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sabato 11 luglio 2015

Grecia salva, Ue no

È finita come doveva, con la riduzione del debito e il rifinanziamento dell’economia della Grecia
Solo due settimane dopo. Due settimane di vastissime speculazioni, e di ulteriore indebolimento dell’Unione Europea, forse più che della Grecia. Che ha risposto al viso dell’arme dell’Europa, e l’Europa ha dovuto fare finta di niente.
Due settimane dopo le quali molto cambierà. Per la Grecia anzitutto. Le condizioni che Tsipras propone forse sono anche quelle di Juncker e Merkel, ma non possono essere ulteriormente peggiorate, come Bruxelles-Berlino soleva fare. In cambio il governo greco ha impegnato la Ue alla ricostruzione dell’economia disastrata. Sono i due punti su cui Tsipas aveva puntato fin dall’inizio, con Varufakis.
Il ritardo è unicamente servito a fissare le opinioni pubbliche europee sul duro contrasto: tutti i sondaggi si sono spostati in favore dei contestatori del modo di essere dell’Unione Europea. Non solo in Spagna, Italia e Portogallo, anche in Francia e nella stessa Germania.

È per prevenire questa insorgenza anti Ue che Hollande si è improvvisato salvatore della Grecia, con la bufala della riscrittura in due notti della proposta Tsipras a Bruxelles da parte dei suoi esperti. 

La stampa italiana è tedesca

Chiusa la crisi greca, almeno a livello istituzionale europeo, bisognerebbe parlare della stampa italiana in questa vicenda. L’unica che dà tutte le colpe alla Grecia, tutti i meriti sempre e comunque a Angela Merkel e ai suoi. Anche i tg, ma soprattitto i giornali. Con l’eccezione, parziale, di “Repubblica” e del gruppo Monti-Riffeser.
I corrispondenti a Bruxelles e Berlino dovrebbero sapere come sono andate le cose. Ma a parte Andrea Bonanni di “Repubblica” e Ivo Caizzi del “Corriere della sera” (che però non ha diritto a più di una colonnina di testo nelle sei-otto grandi pagine quotidiane sulla Grecia), nessuno le dice. Dell’inutilità di Djisselbloem, Juncker, Tusk e dello stesso Draghi, per esempio, che si limitano a interinare le decisioni di Berlino.
La stessa “ignoranza” si affetta della Germnia. Si gabella per opinione pubblica tedesca il quotidiano “Bild”, di  notorio sciovinismo. O il partito Csu bavarese, senza dire che è un partito regionale e di destra. Mente opinioni molto diverse si possono leggere sullo “Spiegel”, su “Die Zeit”, sulla “Tageszeitung” e sulla bavarese “Sueddeutsche Zeitung”.
Quasi senza eccezioni si vende poi l’opinione della resa di Tsipras alla politica merkeliana – il piao Tsipas è quello di Juncker etc. Mentre invece il contrario è vero: il governo greco ha acculato quello tedesco a uno dei suoi sempre mai soddisfacenti piani, e lo ha obbligato – a meno di un improbabile voto contrario del Bundestag – a finanziare il rilancio dell’economia in Grecia. Che erano le due richieste iniziali di Tsipras e Varufakis. Solo in Italia Merkel è elogiata per la conduzione della crisi greca.

Arte senza socialismo

Il curioso di questi quattro saggi alla pubblicazione un secolo e mezzo fa era l’arte accostata al socialismo - benché Morris privilegiasse le arti applicate. Ora il curioso è il socialismo.
William Morris, Arte e socialismo, mimesia, pp. 96 € 5,90


venerdì 10 luglio 2015

Gli intercettatori intercettati

Si intercettano gli intercettatori. Le Autorità custodi della sicurezza, la giustizia e la verità. A fini di ricatto. O di più verità, alla Snowden  o Wikileaks. Oppure di beffa, perché no. Sono le Procure italiane e i servizi di sicurezza, il Ros dei Carabinieri, in America la National Security Agency, e altri soggetti analoghi in una sessantina di altri paesi, i clienti dello Hacking Team, la società milanese vittima dello hackeraggio, del furto dei dati e del sistema di controllo. In particolare del “Galileo”, il programma in grado di introdursi in qualsiasi struttura di comunicazione, anche quando non è connessa a internet, per appropriarsene i dati, telefonate, email, documenti.
È l’effetto società aperta così come ora è concepita: una serie di caselle-fortezze presunte inattaccabili, l’una che controlla l’altra. Una società di segreti, cioè, più raffinati o segreti degli altri. Una società aperta piena di ombre: si vede da tutto ciò che wikileaks e Snowden hanno pubblicato, loro stessi selezionando. Non un’operazione di verità dunque. E domesticamente dalle indagini sempre parziali e mirate delle procure e gli apparati di sicurezza. Né sono da escludersi azioni di concorrenza, da parte di tecnologie più “evolute” del Galileo, che così entrano violentemente sul mercato – o di puro sabotaggio, magari da parte di un socio o dipendente deluso.
È l’effetto anche dell’industria della sicurezza, che non conosce limiti, di tecnologia e investimenti. Quarant’anni fa le Br imposero costosissime operazioni di blindatura, di mezzi di trasporto e accessi, di guardia armata costante, e di protezione personale con le scorte, che non è stato più possibile dismettere. Alla  minaccia delle Br si è aggiunta la mafia. E da qualche tempo il terrorismo islamico.
Le due esigenze di sicurezza non sono uguali e nemmeno simili. La volontà di nuocere è invece eguale, e incontrollabile – chiunque è in grado di nuocere, argomentava Hobbes, è un potere diffuso. L’antidoto sarebbe ridurre le ragioni o le aree di sicurezza. Che invece l’“industria” della sicurezza (servizi, segreti, procure, carabinieri) moltiplica – ha tutto l’interesse a moltiplicare: più sicurezza vuole più sicurezza, un sistema più abile – costoso – del Galileo sarà messo in opera, se non è già sul mercato. Non è un caso che è un’industria impermeabile al più piccolo briciolo di democrazia e controllo.  
La verità del ricatto
Sulle intercettazioni, in particolare, ci sarebbe molto da ridire: artefatte, selettive, tempestive sempre a fini ignoti. Perché riemergono oggi quelle di Renzi che parla col vice-comandante della Finanza Adinolfi? Che erano già note. Cioè: a metà aprile si rese noto che Adinolfi, che comandava la Finanza a Firenze quando Renzi era sindaco, parlava al telefono con Renzi. Mossa maldestra, si disse allora, dei giudici napoletani che avevano disposto le intercettazioni – a Firenze? sei anni prima? È evidente che c’è un mercato delle intercettazioni. Pagato oppure no, solo per fare carriera pregiudicando gli altri, ma comunque c’è.
Lo stesso evidentemente ora per l’aggiuntina, in cui Renzi dà del tu al generale. In effetti fa cattiva impressione che il comandante della Finanza e il presidente del consiglio, per di più separati dall’età, sia diano il tu. È perché non passi inosservato questo particolare che si rispolverano anche le insinuazioni sul conto di Napolitano e del figlio? Sì, e anche per far dire a Renzi che Napolitano odiava Berlusconi – “il numero uno ce l’ha a morte con Berlusconi” - dal quale era stata appena ricandidato al Quirinale. Nessun fine di verità, né di giustizia, ma veleni molti, grazie alle intercettazioni.
Stranamente – ma non tanto, avendo riguardo alla natura sempre deviata di queste strutture d’informazione – le intercettazioni non prevengono il crimine: gli attentati e gli assassinii di mafia – l’apparato del terrore dei pizzo – né le stragi terroristiche, e neppure la formazione dei movimenti terroristici, l’addestramento degli apparati, etc. Le intercettazioni di “Fatima” non fanno testo: chi è Fatima? Sono strumenti non di legge né di verità, ma di segreto. Di selezione dei reati da punire – di costituzione di masse d’informazione nelle quali pescare per fini di parte. Servono a orientare le indagini, quando si vogliono per qualche motivo tentare, o a documentarle opportunamente. Le intercettazioni di per sé non producono altro: quelle in massa o “a strascico”, che un accumulo di dati di cui opportunamente, attraverso parole chiave, fare uso al bisogno.

