza fortuna – o capacità: la Francia solo sa parlare il linguaggio delle armi, per quanto sofisticate.
Come andrà a finire in Libia, sotto questo ombrello, non fa dubbio - Macron dovrà inventarsi un’altra guerra (ma ora è difficile, non c’è più Obama). C’è l’Eni anche nella decisione dei libici, governo di Tripoli e gruppi armati, di ridurre e anzi abbandonare il mercato dei migranti africani. 
Che l’Eni faccia la politica mediterranea dell’Italia, che sappia farla e basti per farla, non è vero (probabilmente non è vero) ma è come se. Per un motivo: ci vuole poco per fare una buona politica estera, applicazione.

L'odissea di Salvini

Salvini da Mattarella è in buona compagnia, preceduto da Ulisse nella “Odissea”, XIII.
Il racconto ne è presto fatto, Citati lo ha anticipato in “La mente colorata”, la sua lettura minuziosa della “Odissea”: “Quando Ulisse stava a Scheria, Alcinoo gli raccontò un’antica profezia rivelatagli da suo padre, Nausitoo. Il dio dei Feaci, Posidone, era arrabbiato con loro, perché accompagnavano con le navi gli stranieri indirizzati a Scheria. Un giorno li avrebbe puniti, spezzando una nave dei Feaci, di ritorno da un viaggio di scorta” – e “avvolgendo la città con un gran monte”, sintetizza Citati, perplesso anche lui sul significato di questa seconda minaccia. “Sia Nausitoo che Alcinoo non danno peso ala minaccia, come se Posidone non l’avesse proferita”. L’esito è immaginabile. Ma non subito.  
Anche Omero infatti è per l’accoglienza: “Il «secondo Omero» ama questi re che coltivano la religione dell’ospitalità protetta da Zeus, e ammira il tranquillo coraggio con cui continuano a inviare navi e stranieri in ogni parte della terra” - non per farne commercio? Ma alla fine cede: Posidone vuole distrutta la nave con cui i Feaci “accompagnano gli uomini” di qua e di là, e Zeus non si oppone. La nave sarà trasformata in un sasso, radicato presso la riva, la grande roccia della predizione, che avvolga o schiacci Scheria, i marinai rimarranno uccisi, i Feaci impotenti che solo possono organizzare sacrifici per placare il dio.
È anche vero, in questo “secondo Omero” della “Odisea”, nota Citati, che i Feaci erano divisi, benché tendenzialmente buoni: “Qualcuno potrebbe sostenere che che i loro re sono empi, perché non ascoltano la voce del dio”. Omero, il “secondo Omero”, essendo per l’accoglienza non sostiene gli insoddisfatti. Ma non si sfida impunemente l’ira degli dei. La fine è incerta, ma non che non si capisca. Omero, essendo di parte, “interrompe la scena”, spiega Citati: “Si rifiuta di raccontare cosa accadrà a Scheria”. Ma si sa che accadrà.
L’unico inconveniente è che Ulisse approda a Itaca nel tardo autunno, quando la navigazione in mare aperto si sospende, mentre Salvini avvista la Libia nella tarda primavera, in piena stagione nautica.


La felicità di giocare con la morte


“La felicità di sentirsi liberi, e soli”. È la felicità dell’avventura: avventuriero è il giovane protagonista per sentirsi libero, non per gesta straordinarie. Liberi per essere soli, dopo la peste. In un mondo fuori del mondo che è Bergamo, e la pianura lombarda. Di un secolo remote, il Cinquecento.
Il medico-scrittore e commediografo della Vienna Felix si cimenta in una delle ultime sue prodigali invenzioni – il racconto si pubblicò postumo, non terminato – con un’incursione fuori delle tematiche e le convenzioni, anche trasgressive, Fine Secolo. In un oltremondo scandito dai dettagli comuni. Un racconto della felicità anche d’inventare, alla Karen Blixen, che negli stessi anni 1930 cavalcava libera le stesse praterie (“Sette storie gotiche” et al.).
Un esercizio di bravura ritmica, e di fantasia.Un’avventura che è la morte, il senso costante della fine. Con l’amore affatato – inatteso, istantaneo.   
Arthur Schnitzler, Novella dell’avventuriero, Adelphi, pp. 87 € 8

