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sabato 4 marzo 2023

Pochi a Bruxelles i conservatori della presidente Meloni

Giorgia Meloni è presidente dei Conservatori e Riformisti Europei (Ecr, European Conservative Party), che però è uno dei raggruppamenti più piccoli rappresentati a Bruxelles. Solo due paesi, oltre all’Italia, sono governati da esponenti dei Conservatori e Riformisti, la Polonia e la Repubblica Ceca.

Una delegazione Ecr, molto folta, presieduta da un europarlamentare di Meloni, Italo Procaccini, partecipa oggi al forum dei Repubblicani conservatori americani nel Maryland, che dovrebbe intronare Trump come sfidante di Biden di nuovo alle presidenziali del 2024. In Europa, dove i governi di destra sono numerosi, più di quelli di centro-sinistra, fanno capo invece di più all’Alde, Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l’Europa, e ai Popolari. Di destra dichiarata, al punto da essere messo in mora dalla Commissione di Bruxelles sui diritti civili, c’è anche l’Ungheria di Orban, ma Orban fa parte del partito Popolare europeo, non dei Conservatori. Così come la destra al governo in Svezia, il Partito Moderato di Uli Kristersson.

La maggior parte dei conservatori sono più vicini ai Popolari in tema di federalismo debole, e di diritti civili anch’essi deboli, o misurati. Di destra ma Popolari, oltre Orban, sono i governi di Austria, Cipro, Croazia, Grecia, Irlanda, Ungheria, Romania, Lettonia, Lituania, Slovacchia.

Molti conservatori sono nell’Alde – volendosi distinguere per l’approccio liberale, più che conservatore: la prima ministra dell’Estonia Kallas, il primo ministro Rutte in Olanda, i fiamminghi al governo in Belgio, i Liberali tedeschi, nel governo di coalizione in Germania.

Meloni può vantare parentele solide fuori dall’Europa, essendo il suo Ecr (European Conservative Reformist Party) affiliato all’internazionale conservatrice fondata nel 1983 da Margaret Thatcher, George Bush, Helmut Kohl e Jacques Chirac, l’Unione Democratica Internazionale, Idu (International Democrat Union). Oggi acquartierata a Monaco di Baviera, con ottanta membri, di sessanta paesi, presieduta dall’ex primo ministro canadese Stephen Harper. 

Gli altri governi Ue sono progressisti, come la maggioranza nel Parlamento. Eccetto la Francia, Macron fa parte a sé. Fuori schemi solo la Bulgaria, con un governo, del “tecnico” Galb Donev, che ha la fiducia del presidente Rumen Radev.

Cronache dell’altro mondo - “suviane” (250)

L’anno scorso i Suv di tutto il mondo hanno emesso un miliardo di tonnellate di ossido di carbonio. Tutti i Suv messi assieme costituirebbero il sesto più grande inquinatore al mondo, subito dopo il Giappone” “The New Yorker” – il Giappone è la terza economia mondiale, dopo Stati Uniti e Cina.
Un Suv, pesante e di larghe dimensioni, produce più polveri, e consuma mediamente un venti per cento di combustibile in più rispetto a una berlina di pari cilindrata. Analogamente il Suv elettrico: richiede batterie molto più pesanti, con l’effetto globale di emissioni nocive molto superiori a quella della berlina elettrica.
Nel 2022 le vendite di suv negli Stati Uniti sono aumentate, mentre le vendite totali di automobili sono diminuite. 
Nel 2022, sempre negli Stati Uniti, le vendite di suv elettrici hanno superato le vendite di tutte le altre auto elettriche.
I costruttori favoriscono la tendenza, per tre motivi. Il guadagno unitario è mediamente del 50 per cento superiore rispetto alle berline di cilindrata analoga, e di costo di fabbricazione analogo – “Automotive News” calcola il 51 per cento in più. Negli Stati Uniti si possono venderli come camion, e quindi non sottostare ai più rigidi limiti sulle emissioni nocive in vigore per le automobili. Sempre negli Stati Uniti, un suv elettrico, in quanto “camion”, ha diritto al credito fiscale previsto per le auto elettriche anche se il suo costo supera il tetto dei 55 mila dollari che la legge prevede per l’incentivo
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Essere russi e ucraini

Una patria persa, in realtà. “Ho tre case”, e la conclusione, “la mia terra bielorusa, che è la patria di mio padre e dove ho vissuto tuta la mia vita; l’Ucraina, che è la patria di mia madre e dove sono nata; e la grande cultura russa, senza la quale non riesco a immaginarmi. Ho care tutt’e tre, ma è difficile parlare d’amore, di questi tempi”.
Una di tre verità. Un’altra Svetlana Aleksievič annotava trenta anni fa: “La letteratura russa ha di interessante che è la sola a poter raccontare l’esperienza più unica che rara cui è stato costretto un paese un tempo enorme”. Di rimpicciolirsi. La terza è semplice: “L’«impero rosso» non esiste più, ma l’«uomo rosso» è ancora fra noi. Continua a esistere” E “il male non conosce pietà”: “Siamo gente di guerra, noi: o l’abbiamo fatta o alla guerra ci preparavamo”.
Nel mezzo, la riflessione che tutti si fanno sula Russia: “«Eravamo liberi solo durante la guerra, in prima linea»: ho sentito anche questo, una volta. Il nostro vero capitale è il dolore. Non il petrolio. Non il gas. Il dolore. È l’unica cosa che produciamo costantemente. Ma perché tanto dolore non si converte in libertà? Sto ancora cercando una risposta…. Eppure di grandi libri ne abbiamo in quantità….”.
Notazioni brevi, rapsodiche. Di un progetto sulla guerra, probabilmente, rimasto allo stato di appunti. Che oggi si pubblicano per altro motivo. Aleksievič, bielorussa, Nobel per la letteratura 2015, la guerra l’ha vista da dentro, da ragazza, in Afghanistan, ne ha visto le menzogne e la bruttezza. E l’ha sentita raccontare, dalle donne, carriste, artigliere, di cavalleria, contro e dentro la Germania di Hitler, le “”giovani donne del 1941”: “La guerra delle donne. Una guerra senza eroi. Senza eroiche uccisioni di altri esseri umani”.
Svetlana Aleksievič, Una battaglia persa, Adelphi, pp. 46 €5 

venerdì 3 marzo 2023

La guerra del papa è mondiale

La guerra in Ucraina non “un film di cowboy, dove ci sono buoni e cattivi”, ben divisi. Il leitmotiv del papa Bergoglio va inteso in questo senso: 1) non è una guerra “tra Russia e Ucraina e basta. No, questa è una guerra mondiale”, 2) “fattori internazionali” hanno portato al conflitto: “Io vedo imperialismi in conflitto”. Il papa non lo dice, ma il senso è netto: sono gli Stati Uniti in guerra con la Russia – e un po’ anche con la Cina.
Qualche mese dopo l’inizio della guerra, il papa aveva condiviso le “confidenze di un uomo di Stato”, “un uomo saggio, che parla poco”, che si era detto con lui “preoccupato per come si stava muovendo la Nato”, “abbaiando alle porte di Mosca”. Una situazione che poteva “portare alla guerra” dichiarata,

