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sabato 19 dicembre 2015

Letture - 239

letterautore

Amore – Nel Settecento veniva senza veli. Prima cioè delle “tendine alle finestre” (Virginia Woolf, “Orlando”): dell’amore romantico e dei pudori biedermeier. Haendel, col librettista Metastasio, abate, così lo declinano in “Poro, re dell’Indie”:
Cleofide, l’amata: “Caro amico amplesso!\ al mio seno,
Poro, l’amato: “Dolce amico amplesso! al core oppresso,
Cleofide e Poro: “Già dai vita e fai goder”.
Il duetto così si concluderà, dopo alterne vicende:
Cleofide: “Caro, vieni a’ mio seno\ Dopo tanto soffrir!\ Sento ch’io vengo meno\ Per un sì gran gioir”.
Poro: “Cara, torno al tuo seno\ Dopo tanto soffrir!\ Scaccia si bel sereno\ L’ombra del mio martir”.
Coro e tutti quanti: “Dopo tanto penare\ È più grato il piacer;\ Chi sà, costante amare,\ Rende immenso il goder”.

Dante – Fu anche un pagano, nella forma rinascimentale, da proto umanista. Rivendicato per tale da varie correnti di pensiero, ma non solo. Gli “spiriti magni” dell’antichità elegge a profeti del cristianesimo. Dal pagano Virgilio si fa guidare alla salvezza. Il tradimento di Cesare appaia nell’ “Inferno” a quello di Cristo: Bruto e Cassio “latrano” nel punto più profondo della dannazione, al canto XXXIV, insieme con Giuda.

Egemonia – Si sentono a Radio Tre interlocutori dotti, specialisti, professori, che danno all’Is la “forza della novità”,  l’attrattiva dell’idealità,  il fascino dell’azione, la forza di attrazione della violenza. Tutte le approssimazioni che si leggono sul web meno che l’essenziale.
Le danno a un agitato Gr 3 del mattino, di conduttori marcianti e squillanti, che troncano le frasi per “dare ritmo”. Saranno quindi gli esperti in sintonia col rinnovamento, col tentativo di radio Rai di tenere il passo delle tendenze  - non c’è più comunicazione ma show, esibizione, agudezas. Però in quella rete sempre saldamente centrata sull’egemonia culturale (noi e nessun altro), suonano sinistre. In tempi di mercato e di trend, l’egemonia dev’essere di tendenza anch’essa? Cioè liberista, consumista, sciocca?
Ma la disinvoltura del Gr 3 dà quasi l’allegria. Nelle plumbee Radio e Rai Tre, dove tutto si vuole di sinistra mentre è di destra, e anche molto di destra, in economia, in politica, e nel linguaggio. E si celebra come un rito funerario, catacombali solitamente anche i toni, da sacrestia, da estrema unzione, di conduttori e ospiti ugualmente – ospiti se hanno passato la “prova sezione”. Che dispensano sospirando paccottiglia, placcata malamente, similoro pretenzioso. Ma senza sosta, un martellamento cavo e sinistro, ogni giorno, ogni ora. È – si dice, si vuole – di sinistra l’organizzazione della cultura: l’egemonia è una cordata, un gruppo di potere?

Questa egemonia si contenta di squalificare la cultura dominante come “altri”, nemmeno degni di nome, i residuati. È un forma di superbia, da vecchia zia che spregia i mortali da cui è tenuta in vita, dall’alto di un suo personale iperuranio.
In Francia, in Germania, in Inghilterra si riconosce che la sinistra non è sconfitta per caso ma perché non ha più egemonia (non sa che pensare), la quale non è un diritto ma una battaglia rinnovata da vincere. In Italia c’è una cultura al potere che non sa e non conta nulla: ignorante per essere cieca, e piena di sé. La debolezza dell’Italia è in questa schizofrenia? Girare per una libreria Feltrinelli dà i brividi.

Figli – Accanto alle “mogli” – le vere autrici – si schierano ora anche i figli? Alessandro Quasimodo, l’attore e regista, figlio non amato che si libera dei cimeli del padre, ha suscitato le ire del “Corriere della sera”. Paolo Di Stefano l’ha accusato di avidità. Ma potrebbe trattarsi anche qui di un caso di “moglie”. La moglie abbandonata di Quasimodo, Maria Cumani, anche lei poetessa, nonché danzatrice, e madre di Alessandro. Quella del figlio sarebbe una vendetta per conto della madre.
Però, sua madre non è la sola vittima di Quasimodo, Alessandro si sta lasciando sfuggire la vera vendetta. Non c’era solo “l’amante di Stoccolma” che indispettisce Alessandro, quella la cui compagnia Quasimodo preferì alla moglie per ritirare il Nobel. Nel 1935, quando trentacinquenne se la faceva con Sibilla Aleramo, cinquantanove, aveva contemporaneamente: una moglie, un’amante, Amelia Spezialetti, alla quale stava facendo la figlia Orietta, e altre passioni femminili. Aleramo gli serviva, uno. Due: papà era un galletto. La sua moglie all’epoca era Bice Donetti, cassiera di bar, anche lei più attempata di lui – che poi è morta, nel 1946. Del resto Alessandro è nato nel 1939, quando Bice Donetti ancora non era morta.
Anche lo zio di Alessandro, Elio Vittorini, era incostante. Aveva preso Rosina Quasimodo ventenne, la sorella del futuro Nobel, con la “fuitina” (la notte a letto insieme fuori casa) a Siracusa. Poi, dopo pochi anni, l’aveva progressivamente abbandonata per Ginetta Varisco, gentile milanese.
Notevoli pure i figli di Vittorini, entrambi con Rosina – che però non lo odiava, si risposò felice anche lei: il primo, Giusto Curzio, fu chiamato così in onore, nel 1928, di Curzio Malaparte, il secondo, Demetrio, è anglista e felice biografo del padre e dei Quasimodo.

Madri – È genere ora ubiquo: diffuso, anche se caro, e multiforme, con le surrogate, la procreazione in vitro, l’inseminazione artificiale. Vi si esercita anche Dacia Maraini, su due lunghe pagine del “Corriere della sera”, a proposito delle madri surrogate, o gestazioni in affitto. Con questo esempio: “Perfino la Madonna che, secondo la narrazione cattolica, ha concepito un figlio per conto terzi – ovvero lo Spirito Santo – l’ha però donato, da accudire, con meravigliosa fiducia e rispetto, al proprio compagno di vita”.

Maledettismo - Aldo Nove insulta il suicida di Civitavecchia: “Che cazzo sono «sti risparmi»?” Eccetto i suoi naturalmente. Che cosa non si fa per uscire sui giornali? È il maledettismo di oggi, per un cent in più. 
Nove ha annunciato anche di avere lasciato facebook: nuova notizia. 

Pasolini – È voluto diventare da ultimo un personaggio televisivo. E non a fini pubblicitari, promozionali, essendo già un monumento. A “Carosello”, con la sua voce. A “Terza liceo” di Biagi, per raccontarsi bugie coi coetanei bolognesi. Col birignao antitaliano. E magisteriale sempre. Per un bisogno d’ordine?
Le ultime immagini legate a “Salò, Sade”, il film e le tante interviste con cui lo ha accompagnato, lo danno soddisfatto. Uno che sapeva che le rappresentazioni di sadismo sono sadismo. Come il marchese era diventato totalitario, di un’idea sola, semplificata – non più smarrito o isolato, quale figurava prima. Con la passione per san Paolo, che del clericalismo è quintessenza, uno che voleva giudicare gli angeli, nel mentre che declamava il sacro. Ma con lo sguardo assente, introspettivo: da disadattato, malgrado il didattismo. Il lettore scafato rinviando inevitabilmente a Malaparte – è Malaparte l’inventore del genere, il monito al lettore.