L'elemosina è politicamente corretta

C’è a Roma un giovane africano, addetto all’elemosina? Davanti al’edicola, al bar, al tabaccaio, al bancomat, a ogni esercizio commerciale di una certa affluenza? L’esercente è di sinistra, o ha simpatie anche se vota Berlusconi. Il giovane africano non c’è? Il titolare è di destra. Forse anche leghista: contro i mendicanti, non solo, ma anche contro gli immigrati. C’è anche l’elemosina di centro: l’esercente di centro, il tipo Casini, Alfano, Monti, lo fa entrare, gli fa l’elemosina, e poi lo prega di allontanarsi “per oggi” – cosa che il giovane farà, dopo un giro tra tutti i presenti, per arrotondare:
Le chiese sono dei rom., due o tre donne la domenica, un uomo solo, in genere, i feriali. I rom ci hanno provato anche con le farmacie, le ragazze madri col bimbo addormentato. Ma l’occupazione delle soglie è finita sul nascere. In tutte le farmacie.
Era Roma una città di cortigiane e mendicanti – era di destra? Ora che ci sono solo i mendicanti, è stabilmente di sinistra.

Un assaggio di castità per Sibilla, la divorante

Un altro letterato-editore, dopo René de Ceccaty, si esercita narrativamente su Sibilla Aleramo, la divorante, di uomini e di donne. Mancando l’essenziale, che forse ne avrebbe fatto un soggetto romanzesco: la volagerie e il carrierismo. Troppi amori istantanei con personaggi incongrui, Papini, Evola, lo stesso Campana, il più famoso di tutti, e subito dopo dimenticati. Insieme a tanti giovani e giovanissimi presi e lasciati, che invece lasciavano il segno. Giulio Parise è uno di questi.
È la storia di Sibilla con Parise che Caltabellota esuma, che la stessa Aleramo aveva celebrato a caldo, appena un anno dopo la breve relazione, in “Amo, dunque sono”, l’ennesimo selfie ornato di svenevolezze pensierose. Parise, vicentino, era una sorta di gigolò allumeur: si esibiva ma non faceva l’amore. “strano personaggio”, lo dice René de Ceccaty, altro scrittore-editore ammaliato dalla Sibilla, “gigolò mistico che rifiuta qualsiasi contatto carnale con lei”. Un caso di voyeurismo, di orgasmo del pensiero. Amico e discepolo di Evola, era l’amante casto dell’amante di Evola, la marchesa Livia Piccardi. Una donnina tutta pepe a sua volta molto allumeuse – ci provò anche con Sibilla, volteggiandole attorno nuda eccetera. Poi le affiderà il suo “amante” Giulio, proponendone uno strip-tease per saggiarne le qualità. Ma lo spogliarello viene interrotto prima di cominciare da Sibilla, che si è già innamorata delle qualità intellettuali del giovane.
Una storiaccia, nemmeno salace, da romanzo francese Fine Secolo, il vero brodo di cultura di Aleramo. Caltabellota la usa per ricostituire l’ambiente romano primi anni 1920 attorno a Evola, con personaggi, circoli, giornali ora dimenticati ma allora nelle cronache. Un filone esoterico che fu molto robusto, ma è sempre trascurato nelle storie, culturali e politiche.        
Simone Caltabellota, Un amore degli anni Venti, Ponte alle Grazie, pp. 248 € 15

giovedì 9 luglio 2015

Il mondo com'è (222)

astolfo

Euromarco – È all’origine del declino dell’Italia: l’adozione dell’euro al doppio del valore del marco. Una camici di forza che è stata asfissiante per l’Italia. Imponendo subito il dimezzamento del valore del reddito – uno stipendio buono di due milioni di lire è diventato quasi precario uno di mille euro. Insufficiente anche per il parallelo raddoppio dei prezzi dei generi di consumo: quello che costava mille lire è costato un euro. Un doppio perverso errore con le migliori intenzioni. Prodi e Ciampi, che hanno voluto fortemente l’Italia agganciata all’euro, giustamente, non hanno saputo opporsi alla jugulazione che la Germania ha operato con questo cambio.
Le ragioni della Germania per imporre condizioni tanto restrittive erano quelle storiche che sempre si fanno valere, della paura dell’inflazione, dopo l’inflazione straordinaria degli anni 1920 – che appunto fu straordinaria e eccezionale. Il raddoppio dei prezzi dei generi alimentari e di prima necessità, viceversa, fu semplicemente ignorato dagli uffici statistici europei (Eurostat) e da quelli nazionali riorientati sulle metodologie Eurostat. 

Fondi KG – Tirati in ballo nelle polemiche fra Atene e Berlino, sono i fondi hedge di Amburgo che molto hanno investito nel complesso mercato dei noli marittimi, essendosi prefissi di outperfom – garantire rendimenti superiori a – l’indice S&P 500. I fondi G hanno pagato buoni interessi negli anni del boom dei porta containers, ma con la crisi si sono ridotti a operazioni di hedging molto più sottili e rischiose, e di scarso rendimento.  Un Dr. Peters, uno dei manager più famosi dei fondi KG, si era specializzato su frazioni sempre più ridotte di una frazione di Boeing, in long lòease  a Emirates. Una scommessa più che un investimento. I fondi KG vengono chiamati “fondi del dentista”, perché specializzati nella raccolta di quote di risparmio ridotte e ridottissime, e sono sottoscritti per questo dalla più vasta classe media, fino a venticinque anni e con ridotte o nulle possibilità di riscatto.
Alle accuse tedesche di non essere in grado di far pagare le tasse - o di non volerlo - ai ricchi armatori greci, che gestiscono le maggiori flotte commerciali al mondo, Atene ha risposto – su suggerimento forse di Paul Krugman, il Nobel dell’economia – che questi armatori sono in realtà “ospiti” fiscali della Germania, dove pagano poco o nulla di tasse, attraverso il meccanismo dei fondi KG.  Si dice che una nave su due sui mari sia “greca”. Cioè di armatori greci, ma domiciliati prevalentemente in Germana, dove sono praticamente esentasse attraverso i fondi KG, che di fatto detassavano quasi tutta l’attività -  compresi i dividendi, purché non distribuiti.
Un marchingegno messo assieme da Ike Kier e Ilya Zaides, che ha avuto un forte successo nel primo decennio del millennio. Il meccanismo è piuttosto complicato, ma emerse sotto cattiva luce nel 2010, quando fu all’origine di una sere di fallimenti conseguenti alla gestione espansiva del 2002-2008, soprattutto delle flotte portacontainer. Uno sboom paragonato a quello dell’immobiliare americano, che fu all’origine della crisi bancaria. Il grande gruppo danese dei container Maersk ha rischiato il fallimento – in conseguenza ha dovuto lasciare Gioia Tauro.
Anche la banca di Amburgo, la Nordbank, una delle maggiori banche tedesche, fu al fallimento. Fu salvata dai suoi due soci, il Senato di Amburgo e il Land dello Schleswig-Holstein, con un’iniezione di almeno 30 miliardi – che Berlino ottenne a Bruxelles e a Francoforte, alla Bce, che non fosse considerato aiuto di Stato.

Migranti – Vengono da lontano. Moni Ovadia ha avuto un’idea molto semplice a rappresentare “Le supplici” di Eschilo al teatro greco di Siracusa un po’ i dialetto siciliano e un po’ in greco moderno. Le lingue che i migranti sentono per prime quando vengono salvati sui barconi.
“Le supplici”, tragedia corale, senza personaggi, narra delle cinquanta figlie di Danao che dall’Egitto dovettero cercare rifugio in Grecia per sfuggire all’obbligo di sposare cinquanta cugini.

Opinione pubblica – “Quell’ircocervo che è la cosddetta opinione pubblica, fluttuante e mutevole mar dei Sargassi che è l’opposto della democrazia e soprattutto del liberalismo”, Claudio Magris, “Corriere della sera”, mercoledì 10. Momento di malumore? L’opinione pubblica è il liberalismo,
“”Filastrocca di opinioni”, diceva Hegel”, così conclude Magrisi. Lo stesso che il giornale elevava a “preghiera del mattino”.