L’“uomo di Stato” è stato individuato in Angela Merkel, che però era fuori scena politica già all’epoca, e mai era stata in sintonia col Vaticano. Più verosimilmente è il presidente della Germania Steinmeier, con cui il papa ha avuto più incontri. Un’analisi comunque, la sua, in linea con quella tedesca, il cosiddetto “asse renano”, col quale il Vaticano ha sempre condiviso l’autonomia europea e l’ordine mondiale multilaterale.

Il papato Bergoglio è decisamente puntato su una chiesa meno eurocentrica, ma anche multipolare – il papa non è “il cappellano dell’Occidente” (Andrea Tornielli, direttore della comunicazione del Vaticano).
Al rischio di guerra in Europa il papa assomma l’offensiva americana contro la Cina, con la quale invece ha sottoscritto e mantiene un accordo. Gli Stati Uniti hanno esercitato forti pressioni sul papa per indurlo a recedere dall’accordo. Il segretario di Stato di Trump, Mike Pompeo, lo ricorda più volte nell’autobiografia. Anche Biden, nella visita al papa a fine ottobre 2021, avrebbe toccato questo tasto, seppure con delicatezza, senza però far deflettere il papa
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Problemi di base funerari - 736

spock

Schlein e Costanzo in un solo giorno, è l’Italia colpita dall’asteroide?

 

È l’effetto della crisi demografica – nati all’estero, morti in casa?

 

Sinistra e destra, festa e funerale (la festa come funerale) un solo funerale?

 

I funerali dei personaggi tv diventano una liturgia medi(ev)ale?

 

Non ci resta che piangere?


spock@antiit.eu

L’antisemitismo è insidioso

La vendita di una cantina in disuso a una persona che ha problemi di abitazione si trasforma in un incubo per la giovane copia che se ne è disfatta. Perché il compratore ne fa la sua residenza, e si manifesta un antisemita negazionista (dell’Olocausto). Seminando dubbi, sgarbi e liti nel condominio, e nella famiglia della coppia, di origini ebraiche.
Un thriller psicologico, di effetto non scontato. Lascia anzi tracce insidiose. Partendo dallo sterminio in America di dodici milioni di indiani, ma non solo.
Le Guay, il regista di Fabrice Luchini, genere leggerezza e simpatia, muove una dialettica poco rassicurante, da regista e anche soggettista e sceneggiatore. Satirica ma non convincente. Come del resto il titolo italiano suggerisce – e forse per questo il film non è stato visto in Italia, benché doppiato: troppo inquietante. Il titolo originale, “L’homme de la cave”, l’uomo della cantina, era più anodino. Benché il soggetto si voglia derivato da un personaggio reale, il professore della Sorbona Robert Faurisson, e i riferimenti reali abbondino. Faurisson, morto quattro anni fa, dopo aver alimentato mezzo secolo di polemiche non sostanziate, è un personaggio squalificato, su tutti i piani, scientifico, giornalistico, personale. Ma l’acquirente della cantina no.
Philippe Le Guay, Un’ombra sulla verità, Sky Cinema

giovedì 2 marzo 2023

L’Italia è l’India, che differenza c’è

Non ci sono rapporti bilaterali speciali con l’India, il Paese che la presidente del consiglio Meloni ha scelto come sua prima visita di Stato. Eccetto che per le iniziative dei residui campioni nazionali, i gruppi pubblici Leonardo, Fincantieri, Enel e Ferrovie. E per la carestia del 1965-1966, l’ultima dell’India, quando l’Italia si mobilitò, eccitata e commossa, mandando nell’estate del 1966 le eccedenze del suo raccolto frumentario. Montagne di sacchi che rimasero a marcire sui moli indiani, perché l’India si nutriva quasi solo di riso – e non perché allergica al glutine.
I due Paesi sono uniti dal culto della “antica civiltà”. In passato, un secolo fa, dalla comune angoflobia. Ma anche, in un passato più remoto, poco meno di due secoli fa, dagli exploits  professorali cui indulgevano Carlo Cattaneo e Carlo Marx. Pur sapendo poco, Marx, dell’Italia e entrambi niente dell’India. “L’Indostan è un’Italia di dimensioni asiatiche”, più volte Marx informò i suoi lettori sulla “New York Herald Tribune”, con profusione di analogie geografiche, tettoniche, agricole, storiche, politiche. Identicamente Cattaneo, che scese nei particolari: “La penisola indostanica rammenta l’Italia. Anch’essa ha le sue Alpi: anch’essa protende fra due mari una catena di Appennini; l’indole fluviale del Gange simiglia a quella del Po; il Bramaputra raffigura l’Adige; la Nerbudda l’Arno; l’Indo gira intorno alli Imalai come il Rodano alle Alpi; l’altipiano del Seichi e di Casmira potrebbe compararsi a quello dell’Elvezia”. E così via: “Quello dei Rageputi al Piemonte, le campagna d’Agra e di Benares alla Lombardia, la laguna veneta al Bengala, i monti dei Maratti alla Liguria e all’Etruria, le lande del Coromandel al tavoliere dell’Apulia, il Malabar alle riviere della Calabria, e l’isola di Ceilan, se non giacesse verso levante, alla Sicilia”.
Un’ultima corrispondenza avrebbe fatto sussultare Cattaneo, se non Marx: le intercettazioni. “L’India è il paradiso delle persone che origliano”, stigmatizza il giustiziere di “I sei sospetti”, il classico del giallista indiano
Vikas Swarup - un giustiziere che di mestiere fa l’intercettatore. E la corruzione anche – ma questa non è pratica difficile.
  