Vangeli – Sono molto femministi, in effetti. Per l’epoca perfino bizzarri, come nelle religioni orientali, culti egiziani inclusi. Mentre sono avulsi dalla tradizione ebraica e da quella greca. Anche nei modi di dire.

letterautore@antiit.eu

Dio salvi la politica con un messia

A prima vista viene da ridere: l’operaismo ricondotto alla teologia - il sottotitolo è “la teologia come lingua della politica”. Effetto del Muro, della caduta del Muro, e delle illusioni. Ma l’intento è nobile: come ridare autonomia alla politica – Tronti, autore acclamato di “Operai e capitale”, 1966,  oggi a 84 anni felice senatore Pd,  è anche autore di uno schmittiano “L’autonomia del politico”. Ridare dignita alla politica, riconquistare la libertà perduta nel liberismo, e nella confusione mentale.
Il testo è una spremuta di un corso tenuto all’Istituto di Studi Filosofici di Napoli nel 2010, sul tema “Una teologia politica contro la crisi della politica”. E Tronti lo dedica alle “giovani generazioni, se ce ne saranno ancora, di intellettuali politici”. Non un fishing for compassion.
La teologia politica è la pratica ideologica – assolutista, esclusiva, risolutiva. Ma una cosa è la “teologia politica” di Carl Schmitt, cap. III del libro dallo stesso titolo, 1922, poi 1933: “Tutti i concetti più pregnanti della moderna dottrina dello Stato sono concetti teologici secolarizzati”. Un’altra è la teologia politica di Tronti, che resta in questo marxiano: uno che “pensa per capire, ma capisce per cambiare”. Alla teologia issandosi col messianesimo.
Che lo Stato mimi – senza saperlo - la chiesa non è però una novità di Schmitt. È parte della vecchia polemica legittimista, e lo stesso Schmitt lo riconosce. Che si rifà ai polemisti cattolici dell’Ottocento, Bonald, De Maistre (Joseph), e Donoso Cortés – che Schmitt eleva a “Hobbes dell’Ottocento”. Tronti ne è folgorato. Ma non per scherzo – non perché è la deriva politica e ideologica del suo partito Democratico. Come De Maistre, trova “infallibilità” e “sovranità” “perfettamente sinonimi”.
Teologia, morale e politica
È difficile non concordare col Donoso di Schmitt: “Egli vede che con il teologico scompare il morale, e con esso l’idea politica, e ogni decisione morale e politica viene paralizzata nell’aldiquà paradisiaco di una vita immediata e naturale, e di una corporeità libera da problemi”. Il lettore di giornali ci ritrova la semplicioneria sua quotidiana. Se non che la via d’uscita non può essere la teologia, sia pure umanizzata – o, come usa oggi, “naturalistica”, cioè affaristica..
Ma Schmitt è solo la partenza, Tronti lo usa per arrivare a Benjamin, che riflette su Schmitt, e sulla contestazione che a Schmitt subito pose Erik Peterson, lo specialista di patristica convertito cattolico, come lo era sempre stato Schmitt, “Il monoteismo come problema politico”, 1935. Il messianismo come spirito dell’utopia (E.Bloch) è della rivelazione (Benjamin): il Messia è colui che compie la storia vincendo l’Anticristo - il male, l’oblio della tradizione, che invece va ”in ogni epoca” strappata “al conformismo”. Un percorso “dal teologico al politico attraverso il messianico”. Se non che, conclude Tronti, siamo negli anni Venti-Trenta, “il tragico invade la Storia: non l’abbassa, la solleva. Benjamin è arrivato da Bloch a Marx: cammino perfetto. Bloch senza Marx non funziona come non funziona Marx senza Lenin”. Che non è vero, Marx funziona senza Lenin.
Ma dove siamo finiti, suppostamente via Benjamin? A un Benjamin che da teologo politico approda a politico teologo. Senza colpa, è vero, di Tronti. È di Benjamin, “I «passages» di Parigi”, “l’intenzione di dimostrare un materialismo storico che ha annichilito in sé l’idea di progresso”. Di più, è un Benjamin leninista quasi mussoliniano, gentiliano: “Proprio qui il materialismo storico ha tutte le ragioni per distinguersi nettamente  rispetto alle forme tradizionali del pensiero borghese. Il suo concetto fondamentale non è il progresso, ma l’attualizzazione”. Il Benjamin del Diamat fa solo pena, per la tragedia di cui fu vittima.
Qui casca insomma Tronti: “Il Novecento realisticamente è il sole dell’avvenire. Benjamin è vivo e lotta insieme a noi”. Però, questo è vero: “I nomi che qui chiamiamo in campo - Schmitt, Benjamin, Taubes - hanno questo in comune: sono pensatori del tempo, del proprio tempo”. Per questo soprattutto apprezzabili, ma anche fertili: “Solo chi apprende col pensiero il proprio tempo è pensatore für ewig”. Essi pongono “il grande tema di nichilismo e potere. Un tema di sconcertante attualità, una delle «regolarità» della storia. Un’eredità post-novecentesca che attende ancora di essere appresa”. Tronti ci prova, di fare “una sorta di «Per la critica della teogia politica» sul modello della marxiana «Per la critica dell’economia politica»”. Ma surrettiziamente desiste.
Escatologia occidentale
Tra Schmitt e Benjamin media Taubes - il Taubes della “Teologia politica di san Paolo”, mediato a sua volta da Elettra Stimilli. Rabbino filosofo ma scrittore gradevole, e un personaggio, con una storia. Rettore della Freie Universität di Berlino nel ’68, ebbe contestazione terribile da Rudi Dutschke e altri inflessibili. Che gli bruciarono l’insegna dell’unversità, a lui l’“apocalittico della rivoluzione”, del Dio che gioca a dadi, condannandoci in anticipo o redimendoci – gliela bruciò uno studente Teufel, il diavolo. A Dutschke diede, da sinistra, il precetto che Paratore dava ai contestatori a Roma, d’imparare il latino – in altra occasione lamenterà che a Parigi tutti vogliono lavorare su Heidegger, o su Nietzsche, anche quelli che non sanno il tedesco. Figlio di un grande rabbino, che si era salvato negli anni bui a Zurigo, fu ordinato anche lui rabbino, nel 1943. Ma mentre redigeva per il dottorato una “Escatologia occidentale” in cui rifà in chiave nichilista l’”Apocalisse dell’anima tedesca” del suo maestro cattolico Urs von Balthasar. Il nichilismo che è la sconfitta - il nichilismo è saggezza di Campanile, Achille: tutti fabbrichiamo un morto, ciascuno il suo. Un ermeneuta, esploratore dei sensi nascosti. “In divergente accordo”, subito poi, col decisionista Schmitt. Nonché beneficiario, dopo Max Frisch, degli ardori di Ingeborg Bachmann, la poetessa.
Taubes era anche venuto, con Scholem, alla conclusione che “un tedesco è un tedesco, e un ebreo è un ebreo”, e che un ebreo non si può dire “tedesco di confessione ebraica, idiozia odiosa e indegna”. Della teologia politica diffidava – dell’ebraismo disse, lui rabbino: “È teologia politica, questa è la sua «croce»”. Ma a volte ce n’è bisogno. Schmitt  apprezzava perche “apocalittico antiapocalittico”.
Di Carl Schmitt, altro esito pratico, Taubes aveva individuato con semplicità, sotto le interminabili discussioni, il punto debole, della tesi basica Amico\Nemico: “Se non si ammette che tra gli uomini la guerra poi porta alla pace, essa diventerà sempre più violenta, brutale, sfrenata”. Esito cui convenne lo stesso epurando Schmitt di “Ex captivitate salus”, la salvezza dalla cattività: “Il nemico è la figura del nostro stesso problema”. Sostenne poi Schmitt, in contesa con lo stesso Taubes sul concetto nuovo del tempo e della storia che si apre con il cristianesimo in quanto escatologia: “Il regno cristiano è ciò che arresta (kat-echon) l’Anticristo”. Si cambia il mondo con giudizio: “Per un cristiano delle origini la storia è il kat-echon, la fede in qualcosa che arresti la fine del mondo”. Spiega Taubes: “Solo attraverso l’esperienza della fine della storia la storia è diventata una «strada a senso unico», quale si rappresenta la storia occidentale”. Non un buon esito
I “Quaderni neri”
Una rivendicazione di Carl Schmitt, da parte di Tronti ex operaista. Contro “lo storicismo dell’idealismo, lo scientismo del positivismo”. Col supporto di Benjamin e Taubes. Con qualche questione incidentale curiosa. Una è se Benjamin si può dire un marcionita moderno. Intendendo Marcione come colui che “inventò” la gnosi. Mentre non la inventò. Ma negò il Vecchio Testamento, e questo sicuramente non è Benjamin, in nessuna forma, né innata, di linguaggio, mentalità, vocabolario mentale, eccetera, né di programma.
Nello stile diretto di Taubes, che mima, Tronti ne esuma anche una lettera a Arwin Mohler che meglio di tutto inquadra i “Quaderni neri” – lo scandalo prestuoso che oggi se ne fa, bella scoperta: “«Ex captivitate salus»”, il dialogo postbellico – non risarcitorio: niente scuse – tra Schmitt e Heidegger sulle rispettive colpe, è “un resoconto sconvolgente di come i due abbiano accolto con soddisfazione la «rivoluzione» nazionalsocialista, che addirittura vi abbiano «preso parte»” – abbiano potuto, con tutta la loro sapienza, di pensatori profondi e uomini adulti. E ancora: “Se solo M.H., una volta che il discorso da rettore del 1933 è rimasto davanti agli occhi di tutti, oltre a qualche altra cosa (….),  avesse avuto il coraggio di giudicare se stesso allo stesso modo, avrebbe indicato alla gioventù tedesca in cerca di orientamento una via migliore del Feldweg, il sentiero di campagna”, la ritirata.
Il progetto di Tronti, ribadito in fine, non può che essere auspicabile: “Nella libertà politica, «attuale» forma di oppressione, va colta la possibiltià, rivoluzionaria, che giunga a compimento il progetto antico di liberazione umana”. Come no.
Di sé Tronti dice, nelle interviste: “Sono sconfitto, non un vinto. Però abbiamo perso non una battaglia ma la guerra del Novecento”.
Mario Tronti, Il nano e il manichino, Cstelvecchi, pp. 61 € 7,50