Polonia – Non può, non sa, stare in pace coi vicini? Ultimamente è stata filorussa antitedesca pima, e poi filotedesca antirussa. Ma in pace con tutt’e due, si vede,  non può. Invece che antagonizzare sia russi che tedeschi, in questo dopoguerra, dopo il tragico patto Hitler-Stalin, è stata dapprima filorussa, seppure con sacche di resistenza, soprattutto negli ambienti cattolici, e ora è fedele secondo di Berlino. Ma allora, senza motivo, bellicosa contro la Russia, l’altro grande vicino, perfino guerrafondaia – ora vuole i missili atomici americani.
Persistenze storiche? Ma la Polonia le ha superate con la Germania, contro la quale ha combattuto per secoli, e sotto la quale ha patito l’impatibile. In cambio, è vero, della Slesia, fino a Brandt, 1970, considerata il “cuore” della Germania e ora colonizzata – i tedeschi profughi, i residui, sono stati indennizzati.

Puritanesimo – Se ne fa grande caso nella politica americana, che invece ne fa volentieri a meno. La filiera dell’impeachment di Clinton, che comunque poi ha mentito con successo al Congresso sulla “relazione impropria” con la stagista Monica Lewinsky, è andata come segue. Il suo accusatore, allora presidente della Camera dei Rappresentanti, fu poi scoperto nel tentative di coprire un’altra relazione sessuale “impropria”. Fu sostituito da un altro Deputato che dovette dimettersi quando fu scoperto avere un’altra relazione sessuale “impropria”. Fu sostituito da un altro Speaker (presidente) della Camera dei rappresentanti ultimamente imputato di spergiuro sui pagamenti effettuati a copertura di un rapporto sessuale con un ragazzo. Si dice: ma gli scandali avvengono – sono denunciati. Fino a che punto? Il più pulito ha la scabbia? O è la carica che li infetta?

astolfo@antiit.eu

La caricatura del giallo

“Una caricatura richiede una precisione millimetrica”. Picasso e i cubisti hanno capito che la realtà non è piatta, ma “coi loro angoli e con le loro linee frastagliate” finiscono per ridurla a due dimensioni. Per esperienza possiamo testimoniare vero “il tipico paradosso degli inglesi in Oriente, la cui gelida freddezza pare incrementata dal grande caldo”. Molti ce ne sono sul “bisogno” di aggiungere provincia a provincia nell’impero. Chesterston sa procedere per aforismi inesauribili, senza stancare e anzi ravvivando la narrazione. Di personaggi inverosimili, attorno al suo inverosimile Horne Fisher, il detective a tempo perso, cioè sorprendenti, e tuttavia vere.
Ricorrente è “uno di quei tipi che prendono il divertimento troppo sul serio e quindi si divertono tristemente”. “C’è sempre un metodo nella pazzia della gente, e la vera pazzia è quella di essere metodici”. Non mancano, come in tutta la narrativa anni 1930, gl scantonamenti sugli ebrei: il riccastro, il guerrafondaio. L’aneddoto giallo invece è un pretesto, troppo lambiccato sempre per essere vero.
Il racconto più famoso del titolo vede un Cancelliere dello Scacchiere che si compra un Lord per fare maggioranza – un Lord che è un assassino, altro che i pingui ricattatori campani.
Gilbert K. Chesterston, L’uomo che sapeva troppo,  Il Giallo Mondadori, pp. 332 € 3,80


mercoledì 8 luglio 2015

Le indulgenze e la riforma al Campidoglio

Il clima è rovente ma assolutorio attorno al sindaco Marino a Roma. Il clima nel Pd, il partito del sindaco. Gli organi di controllo sono del Pd, e propendono per una consacrazione del sindaco. “Passerò la notte tranquillo”, ha potuto dire Marino ieri, “siamo in mano dei migliori servitori dello Stato, Gbrielli e Pignatone”.
Il Procuratore Capo Pignatone si è espresso per primo: non c’è la mafia al comune con Marino. Anche se gli ultimi arresti sono stanti numerosi e importanti. Mentre il prefetto di Roma Gabrielli è prudente. Il dossier dei commissari sulle pratiche amministrative dice che il Comune va commissariato, e allora lui non dice no, si rimette al governo, domani o dopodomani.
Il Pd di Renzi all’improvviso è indulgente con se steso. Effetto forse ritardato del periodo di grazia nell’opinione di cui ha goduto dopo le elezioni europee. Ma sono un paio di mesi ormai che a Roma è al livello minimo, tra iscritti e simpatizzanti, sotto quello di guardia. Benché sostenuto da una stampa romana ferocemente di partito. Il rottamatore abbaia ma non morde? Più probabile è che sia l’effetto bizzarramente euforizzante delle indulgenze, anche in versione auto-
C’è allora da attendersi la riforma dall’esterno, anche al Campidoglio come già a San Pietro? Tutte le indicazioni concorrono in questo senso. E per la cattiva, cattivissima, amministrazione più che per gli scandali. I giornalisti non lo dicono e forse non lo sanno, ma Marino ha imposto ai residenti del Centro storico, che a Roma sono una città, una tassa di € 1.200 per cinque anni, invece che di € 55. E a tutti gli altri, artigiani, professionisti, distributori e altri utenti diurni della Ztl una tassa annua di € 2.000, invece di 600. In cambio di niente. Ha anche reso impossibile la differenziata – per certe consegne andrebbero fatti chilometri. E ha raddoppiato l’Irpef, ora i romano pagano più dei milanesi.

Forse Marino non lo sa. Come non  sa che i mezzi pubblici non passano mai, anche dopo un’ota. Ma questo non lo esime.    

ll sesso è climatico, ma le bambine restano capricciose

L’etologo Danilo Mainardi popolarizza su “Sette” e semplifica la teoria (la “scoperta”) che vuole il sesso degli alligatori determinato dal clima: femmine a meno di 30 gradi alla schiusura dell’uovo, maschio se la temperatura è superiore. Anzi, la teoria degli alligatori è multigender. Mainardi dice che è certo: “Ora sappiamo che sotto i trenta gradi nascono solo femmine, sopra i trentaquattro solo maschi, e che nell’intervallo tra questi valori gli individui sono di entrambi i sessi”.
Non è così semplice. Per gli stessi studi che hanno condotto alla teoria: “La temperatura ambientale dipende da dove è collocato il nido: su un argine la temperatura è più alta che al suolo”. La temperatura dipende “anche dalla qualità dei vegetali con cui (il nido) è fatto”. La teoria è parte della ricerca complessa sulla scomparsa dei dinosauri: “Un repentina variazione della temperatura avrebbe potuto cancellare uno dei sessi causando l’estinzione di quei grandiosi rettili giurassici”.
Questo non spiega l’essenziale: perché “le bambine sono capricciose”? Anche per le stesse femministe – anzi, le “bambine” femministe sono capricciosissime. Perché nascono al freddo? Ma non si può dire che sotto i 30 gradi sia freddo. Dunque l’essenziale resta da spiegare.
Resta da spiegare anche la subordinata: perché non c’erano dinosaure. Allora vigeva il monogender?