lunedì 9 luglio 2018

Questa Italia fa bene a Merkel e Macron

L’Italia di Di Maio e Salvini fa paura all’Europa, cioè a Merkel e Macron? Oppure è meglio così, meglio per loro? Meglio avere l’Italia che dice e fa sciocchezze – debole? L’una e l’altra.
L’unico problema di Merkel e Macron è di durare abbastanza per disinnescare le mine antisistema, gialloverdi si direbbe all’italiana, nei rispettivi paesi. Contro le quali entrambi si dibattono. Entrambi hanno davanti tre anni buoni di governo assicurati, abbastanza per far “vedere” il bluff italiano, per sgonfiare la bolla interna.
Non è una minaccia il voto europeo fra dieci mesi, per la possibiltà che esso avvii il riflusso del gialloverdismo – populismo o avven turismo che sia. Per l’inevitabile reazione dei “berlusconi”, o  “altra destra”, degli affari, d’impresa e non – già rumorosamente pentita di avere plebiscitato la Lega – e delle masse attaccate alla rendita, un terzo della popolazione. Nel caso peggiore, di vittoria gialloverde, per avere un Parlamento europeo che, inefficace sul piano pratico, servirà a far emergere le inconsistenze dei due movimenti. In una eventualità o nell’altra, l’Italia gialloverde fa di nuovo comodo a Merkel e Macron.
È l’orientamento anche dei media nei due paesi chiave della Ue. Cinico, ma non senza ragione. Avere comunque l’Italia fuori dai nodi decisivi serve sia a Merkel che a Macron: la Libia, l’immigrazione, le banche, i bilanci, e ora il grande business difesa. E più si svilupperà l’avventurismo italiano più se ne scoraggerà la deriva temuta in Germania e Francia: l’isolamento sulla questione migranti, la disoccupazione di ritorno, il crollo degli investimenti dopo una brevissima ripresa, l’esclusione dai piani miliardari della difesa, non tarderanno a scoraggiare i fervori paranazionalistici nei due paesi. .
L’Italia non può uscire dall’Europa, ma non sarà più terzo incomodo. Merkel e Macron non lo dicono, ma fanno come se. I primi incontri, incuriositi, con Conte, il carneade professore di piccola taglia, un po’ fantasista, senza un minimo di peso politico, li ha esilarati. Anche perché con Conte, buon linguista, il rapporto è stato diretto, senza le sacralità della funzione.

L'ultimo harakiri, l'asfissia dell'università


Partono più italiani per l’estero ogni anno di quanti immigrati entrano in Italia. E partono laureati, portandosi dietro investimenti pubblici di miliardi per la formazione, mentre arrivano manovali, al meglio, e braccianti – ma i più sono ambulanti dei falsi, e del racket dell’elemosina. Federico Fubini e il “Corriere della sera” finalmente se ne accorgono, anche se il fenomeno è macroscopico e ben visibile da sempre, ma ancora con qualche trascuratezza – anche se non è l’ultimo degli harakiri che si impongono all’Italia, e nemmeno in favore di grandi o potenti interessi.
Molto, se non esclusivamente, si fa il caso dei “ricercatori” italiani finiti all’estero. Anche se sono, come è ovvio, una infima parte, attorno all’1 per cento, dei 60 mila italiani che ogni anno emigrano, in Germania, Inghilterra, Francia e altrove. I famosi cervelli italiani all’estero. Ma: meglio chi parte o meglio chi resta? Compreso il giovane professore a Pretoria, Sud Africa, che ora fa il vice-ministro dell’Istruzione.  Si fanno paginate e forum strappalacrime sui giovani costretti a emigrare, con carriere folgoranti all’estero, dal familismo e la corruzione dell’università in Italia. Il “giovane ricercatore all’estero” è da troppi anni un brand molto celebrato, troppo, dal giornalismo facile. Mentre la verità è, nove casi su dieci, l’opposto: emigra chi non ce la fa in Italia. Solo in rari casi vittima di pratiche illecite. Mentre è anche vero che ha facile accettazione e rapida carriera fuori perché la locale università o centro di ricerca non è – non è ritenuta – una grande carriera. E comunque non è in grado di formare ricercatori. Non come le seconde scelte italiane. Se non si dice tutto questo, si opera in realtà per un declassamento della università italiana, per un abbattimento di ciò che ne resta  
Questo sarebbe poi necessario spiegare: che l’Italia sforna ancora ricercatori di medio livello europeo e occidentale, buoni in qualsiasi campo e in qualsiasi ambiente, malgrado l’università, dove il ricercatore si forma, sia abbandonata e anzi vessata da tempo. Dai governi di sinistra dapprima, di D’Alema e Amato, e poi dai governi di Berlusconi,volenterose esecutrici Moratti e Gelmini. L’università pubblica. In favore degli esamifici, il business dell’università privata, cresciuta da fine Novecento a ritmi esponenziali – istituti si direbbe altrove delinquenziali, bruciando i risparmi delle famiglie per lauree di nessuna consistenza.
Niente più investimenti nell’università vera, quella pubblica, quella che forma e alimenta la ricerca. Da venti anni ormai, dall’ultimo dei Berlinguer infausti: l’Italia, pur formando ancora i migliori ricercatori, spende il minimo, fra tutti i paesi Ocse, per la formazione universitaria. Niente turnover - ormai siamo a un professore stabilizzato ogni 200 iscritti. Finanziamenti ogni ano più ridotti, e burocraticamente attorti. Con la bufala degli autofinanziamenti, come se la piccola economia italiana fosse il bengodi degli investimenti privati in ricerca.
Una eutanasia non tanto mascherata a favore dei (piccoli) interessi del business formazione? Una dei tanti instupidimenti introdotto con la ubriacatura del mercato? Bisogna da destra, da liberali, liberare la sinistra dei tanti paraocchi dietro cui si nasconde, per cattiva coscienza. 