venerdì 18 dicembre 2015

L’euriformatorio

Depurata dall’effetto “diversivo”, da banche, cioè, conflitti d’interesse, mozioni di sfiducia, risparmiatori truffati, l’offensiva di Renzi contro Bruxelles lascerà il segno. Non sulla Germania, che vive in isolamento. Né su Merkel, che magari la farà propria – fa tutto proprio, è una spugna. Ma sulla Commissione, sui commissari, sui loro direttori generali e in generale su “Bruxelles”. Una spericolata e autoimmune burocrazia, al di sopra di ogni sospetto. Che decide con questa scala di priorità: prima la Germania, gli interessi tedeschi, poi l’Olanda col Lussemburgo, poi la Francia, poi tutti gi altri.
Va avanti a ruota libera la Ue di Juncker ruota di scorta di Angela Merkel. Senza pudori.  La vicenda di Nord Stream merita un trattamento a parte. Il raddoppio del gasdotto germanico supplisce in pratica il fallimento del gasdotto mediterraneo verso la Grecia e l’Italia, attraverso la Bulgaria. La Bulgaria ha detto no improvvisamente a un progetto che si portava avanti da un decennio. Ufficialmente per ottemperare alle sanzioni contro la Russia, ma a costi gravosissimi. La Bulgaria si priva dei diritti miliardari di transito e delle forniture privilegiate di gas, e si espone a costose azioni risarcitorie per gli investimenti già effettuati, dalla Russia e anche dall’Eni. In cambio di che? Da parte di chi?
E qual è il problema con gli immigrati? Che l’Italia e la Grecia non prendono abbastanza impronte digitali. Che forse è vero forse no, ma cozza con altri dati invece certi. Che Ungheria e Croazia non prendono le impronte, non ne hanno nemmeno la struttura. O che gli accordi per la ripartizione in quote degli arrivi dal Mediterraneo sono disattesi da tutti. E gli immigrati non sono pochi. Sono già arrivati quest’anno 868 mila clandestini via Mediterraneo, di cui 721 mila in Grecia, 143 mila in Italia (con tremila morti). Angela Merkel ha deciso che invece vuole privilegiare la Turchia, per questioni di business, e allora ha convocato una Ue ristretta per finanziare i profughi e gli immigrati in Turchia. Con tre miliardi, cifra inverosimile. Di cui lItalia, senza averlo deciso, dovrà sborsare una quota - non molto meno degli aiuti che riceve dalla Ue per il salvataggio e la prima accoglienza dei clandestini.
Sembra un vaudeville, ma è l’Europa allo stato attuale. Anche le sanzioni contro la Russia, che Merkel impone a ogni scadenza, poi le viola senza danno.
Cosa succederà è però anche chiaro. Merkel dirà che Renzi ha ragione – è il suo metodo. E continuerà a comandare.
La responsabilità di questa Europa è d’altra parte italiana. Ci si può sottrarre ai diktat di Bruxelles, è prassi normale. Non più su quelli monetari, per la trappola euro, della moneta unica vincolante (ma anche su questo la Germania ci è riuscita, con la Francia), ma per il resto sì. “Procedure” miliardarie d’infrazione, per esempio ai tempi di Monti commissario Ue, contro la Germania, sono state disattese senza danno. La responsabilità è dei governi italiani: delle sue rappresentanze a Bruxelles, dei suoi ministeri. Della teoria e pratica del famoso vincolo europeo o esterno, del farsi fare le cose, come scolari dalla maestra. 
La pratica è eminentemente democristiana. E allora Renzi? Forse Renzi è un democristiano diverso. Parla infatti con i socialisti e non con l’amica Merkel – oppure no? 

Tutto il gas alla Germania

Distorta è sull’Europa anche – soprattutto – l’informazione. L’attacco di Renzi al Consiglio europeo in corso oggi sul doppio gioco tedesco con la Russia non è venuto inatteso.
Renzi aveva bloccato dieci giorni fa il rinnovo delle sanzioni contro la Russia per protesta contro il progetto di raddoppio (in realtà di quadruplicamento, il raddoppio c’è già stato) del gasdotto Nord Stream, dalla Russia alla Germania via mar Baltico. Per questo motivo aveva fatto richiedere al presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, polacco, di mettere la questione all’ordine del giorno della riunione di ieri e oggi.
Ne aveva parlato non un giornale italiano, ma il “Financial Times”, con i corrispondenti a Bruxelles e a Roma. Martedì 15 dicembre, in anticipo ma preciso. Sulle intenzioni del governo italiano, e anche sui dati: investimenti, 11 miliardi di dollari, portata, tracciati. Che ancora sfuggono ai media italiani. Così come la posizione del governo tedesco. Secondo il quale il Nord Stream 2 è un progetto commerciale, su cui il governo non ha poteri - e quindi non si violano le sanzioni? Oppure – ancora più ridicolo – è un gasdotto su cui la Ue non ha competenza poiché è costruito in acque internazionali.
Il progetto è portato avanti dall’ex cancelliere tedesco Gerhard Schröder, che per questo è entrato in buoni rapporti con Angela Merkel, dalla quale è stato sconfitto nel 2006. In teoria il Nord Stream 2 nasce fallimentare, perché in contrasto coi regolamenti europei antimonopolio: il socio straniero di Nord Stream, la russa Gazprom, avrebbe una posizione dominante sul mercato europeo, e quindi dovrebbe spogliarsi della partecipazione, o limitare l’uso dela gigantesca condotta. Ma i soci non se ne preoccupano.
Anche il titolo del “FT” è preciso: “L’italiano Renzi si unisce all’opposizione al Nord Stream 2”. L’opposizione viene dalla Polonia e dai paesi Baltici, che sono tagliati fuori. Questo fa capire meglio di che natura è il no della Bulgaria al South Stream: la Bulgaria non ha contrasti con la Russia, la Polonia e i paesi baltici sì, e tuttavia un gasdotto che li attraversasse, loro, lo volevano.
Tagliato fuori è naturalmente il gruppo italiano Eni, che sul gas per primo ha puntato in Europa come fonte di energia pulita, e ne è tuttora il maggior player. E per primissimo aveva puntato sul gas della Russia, già nel 1968.
Ma senza scandalo, la Commissione di Bruxelles tace.

Fisco, appalti, abusi (81)

Sarà la camera arbitrale dell’Anac, l’Autorità presieduta dal giudice Cantone, a gestire i ricorsi degli obbligazionisti truffati. La camera è composta da cinque giurisperiti che hanno altre, private, attività. Si occupa di affari plurimilionari occasionali. E non ha gli strumenti procedurali per arbitrare nella fattispecie. A differenza di Consob e Banca d’Italia. L’incarico è andato all’Anac perché Cantone è in stretto rapporto con Renzi. E per allungare i tempi dei rimborsi?

Sotto l’ombrello della massima trasparenza, garantita dal trio Marino-Gabbrielli-Cantone, si sono fatti gli appalti per il giubileo con ribassi di oltre il 40 per cento. Quindi: o il capitolato è stato redatto in modo che il vincitore poi faccia la metà dell’opera prevista. Oppure il bando è stato gonfiato.

Per il giubileo trasparente appalti senza gara. Il meccanismo è semplice. Si spezzettano gli appalti in lotti da meno di un milione. Si può così andare a trattativa privata. È il metodo Rutelli, o “giubilare”, sperimentato per il 2000. Si moltiplicano così i beneficiari  A favore, allora, del “partito” degli architetti e ingeneri, i titolari degli studi-imprese.
Di una dotazione statale di quattromila miliardi di lire (con la metro C, in calendario da vent’anni…), Rutelli restituì la metà, e con l’altra metà fece duemila appalti da un miliardo.

Per ogni acquisto le profumerie Limoni regalano un buono per una riduzione del 25 per cento sulla prossima spesa nello stesso negozio.  Ma inevitabilmente, quando siete tornati, il prodotto che volete non è in promozione. Chiedetene un altro, qualsiasi altro, non è in promozione,. La promozione serve per invogliare il cliente, o per allontanarlo?