La filosofia può ridere di Eichmann

Lo Hannah Arendt Center riassume nella sua newsletter “Amor Mundi” la polemica che colpi Hannah Arendt alla pubblicazione, ponendola sotto il segno dello humour. Se è bene per un filosofo essere spiritoso e comunque esserlo su certi temi, se certi temi comunque sono e devono andarne esenti. Partendo dall’ammissione che la stessa Arendt fece, a conclusione della polemica, nell’intervista con Günter Gaus il 28 ottobre  1964: “Mi rimproverano per una cosa – e posso anche capirli, in qualche misura – e cioè che posso ancora ridere, non è così? È vero. Ero dell’opinione che Eichmann era un buffone, e le dirò, leggendo gli interrogatori di polizia, 3.600 pagine, molto attentamente, non so quante volte ho riso, ma sonoramente. Ora, questa reazione è ciò che mi viene rimproverato. Non posso farci nulla. Ma so una cosa: sarei probabilmente capace di ridere ancora tre minuti prima (della morte). E questo, dice lei, è il tono: il tono ampiamente ironico. Sì, è proprio vero. Esattamente, il tono è in questo caso realmente l’essere umano. Quando mi rimproverano di avere tra le righe accusato il popolo ebraico, questa è una bugia maliziosa e propaganda, nient’altro. Il tono, invece, è un’obiezione contro di me come persona, e non posso farci nulla”.
Hannah Arendt non dice se ha diritto a essere spiritosa. Dice solo che è fatta così. Ma il riferimento alla “propaganda” (in Israele, n.d.c.) in qualche modo lo dice. L’offesa era aver definito nella corrispondenza (il libro è il rifacimento delle corrisponde sul processo per il settimanale “New Yorker”) Eichmann un “sionista”. Rispondendo a Gerschom Scholem, che glielo contestava, Arendt non si sofferma a specificare che anche lei ha fatto parte e ha lavorato a Parigi per il movimento sionista, ma va diritta al fatto. Che è un fatto grammaticale e sintattico: “Non ho mai fatto di Eichmann un sionista. Se hai mancato l’ironia della frase – che era chiaramente in oratio obliqua, riportando le proprie parole di Eichmann – non posso farci niente”. È vero che c’è gente, anche di grande personalità come Scholem, che è impervia all’ironia.
Scholem diceva di più, rimproverava l’amica di leggerezza, “intendo l’inglese flippancy”, e di mancanza di cuore (Herzenstakt, tatto di cuore). Ma qui la risposta di Hannah Arendt era semplice: “Io non «amo» gli ebrei, né «credo» in loro; io semplicemente appartengo a loro, come un dato di fatto, non c’è da discutere”.
Da testo contestato, anche aspramente, il reportage di Hannah Arendt è passato comunque a classico del semitismo. C’è stata ultimamente una conversione nell’ebraismo, sulla valutazione del  “volenteroso esecutore” Eichmann, e sul processo che lo fece protagonista e quasi artefice dell’Olocausto. Mentre per la filosofa era il caso esemplare di un suo problema peprsonale, da ebrea malgrado tutto tedesca: perché nesuno era colpevole nella Germania del dopoguerra.
Hannah Arendt, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli, pp. 320 € 10

martedì 7 luglio 2015

La marca Europa

Un’Europa più piccola ma tedesca? Perché no, una marca Europa. Perché altrimenti il governo tedesco, Angela Merkel e socialdemocratici insieme, alimenterebbero la crisi della Ue, se non nel quadro di una piccola Ue germanica?
La progettualità non è attribuita dai biografi e analisti alla cancelliera, che si dice anzi troppo fattuale, una che vive alla giornata, del “poco e tardi”. Ma questo non sempre è vero. Come si impadronì della Cdu, il partito democristiano tedesco, pur non essendo nessuno, senza base elettorale e senza seguito nei ranghi del partito, fa impallidire il più aggressivo Renzi. Lo stesso l’alternanza disinvolta tra coalizion di governo, con la sinistra e  alternativamente con la destra, sempre con lei alla guida. O l’appropriazione disinvolta dei temi politici e elettorali della sinistra.
La Ue nella crisi è già diventata tedesca – si tratterebbe a questo punto solo di decidere chi si fa fare e chi no. La nuova istituzione, il Fondo Salvastati, per oltre il 25 per cento di proprietà tedesca, presidiato da un fedelissimo di Angela Merkel, Regling, non può funzionare se non previa indicazione del Bundestag, la camera dei Deputati tedesca. E gli statuti della Banca centrale europea di Draghi sono stati piegati alle indicazioni della Bundesbank – mentre prima ai consiglieri d’amministrazione designati da Bundesbank si indicava la porta quando s’impennavano. La prima e finora unica indicazione della Bce sull’Ela, la liquidità di emergenza in favore delle banche greche, è presa tal quale dalla Bundesbank: nessuna liquidità aggiuntiva. L’Ela è “un aiuto di Stato se non è pienamente garantita dal collaterale, al quale si siano applicati appropriati riduzioni in base alla sua qualità e al valore di mercato” – in chiaro: la Bce si paga ottimi interessi sul debito greco in suo possesso, 27 miliardi, ma per estenderne gli acquisti vuole “garanzie estese”. Si riserva cioè di rivalutarlo al ribasso (questo naturalmente non si fece nel 2007-2009, quando la Bce salvò letteralmente le banche tedesche).
D’altra parte, la Germania viene da prima di Angela Merkel e va oltre. Viene dalla riunificazione, un evento assurdamente sottovalutato fuori della Germania, che ne ha mutato la natura rispetto alla Repubblica Federale di Bonn, niente di meno. Meglio: ha riportato la Germania a un momento prima delle guerre disastrose avviate un secolo fa, alla “borghesia soddisfatta” di Nobert Elias.
È d’altronde un’Europa totalmente germanica quella che viviamo in questi anni. La cancelliera decide per tutti, in più momenti topici. Il governo greco del 2010, quello italiano l’anno dopo, con precise indicazioni a Napolitano, vari governi in realtà marginali per la nostra opinione, ma non negli equilibri della Ue, Austria, Finlandia, Olanda, perfino la Polonia. È tedesca o assimilata la enorme influente burocrazia di Bruxelles. Sono tedeschi o assimilati i vertici delle istituzioni europee, tutti. Quando Merkel va a Parigi, da Hollande come da Sarkozy, è solo per farsi cauzionare, non per discutere: su nessuna questione la Francia da molti anni ormai, già dagli ultimi tempi di Mitterrand, ha deciso invece della Germania. 

Fisco, appalti, abusi (73

Legambiente dispensa Bandiere  Blu alla Riviera Apuana e Ligure infestate regolarmente a luglio e agosto dall’alga tossica “Ostreopsis ovata”. Per l’eccesso di azoto e fosforo scaricato in mare dagli affluenti, dove c’è ristagno d’acqua e mancanza di correnti, per la costruzione dei pennelli.  Le dispensa gratis? La Bandiera Blu raddoppia il costo  degli affitti.

Quattro cause fiscali su dieci si chiudono con vittoria dei ricorrenti, Gli  altri si perdono negli interminabili ricorsi – dieci anni in media, con largo raggruppamento verso i venti.

“Note incomprensibili, clienti maltrattati, Authority  assenti”: si accorge infine delle bollette sul “Corriere della sera” un collaboratore esterno, benché illustre, lo storico Galli Della loggia. Un vizio che tutti conoscono da anni, incluso questo sito. Il segno più tangibile della corruzione diffusa. Ma il giornale tace – compresi gli eminenti fustigacaste.
Negli altri giornali il silenzio è totale, neanche il colonnino di Galli della Loggia.

Alla rimostranza di Galli della Loggia fa eco solo l’Enel. In effetti gli “impuniti” della bolletta sono le aziende comunali, o ex, tutta roba di sottogoverno.

Benché chiamata in causa da Galli della Loggia, tace caratteristicamente l’Autorità per l’Energia – le bollette illeggibili sono quelle dell’elettricità e del gas. L’Autorità si distingue per proteggere i soprusi: provare a fare uu reclamo, il modulo è online.

“Piego di libro”: di venti copie spedite con Poste Italiane con questa etichetta, solo sette sono arrivate. Spedite a tre riprese, dallo steso ufficio postale romano in via Maurizio Quadrio. Alla richiesta di informazioni un impiegato risponde ghignando che il “piego di libro”, se c’è anche un semplice biglietto d’accompagnamento e il libro non arriva, le Poste non sono responsabili.
In effetti il libro è comparso su eBay, prima ancora di arrivare – le poche copie che sono arrivate.

All’obiezione che il sito delle Poste consente di allegare al “piego di libro” un biglietto da visita, l’impiegato risponde che  il biglietto non deve avere “alcuna annotazione personale”, nemmeno la firma. All’obiezione che questa limitazione è stata introdotta successivamente (ora le Poste prevedono un supplemento di tariffa se c’è la firma), l’impiegato fa spallucce.