Secondi pensieri - 508

zeulig

Dubbio ­ - È la verità della scienza – la via della verità (che invece è rara). Di ogni epistemologia.
Della riflessione, evidentemente.
L‘accettazione dell’ignoranza. Non ovvia come appare, se c’è voluto qualche millennio per arrivarci: Socrate essendo stato messo a morte, si è andati avanti per un paio di millenni sulla strada della fede, della verità come ipostasi, il progresso limitando ai “tentativi ed errori” di Popper epistemologo.
All’altro capo del filo, all’altra estremità, si pone l’ignoranza come assunto teorico e teoretico – come verità. Nelle parole del fisico Nobel Richard Feynman: “L’unica speranza per un progresso dell’umanità in una direzione che non ci porti in un vicolo cieco… risiede nell’ammissione dell’ignoranza e dell’incertezza.  Io dico che non sappiamo quale sia il significato della vita e quali i giusti valori morali, e non abbiamo modo di sceglierli” – “Il senso delle cose”, p.44. E altrove (p. 58): “”Il dubbio e la discussione sono essenziali al progresso”.
Di fatto l’età del dubbio è della crisi. Quale oggi, l’epoca in cui il mondo se la cava meglio, più prolifico, più curato, e più ricco, con una ripartizione quasi equanime della ricchezza, fra Stati se non nelle società. Per un’ipocrisia di fondo, l’agnosticismo (l’equivalenza, l’indifferenza) sui “valori morali”.
 
Look – “Il wolf haircut, il taglio delle “ragazze lupo”, il taglio dei capelli, trascende i confini di genere, esprime individualità e anticonformismo, esprime il rifiuto del mainstream, del conformismo. Intimidatorio a prima vista, eppure democratico e d’avanguardia”. Il look è politico e psicologico - fa la personalità. In teoria la riflette, in realtà la fa, nella proiezione pubblica, sociale, della persona, compresi i familiari. Il wolf haircut “esteticamente funziona perché apre collo e viso, attirando l’attenzione su colo e zigomi” (settimanale “D “). Si dice creativo, in realtà creatore?
 
Parola – È un segno di classificazione – di individuazione e assegnazione – prima che di comunicazione. I caratteri nel cassetto del vecchio tipografo disposti più o meno casualmente, in base ai suoni, più o meno gutturali, più o meno articolati, che saranno le parole. Delimita, certo, più che arricchire, ma con un numero elevato di carati, dall’inarticolato (inclassificato, inappropriato) al produttivo (significante, utile). Da sempre open source.
 
Pedagogia – È una disciplina – una forma di disciplina. Con l’imprinting forma (condiziona) il soggetto. Un bambino che ha un’educazione religiosa sarà un adulto diverso da uno che non ne ha, non solo come conoscenze ma come sensibilità e criterio di giudizio.
È una costrizione? È un aiuto? La libertà si vuole senza confini – del bambino cresciuto senza religione si dice: da adulto sceglierà? Ma tanti Tarzan cresciuti soli nella foresta, anche nella prateria, non arriverebbero a nulla, dovrebbero cominciare tutto daccapo, a partite dale, arole, come segno di riconoscimento (classificazione) prima ancora che di comunicazione.
 
Scienza
– Non è democratica. Implica un principio di autorità, se non si basa su di esso - non c’è scienza senza un pedigree.
È altro dal potere, e non lo condiziona. Ci può essere, c’è stato da poco (nazismo, sovietismo), un potere fondato sulla scienza, senza che la scienza ne abbia minimamente influenzato presupposti e natura, o carattere.
 
Tolleranza – Non è egualitaria, implica un dislivello alto-basso, superiore-inferiore. È una sorta di concessione, di una persona, un gruppo, una società nei confronti di altri, non eguali - un po’ in difetto, un po’ in torto, un po’ in errore. Si “tollera” la differenza. Come dire che non si procede con la condanna. Una sorta di perdono, preliminare.
 
Totalitarismo – È il monopolio della forza. E la pervasività della stessa, con la coercizione e con la persuasione occulta (propaganda – pubblicità), fino alla “verità”, al convincimento. Alla sua interiorizzazione, nel “consenso”.
La storia non registra fenomeni di consenso politico più vasto di quello dei regimi totalitari del Novecento: fascismo, nazismo, sovietismo. Se non quelli della fede: la fede è – è stata – un fattore di forza più vasto e radicato di qualsiasi argomentazione propagandistica o politica. Nelle guerre di “religione”, nel persistente jihad, inteso come guerra all’infedele, anche al di fuori del perimetro del fondamentalismo, p. es. nel khomeinismo, nell’induismo.
 
Se ne torna a parlare per il saggio di Emilio Gentile. Senza riferimenti, curiosamente, alle primissime analisi del fenomeno, di Hannah Arendt, 1949-1951, “Le origini del totalitarismo”, di Adorno, 1950, “La personalità autoritaria”, e di Jacob Talmon, 1952, “Le origini della democrazia totalitaria” – e di A. Huxley, di Orwell. Per non dire, per restare in Italia, dell’ing. Sorel. E di “Roberto” Michels: un certo elitismo è il picco emergente di un iceberg totalitario. Curiosamente perché si evitano i connotati del fenomeno oggi contemporanei, perfino dominanti.
Della sociologia e la politica totalitarie la sintesi più probante è proprio di Hannah Arendt, e di Talmon. Un fenomeno politico nuovo - quasi lapalissianamente tale, per le radicali novità delle forme di comunicazione e persuasione (subliminare, occulta, e invadente). E anche distruttivo, nel senso che fa tabula rasa delle nozioni politiche e degli ordinamenti sociali storici: è il regime politico della società di massa, per l’isolamento e la “intercambiabilità” degli individui. Con - ma anche senza, va aggiunto – il bastone o i manicomi giudiziari.
I regimi politici moderni sono tendenzialmente totalitari perché di massa? No, ma anche si: anche nelle società democratiche, andrebbe aggiunto, oggi per i social ma da sempre in epoca costituzionale, dal suffragio universale e i suoi “partiti di massa”. Ci sono pochi elementi democratici nelle democrazie, e più sotto forma di controlli (checks) e denunce (sovversioni), cioè a posteriori.
Adorno ne ha rilevato in una sorta di ricerca demoscopica, di psicologia induttiva, i caratteri salienti. Talmon la quintessenziale parentela tra giacobinismo e stalinismo – di una dottrina politica “egualitaria” con un solo interprete. Al di fuori delle leggi, andrebbe aggiunto, anche morali, e contro di esse, ma con la forza della convinzione, non solitaria.
 