L’e-commerce conviene, com’è noto – una miniera: ricarichi enormi, tutti a utile. Conviene anche all’acquirente, per i prodotti standard che non richiedono esami preventivi. Non fosse per il vezzo dei venditori di suddividere gli ordini e moltiplicare le spedizioni - specie amazon, ma anche Ibs e altri. A un costo. Creando problemi di reperibilità all’acquirente per la consegna.

Lo Sda Poste ha una logistica minuta sul territorio. Ne ha anche il software, con la tracciabilità e la consegna, col giorno e magari l’ora presumibile. Ma o consegna prima oppure dopo. Non sarebbe meglio consegnare come previsto, anche per ridurre la reperibilità, che ha un costo per tutti, per il destinatario e per il consegnatario, col secondo tentativo?


Le anime rifatte

Riviste su Sky a un anno di distanza, le “Anime nere” di Munzi sono tutt’altro: intime e non gridate, vittime e non sopraffattrici, avventurose più che delittuose. Elegiache invece che horror

Una specie di favola mafiosa, della violenza ineluttabile. In questo memorabile.
Ma è come se il film fosse stato rifatto. E forse lo è. Per minute ma sostanziose rimodulazioni del montaggio. Sul laconico, del parlato, della gestualità. È comunque un altro racconto. 
Due o tre fotogrammi in più lo ambientano favolisticamente, in un paese abbandonato - Africo Vecchio. Il parlato è modesto, sottotono, come è l’uso locale, dialettale, non più urlato. Anche i rumori sono attutiti. Più di una scena manca dall’originale, pre-Venezia 2014, di quelle horror. Il vero mafioso, Barreca-Due Naschie, è quasi cancellato - il Male è una rete, senza volto. Il ruolo di Marco Leonardi, il fratello buono-cattivo, l’interpratzione migliore del film, sembra ed è ampliato – sarà il destino di Leonardi, l’ex bambino di “Cinema Paradiso”, di essere rimontato?
Francesco Munzi, Anime nere

giovedì 17 dicembre 2015

Problemi di base - 257

spock

Dice il papa. “Noi cristiani e i mussulmani siamo figli di Dio”. E gli altri no, di chi sarebbero figli?

Vuole amore il papa: per il mare, per la montagna, per il denaro?

Ma la misericordia è più o meno dell’indulgenza?

Giubileo: tanto rumore (commissario straordinario, spese straordinarie, polizie straordinarie, ospitalità diffusa, diffusissima) per nulla?

L’Europa si è dissolta e il cardinale Ruini cambia opzione, lascia l’opzione europea e torna a quella americana: ma con un papa anti-yanqui?

Questo Ruini che dice che dobbiamo essere quello che siamo, non è un altro cardinale da eliminare?

Ma anche questo parroco di Monza che in una scuola cattolica rifiuta la messa di Natale “per non discriminare studenti di altre fedi”, perché dice messa?

spock@antiit.eu

Renzi strafatto

Che il Procuratore di Arezzo Rossi sia consulente di Renzi è da ieri notte ufficiale: non una voce ma una pratica al Csm. Oggi è un day after di molti umori, dopo il piccolo terremoto di ieri. Non a favore ma contro Renzi, il vincitore di ieri. .
Che il procuratore giochi sporco è chiaro anche questo. Punta su Consob e Banca d'Italia, invece che sui consiglieri d’amministrazione di Banca Etruria - eccetto due manager che rubavano per sé invece che per gli amici.
Ma è anche risaputo, benché naturalmente non annunciato, che Consob e Banca d’Italia si difenderanno. Non tanto il bollito Vegas della Consob, tappetino di troppi governi, che di suo fa già segnali a Renzi – la struttura no, si difenderà. Ma la Banca d'Italia si. Sia Visco che i suoi direttori sanno Renzi ostile e non gli faranno sconti. Su chi ha sconfessato i controlli, e su chi li ha impediti, con omissioni calcolate nell’affastellamento manzoniano delle leggi. 
Se Visco, Rossi e Panetta daranno seguito ai propositi, per Renzi non sarà facile. Visco resta in carica per altri due anni, fino all’1 novembre 2017. E in una polemica governo-Banca d’Italia anche l’apatico Mattarella dovrà muoversi.
Su Mattarella ci sono già discrete pressioni dei suoi vecchi-nuovi amici di partito. Non del Pd, dell’ex-neo Dc. Più di tutto monta contro Renzi il suo partito. Il suo proprio, non il Pd, degli ex Dc. Che amano il potere ma non chi ne ha troppo - troppe nomine esclusive, troppi affari. Renzi potrebbe aver strafatto.

Desistenza a Roma

Nell’euforia di ieri forse non poteva mancare. Ma non è mancata: l’ipotesi di un accordo d desistenza Renzi-Grillo su Roma. Il candidato dei due che va al ballottaggio, avrà i voti del’altro.
È un gioco a palle ferme, a cinque mesi dal voto, ma è stato fatto. Tutto pur di battere Marchini, oggi vincente e inavvicinabile ai due.
È un’ipotesi di una parte del Pd, di quella di Renzi. Ma per quella parte potrebbe funzionare. Di Grillo si dà per scontato che accetterà di tutto. 