Alle Poste di via Maurizio Quadrio non si può fare reclamo, bisogna andare a via Marmorata all’Ostiense.  
All’Ostiense l’addetto\a ai reclami è occupato\a. Dopo mezz’ora lo è ancora. E così dopo un’ora. Ma si può fare reclamo per telefono. Il telefono risponderà poi occupato per lunghi periodi del servizio 5 di Telecom. Oppure non risponde. Arriva in Borsa la zavorra?

I dolori di Heidegger antisemita

L’originale di Trawny reca “cospirazione mondiale”. Ma il resto c’è tutto, anche in questa bizzarra uscita in piena calura. Anche se all’edizione francese già qualche mese fa Trawny aveva fatto in tempo ad aggiungere una coda su Heidegger e Husserl. E i traduttori francesi, che hanno optato per il titolo “Heidegger et l’antisémitisme”, evidenziavano sia l’uso di”giudaismo” per ebraismo, sia la perfidia del mondialismo della “cospirazione”.
Trawny, professore di filosofia in un’università di provincia (Wuppertal), presidente dimissionario della Fondazione Heidegger, è l’editore dei primi “Quaderni neri” di appunti del filosofo di Messkirch. Quelli dei primi dieci anni da quando iniziò la pratica, fino al 1941 (ne tenne fino alla morte nel 1976, in tutto 34 quaderni). Nei quali non tace l’avversione verso gli ebrei, in varie forme. Ma questo si sapeva. Sempre mellifluo e molto opportunista, corteggiatore di René Char nel dopoguerra, il poeta della Resistenza in Francia, e di Paul Celan, il poeta dell’annientamento ebraico (che però non se ne fidò), infine riabilitato dopo sei anni di ostracismo universitario dalla devotissima Hannah Arendt, disposta a passare sopra a tutto, senza mai chiedere scusa. L’uomo era quello che era: un provinciale svevo, figlio del sacrestano, proiettato tra i baroni universitari e le principesse di rango in fregola, seppure con famiglia, ma di preferenza si sbatteva le allieve, carne giovane, tra esse la giovanissima Arendt. Furbo, sussiegoso, nazionalista, e anche convinto nazista, per un non breve dodicennio – come “tutti” del resto in Germania..        
La tesi di Trawny è accusatoria e assolutoria insieme. Heidegger registra varie note antisemite, ma dell’“antisemitismo iscritto nella storia dell’essere”. Negli anni 1938-1942, che Trawny ha editato. Ma anche dopo – il termine Trawny, che evidentemente ha letto altri quaderni, lo mette nel ritrovamento di Heidegger con Hannah Arendt, che è del 1950. Inoltre, Trawny spiega che Heidegger è un fenomeno per la filosofia francese e italiana. Mentre quella tedesca, passato un primo momento d’interesse, indotto dall’ermeneutica di Gadamer, presto se ne è allontanata. Insomma, la Germania non ne è infetta.
Negli anni indiziati Heidegger avrebbe tralasciato la fenomenologia e l’ontologia per l’approccio analitico. Da heideggeriano eretico? Una parentesi? Ma cinque anni sono un’eternità per un filosofo maturo e acclamato. L’ebraismo rifiutando, nella sintesi di Trawny, in quanto modernità e tecnica. Un rifiuto che, depurato dell’antisemitismo, sarebbe di per sé “colpa” grave. Ma Heidegger non era un tradizionalista retrivo, cultore di folklore e storia patria.   
“L’identificazione di ebraismo e modernità è stato un cortocircuito per molti antisemiti europei”. No, è all’inverso che funziona. E che dire del Dio di Heidegger-Trawny: “Nel Dio della creazione Heidegger ha scorto una sorta di super-tecnico. E ha voluto inoltre vedere nella predilezione per il politeismo greco una tendenza antitotalitaria del suo pensiero”. No, Heidegger non era così semplicista. Ma era antisemita. Al “monoteismo ebraico-cristiano” faceva risalire “i moderni sistemi di dittatura totalitaria”, e questa è solo una scemenza – Hitler cristiano-ebraico? Oppure: Hitler non era dittatore e non era totalitario.
Su questo non c’è solo da ridere: il nazismo va rivisto, la storia è carente. Fu totalitario ma popolare, popolarissimo. Gli anni 1938-1942 in particolare furono di vittorie in successione. Un trionfo anzi dopo l’altro. Un’ubriacatura. Non è per caso che Heidegger si lascia andare, smettendo la circospezione del villano.

Curiosamente, Trawny, come già Donatella Di Cesare, limitano la discussione alla Fondazione, e alla filosofia accademica tedesca – nella quale in effetti non c’è molto Heidegger. Le posizioni critiche in Francia e altrove limitando a Farias e, più recentemente, a Faye. Trawny se ne fa comodo bersaglio limitando Faye agli eccessi polemici – Heidegger ghostwriter di Hitler… Mentre ci sono critiche molto “heideggeriane” a Heidegger, soprattutto in Francia, sottili, propositive più che assertive, e radicali: la “questione” di Derrida, la rivisitazione di Lacoue-Labarthe del nazismo di Heidegger già nel 1988, “La finzione del politico”, dopo avere analizzato le resistenze di Celan al corteggiamento heideggeriano, “La poésie comme expérience”.
Peter Trawny, Heidegger e il mito della cospirazione ebraica, Bompiani, pp. 151 € 13

lunedì 6 luglio 2015

E adesso, povero Renzi

Renzi lancia in resta contro l’Europa di Merkel, di cui fino ad avant’ieri era sodale  senza macchia, fa sorridere. L’uomo è estemporaneo – infatti oltralpe nessuno lo teme. Ma stavolta forse c’è di più. C’è Mattarella, che appare stanco di questo suo patrocinatore vanesio – quando ci sono  problemi la riconoscenza evapora. E ci sono i sondaggi.
Che Renzi abbia capito cosa è effettivamente in gioco in questa crisi europea non persuade nessuno. Lui continua a credere alla buona fede di tutti i comprimari, cosa che nessuno crede, né pretende che si creda. Sembra strano e anzi impossibile, eppure è così. Renzi ha peraltro liquidato chi sapeva cosa succede nel mondo, il Tesoro e il ministero degli Esteri, ha scolorito il governo, tutto di non persone, ha svuotato palazzo Chigi, per prima del consigliere diplomatico, affidandosi a collaboratori-dichiaratori essi stessi per primi a disagio, non sapendo nulla di politica estera, Lotti, Boschi, le belle che ridono ai talk-show. Se anche volesse fare qualcosa in Europa come lo fa, con chi?
Renzi forse ha perso più di Angela Merkel, in un paese che, al contrario della Germania, non è diviso sulla Grecia, ma molto critico e comunque solidarmente partecipe – quello che scrivono i suoi giornali non lo crede nessuno, nemmeno, probabilmente (si fiuta alla lettura),  i giornalisti che scrivono gli inni a Merkel. Renzi dice ora: o si riforma tutto o la Ue finisce qui. Come credergli? Non sa nemmeno obiettare al fatto che Merkel e Hollande decidano per lui in concilio privato e riservato.
I sondaggi lo danno sotto Grillo. Non vuol dire nulla, non si sta votando, ma i sondaggi negativi portano male. E il commediante Grillo al confronto fa figura di statista: si aggira per Atene disteso a suo agio, conosce i dossier, cita i Nobel per l’Economia, esprime perfino buonsenso, e europeismo corretto. Non è difficile, peraltro.

Problemi di base - 235 straord.

spock
  
È più ariano - ariogermanico - Varufakis oppure Schaüble?

Dove sono finiti i tedeschi che si volevano discendenti dei dori (fiumi di germanistica)?

E al mercato comprereste da Varufakis, anche se dimissionario,  oppure da Schaüble, con tutto il Tesoro tedesco dietro?

Ci hanno messo le mani in tasca più i greci o più i tedeschi?

I tedeschi ci hanno guadagnato o perduto nella crisi? (facile: ci stanno guadagnando, ogni mese contano i milioni)

Dio è morto, e la Verità e il Bene come se la passano?

Quanto è intelligente il pensiero della (propria) intelligenza?