Splendore del marmo


Montemarcello, borgo spezzino con vista sulle Apuane  e le cave di marmo, cerca un riqualificazione, dopo l’abbandono seguito alla stagione d’oro, gli anni 1950-1960 quando ospitava l’estate i migliori scrittori in circolazione, Vittorini, Duras, Gadda, Montale, insomma tanti nomi. E si sostituisce a Pietrasanta per l’illustrazione del marmo. Ospitando la mostra di alcuni degli scultori che hanno scelto il marmo bianco come forma espressiva e per questo vivono a Carrara: il giapponese Isayo Sugiyama, e il siriano Usama Alnassar. Con le foto di Lia Stein, Luigi Biagini, Romana Zambon.
Un esposizione semplice ma suggestive. E più per il “colore” del marmo che per le forme delle sculture e installazioni. Della “pietra splendente”, come i greci intendevano il màrmaros con cui la indicavano.
Marmo Materia Divina, Montemarcello, La stanza del Vento



domenica 8 luglio 2018

Ombre - 423

Sarà un Mondiale europeo. Ma tre delle quattro squadre finaliste sono euroafricane, Belgio, Francia e Inghilterra.

La multinazionale belga Bekaert chiude l’impianto di Figline Valdarno, rilevato pochi mesi fa da Pirelli col brevetto di produzione dello steel cord, il filo metallico che rinforza gli pneumatici, e insieme pretende che l’impianto non possa essere riattivato da un concorrente, per esempio l’indiana Jindal. Due prepotenze, e probabilmente due illegalità. Ma trovano dubitoso il “Corriere della sera”, in nome della libertà di mercato. La libertà inebria?

“Froome assolto, due pesi e due misure”, Nibali non ha problemi a dirlo – il caso analogo di Ulissi, gregario italiano, fu invece giudicato con severità. Ma è l’unico. La Francia è felice di avere Froome al Tour, è la vedette che si voleva  e la federazione ciclistica ha volentieri assolto Froome. Salvo magari condannarlo fra qualche anno, retrospettivamente, come l’americano Armstrong. Lo sport è moralista con frode.

Armstrong aveva vinto sette Tour de France di seguito, impresa impossibile. Ma si poteva fare per portare al Tour la pubblicità americana.
 
Tre settimane di Russia, undici fusi orari, dall’Artico al Mediterraneo, stadi tutti nuovi, funzionali e pieni, folle di ogni angolo del mondo, dal Giappone al Perù, e non un solo articolo sul Paese – nulla a che vedere con quattro anni fa, quando eravamo pieni delle “gioie” di Rio e del Brasile tutto. Va bene Putin, ma un po’ di giornalismo – di curiosità?

Il Mondiale russo, senza l’Italia, è più godibile: il tipo ammorba lo sport?
Mai viste tante partite interessanti e piacevoli come in Russia, dove pure non è si giocato eccelso.

Il Brasile doveva vincere, in Russia come negli altri Mondiali, e ne esce battuto. Questa volta ha anche giocato bene. Perché il calcio è sport di tecnica ma anche di forza, e di fortuna.