Il jihadismo è kamikaze

“La gioventù uscita dall’immigrazione postcoloniale contribuisce alla vittoria di François Hollande nel 2012”. Ma “il cambio di generazione dell’islamismo in Francia e la diffusione dell’ideologia del jihadismo”, grazie anche alle “reti sociali”, hanno prodotto una nuova faglia nel tessuto nazionale francese. Lo studioso del rifiuto islamico, e insieme sostenitore di un’identità nazionale che la cittadinanza islamica non indebolirebbe, non si fa illusioni. Il suo resta il libro di riferimento per conoscere la galassia jihadista - l’originale è il doppio dell’edizione italiana, che pure si ristampa ogni anno, con duecento pagine di note (in nota sono confinate definizioni e condizioni del jihad, ma è forse la sola bizzarria), un glossario, una mappa dellislam regione per regione, e un imponente indice dei nomi. Fa una mappa dettagliata delle varie confessioni puriste, corredata dai finanziamenti, molto imprtanti negli ultimi decenni – che quasi ovunque, “Londonistan” compreso, riconducono alla penisola arabica. Ma non ha fatto in tempo a licenziarne questa riedizione, il 4 novembre, che ha dovuto porre mano subito dopo a un supplemento, “Terreur dans l’Héxagone”, uscito l’altro ieri, quaranta giorni dopo, che presenta con queste parole.
La faglia dunque c’è - la nazione è un fenomeno complesso, che anzitutto richiede un’adesione. Ma non si è prodotta in due anni, è attiva in Francia da almeno vent’anni, lo stesso Kepel lo documenta. E come si può dire in declino se fa tanti danni e muove addirittura due guerre in questo momento, una Usa-Russia e una islamica?
La tesi che tiene insieme i fili della ricostruzione di Kepel è semplice. Il 1989 segna “l’apogeo dell’espansione islamista”. Khomeini muore, ma la sua fatwa fa tremare le cancellerie. Un regime islamista s’impadronisce del Sudan. Un Fronte Islamico s’impianta in Ageria , e subito la fa sua. In Palestina la laica Olp cede “alla componente islamista vigorosa di Hamas”. Nel mondo islamico, dappertutto sono necessarie concessioni all’opposizione che si richiama alla sharia, e l’ulema prende il posto dell’intellettuale laico. Ma anche al di fuori, “il movimento apre una breccia in Occidente, attraverso la prima generazione di giovani adulti nati da genitori immigrati”. Una spinta talmente dinamica che in Francia le celebrazioni del bicenteneraio della Rivoluzione sono oscurate dalle divisioni sul velo islamico. Il Muro di Berlino cade, dopo che le forze jihadiste hanno sconfitto l’Armata Rossa in Afghanistan. Il 15 febbraio 1989, fine dell’invasione sovietica dell’Afghanistan, , è il triondo saudita, dell’islam sunnita da cui germoglieranno Bin Laden e l’Is. Ma la vigilia è ancora più trionfale, per Khomeini, il nemico dei sauditi: la sua fatwa contro Rushdie, un europeo, un inglese, chiama al jihad i mussulmani di ogni cittadinanza, gli “empi” non vanno più cercati all’interno della comunità di fede – la minaccia fu sterile, ma ebbe vasta risonanza, perché Khomeini aveva fatto eliminate nel decennio moltissimi oppositori in Occidente.
Bene, ma perché il 1989 è il punto di massima espansione, l’apice di una curva che poi declina?
Declino
Kepel mantiene questo parere anche nella revisione del testo dopo l’11 settembre – lo ha rivisto nel 2002 sull’edizione americana, meglio impaginata della sua propria, aggiornandola agli ultimi eventi. L’islam militante non ha mostrato, malgrado la spettacolarità delle Torri Gemelle, la capacità di “suscitare manifestazioni politiche e pressioni finalizzate alla conquista del potere”. Le primavere arabe prima, agite dai Fratelli Mussulmani, e poi l’Is impiantato in Irak, Siria e Libia, nonché i vari movimenti radicati territorialmente nell’Africa sub sahariana, sembrano smentirlo. Ma lo studioso resta dello stesso parere: nel suo proprio mondo, il jihad ha perso la battaglia politica. In Algeria sfidò la borghesia urbana, col taglieggiamento sistematico, e ne è stato sopraffatto. In Egitto e Tunisia continua ad antagonizzare la piccola e micro borghesia, che vive, anche se non bene, del turismo, legandola ai regimi. In Irak e Afghanistan colpisce i poveri – mercati, moschee, scuole, caserme – che sono gli obiettivi più facili. Il terrorismo, che si vuole un innesco della rivolta, in realtà la allontana, consolidando le società colpite.
È possibile. Una conferma si può accreditare a Kepel dall’attualità. In Libia il jihadismo non è in realtà attecchito, la guerra civile è tribale. In Siria ha portato alla rinascita di Assad, il “leone”, già spacciato. Le petromonarchie del Golfo, sue incubatrici e alleate, sono ora promotrici di un’alleanza ostile.
La teoria del declino ha peraltro un fondamento solido.  Si basa sulla guerra del Golfo, un fatto sottostimato al di fuori del mondo islamico. Che si concluse dieci anni dopo con la guerra a Saddam Hussein per un motivo molto preciso: Saddam aveva finito per impersonare il “vero” islam. Il dittatore iracheno, un laico quasi “empio”, aveva invaso il Kuweit all’insegna di “Allah akbar”, come una crociata contro un regime illegittimo anti-islamico. Minacciava dal Kuweit la dinastia saudita, custode dei luoghi santi islamici, e Riad chiese l’intervento Usa. Il reame diventò la base operativa di un esercito americano di mezzo milione di soldati, la cui presenza, in aggiunta alle basi militari che gli Usa già vi avevano, mise in causa la legittimià dei Saud protettori dei luoghi santi. Saddam faceva propria l’accusa decennale di Khomeini, costellata di incidenti con centinaia di morti duranti il pellegrinaggio annuale, contro l’Arabia Saudita.  Fu sconfitto, ma costrinse l’Arabia Saudita a patrocinare il fondamentalismo islamico, che già provocava molti incidenti al suo interno, indirizzandolo all’esterno, nel mentre che manteneva salda la sua integrazione economica e politica con l’Occidente. Un’ambivalenza che proprio in questi giorni si va sciogliendo.
È il paradosso di Saddam Hussein, e dell’Occidente in riguardo del jihadismo: ha fatto due guerre contro il radicalismo islamico e in entrambe è stato combattuto dagli Usa e dall’Occidente. La prima con l’Irangate, il riarmo coperto dei khomeinisti, la seconda con una guerra in campo aperto e uno schieramento massiccio. Si può argomentare che l’Occidente combatteva il nazionalismo arabo, appoggiandosi all’estremismo religioso, ma non è tutta la storia: qualcosa manca, sia pure l’insipienza.
Contro il nazionalismo
Altri punti lasciano più perplessi. Se è vero che nell’ultimo quarto del Novecento l’islamismo ha soppiantato il nazionalismo delle generazioni precedenti, quelle delle indipendenze, non lo è la previsione che Kepel ne trae: “Questa fase che si apre nel ventunesimo secolo dell’era cristiana vedrà senza dubbio il mondo mussulmano entrare a piedi uniti  nella modernità, secondo modi di fusione inediti con l’universo occidentale”. Ma la “cosa”, senza la previsione, c’è: in pochi anni l’islam politico ha soppiantato il nazionalismo.
Teorizzato negli anni 1960 dall’ayatollah Khomeini, e da due ideologi di vastissimo pubblico, il pakistano Mawduri e l’egiziano Qutb, pochi anni dopo il jihadismo era già vincente. A partire dal 1973, dice Kepel, che vide nella guerra del Kippur la rinascita dell’orgoglio islamico dopo la batosta del 1967, e soprattutto vide l’emergere della potenza saudita, che molto fa perno sull’ortodossia religiosa, grazie alla guerra del petrolio - il wahabismo, la versione saudita del sunnismo, farà macchia dolio.
Rivoluzione culturale
Una rivoluzione culturale e non un ritorno alla tradizione.  Il 29 agosto 1966 Sayed Qutb veniva impiccato dall’Egitto di Nasser, il teorico del “risveglio islamico”. Ma dieci anni dopo il suo pensiero era domnante nello stesso Egitto, tollerato e anzi favorito da Sadat, il sucessore di Nasser. In Pakistan il generale Zia ul Haq costruì negli anni 1980 migliaia di moschee, sotto l’influenza di Mawduri, e governò con molti ministri che ne seguivano l’insegnamento. Khomeini prese personalmente il potere in Iran nel 1978, rovesciando uno dei regimi reputati più stabili del Medio Oriente. Si faceva piazza pulita del nazionalismo delle piccole patrie. E dei concetti che le élites modernizzatrici avevano mediato dall’Europa, di democrazia e di libertà. La nazione, il partito, il popolo, l’esercito, erano “idoli”, l’anti-islam, jahiliyya.  
Altalena
C’è un movimento di bascula, in realtà, fra islamismo e nazionalismo, in forme kemaliste, fin dal dopoguerra – Kepel lo repertoria ma non gli dà peso. I Fratelli Mussulmani tentarono un primo assalto terrorista in Egitto subito dopo la guerra. Finché i Giovani Ufficiali, poi nasseristi, nel 1953 li spazzarono via, insieme con la monarchia che li aveva tollerati. È in questo quadro che Qutb elabora la jahiliyya, la barbarie cui Maometto mette fine – anche lui con la guerriglia, di sorpresa, lunga otto anni. Contro i takfir, gli empi, gli idoli del Profeta. La presidenza Morsi, dei Fratelli Mussulmani, e il generale Al Sisi ne sono una riedizione.
L’arma contro il jihad è sempe e solo una – ed è quella di Kepel: la mancata saldatura, e anzi l’opposizione, fra il radicalismo e le masse. La “purezza” e il “sacrificio” mettono il masochismo prima del proselitismo. Il jihadista è il kamikaze. È il tassello che più manca a questa summa. Mentre sarebbe stato importante e necessario sapere l’economia – materiale e psicologica – di questo sacrificio rituale.
Disarmo
L’introduzione all’edizione aggiornata resta importante su un punto: il disarmo dell’Occidente – ma più giusto sarebbe dire dell’Europa. Che non conosce l’islam, ma gli accredita di tutto, la bontà, la generosità e la socievolezza come la brutalità. Passando da un estremo all’altro: ora, visto da sinistra, come un fascismo, dopo averne apprezzato la presa popolare, e visto da destra come “un fanatismo medievale”, dopo averne elogiato l’ordine morale, l’obbedienza a Dio, l’ostilità agli empi”, materialisti e socialisti. Una reazione confusa ma impegnata, polemica o apologetica, appiattita “sui giudizi di valore, senza darsi il tempo della conoscenza”.
Per il buon mussulmano vale la riflessione del Profeta: “Certamente, il jihad continuerà fino al giorno del Giudizio”. Non terrorista, naturalmente, ma pugnace. L’analogo cristiano è desueto e anzi scorretto – se non nella forma del “Combattimento spirituale” di Lorenzo Scupoli, che la preghiera esaltò nella Controriforma come contemplazione, ruminazione e giaculatoria. La guerra è tutta in questo scompenso.
Gilles Kepel, Jihad. Ascesa e declino, Carocci, pp. 436 € 17,50
Jihad, Folio, pp. 747 € 12,50