Aridatece l’Unione Sovietica, vogliamo sognare?

spock@antiit.eu 

A che punto è la notte dell''Europa

La crisi greca si agita su una tela di fondo, la Germania, di cui purtroppo non si mette a fuoco la pericolosità. Di un’opinione pubblica che è stata condotta, da alcuni partiti (la Csu, i Liberali, i neonazisti) e da alcuni giornali, in testa la diffusissima”Bild”, a pensarsi derubata da questo o da quello. Dopo che la Germania ha messo mano a tutte le risorse europee per salvare le sue banche sostanzialmente fallite nel 2007. Valga come promemoria la rilettura di un estratto di “Gentile Germania” sulla crisi (l’onorevole Dobrindt di cui nell’estratto era allora il segretario della Csu, il partito cristiano-sociale, delfino di Schaüble, ed è ora ministro. Le argomentazioni della destra tedesca contro la Grecia sono più violente, ma analoghe a quelle esercitate contro l’Italia.
  
Giovanile, velista, spigliato, un bavarese così raffinato da parere finto, Alexander Dobrindt ha impazzato contro l’Italia per tutto il 2012, fino a Natale, nel quadro d’una crociata anti-mediterranea, Spagna esclusa – per essere la Spagna mezzo visigota? o mezzo atlantica: su che mare ha casa l’onorevole Dobrindt? “Vedo la Grecia fuori dall’euro nel 2013”, confidò alla Bild alla vigilia delle ferie estive. Alla vigilia di Ferragosto attaccò l’Italia sul Tagesspiel, pigliandosela con Draghi, in quanto presidente Bce: “Salta all’occhio che Draghi si attiva sempre e fa acquistare Btp dalla Bce ogni volta che l’Italia è alle strette”. E intimandogli: “Decida da che parte sta: dalla parte dell’Unione nella stabilità o da quella dei Paesi in crisi, che tentano, zitti e mosca, di mettere le mani sui soldi dei contribuenti tedeschi”.
Il Tagespiel lo commentò con la prima del Giornale di Berlusconi: un QUARTO REICH a tutta pagina. Sommario: “I no della Merkel e della Germania rimettono in gi-nocchio noi e l’Europa”. E di spalla: “I tedeschi salvatori dell’euro? Macché, spende di più l’Italia”. Ma niente, a fine mese Dobrindt tornò alla carica, precipitando un’altra crisi per l’Italia e la Grecia, sempre via Bild, in quattro punti: 1) “Più tempo per la Grecia significa più oneri per la Germania. Non lo permetteremo . Ciò che ci vuole è una roadmap, che parta da un’ordinata uscita della Grecia dall’euro”; 2) Draghi, comprando titoli di paesi deboli, aiuta la speculazione e “fa della Bce una banca dell’inflazione”: a) “La politica di Draghi è ad alto rischio, per l’import trans-frontaliero del caro interessi”, b) “Draghi usa la Bce come uno scambiatore, per trasferire denaro dai solidi Nord ai Sud deficitari”. A novembre Dobrindt si ripeté, sempre con la Bild: “Il condono del debito greco sarebbe la rottura degli argini”. Con scarso esito a quel punto, la speculazione fu poco incisiva e Dobrindt sparì. Anche perché, dopo tanto tuonare, lui stesso precisava: “Il salvataggio della Grecia costa al contribuente tedesco per la prima volta soldi veri”.

A ottobre 2011, per riaccendere la crisi che si affievoliva dopo la vendita dei Btp, il capo economista della Deutsche Bank, Thomas Mayer, pubblicamente aveva a-monito contro ogni aiuto all’Italia. In una col presidente del Ces-Ifo di Monaco, rinomato istituto di studi sulla con-giuntura, Hans Werner Sinn, che aveva redatto e pubblicizzato una serie di note contro l’Italia, sul debito e le banche.  Con l’effetto non casuale di mettere nel mirino le banche italiane, meglio gestite e capitalizzate delle tedesche, elevando una cortina di fumo su quest’ultime, che erano tutte un colabrodo, Deutsche inclusa. “Offrire un’assicurazione di prima categoria sui titoli contro il fallimento dell’Italia ci colpisce come offrire un’assicurazione sulla cristalleria al padrone di una casa prossima a un impianto nucleare che sta per collassare”, scrisse Mayer online nel bollettino della banca. Neppure con la garanzia del Fondo europeo di stabilizzazione: “Né il padrone di casa né il detentore di titoli italiani si sentirebbero molto sollevati da questa assicurazione”. Con spreco di distinzioni fra germanici e latini.
Questi personaggi non sono isolati. Sinn è pure più popolare dell’onorevole Dobrindt: quando sparla dell’Italia ride. Nel 2013 ha avuto il premio Erhard per l’economia “sociale di mercato”. Gliel’ha dato il dottor Mayer, per aver sfidato il Fondo europeo di stabilizzazione e la stessa Bce alla Corte costituzionale tedesca. Mentre periodicamente, per tutto il 2012, Jürgen Stark scandiva su Handelsblatt, il Sole 24 Ore tedesco, la fine della Bce. In odio a Draghi e all’Italia. Nel 2013 ha persistito: il 25 luglio annunciava “il culmine dell’eurocrisi nel tardo autunno”, dopo le elezioni tedesche e la pronuncia della Corte costituzionale. Stark, ex Bundesbank, membro del direttivo Bce, s’era dimesso nel settembre 2011, in polemica con Draghi, prima ancora che Draghi arrivasse. Nel 2013 sotto accusa di Sinn, Stark & co. fu la Francia: un allargamento del fronte latino che non significava un’assoluzione dell’Italia ma un aggiramento per un migliore sfondamento.
Il governo Merkel-Schaüble s’è accreditato nella crisi come l’ultimo baluardo contro un’insorgenza sciovinista e a difesa dell’euro. Ma è quello che ha condotto la guerra all’Europa. Surrettiziamente, è vero. Nel 2011 che condannò l’Italia, il 23 ottobre, nel varco aperto s’è buttata Angela Merkel, che nel duetto periodico con la spalla Sarkozy, una sorta di Stanlio e Ollio sull’abisso, si esibì al vertice Ue nel dileggio dell’Italia. Voleva dall’Italia il taglio annuo d’un trentesimo del debito, cinquanta miliardi per iniziare. Berlusconi disse di no, fu deriso, e tra i lazzi perdette il posto. Monti pare si sia impegnato al taglio di un ventesimo dal 2015, cento miliardi il primo anno – al secondo saremmo tutti morti, come diceva Keynes. Che dirne? La Germania s’è fatta furba: il Nuovo Ordine Euro-peo, senza Hitler, senza la guerra, senza il razzismo, e con la democrazia, è qui. Il 19 giugno 2013 Schaüble attaccava Draghi: la Bce non può comprare titoli del debito pubblico. 

A fine maggio del 2012 Thomas Mayer è stato licenziato. Una tavola da lui costruita per dimostrare che Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna e Italia erano stati i beneficiari dei finanziamenti europei tramite la Bce dimostrava l’opposto.
I rifinanziamenti Bce sono andati per l’80-90 per cento ai paesi euro del Nord da metà 2007 a metà 2009, e per il 60 per cento e oltre agli stessi paesi da metà 2009 a metà 2010. Quindi per tre anni, quando la stessa Deutsche Bank se la vedeva brutta, e alcuni colossi olandesi, belgi, austriaci. Solo nei dodici mesi successivi i Gip, Grecia, Irlanda, Portogallo, sono arrivati al 50 per cento – Italia e Spagna ancora a ottobre 2011 non superavano il 5. Non era la sola bizzarria del computo: i Gip erano arrivati al 50 per cento degli impegni Bce quando questi erano stati ridotti, a 400-500 miliardi. Quando la Bce aiutava i nordici l’impe-gno era sopra i 700 miliardi, in alcuni mesi sopra gli 800.
Il dottor Mayer dimostrava cioè che per tre anni la Bce ha finanziato la galassia bancaria tedesca. Forse per questo fu sostituito, dopo il supermanager Ackermann di cui era stato il consigliere. Ma non cessò  di insistere. Allo Handelsblatt a fine maggio 2012 spiegava: “Vedo l’Italia molto peggio della Spagna”. La cui banche erano al fallimento in senso proprio, tecnico, con miliardi di metri cubi già costruiti invendibili, un negozio chiuso su due, i disoccupati al 20 per cento, un’economia senza più credito.
Ma più che un errore, quello di Mayer è stato il segno di una prepotenza. Della superiorità naturale del Nord, della Germania, l’unico terreno della virtù. Veniva a completamento di una battaglia serrata dell’opinione più qualificata in Germania, con accenti diversi ma a un unico fine.
Ufficialmente la Germania sosteneva, guardando ai saldi della bilancia interna della Banca centrale europea, che la Bundesbank sopporta i costi maggiori della crisi. Trovandosi per questo sovraesposta nei confronti del Sud Europa, dei paesi col debito più alto, e quindi essa stessa a rischio contraccolpi. Era la tesi del presidente della Bundesbank, Weidmann, e più ancora del beffardo Sinn. Mentre i conti dicevano il contrario: il Sud Europa paga l’austerità, la Germania incassa, e accumula attivi. Sono questi attivi fragili, a rischio cancellazione? Ma è la Germania che ne blocca il bilanciamento, col no a una politica Bce espansiva e il no agli stimoli alla sua domanda interna, malgrado un’inflazione zero e anzi negativa, che consentirebbero più esportazioni – più lavoro, più reddito - ai partner euro.