Il fenomeno è italiano, si dice, perché la parola è italiana. Simona Forti ne ha accertato la primogenitura in un articolo di Giovanni Amendola sul “Mondo” nel 1923. Dove non ne faceva un’eccezione o un caso, ma un “sistema”. Come “
promessa del dominio assoluto e dello spadroneggiamento completo ed incontrollato nel campo della vita politica ed amministrativa”.
Promessa e non premessa: una paetitio favoris, una induzione al consenso – senza più l’olio di ricino. Ma più esso è l’effetto, italiano, di un certo hegelismo, che più confluiva in Gentile (da ultimo nell’“ordinamento corporativo”), dello Stato etico. Che non è propriamente e non si vuole totalitario nel senso repressivo, censorio, ma del consenso sì. Una deriva che sarà applicata anche alla dottrina dello Stato elaborata da Hans Kelsen.

zeulig@antiit.eu

Salvarsi salvando

L’isola di Lesbo nell’Egeo nel 2015 come Crotone oggi, con i morti infanti. Come Oscar Camps, un bagnino sulle spiagge spagnole, decide di recarsi a Lesbo, e lì scopre la tragedia quotidiana, minuta, appassionante, di gente in fuga, con tutti i mezzi, da guerre e persecuzioni. Si prodiga, e decide di fondare un’associazione per il soccorso in mare, Open Arms.
Una sorta di biofilm su Open Arms. Un po’ all’“arrivano i nostri”, che su questo tema è fuori luogo - la dedizione personale aiuta, è anche indispensabile, ma non risolve, e purtroppo peggiora: l’impegno personale, la generosità anche, dovuti e benemeriti, purtroppo illudono. Ma ben costruito, e senza smancerie.
Marcel Barrena, Open Arms – La legge del mare, Sky Cinema 2

mercoledì 1 marzo 2023

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (517)

Giuseppe Leuzzi

Un bandito di Vieste, Marco Caruano, evade dal carcere “di massima sicurezza” di Badu e’ Carros in Sardegna, e a Vieste si fanno i fuochi d’artificio. Non è vero. Ma è “naturale” scriverlo. Il sindaco protesta. Ma, si sa, i sindaci… La “narrazione” è quella, ineluttabile.
 
Caruano evade col lenzuolo, come nei romanzi. Sotto l’occhio di una telecamera. Questo chiunque può vederlo, ma non si dice – non si commenta: come la criminalità viene contrastata.
 
“Terra di tutti e di nessuno\ terra dove abitano i morti\ terra che entra ed esce\ con la forza di un bacio\ terra che conosce\ lo slancio del perdono\ terra che abiti lontano\ e uccidi per amore”.
Alda Merini, “Terra del Sud” – in Id., “Ogni volta ti vedo fiorire”
 
“Buone notizie”, il settimanale del “Corriere della sera”, racconta di una curiosa inchiesta di alcune Ong nella Casamance, il Mezzogiorno del Senegal, sui migranti di ritorno. Riprovati dai familiari, non più considerati nella comunità, isolati. L’inchiesta è vera, si può testimoniare, ma va inquadrata nella mercificazione tribale, dei legami familiari e comunitari – quante famiglie non sono in golosa attesa in Nigeria degli euro della figlia, sorella, nipote prostituta a Roma o Livorno. È vero però che l’emigrato di ritorno non ha più status, non solo in Casamance, o più genericamente in Africa.
 
Pentite di banca
Sono quattro donne, tre membre del consiglio d’amministrazione della Juventus, Laurence Debroux, Suzanne Heywood, Daniela Marilungo, e una sindaca, Maria Cristina Zoppo, le “gole profonde” dei pm torinesi professi odiatori del club. Incontenibili, non lasciano inappagata nessuna ipotesi di reato che i giudici sollevano, anzi ci mettono del proprio. La cosa si svolge a Torino, ma c’è sentore di Sud in queste chiamate di correo senza la correità.
Le quattro non sono le sole. Segue a ruota una consigliera di Unicredit, Jayne-Anne Gadhia, “donna d’affari britannica” (wikipedia), cavaliera dell’Impero (DBE): presidente del comitato Remunerazioni del gruppo bancario, si dimette per non aumentare quella dell’ad Orcel – che non è uno qualsiasi: ha raddoppiato in diciotto mesi il valore del titolo, ora sui 20 euro, e veleggia verso quota 24.
Un tempo si sarebbero liquidate le consigliere come casi di “isterismo”. Oggi vanno a rimpolpare la schiera dei “pentiti”, quelli che dopo avere attizzato l’inferno si fanno angeli. Avevamo i “pentiti” di mafia, avremo le “pentite” dei consigli d’amministrazione. Al peggio non c’è limite, come si suol dire, non c’è fine alla vergogna, la peste dilaga, o il colera, o il covid, eccetera. Un-a “pentito-a” sa di taumaturgia, capace di miracoli di Cana, di moltiplicazione dei pani e dei pesci.
Ora, Unicredit è di un’altra galassia rispetto al Sud. Ma non si può dire, il pentitismo è infettivo - anche la squadra di calcio degli Agnelli si pensava di un’altra galassia. Se poi, con le quote paritarie, diventa femmina...
Gadhia non è andata dai Procuratori, Orcel evidentemente (ancora) non ha nemici, è andata al “Financial Times”, ma è lo stesso: il potere è del blocco Procure-media.
Però, sempre il potere è maschile in agguato, dei Procuratori.
 