mercoledì 16 dicembre 2015

Renzi sgonfia Grillo, ma arma Berlusconi e Bankitalia

Ha sbugiardato Grillo e ha salvato Boschi, con una mossa sola. E tutta a suo vantaggio: si è fatto una sua Consulta, con la nomina di tre cariatidi del sottobosco democrat, ex democristiani e ex Pci. E con che spirito domani Grillo infiammerà le Camere contro Boschi? A parte i tanti suoi che già sono passati con Renzi, e gli altri che aspettano solo il momento giusto - Renzi pratica l'entrismo al rovescio.
Non c’è dubbio che Renzi ha molte marce in più degli avversari. Ma ha fatto una scelta di fondo che può costargli alle elezioni, perché prima o poi si voterà: ha antagonizzato Berlusconi.
Berlusconi sembra a questo punto uscito dal coma. Ha presentato una mozione di sfiducia a Renzi, che è un inizio di conta – e una controsfida a Grillo. E potrebbe ridiscendere in campo, ridando come nel 1994 consistenza politica ai leghisti e agli ex missini. Decisivo sarà al voto la sommatoria fra i Dc che votavano Berlusconi in attesa che morisse (sic! Casini e gli altri), ora confluiti con Renzi, e gli ex Pci che non voteranno Renzi. Darà una prima indicazione il voto nelle grandi città, dove Renzi dovrebbe – oggi, in assenza di candidati – perdere Roma e non prendere Napoli, e andare al ballottaggio a Milano.
Oggi ha urlato per la prima volta alla Camera. Anticipando la sindrome Moro, che solo nel 1975 ne ebbe la necessità – per dire alla Camera: “Non ci processerete nelle piazze!”. Le urla di Moro non intimorirono nessuno. E anche Renzi non ha fatto presa: l’Etruria gli peserà, e non poco. Troppe le accuse di conflitto d’interessi, del babbo, di Boschi e anche sue – se il giudice che inquisisce la banca è suo consulente. Troppi i nemici che si è fatti, a partire dalla Banca d’Italia. Che ora lo inchioda: il governo sapeva.

Il mondo com'è (242)

astolfo

Alessandro Magno – Creazione di una storiografia nazionalista più che attore principale della storia? Le tracce se ne trovano nei luoghi deputati, da Persepoli ad Alessandria, da lui fondata. Ma a Battriana forse ci fu, forse no. E l’unica vera guerra della sua ininterrotta cavalcata fu contro l’impero persiano, in una fase di decadenza.  Fu peraltro magnificato oltre ogni credibilità dagli storici greci in un’età di decadenza della Grecia stessa. Che per questo passarono sopra ai recenti sospetti che avevano accolto suo padre Filippo il Macedone, come colui che era estraneo all’ellenicità.

Alleanza anti-Is – Una prima alleanza anti-islam si era avuta tra Putin e gli Usa dopo l’attacco alle Torri Gemelle. Nella guerra conseguente al regime talebano in Afghanistan, gli Usa poterono usare come base terrestre per le truppe d’invasione l’Uzbekistan, l’ex repubblica sovietica ancora nella sfera d’influenza di Mosca. In cambio Putin ebbe mano libera contro l’insurrezione cecena.
L’alleanza fu aiutata anche dagli Emirati, cioè dal Dubai, e dal confinante Qatar, che ruppero le relazioni con l’Afghanistan talebano, come ora con l’Is.

Belgio – Era la piattaforma avanzata dell’islam radicale già rima delle Torri Gemelle. Tre giorni prima dell’11 settembre il comandante afghano Massud, capo dell’opposizione al regime talebano, fu assassinato da due belgi d’origine maghrebina. Massud fu assassinato nel suo proprio feudo, il Panshir al Nord dell’Afghanistan. I due attentatori si erano presentati come giornalisti belgi per intervistarlo, con una telecamera truccata, e morirono con Massud allo scoppio della telecamera bomba.

Bin Laden – Vent’anni fa fu salvato dall’Occidente. All’inizio del 1996 il regime islamico sudanese, per rompere l’isolamento internazionale, avrebbe voluto consegnare Bin Laden, rifugiato al suo interno, agli Stati Uniti – dopo avere già consegnato il terrorista venezuelano Carlos alla Francia. Gli Stati Uniti, temendo un processo in cu non avevano prove contro Bin Laden, consigliarono la sua estradizione in Arabia Saudita, il paese d’origine del miliardario. Il re saudita Fahd, legato alla famiglia Bin Laden, e per di più temendo di dover condannare il rivoltoso a morte, non accettò un accordo. Fu così che Bin Laden fu instradato verso l’Afghanistan. Non contro, ma con l’accordo degli Stati Uniti, che lo ritennero infine inoffensivo in un paese remoto, senza comunicazioni moderne, e con accesso arduo ai circuiti finanziari.
Gi Stati Uniti sospettavano Bin Laden di essere dietro il loro fallimento come forza di pace in Somalia nel 1992, e un attentato al presidente egiziano Mubarak nel 1995. Non lo sospettavano invece per l’attacco al Worl Trade Center.
Il 18 maggio 1996 Bin Laden veniva espulso verso l’Afghanistan. Il 23 agosto pubblicava a Kabul una “Dichiarazione di jihad contro gli americani”.

Fatalismo – Si suole dire, specie in Sicilia, arabo e islamico: la rassegnazione e l’inerzia, l’oblomovismo, come una triste eredita dell’invasione araba – che peraltro fu brevissima: è bizzarro il peso che la Sicilia dà al califfato, che fu, fra tutte le occupazioni che ha subito, la più breve e la meno radicale (più radicali furono per esempio i normanni, che cancellarono gli arabi e anche i greci, per conto del papato latino). Mentre non lo è. Non della poesia araba e islamica, che è soprattutto sensitiva e modana. Non dei viaggiatori. Non della (poca) filosofa, poco moralista molto virtuale. È invece delle masse: dei regimi sociali e politici cioè fortemente gerarchizzati, che escludono la mobilità. Dello scarso investimento in progresso, materiale e sociale. E in immagine, per la costituzione necessaria di un’identità forte – la prima carità parte da se stessi.

Occidente – La formulazione più rituale è la più antica, dell’Occidente come dell’Oriente: dell’Occidente in quanto opposto all’Oriente, e viceversa: quella del “Romazo di Alessandro” tardomedievale. Un’edizione manoscritta del Trecento registra in antico inglese uno scambio epistolare tra Alessandro Magno e un sovrano indiano di nome Dindimo, in cui si contrappongono un Occidente, rappresentato da Alessandro, violento, materialistico, a un Oriente, impersonato da Dindimo, pacifico, spirituale, in armonia con la natura. È una caratterizzazione, dunque, occidentale.

Opinione pubblica – Einaudi la affidava al connubio stampa-magistratura. Quelo che l’ha affossata, da un trentennio ormai. Gliela affidava non prima del fascismo, ma nel suo programma di “società liberale” che affidava, il 3 maggio 1955, alla rivista “Il mondo”. Nell’accoppiata stampa-magistratura indicava una delle “vie lunghe e indirette” per “giungere a quella società di uguali in diritto e di moderatamente disuguali di fatto che è la sola società viva e duratura
Punto 3. Del suo programma di società liberale era: “Ricreare, fuori di quella che sia dichiaratamente espressione di aprtiti e di associazioni e gruppi politici ed economici, una stampa libera e indipendente. L’avevamo, ed era forse la prima del mondo. Come ricrearla, è uno dei problemi più gravi del tempo presente. L’indipendenza della magistratura darà alla stampa libera il senso del rispetto della sua propria grandissima responsabilità”
L’avevamo, intendeva, nell’immediato dopoguerra. Si era perse in pochi anni?

Ortodossia – È l’erede della subordinazione bizantina della chiesa all’imperatore.  Oggi meno che nel passato, al tempo degli zar, ma sempre legata al popolo, al sentimento popolare: lo nutre e lo  rappresenta. Il dissidio con la chiesa latina o d’Occidente si è mostrato superabile sul piano teologico, del Filioque, ma le intese conciliari unioniste del passato non furono mai fatte proprie dal potere dell’ortodossia, anche quando più ne avrebbe avuto bisogno, sotto la minaccia dei turchi. La più solenne, quella messa a punto dal concilio di Firenze e Ferrara, sancita dal papa Eugenio IV il 6 luglio 1439 con la colla “Laetentur coeli”, era stata promossa dall’imperatore e dal patriarca, intervenuti di persona. Ma fu rigettata dall’apparato.

Roma greca – Un non indifferente filone storiografico greco fece di Roma la preda designata della Grecia, della Macedonia, non fosse stato per la morte prematura di Alessandro Magno. Si dava per scontato addirittura che Roma si sarebbe arresa ad Alessandro senza combattere, mandandogli ambascerie a tal proposito. La cosa fa parte del romanzo di Alessandro che fiorì nel tardo Medio Evo. Ma sul fondamento di un filone cospicuo di storiografia greca antiromana, benché frammentaria, di cui molte tracce sono in Trogo e in uno dei primi capitoli di Tito Livio, e nello storico tardo romano Paolo Orosio. Di questa storiografia Luciano Canfora (“Gli occhi di Cesare”) rintraccia i pilastri in un Timagene di Alessandria, “storico greco di età augustea”, di cui “abbiamo poco ma sappiamo molto”, e in un Memnone di Eraclea.