Recessione - 37

Tutto quello che bisognerebbe sapere e non si dice:
Una famiglia su dieci non ha di che sfamarsi (Censis).

Ancora ad aprile in calo il fatturato dell’industria. Malgrado il ritorno alla piena operatività delle fabbriche del  gruppo Fiat-Chrysler.

63 mila posti di lavoro perduti a maggio

40 giovani su 100 sotto i 25 anni non trovano nessun tipo di occupazione.
In realtà molti lavorano per 200 e anche 100 euro, al mese – 25 a settimana. Nei bar, nei bagni al mare, in pizzeria-

Chiudono gli esercizi commerciali in rapporto di 2 a 1 avviamento nuovo.

Ristagnano i consumi nel primo trimestre del 2015.


Tredici mesi per incassare un incentivo. In media, si arriva fino a 24 mesi. Lo sconto in banca dell’incentivo pubblico può costare fino al 20 per cento l’anno. Lo Stato investe nell’industria per favorire le banche?

Quanti sogni in uno

Di che materia sono fatti i sogni Tinti lo spiega con questa personale scelta di sogni celebri. Che vuole alternativa a quella classica di Borges, ma, bisogna dire, non di grande lettura.
Supplisce con la presentazione, che è forse l’unico saggio sistematico in argomento. Partendo da Leopardi, che esordì scettico e finì sognatore e magnificatore dei sogni, delle illusioni. Si scopre così che l’oniromanza e l’onirocrtitica sono antiche e antichissime, e vanno insieme: chi ci crede e chi no, chi cerca di spiegarseli.
Ce ne sono di importanti in Lucrezio e Petronio. In Platone c’è l’antica pratica sumera della incubazone  La cristianità recepisce il sogno e lo avversa, alternativamente. Come sant’Agostino. Tertulliano, nel “De Anima”, e il vescovo di Cirene, Sinesio, se ne occupano in profondità. Poi si fa un concilio ad Amira, nel 314, per condannarli. Poi si “aristocraticizza”: sognano bene i potenti e i santi. Ma valgono ancora le interdizioni papali e di Isidoro di Siviglia. Fino all’insorgenza dell’“uomo nuovo” nel secolo XII:  Alberto Magno, padre dello Scolastica, lo “desacralizza” e “democraticizza”, anzi gli dà statuto scientifico, nel “De Somno et Vigilia”. Recuperando l’approccio scientifico (numerologico, astrologico) degli arabi. Fino all’ennesima condanna, nel 1277 a Parigi, da parte dei canonici agostiniani. Poi s’impone la laicizzazione del fenomeno – specie con lo studio di Girolamo Cardano, pieno Cinquecento, “Sul sonno e sul sognare”. Che è diventato soprattutto narrativo, a partire da Dante, e a seguire Boccaccio, Sacchetti, Shakespeare, Calderòn. tra i tanti. Cartesio troverà in sogno il “metodo”. Il Settecento sarà scettico anche sui sogni: Voltaire, Muratori, il primo Leopardi. L’Ottocento lo celebra in ogni forma, fra romanticismo e simbolismo, da Novalis a Borges.
Lorenzo Tinti, a cura di, Il sogno dalla Genesi a Umberto Eco, Lorenzo Barbera Editore,  remainders, pp. 130 € 3,45

domenica 5 luglio 2015

La prima sconfitta di Angela Merkel

E adesso? È presto per dirlo. Di sicuro si troverà una soluzione per il problema Grecia. Ma niente sarà come prima.
Il no di Atene è la prima sconfitta di Angela Merkel: nei suoi quasi dieci anni di governo non ne aveva subita nessuna, non in patria e tantomeno in ambito Ue. La sua prima mossa, cercare l’intesa con la Francia, non esprime voglie di rivincita – buttare la Grecia fuori dalla Ue – ma di un compromesso onorevole. Che le consenta di continuare a governare l’Europa senza diventare il bersaglio della destra tedesca.
La prima reazione tedesca – fuori la Grecia – è scontata nella destra, la Csu e i Liberali. Ma una quasi maggioranza in Germania si è subito manifestata per un accordo onorevole: i Verdi, la Linke naturalmente, e soprattutto i socialdemocratici, stampella del governo Merkel, che nella reazione al referendum sembrano infine riemergere da quasi due anni di apnea. La Cdu, il partito di maggioranza relativa, e cioè la stessa Mrkel, sta a guardare dove di spostano i pesi.
Il ripensamento socialdemocratico dovrebbe trovare echi nel raggruppamento socialista e democratico a Strasburgo. E in primo luogo in Francia. Hollande, che ha per la prima volta tentato di smarcarsi da Angela Merkel proprio sul referendum, potrebbe insistere per una risposta non punitiva. Un compromesso è la richiesta italiana, per quello che pesa.
Hollande e Renzi, e anche i socialdemocratici tedeschi, rischiano di essere spazzati via dal riflusso politico che si annuncia veemente in tutta Europa contro la gestione della crisi economica – Renzi dice: o si riforma tutto o la Ue finisce qui, ma senza credibilità, lo dice stasera al contrario di ieri, e probabilmente senza nemmeno crederci  (oppure sì? i sondaggi lo danno sotto Grillo, e i sondaggi non sono di buon auspicio).

Dopo la Grecia, la Ue

Che faranno  vertici istituzionali Ue, Djisselbloem, Juncker, il presidente del parlamento Schulz, il direttore del Fondo Salvastati Regling? In regime democratico si sarebbero già dimessi. Le istituzioni Ue non sono democratiche, sono nominate, e la loro constituency è nella fattispecie la cancelliera Merkel. Ma è dubbio che Merkel se li terrà.
Rispetto agli altri si salva Mario Draghi, che ha alimentato anche lui le polemiche e la speculazione, ma ha tenuto la barra della Bce tecnicamente in linea con la solvibilità della Grecia.
La Grecia ha indebolito o rafforzato i movimenti anti-Ue? Li ha moltiplicati. In Italia, oggi, Renzi perderebbe per questo con Grillo, e forse anche con Salvini.
In Europa il rigore fiscale, più tasse più tasse, ha prodotto sviluppo? No. Funziona la Germana, che tassa poco, la metà che in Italia, e distribuisce molto.
L’Ue, benché percepita male, funziona bene? No, male Questo lo dicono tutti.
Perché la Ue funziona male? È organizzata male? No, non peggio di prima. È gestita male, malissimo.