Scalfari calabrese
Di Eugenio Scalfari molto c’è ancora da dire. Del suo appassionato cinismo, un ossimoro inevitabile, perché vero. Non cattivo, giocoso, e soprattutto “naturale”, istintivo. Distintivo della “calabresità”. Mediata dal padre, probabilmente, e dai due o tre anni che passò a Vibo, con la famiglia del padre, notabile della città, nel primo dopoguerra. E con i nonni Capialbi, famiglia preminente, dai quali fu iniziato alla massoneria.
Poche ma grate memorie, nelle conversazioni con Gnoli e Merlo di “Grand Hotel Scalfari” e in altre opere della vecchiaia, fino a dichiararsi “calabrese”. Dell’infanzia a Sanremo, a scuola, ricordando che lo chiamavano “Napoli”. Perché di padre calabrese, ancorché di vocazione “continentale”, “parigina”, quale era della borghesia meridionale Fine Secolo-inizio Novecento: Pietro Scalfari finì per dirigere il Casino di Sanremo, aperto da Mussolini, dopo aver perso tutto al gioco, dopo Fiume con D’Annunzio, e dopo un paio d’anni al fronte, medaglia di bronzo nella Grande Guerra – da cui il fratello maggiore, medaglia d’argento, uscì tanto menomato da arrivare presto al suicidio. 
Calabrese si può dire per la peculiare diffidenza della politica. Lui diceva dei partiti ma in realtà della politica. Un gioco senza le fiches, nessun capitale immobilizzato, da battitore libero – in cui non si perde. Vissuto con leggerezza, da “zannella” dice il dialetto, rinviando agli antichi “zanni”, da giocherelloni. In vecchiaia lo dice lui stesso allegramente, di essere stato fascista, antifascista, liberale e radicale, socialista e antisocialista, anticomunista e comunista. Solo democristiano precisando di non essere stato, ma sempre beffardo: la campagna antisocialista fece per De Mita prima che per Berlinguer, per le banche di De Mita, le banche pubbliche, di Napoli e di Roma.
Un capolavoro, di questo speciale aspetto calabrese, fu il suo peculiare tardo “comunismo”, nella forma del berlinguerismo. Dell’erotismo, come diceva, di Berlinguer. Mentre girava per il giornale sghignazzando che “i comunisti non hanno ancora scoperto il tasso di sconto”, la potenza di Baffi dopo Carli, della Banca d’Italia, della politica monetaria.
(continua)


Sud manomorta
“Un sistema che ha prodotto una gigantesca manomorta pubblica, in assenza di qualsiasi capacità gestionale”, Alessandro Barbano può dire in “L’Inganno” la normativa e la pratica delle “misure di prevenzione” del crimine, sequestri e confische. Ai danni del Sud com’è ovvio, essendo le “misure di prevenzione”, amministrative, prefettizie, di polizia, slegate da un giudizio di colpevolezza, legate alla “mafia”: è il Sud che è mafioso, variamente ma interamente.
Manomorta è in gergo giuridico – era – l’insieme di immobili (terreni e7 fabbricati, con coltivazioni, impianti di trasformazione, macchinari, depositi, e ogni altra fonte di reddito) in proprietà a soggetti privati, inalienabili e insieme esentasse. Secondo un istituto giuridico di origine longobarda. Una sorta di dotazione a fin di bene.
L‘appropriazione della manomorta, a più riprese, dello Stato sabaudo e poi ita.liano, fu all’origine della borghesia italiana. Della sua parte improdutitva, che la connota, seppure non ne è la parte maggiore: notabilare, petulante, e un po’ mafiosa, anch’essa. Lo Stato nazionalizzò la manomorta, e la cedette, praticamente gratis, agli amici e agli amici degli amici. Nacque così la borghesia improduttiva caratteristicamente italiana, il notabilato.
Ma tutto questo avvenne soprattuto al Sud. Fu a Napoli, come già denunciava nel 1862 Pasquale Villari, e in Sicilia che la manomorta ecclesiastica fu confidata alle persone di fiducia, non necessariamente massone – Napoli lasciando, spiegava Villari, senza alcuna assistenza pubblica, che la manomorta eccelesistica assicurava, in qualche misura. Da qui l’origine della speciale borghesia meridionale, per lo più notabilare e improduttiva – e senza stamina contro i facinorosi e i violenti, i mafiosi, anzi singolarmente mite. Lo stesso si può dire, dalle cifre che Barbano accumula, e dai test-case che racconta, ora. Lo Stato toglie alla borghesia produttiva, accusandola di mafia, per salassare le aziende a vantaggio di amministratori giudiziari anche poco capaci ma molto amici, dei tribunali delle misure di prevenzione.
 
Assistenza sociale alla mafia
Graziella Crialesi lascia la Calabria, dove è nata e cresciuta, per non sottostare al maschilismo, al familismo. Va in Emilia, dove diventa campionessa italiana di sollevamento pesi e sposa uno che poi la picchia.
Ma non è la sola lezione della sua vita. Vedova del terzo marito, si trasferisce a Roma con l’ultimo figlio e rileva un bar. Lo rileva a Cinecittà Est, uno stradone prospiciente la Romanina, il quartiere dove i Casamonica sono padroni, i mafiosi rom.
È un locale che paga poco, probabilmente, uno spazio commerciale a livello strada, ricavato però tra due appartamenti. Uno a destra e uno a sinistra, assegnati dal Comune, dall’assistenza sociale, a donne sole con bambini. Assegnatarie che ospitano quantità numerose di persone. Meglio per il locale? No, perché la fauna che i due appartamenti “sociali” ospitano si serve voluttuosa al bar, pretende di non pagare, e di utilizzarne il bagno per fare le dosi, da vendere poi poco lontano.
Le prime donne che entrano vogliono, per saggiare la nuova gestione, caramelle e tè, gratis. Graziella dice no. Insulti, calci, strattoni, ma Graziella è ancora forte e si difende.
Uomini in attesa delle due donne osservano dall’altro lato della strada. Non intervengono perché Graziella intanto ha chiamato il 112. Ma sputano, giurano che bruceranno il locale, sghignazzano che Graziella non sa con chi a che fare, con i Casamonica.
Non è la prima volta dei Casamonica naturalmente, sono lì da tre generazioni almeno, se non quattro. Tra furti, droga e usura. In un’area della capitale grande più di qualsiasi città della Calabria.  Noti a tutti. Ricchi sfondati, di supercar, ville e ori. Privilegiati dall’assistenza comunale. Com’è possibile?
P.S. Pignatone, Prestipino, Lo Voi, i giudici palermitani che la “linea della palma” di Sciascia hanno portato su fino a Roma, i tre ultimi Procuratori Capo, pensano veramente che la mafia sia solo siciliana?
 
Napoli
Si celebra sempre molto, a opera di comici, cananti, registi, ma non più per la cultura, che ebbe di prim’ordine – in Italia poi, da sempre patrimonio dell’umanità. Sappiamo sempre molto dello stento illuminismo milanese, ma poco e niente di quello florido napoletano, Vico, Genovesi, Galiani, Filangieri, la lista sarebbe interminabile. O la musica, operistica e non. O l’Ottocento filosofico, che tanto contruibuì al rinnovamento dell’idea d’Italia: si celebra molto la (piccola) modernizzazione agricola introdtta da Cavour in Piemonte e nulla di Hegel in Italia, di De Sanctis e Spaventa, e più giù, fino a Labriola, Croce, Gentile, alla mediazione di Marx.
 