Terrore islamico – È endemico a New York e a Parigi da almeno vent’anni. A opera di mussulmani, già all’epoca, americani e francesi. Il 23 febbraio 1993 un camion imbottito di 700 kg. di tritolo esplose nel garage del World Trade Center , non abbastanza per far crollare le torri gemelle, ma sì per provocare sei morti e un migliaio di feriti. L’estate e l’autunno del 1995, aperto con la presa a Algeri di un Airbus Air France la vigilia di Natale, otto attentati in Francia, tra il 25 luglio e il 17 ottobre, fecero dieci morti e 177 feriti. Tutti con bombole di gas imbottite, quindi presumibilmente a opera di un unico artificiere, ma con una vasta organizzazione, al Nord della Francia e a Parigi. Il 3 dicembre 1996 un bomba alla stazione del métro Port Royal, a Montparnasse, all’ora di punta, fece due morti, 23 feriti gravi e una cinquantina leggeri.  organizzazione.

astolfo@antiit.eu 

La Forza si risveglia femmina

I vecchi ci sono tutti, nemmeno troppo invecchiati, Solo, Organa, Snoke, e il popolo animale. Il droide è nuovo, un simpatico pallone, del tipo “palla pazza” - ma c’è pure, e risulterà risolutivo, pure il vecchio. Non ci sono i Jedi, ma c’è un Obi Max von Sidow, che forse rivedremo. Gli effetti sono perfino moltiplicati, di guerre stellari e terrestri, con fughe, duelli e catastrofi spettacolari. Ma, forse a causa delle Torri Gemelle e di Parigi, si delibano come uno spettacolino: niente più altri mondi, seppure fantascientifici, l’unico filo è vediamo come va a finire.
La novità è che la Forza è femminile. Han Solo finisce qui: è padre, non lo sapevamo, e i genitori vanno uccisi, Freud elementare. Il suo parricidio viene punito da Rey, Daisy Ridley, la diva della nuova serie: una Harrison Ford più temeraria, anima da sola la Resistenza. Anzi, le novità sono due: lo storytelling (vediamo dove va a finire) prende il posto della passione, politica, morale – gli anni 1970 della serie storica sono remotissimi.

Luke si fa ritrovare da Rey alla fine, il doppio del vecchio Mark Hamill, muto, su un’isola di pietra - la Skellig Michael prospiciente la contea di Kerry in Irlanda. Probabile pacifista?
J.J.Abrams, Star Wars. Il risveglio della Forza

martedì 15 dicembre 2015

Secondi pensieri - 243

zeulig

Accoglienza – Presuppone un rifugio: un luogo adatto a ricevere. Sia pure un corpo – il “seno”. Confortevole, quindi, guarnito. L’accoglienza deve essere un di più, di mezzi e di capacità oltre che di intenzioni. Non nudo come si professa da qualche tempo nei confronti degli immigrati clandestini per malinteso pauperismo o uguaglianza. Non infetto, quale è moralmente per l’abuso dei contributi pubblici. Non sguarnito moralmente (culturalmente), anche se nel segno dell’uguaglianza, intesa come indifferenza: il profugo-transfuga-errabondo cerca un ubi consistam, non una negazione, sia pure di sé. Che non è peraltro generosità, solo inconsistenza.

Amico di penna – È stato il confidente dell’adolescenza, fino al tempo di Charlie Brown: remoto, ignoto per lo più, e disponibile all’ascolto. Una sorta di eco benevola. Si rinnova via internet a tutte le età e per tutte le situazioni. Delle incertezze e i propositi adolescenziali non solo, ma anche di affari, affetti, o semplicemente interessi comuni, condivisi. Fra identità dichiarate, più che vissute – l’amico di penna è uno che si rappresenta. Ma non false: la corrispondenza evidentemente riempie un bisogno di essere.
Un bisogno personale - non impersonale come nei social, che sono invece un vero teatro. Gli amici di penna si corrispondono come allo specchio.

Anima – È bianca più spesso, candida. Nera a volte. Ce ne sarà una anche a colori?

Anti-umanesimo – È una forma di umanesimo. Anticlassicista, antipositivista, ma umanista. La morale dell’uomo che Heidegger evoca nella Lettera sull’umanismo” è in realtà una quaestio, una domanda e una ricerca, nell’umanismo-antiumanista – supposto – dell’era della tecnica.

Contagio – È del male. Della malattia, del cattivo esempio, della corruzione. Della malvagità che sempre prevarica o ammorba, gli umori, le situazioni, gli stessi eventi. Si vuole santo colui che effonde il bene ma non è contagioso: ogni santità è circondata da debolezze e furfanterie. L’ipocondriaco è contagioso senza rimedio: la potenza distruttiva della miscela di medicina preventiva e obbligo di attenzione, tempo impegnato, fatiche, è incommensurabile.

Eternità – Durata? Istante? Benjamin e Taubes messianisti propongono l’istante. Ma un istante allora costante – come la felicità dello stesso Benjamin. È l’intensità: la coscienza dell’istante.

Galileo-  Rientra a pieno titolo nella sistematizzazione dei secoli di Carl Schmitt, al cap. “Teologia politica” della raccolta dallo stesso nome: “Chiaro e particolarmente significativo come conversione storica unica è il passaggio dalla teologia del XVI secolo alla metafisica del XVII, in quell’epoca altissima dell’Europa, non solo dal punto di vista metafisico ma anche scientifico: la vera e propria età eroica del razionalismo occidentale”. Il razionalismo occidentale nell’età eroica (Galileo) entro la metafisica e la teologia. L’abiura è una questione di piccoli cabotaggi di potere.

Guerra  - Ce n’è nostalgia, distintamente, in Europa e anche negli Usa. Della guerra coi botti e le distruzioni, missili, bombardieri, esplosioni, cannoni, mitragliatrici. Immaginate, fantasmizzate. Dal papa, che la evoca a ogni istante, anche di classe, ai media, e all’“uomo della strada” che ne è vittima. Anche se combattuta non si dice dove né perché.
L’Europa ha una vera condizione di guerra da quasi un decennio ormai, ed è l’impoverimento. Un disastro, che porterà – ha portato - al “cannibalismo”, figurato certo. Col non voto, la protesta, la distruzione della,politica e di ogni altra intermediazione sociale, l’informazione e la giustizia riducendosi a sostanze corrosive. Ma, per quanto faccia mote vittime, non è la guerra pirotecnica, coi morti per strada e le macerie.

C’è ansia per gli stati erratici di guerra ma come un desiderio. Fino al papa, che continuamente la evoca, seppure per riprovarla. La stessa guerra fredda, che invece fu un equilibrio del terrore, in grado di non farla deflagrare, si vuole ora una guerra continua. Non c’è invece un’analisi del periodo storicamente eccezionale, lungo ormai settant’anni, in cui l’Europa ha vissuto in pace. Per l’appassire della sua millenaria ambizione di potenza via via nei suoi protagonisti, la Spagna per prima, finita a Cuba, poi la Germania, infine – Suez 1956 – la Francia e la Gran Bretagna, nel nuovo equilibro mondiale, americano e globale. L’esame non si faper non obliterare quell’ansia-desiderio?

Natura -  Anch’essa soffre, avrebbe detto san Paolo se se ne fosse già ipotizzata l’assolutezza, “il gemito della creatura”. Da sempre, prima del surriscaldamento globale. La natura che “si lamenta, geme, sotto il peso della fugacità, della vanità”, è riflessione messianica, di Jacob Taubes. Ma è un dato di fatto.

Peccato – L’unico modo di evitare un peccato è di commetterlo, così liberandosene, è principio gnostico. Ma non libertino, logico – paralogico. Allora: si commetta un omicidio per liberarsi del pensiero: il peccato è pensiero?

Social – Sono una piazza, come alla prima loro configurazione – poi soppiantata dall’uragano Facebook. Dove ci si reca con gli abiti della festa, oppure dopo il lavoro, per quattro chiacchiere e un drink. Ripuliti, rinfrescati, in tiro. Tutti belli e buoni.

Niente più corrispondenze, seppure nella rete delle “amicizie”, domandate e riconosciute: i social si vivono come autorappresentazione – ne sono il palcoscenico. Non c’è un dialogo, tantomeno il dialogo plurimo che i social presuppongono: ognuno espone il suo banchetto, e tutti si guardano, complimentandosi oppure no, ma serbando per sé il commento, sia pure favorevole.