Letture - 220

letterautore

Autore prigioniero – Come i suoi personaggi, l’autore, che pure si reputa il creatore per eccellenza, può essere prigioniero. Della propria fine, del proprio inizio, di una fama, di una voce. Che più spesso non gli corrispondono. Corrado Alvaro, poliglotta cosmopolita, del terragno “Gente in Aspromonte”. Carlo Emilio Gadda, ben milanese, del romanesco “Pasticciaccio”. Il Salinger dei racconti “giovanili”, metropolitani,urbani, manierati, che anzi ha creato una maniera di essere giovani, di parlare, pensare, muoversi, per più generazione, era misantropo anche da giovane. Irène Némirovsky è prigioniera della propria fine, benché ostile e persecutoria. Che l’ha fissata nell’ebraismo, dal quale invece voleva uscire. Non come essere, non si poneva un problema di razza, ma come modo d’essere o etichetta.
Il caso di Irène Némirovsky è talmente ingombrante che si ripercuote sulle figlie, come una sorta di destino incontornabile. Denise e Elisabeth hanno avuto una vita normale  - normale come poteva essere quella degli orfani della guerra. Prima di essere risucchiate nella fine tragica nella “causa” della madre, che si vuole di “differenza” (che invece la angustiava) e di risentimemento (da cui era remotissima). In “Mirador”, l’autofinzione “sognata” della madre svanita prima del ricordo, Elisabeth Gille (Némirovsky) imprigiona la madre nella questione ebraica per trecento insistite pagine, sull’ebraicità rifiutata, sottovalutata. Mentre la sua vita brevissima – Irène Némirovsky morì di 39 anni – si era ben riempita di altro.
I casi in tema di ebraicità, cioè di un’identità forte, sono numerosi. Stefan Zweig fu criticato in Israele e a lungo ostracizzato, per la sufficienza, per la sottovalutazione della minaccia. In realtà per l’assimilazione. Lui che aveva visto i suoi libri bruciati, era dovuto andare in esilio, ed era morto suicida nel 1942.

Beat – L’altro “fenomeno” letterario del Novecento era di destra o di sinistra? Le droghe, il vagabondaggio e la promiscuità lo pongono a sinistra, ma gli autori non lo erano. Allen Ginsberg sì: era di famiglia comunista, fu di tutte le cause, e partecipò da pacifista anti-Vietnam a Chicago nel 1968 alla contestazione da sinistra della convenzione democratica, e poi al processo ai Sette in conseguenza della protesta - ma era già buddista e krishnaista, e fu a disagio in Italia, quando ebbe problemi con la polizia a Spoleto per fatti di droga, con i comunisti. Kerouac sicuramente no, mammone e religioso, fino alla superstizione. Era un reazionario il loro nume William Burroughs, che non aveva rinunciato, contrariamente alla vulgata, all’eredita delle macchine da scrivere e anzi fu sempre mantenuto dalla mamma, e considerava i Repubblicani troppo di sinistra. Styron, che lo incontrò a Parigi negli anni 1950, mentre metteva a punto “Il pasto nudo”, lo dice in una lettera scandalizzato dalla presidenza Eisenhower, quella “sporca ghenga di rossi” – “un personaggio assolutamente stupefacente, con la grigia folle faccia del Savonarola….  Mi ricordava  di niente tanto quanto di una povera vecchia lesbica, molto affettato e riservato e a modo, che parlava della nostra attuale amministrazione repubblicana come di quello «sporca ghenga di rossi»”.

Dante – La “Divina Commedia” c’era già – il vagabondaggio per l’aldilà  - nell’ “Atarva-Veda” e nel “Canto del sole” dell’“Edda”, m anche in numerosi “libri di visioni” monastici, oltre che nel “Libro della Scala” di Maometto. E naturalmente, in altra forma, nel testo più diffuso dell’antichità, il sogno di Scipione Emiliano alla corte numidica del re Massinissa, raccontato da Cicerone nel Libro VI del “De Republica”, il “Somnium Scipionis”, il paradiso dei patrioti. E il mito platonico di Ero nella “Repubblica”.
Tutto l’Ottocento ha scavato queste origini: Ozanam, Wright, D’Ancona. Il viaggetto nell’aldilà era consueto, nota di passata D’Ancona, tra i greci e i romani – talmente diffuso da suscitare i sarcasmi di Seneca e Giovenale: era un “necessario complemento alla dottrina dell’immortalità dell’anima”. A Platone cioè, alla “meravigliosa tradizione di Ero di Armenia” nella “Repubblica”. Nel “Fedone” in effetti c’è già la tripartizione dell’aldilà per i curiosi: Purgatorio (il lago Acheruseide), Tartaro, e l’alta dimora dei filosofi. Più precisa ancora la tripartizione in Plutarco.
Ma, poi, le visioni dell’aldilà sono “normali” nella storia – specie nella storia della letteratura. Come viaggi e come sogn.

Indizio – Più della passione, da sempre dominante, è (da un secolo?) la materia letteraria per eccellenza. Da un secolo? Da Freud?  Dalla pratica medica? Conan Doyle, prima d’inventare Sherlock Holmes e gli indizi, faceva il medico ospedaliero, confrontato in continuo alla diagnosi, magari senza occhio clinico, o forse con l’occhio clinico troppo fertile.
La materia, cioè, sono i cattivi pensieri. La narrazione, psicologizzante o giallistica, è impegnata a scovarli.

Infanzia – È la materia privilegiata delle narrazioni. Il ricordo, la ricostruzione, la mimesi del mondo infantile. Sempre incompleta, e necessariamente inattendibile, e quindi più fertile. Un deriva non collegabile con Freud, per il quale l’infanzia è importante ma non assorbente - mentre c’è poco in questo grato rimembrare del Freud centrale, l’Edipo, l’incesto, i tabù.

Joyce – Debutta parnassiano, nelle poesie raccolte in “Musica da camera”, 1907: l’impronta è evidente, benché non programmatica. Joyce, studente di lingue moderne all’University College, fu dapprima appassionato dell’Ottocento francese, prima che di Dante e l’italiano. Anche i racconti, coevi, si possono rileggere accostandoli a Gautier, Banville, Louÿs.

Libro – Leggere è dimenticare, è il messaggio che Tim Parks trae dal saggio “Forgetting” dell’olandese Douwe Draaisma – dimenticare è la funzoone principale della memoria, secondo Draaisma, poiché i tanti stimoli che la mente riceve subito dopo li cancella, e pochi riemergono alla memoria. Tanto più allora il libro-oggetto è necessario, un archivio indispensabile.
Parks si rafforza nell’argomento con un citazione di Nabokov: “È curioso, ma non si può leggere un libro: si può solo rileggerlo”. Per il motivo che “quando leggiamo un libro per la prima volta, lo stesso procedimento di muovere laboriosamente gli occhi da sinistra a destra, riga dopo riga, pagina dopo pagina, questo complicato lavoro fisico sul libro, lo stesso procedimento d’imparare in termini di spazio e tempo di che cosa tratta il libro, questo si frappone tra noi e l’apprezzamento artistico”. Solo a una terza o quarta lettura, conclude Parks,  ci mettiamo in rapporto con un libro come con un quadro.  Che, depurato del paradosso, non significa niente.
Nabokov s fa forte di Flaubert: “Come si sarebbe sapienti se solo si conoscessero bene cinque o sei libri”. Ma questa è un’altra cosa – a parte l’ironia. La conoscenza e la saggezza si fanno con la riflessone, andando in profondità,  e il libro è il veicolo migliore, lo scritto, rispetto alla comunicazione orale o visiva.

Sogni – Si diffondono nuovamente come artifici narrativi, ma come scenografia cupa, di morte, di violenza. Camilleri ne fa grande uso. Anche i narratori di violenze, soprattutto sui bambini: il sogno si presta come predestinazione.
Umberto Eco ne ha provato uno nel Sesto Giorno del “Nome della rosa”, l’alter ego Adso si appisola e sogna, ma è lungo e dettagliato e non suggerisce nulla.

letterautore@antiit.eu 

Milano senza cocaina, il racconto mancato

I cattivi si ammazzano tutti, naturalmente con cattiveria, e la giustizia trionfa, che racconta De Cataldo?
È il primo racconto sulla cocaina a Milano, che ne è la maggiore consumatrice pro capite del mondo, ma poi è come se non ci fosse - non Milano, non la cocaina. C’è la ‘ndrangheta a Milano, la solita. E pensare: Milano senza coca, che plot!
Giancarlo De Cataldo, Ballo in polvere, Il sole 24 Ore, pp. 78 € 0,50