L’ex sindaco di Carrara Angelo Zubbani, sindaco a grande maggioranza per due consiliature, è sotto attacco dai media locali e sul web con ogni sorta di fandonia. Al punto da rendergli servizio: l’ultima accusa è di avere casa al Forte dei Marmi, il che gli consente, col diniego, di muovere causa per diffamazione con congruo risarcimento. Zubbani è odiato perché socialista, la campagna è di ex Pci: l’odio non muore mai.

La clausola che il presidente del Real Madrid Peresa avrebbe apposto al suo playmaker Ronaldo è dubbia ma verosimile: “Purché tu non vada in Inghilterra o in Francia, né in Spagna, puoi anche andare con 100 milioni”. Che è un terzo o un quarto del valore di mercato del sette portoghese. Purché non vada, sottinteso, al Psg, né al Chelsea o al Manchester City, i club dei ricconi senza patria, un oligarca russo e due principi arabi.

I magistrati non possono iscriversi “in modo sistematico e continuativo” ai partiti politici – Corte Costituzionale. Possono cioè iscriversi non sistematicamente, secondo opportunità, magari per una nomina o un passaggio di carriera?  Oppure non dichiaratamente: cioè occultamente. La Corte Costituzionale è la custode della Costituzione: l’onestà non ne fa parte?

Nardella fa una manifestazione di piazza contro Salvini. Che va deserta - “Corriere della sera-Firenze” e “la Repubblica-Firenze” dicono di no, ma non c’era nessuno. Allora ci ripensa e dichiara: “La ruspa non è di Salvini. Ho abbattuto 150 insediamenti abusivi”. Che per la sola Firenze – Nardella ne è il sindaco, per conto di Renzi – sembrano troppi. La voglia di strafare pure, dire una cosa e il suo contrario in poche ore – compreso il “Corriere dela sera”, che fa del Nardella-Salvini una quasi star.

Donatella Di Cesare aveva la scorta  e non si capisce perché. Forse perché ha scoperto che il suo Heidegger era un nazista. Se ne lamenta sul “Corriere della sera”: “Mi hanno tolto la scorta improvvisamente e senza motivo”. Dunque ce l’aveva.

Chi ha tolto la scorta a Donatella Di Cesare dovrebbe essere Salvini. Che però la filosofa non chiama in causa. Dice invece che gliel’ha tolta la Procura di Roma, la quale non ha nemmeno risposto a una sua richiesta di chiarimento. Ma la Procura ha buon gioco a dire che non c’entra con le scorte, e che nessuna richiesta ha ricevuto dalla professoressa.  Una scorta poco filosofica.

La Svezia è andata al Mondiale giocando all’italiana . Alla stessa maniera cioè come aveva eliminato l’Italia nelle qualificazioni. Ma senza dirlo (sbandierarlo), e anzi con ironia sottesa verso l’Italia. L’Italia, più che il bomber e il playmaker – insomma mezza squadra – ha perduto l’ironia, e anche il senso del ridicolo.

In almeno 40 istituti superiori (inglesi) è stato proibito alle ragazze di indossare le gonne. “In favore di una divisa neutrale gender free, camicia e pantaloni”, scrive Sara Gandolfi sul “Corriere della sear”. E magari è vero: il genere è proibizionista – normativo, minutamente regolatore. Castratore.

Il governo delle novità ha azzerato la parte delle donne. Ne ha diminuito il numero, e ha tolto loro la parola. Si può discutere se è un male oppure un bene. Ma il nuovo dunque non contempla le donne, non come genere separato?


A scuola di coppia


Niente di eccezionale, lo psicoterapeuta mette in ordine le ricette che regolano il  rapporto di coppia - quando c’è la voglia di farlo durare. Ricette istintive, che però ora devono essere insegnate. È il matrimonio in crisi (non si direbbe, se gli Lgbt smaniano per averlo) o la media intelligenza umana?
Grigoletto, piscoterapeuta di formazione filosofica, cerca sempre  un’alternativa al giochetto del “somma zero”, dell’o si vince  si perde, che non è il proprio della razionalità, ma è il sentimento prevalente e ora evidentemente unico, anch’esso – è più che mai l’uomo a una dimensione, del tardo Marcuse cinquant’anni fa? Ma, certo, non è facile: ogni amore è un inizio, quello quotidiano compreso.
Luciano Grigoletto, Piccolo manuale di sopravvivenza per coppie, San Paolo, pp. 160 € 14,50