Storicismo – Percorre anche il messianesimo. Che si può dire uno storicismo teologico, sempre comunque applicato a forme della politica (eventi comuni). Di una particolare forma di storiografia ma concettualmente imprescindibile – come l’umanesimo per l’antiumanesimo.

zeulig@antiit.eu

Natura tragica, di Hamsun

L’urbanizzato che tenta di scampare alla dissociazione errando per la campagna fa danni, a sé e agli altri. Alla maniera svagata di Hamsun, che la ripeterà in “Un vagabondo suona in sordina” (due anticipi del più fortunato Jack London, “Il vagabondo delle stelle”?), ma il suo è il modo dei tragici scandinavi.
Anche la sua storia personale, nazismo compreso, andrebbe riletta in questa chiave.
Knut Hamsun, Sotto la stella d’autunno

Il lavoro è immigrato

Sono arrivati in Europa quest’anno, nei primi dieci mesi, 800 mila immigrati irregolari, attraverso il Mediterraneo e l’Est balcanico – ma un milione era arrivato l’anno scorso, e l’ondata non si è esaurita. Più della metà sono giovanissimi, sotto i ventisei anni – almeno 150 mila bambini.
Arrivano perché c’è la disperazione nei paesi d’origine: guerre, persecuzioni, odi tribali, religiosi, etc. . Ma la disperazione c’è sempre stata, in Asia e in Africa. Arrivano ora in gran numero perché c’è lavoro: semischiavistico, ma c’è. E di più ce ne sarà: alcune delle maggiori economie europee, la Germania e l’Italia in testa, essendo ormai stabilmente nel cosiddetto “inverno demografico”, con nascite da tre anni inferiori ai decessi.
In molte attività, quasi tutta l’agricoltura, e una buona metà del lavoro in edilizia e anche in fabbrica (facendo una media dei lavori usuranti e di quelli leggeri), il lavoro è immigrato. E le previsioni – sempre attendibili in demografia – sono che la Germania avrà nel 2050 cinque milioni di tedeschi autoctoni in meno, e l’Italia quattro. Con un aumento dell’età mediana della popolazione: più anziani, meno giovani, in Germania, in Italia e anche altrove. Con una doppia divaricazione: meno lavoro giovane specializzato, maggiori previdenziali e sanitari. Nelle fasce d’età operative, tra i venti e i sessantacinque anni, il calo demografico sarà di otto milioni in Germania e di sei in Italia. Mantenere anche soltanto un grado minimo di crescita delle economie, quale si sta purtroppo registrando da alcuni anni, richiede sempre più forza lavoro giovane immigrata.
La “decrescita”, che si ipotizza per riequilibrare l’“inverno demografico”, si è dimostrata non praticabile. Non per grandi economie e non a lungo termine. Negli anni 1960, quando il rischio invece era la sovrappopolazione, si era ipotizzato un esito analogo, la crescita zero. E si era anche praticato. La crescita zero aveva adottato, proprio per non gravarsi di Gastarbeiter, lavoratori d’immigrazione, l’Austria. All’opposto dell’altro Stato neutrale nella guerra fredda, la Svizzera. La Svizzera si riempiva di immigrati, l’Austria non ne volle nessuno. Prosperando ugualmente, in settori a bassa intensità di lavoro. Ma fino a un certo punto: poi dovette aprire le frontiere. 

lunedì 14 dicembre 2015

Ombre - 296

Italia continua
Piacenza per piacervi
Lodi per lodarvi
Lecco per leccarvi
Verona per inverarvi
Spezia per speziarvi
Foggia per foggiarvi
Bari per intombarvi
Roma per amarvi
Renzi per dirazzarvi
Bail-in per belinizzarvi

Perché non si bailizzano le banche tedesche fallite, la Nord Bank per  esempio, tre miliardi di costo per Angela Merkel, mentre bisogna bailizzare le banche italiane, che a Renzi costano solo trecento milioni? Renzi belìn?

Semideserta l’apertura del Giubileo per l’Immacolata, vuota la celebrazione ieri nelle basiliche romane. A San Paolo c’erano più militari, anche polacchi e spagnoli, che pellegrini. Ma invece di chiedersi perché, i collaboratori del papa si inorgogliscono: “Meglio pochi”.

Sky Tg 24 fa spesso le dirette di Renzi, non per occasioni speciali, dovunque gli capiti di parlare. Sembra Telekabul al tempo del Pci: ieri due ore, in abbonamento – pagate cioè da sottoscrittori ignari .
Ma Murdoch che tifa Renzi è certo una novità.

Per molto meno che la Boschi, Renzi fece dimettere Cancellieri e Di Girolamo. Ma non pagherà per questo: il moralismo è impunito. 

Margrethe Vestager, commissaria Ue alla Concorrenza, ha autorizzato 250 miliardi di aiuti di Stato – cifre iperbolica – per salvare le banche tedesche negli ultimi otto anni. Non tutti lei, una parte li ha autorizzati il predecessore Almunia, che era detto “il tedesco” benché spagnolo. Lei è speciale perché ha impedito l’uso di 350 milioni, privati e non pubblici, per salvare le quattro banche italiane. Non per niente, per far fallire l’Italia – se salta una banca saltano tutte.
Questa donna è l’“Europa”. Ma ne parla solo Ivo Caizzi, che il “Corriere della sera” confina a una breve.  Poi dice che c’è il populismo.

“Le banche, magnifica ossessione del sistema di potere Pd”, nota Polito, “dai tempi dell’ «abbiamo una banca», fino ai guai della rossa Siena, ora trasferitisi  nella più bianca Arezzo”. Di un bianco però Pd, con Coldiretti e tutto il seguito. E Banca Marche, e Carife?

Per l’«abbiamo una banca» ha pagato solo Berlusconi. Per aver ascoltato, forse, l’intercettazione abusiva della telefonata di Fassino a Consorte, senza denunciare il reato di chi gliela avrebbe fatta ascoltare. Un  po’ contorto ma è la giustizia di Berlusconi.
Il fatto in sé, di un partito che si fa una banca, non è colpa né dolo, secondo la giustizia di Milano. 

Commovente l’impegno di “Repubblica”, “Corriere della sera”, “ Stampa” a mostrare come le donne siano in Arabia Saudita liberate. Quasi. Sabato hanno votato, alcune di loro, la prima volta. E nel chiuso  di una cabina fototessera alcune ragazze si fanno il selfie con gli occhi scoperti. Tutto gratis? Non ci sono oggetti d’oro, o versamenti in qualche fondo-fondazione degli editri? I sauditi sono munifici.

“Giustizia è fatta”, usano dire i parenti delle vittime quando qualcuno viene condananto. Non il colpevole, quello che il giudice dice colpevole. La giustizia per i parenti delle vittime è quella, del Tribunale. Dopo sorridono. È una vendetta, contro qualcuno, non importa chi.

Ironizzando su Putin nucleare, Crozza giunge a chiedersi se non deve rivalutare Berlusconi, che lo teneva buono.  Un abisso però cè, fra una dozzina d’anni fa, quando la Russia dello stesso Putin Berlusconi candidava a membro dell’Europa, e il Putin di cui si è voluto fare un nemico, non sappiamo ancora perché.

Viene da sorridere all’inchiesta della Procura di Trani contro Standard & Poors. Come se in provincia di Bari non si sapesse degli ultrapoteri di un’agenzia di rating, e dei suoi più o meno occulti azionisti.
Però, è vero che S&P’s tentò nel 2012 per ben due volte di affondare l’Italia, con declassamenti on giustificati. Ci tentò anche nel 2011, sull’onda di Sarkozy, ma allora c’era Berlusconi.

Multe di Bruxelles all’Italia e alla Grecia per non aver fatto abbastanza col milione di clandestini che si trovano ogni anno a salvare: non hanno preso abbastanza impronte digitali. Niente procedure e niente multe per i paesi che si rifiutano di accogliere clandestini nella misura concordata con Bruxelles, anche solo qualche centinaio.

Si spreca nella campagna anti-Le Pen la vecchia pubblicità. Una  “mostra il tesoriere del micro-partito di Marine Le Pen che fa il saluto fascista” - in un luogo affollato, una discoteca?,  qualcuno che chiama qualcun altro agitando la mano. Ricircolano “i timori sui circuiti russi di Marine Le Pen” - Putin fa sempre paura. Così rivince Sarkozy… La propaganda è diretta a se stessi, non fuori, all’elettorato.
Solo che, a furia di dirlo “micro”, il partito di Le Pen non lo è pi. Tutto fuorché chiedersi il perché.

Bayer Leverkhusen-Barcellona si gioca a una sola porta. Quella del Barcellona. Com’è possibile? Forse l’allenatore del Barcellona preferiva far passare il turno al Bayer invece che alla Roma. La Roma l’aveva liquidato in malo modo tre anni fa.

Oltre 500 mila gadget per il giubileo, rosari in gran parte e ritrattini del papa, sequestrati in due depositi cinesi. Senza misericordia. C’è un copyright?