Si ricorda l’economista Palomba in età avanzata, a fine anni 1980, quando si discuteva di deindustrializzare Napoli, partendo dall’acciaieria. Scandalizzato dalla “supeficialità” con cui si poneva la questione. “Pensano di far vivere i napoletani con le pizze e i gelati”, commentava sconsolato, dei tanti discorsi che la città faceva sul passaggio a un’economia di servizi.
 
L'acciaieria, impianto pubblico, di Stato, era stata rinnovata nel 1985 con un investimento di 1.200 miliardi di lire. Nel 1989 fu deciso di dismetterla, e gli impianti furono svenduti per 20 miliardi alla Cina e all’India. Ma di questo Napoli non ha colpa, solo delle chiacchiere. Che ancora si fanno sui resti dell’acciaieria.
 
Curiosamente credono nella città – ne hanno convenienza – il business della moda, milanese, per l’arte incomparabile del lavoro à façon (che la “Gomorra” frimata Saviano ridocolizza), l’ex Fiat ora Stellantis, e ancora i grandi gruppi pubblici, seppure sempre meno, Finmeccanica-Leonardo, Fincantieri.
 
Si sono dimenticati Spaventa e De Sanctis totalmente anche per le celebrazioni del centocinquantenario dell’unità, a Napoli e altrove. L’ultimo ricordo dell’introduzione di Hegel e di Marx in Italia risale, scrive Fernanda Gallo, “Gli hegeliani di Napoli e il Risorgimento”, a Eugenio Garin: “Se una cosa deve dirsi dell’hegelismo italiano, e non solo dell’Ottocento, è che non si è trattato mai di un fatto accademico. Il nome di Hegel in Italia è indissolubilmente legato ai grandi eventi della storia, sia che si tratti dell’opera degli Spaventa e di De Sanctis nel Risorgimento, o di Antonio Labriola nelle battaglie socialiste; sia che si pensi alle “riforme” della dialettica hegeliana di Benedetto Croce e di Giovanni Gentile, o all’Hegel “romantico e mistico” fra le due guerre, o alla discussione del rapporto Hegel-Marx dopo la seconda guerra mondiale. Proprio perché non neutrale né accademica, la “presenza” di Hegel in Italia è stata varia secondo i momenti: diverse le vie di accesso, diverse le opere “tradotte”, discusse, assimilate”.
 
Gallo insegna all’università della Svizzera Italiana a alla Queen Mary di Londra. Garin scriveva nel 1972, “L’opera e l’eredità di Hegel”, quando Laterza ancora se ne occupava.
 
“Napoli” – si censura troppo Malaparte, nel caso “La pelle”: è uno dei pochi italiani che conosceva le lingue e più culture, aveva anche viaggiato - “è la più misteriosa città d’Europa, è la sola città del mondo antico che non sia perita come Ilio, come Ninive, come Babilonia. È la sola città del mondo che non è affondata nell’immane naufragio della civiltà antica. Napoli è una città che non è mai stata sepolta. Non è una città: è un mondo”.
Città di mare e di altura, come si sarebbe poi provato a fare per i grandi scali marittimi, a difesa dai malintenzionati, Amalfi, Genova – a differenza di Pisa, Marsiglia, Venezia.
 
Si eclissa nelle memorie dei viaggiatori dell’Ottocento, già prima dell’unità, in favore di Ercolano, Pompei, Capri, Sorrento. Risorge nel Novecento, in controluce della nascente “questione meridionale”, del Risorgimento “incompiuto” o “tradito”. Napoli è la “questione”.
 
Vive da tempo nel Pallone, molto prima del tifo quest’anno, e di Maradona. La notizia della riconquista di Napoli da parte del cardinale Ruffo, il 13 giugno 1799, arrivò a Ferdinando IV in esilio a Palermo mentre assisteva a una partita di pallone. Lo annota lui stesso nel “Diario segreto”: “Alle sei andato con i miei soliti a vedere giuocare al pallone fuori la porta di Craste, dove la partita è stata buona ed il concorso grande. Ricevuto la consolante notizia di esser entrati i realisti in Napoli”. La “notizia” viene dopo, solo “consolante”.

leuzzi@antiit.eu

La violenza delle donne, giudici e non

Bizzarra idea di Ivan Cotroneo e Monica Rametta. Di un thriller al femminile più insolente e prepotente di uno maschile – nei primi due episodi ce n’è una vagonata. E di una sostituta Procuratrice della Repubblica ricca e pazza – appare in un attico da sogno, accudita da una cameriera giovane, italiana, con la cuffietta. Come il pubblico s’immagina forse i suoi giudici?
La rivoluzione – rivolta – in partenza dai Rai 1?
Vincenzo Marra,
Sei donne, Rai 1

martedì 28 febbraio 2023

L’Europa spaventapasseri

Sembrerà bizzarro, e lo è, ma è solo in Italia che si agita l’Europa come una severa maestra di scuola, uno spauracchio, uno spaventapasseri, una severa dominatrice su un’Italia alitante frustate. Altrove, prendiamo le concessioni balneari, ognuno fa come la sua legge dice, la Spagna le dà per 90 anni, la Croazia per 105.
L’Europa correttrice è comoda invenzione dei corrispondenti a Bruxelles, una pacchia, che risolvono la giornata di lavoro con la bacchettata di questo o quel portavoce - che, si sappia, non contano nulla. Un format in uso da trent’anni, che si risolve in pochi minuti di lavoro, al giorno, il tempo di cambiare il nome del-la portavoce e la materia della sculacciata.
Una forma di farniente che i giornali s’ingegnano di trasformare in acerrima lotta politica, coi grandi titoli, con l’insistenza. Con l’esito di creare un antieuropeismo sofferente, di europeisti in cuor loro – e di perdere copie, ma questo è un altro discorso.
Si è creato così il fantasma di mr. Bolkestein, nome malignamente evocatore.  Di una “direttiva” che non ha mai detto che bisogna togliere l’attività a chi l’ha impiantata e coltivata per anni, che scemenze sono. Solo in Italia – ci hanno tentato perfino con i mercatini rionali, o Bersani, segretario del Pd… Come hanno fatto con le targhe - mentre la Germania ha orgogliosamente conservato le città capoluoghi, e anzi le ha moltiplicate. O con le aiuole spartitraffico in autostrada.
Mentre non si dice nulla, non si è detto nulla, bisogna farci caso, dell’Europa a confronto sul Superbonus, un’aberrazione, anche per i criteri di contabilità Ue. Forse perché è opera di un governo tutti d’accordo, con Pd e 5 Stelle. E questo potremmo doverlo alla cecità politica.
Ma non è solo giornalismo perverso. Il problema italiano è di volere l’Europa come “vincolo esterno”. Come correttrice della discola Italia. Che dobbiamo ultimamente alla migliore Italia, di Ciampi e Draghi, e ora di Monti – che pure è stato a Bruxelles, e dovrebbe sapere di che parla. Ma perché voler fare gli italiani degli antieuropeisti, cosa che peraltro non sono – votano alle Europee il doppio che alle Regionali?

La verità sull’ombrellone, prego

Mario Monti, sempre più nel pallone dello Stato-fisco, accusa i concessionari balneari di patrimoniale inversa – così come i condomini e tutti quelli che si sono rifatti la casa col superbonus: come chi imponesse una tassa allo Stato.
È il mal di giornalismo, che si vede contagia professori, senatori e presidenti del consiglio, nonché capipartito, di spararla grossa. Ma di che cosa si sta parlando? Di concessioni da 5-10 mila euro l’anno. Che vengono pagate allo Stato – ai Comuni: vengono pagate, non sono evase. E di un’economia di piccolo commercio-artigianato, di piccola imprenditorialità. Sono concessioni di un certo tipo, diverse da quelle petrolifere (minerarie). Come questo sono diverse da quelle delle telecomunicazioni. Più simili alle licenze-privative della tabaccheria. E comunque onerose.
Le concessioni balneari sono circa 104 mila. Sulle quali sono sorti poco più di 6 mila stabilimenti balneari fissi.
Un terzo di tutte le concessioni, 20.500, sono in Liguria, per circa 380 km. di costa. Un quarto in Emilia-Romagna, 15.500, per 130 km. di costa. Quasi niente in Sicilia, meno di 500 concessioni per un’isola che ha 1.640 km. di costa – i turisti-bagnanti vanno a mare con l’ombrellone proprio, magari sporcano o deturpano ma senza pagare dazio, è demanio. Dodici volte di più per la Calabria,  6 mila concessioni, per 800 km..
Ora, che cos’è questa direttiva Ue che il prof.-sen.-pdc. Monti evoca e invoca? Qualcosa per azzerare l’avviamento a 20 mila famiglie, nella sola Liguria, o per espropriarle? Perché di questo si tratta, la Ue non c’entra: Monti, come già Draghi, Ciampi e Bersani vogliono una “liberalizzazione” per sé, come un totem, incuranti delle conseguenze: hanno deformato l’Italia dei servizi. Impoverendo milioni di famiglie a cui hanno annientato l’avviamento, e favorendo la grande distribuzione, con grandi spese pubbliche anche, per allacciamenti stradali e autostradali, svincoli, parcheggi - e le banche: tutta l’economia è ora bancaria, dalla pensione sociale in su, e chi paga? Sotto le bandiere dell’Europa e del liberalismo, che invece tradiscono scioccamente.

Problemi di base democratici

spock


Dopo Fedez Schlein?

Una maggioranza di non iscritti al Pdi elegge a segretaria del Pd uan non iscristta al Pd?
 
Il partito è partito, telegraficamente?
 
Per dove?
 
“Nessuno capisce il mondo in cui viviamo, ma alcuni se la cavano un po’ meglio”, Richard P. Feynman?
 
spock@antiit.eu

Sherlock Holmes in nuce

Il signor John Smith, cinquantenne, bloccato a letto per una settimana, da gotta e reumatismi, consigliato dal medico passerà il tempo scrivendo. Di ciò che gli passa per la testa. È un personaggio anonimo, con una vita anonima, non sappiamo nemmeno di che vive, ma ha molte idee su molte cose, specie di letteratura, e se le racconta a ruota libera.
Un esercizio, si direbbe oggi, di autofiction. Ma è piuttosto una divagazione alla Sterne – uno dei pochi autori che la “Narrativa” non cita. Di politica, della Germania, delle Piramidi, della biblioteca, della letteratura, di tutto. Di sé non avendo nulla da dire, giovane medico, venticinquenne, alla prima condotta, a Southsea, sobborgo di Portsmouth, a metà del 1882, un estraneo, con pochi mezzi, e con pochi pazienti – è due anni più tardi che potrà riferire con orgoglio alla madre di accudire “cento famiglie” e di fare consulenza una società di assicurazioni, la Gresham Life.”
Un esercizio in minimalismo, sulla professione di scrittore, se tema si vuole individuare. Verso la metà del racconto riflette anche sul suo stato “narrativo”, di personaggio cioè. Sempre su consiglio del medico, che ammonisce contro il “dolce far niente”, già allora italiano, e non esclude la circolazione inavvertita di “muti ingloriosi Milton”, per dirla con Thomas Gray, “Elegia in un cimitero campestre”. Anche se, ammonisce, scrivere è fatica: “I migliori scrittori e più di successo sembrano trovare l’avvio di un nuovo lavoro uno sforzo penoso. Carlyle parla di tornare alla scrittura non come un guerriero che va al campo di battaglia, ma come uno schiavo risospinto al suo compito”.
Insomma, Conan Doyle giovane di belle speranze si parla doppiamente, come medico e come autore, e autorevolmente. Prima ancora del successo, prima ancora anzi di sapere se sarebbe stato pubblicato, faceva i conti con la critica malevola, i “mosconi”. È irresistibile, una tentazione, argomenta subito, alle prime pagine: “Una persona abbia cinquanta delle più nobili virtù e un solo piccolo vizio, incontinente il critico moscone si avventerà su questo” – “Addison era uno stimabile uomo di buon cuore - «ma un ubriacone», ronza il moscone. Burns era generoso e di mente nobile - «ma un dissoluto» ronza il moscone. Coleridge ci ha lasciato parole che respirano l’intimo spirito della virtù - «Oppio! Oppio!» sussurra il moscone”. Su Carlyle, celebratore degli eroi, ritorna spesso, “il san Tommaso di Chelsea” - santo per essere stato ferito da indiscrezioni e malevolenze dopo la morte: “Di tutti i tristi casi letterari”, creati dai “mosconi della letteratura”, “gli attacchi alla memoria del grand’uomo quando la terra era ancora fresca sulla sua tomba fu uno per me i più destabilizzanti”. Inedito, già si vedeva crocefisso.
Del tutto inedito Conan Doyle non era, aveva pubblicato versi e racconti su riviste sparse, anche di nome, ma senza guadagno, e anonimi o con pseudonimi. Il primo racconto di un certo successo, anonimo, era stato attribuito a Stevenson. Anche come medico, non era alle prime armi. Aveva lavorato per il dott. Reginald Radcliffe Hoare a Birmingham, il suo “secondo padre”. E già prima, dopo una sorta di laurea breve, aveva fatto il medico di bordo per sei mesi, da febbraio ad agosto 1880, su una baleniera, la “Hope” – una sorta di rito di passaggio, dirà di questa esperienza nelle “Memorie”. Prima di stabilirsi a Southsea aveva fatto il medico di bordo sulla nave passeggeri “Mayumba”, sulla rotta dell’Africa Occidentale, un viaggio che gli costò una quasi fatale febbre tropicale.
Si direbbe un antiromanzo, senza il contesto biografico, questa prima opera di un giovane medico che sarà poligrafo instancabile, soprattutto di romanzi, di ogni genere, oltre che di Sherlock Holmes. Un primo romanzo di cui le poste si perdettero il manoscritto. E Conan Doyle determinato riscrisse. Romanzo “fantasma” nella edizione curata da Masolino D’Amico (Il Saggiatore), un po’ perché romanzo del niente, ma soprattutto perché andato perduto. E, riscritto, ha dovto aspettare 128 anni per essere pubbicato, il 2011 – Conan Doyle non lo completò, e sebbene lo ricordasse lo aveva riposto.
Un racconto di digressioni con l’avvertenza che le digressioni non aiutano: “È tanto impertinente quanto inartistico per un romanziere vagare lontano dalla sua storia per darci le sue opinioni su questo o quell’argomento”. Anzi, il debuttante dottorino sa il segreto, semplice, del romanzo di successo: “No, il segreto di un romanzo è l’intreccio”. Non lo pubblicò perché senza intreccio?
Sulla scia di Sterne, all’evidenza incoscia, questo racconto come viene è un esercizio triplamente post-moderno. Dell’autore che s’impersona. Sdoppiandosi. Per non mettere in scena nessun romanzo. Questo per duecento pagine di romanzo. Nel mezzo, in poche righe, la quintessenza della “scrittura”: “Il nostro autore ha la meglio nella grammatica e nella finitura, ma gli appunti del reporter fanno una narrativa più vivida”. Come sarà di Sherlock Holmes, buttato giù come viene. Non c’è il morto, ma c’è già Sherlock Holmes. Anche la distribuzione è già di Sherlock Holmes: interlocutori della narrativa sono sopratuttto il dottore, e la padrona di casa – la triade di Baker Street. La sola differenza è che qui la padrona di casa, Mrs. Burns, è “prosperosa, timorosa”. In linea con la difesa appena fatta da John Smith del corpo, del corpo umano, “indebitamente snobbato e diffamato da ecclesiastici e teologi”.
Arthur Conan Doyle, La storia di John Smith, Castelvecchi, pp. 256 16
Romanzo fantasma
, Il Saggiatore, pp. 208 € 20 


lunedì 27 febbraio 2023

Ombre - 656

Una maggioranza di non iscritti al Pd che elegge a segretario una non iscritta al Pd sembra un controsenso e lo è. È la politica fluida o liquida, ma allora perché un partito Democratico, con sedi, circoli, finanziamenti pubblici?

Marcello Minenna: “L’economia russa appesa al filo cinese”. Perché, l’Unione Europea - vedi la Germania - no? E gli stessi Stati Uniti, che fanno la faccia feroce, spendendo miliardi?
 
“Dalla famiglia al lavoro, parte il nuovo processo civile”. Come non detto, chi segue i tg o legge il giornale non lo sa, deve leggere “Il Sole 24 Ore” per scoprilo. C’è Maurizio Costanzo dopo Sanremo, paginate. E ci sono i balneari, oh scandalo. Ma chi fa i giornali? Per chi?
 
“In Italia, senza la mano pubblica, la struttura industriale del venture capital funziona poco”. Vittoria Gozzi, titolare di Wylab, un incubatore per investimenti in area sportiva, dice la verità. Contro la vulgata del mercato e del rischio. Perché non prendere atto che l’Italia non è l’America, che l’economia italiana ha un certo assetto? Non sono bastati i fallimenti delle “grandi liberalizzazioni (Ciampi, Draghi, Bersani)? Con un aumento colossale del costo dei servizi, e un imbarbarimento della qualità.
 
Paginate di “balneari”. Di minacce della Ue, di “politiche di scambio” (Mario Monti, niente di meno). Si dice che l’Italia è un paese poco serio. E se lo fossero i suoi giornali, che per questo nessuno più compra?
 
E  dire che né il,Pd né i 5 Stelle, al governo con Conte e Draghi, hano voluto cancellare le cocessioni-… balneari.
 
Cospito è uno con l’istinto killer, ma non da 41.bis, non può intorbidare niente che non abbia già intorbidato. Il governo, per quanto di destra, se ne libererebbe, ma i giudici no. Persino la Cassazione dice che deve stare in isolamento. Dopo nove ore di consiglio. Sembra che i giudici applichino le leggi contro le leggi stesse. Ma i giudici non sono stupidi – di Cassazione poi, meta di un’ardua ascesa. 
 
La sottosegretaria alla Difesa Rauti, tanto nome, imbraccia un mitra che pesa il doppio di lei, per farsi fotografare e poi sminuisce: “Ero allo stand Beretta alla fiera di Abu Dhabi”. Faceva la hostess? Il vice-ministro Bignami che va alla festa di celibato vestito da camicia bruna nazista, di tutto punto, e si fa fotografare. Il fratello La Russa che si esibisce nel saluto romano. È chiaro che molti politici sono nostalgici o dialogano con elettori fascisti. Che dunque ci sono, e sono al governo. Meloni centrista è - sarebbe – un miracolo.
 
“In Ama”, la municipalizzata romana della nettezza urbana, “su 7.500 persone oltre duemila sono inidonei”, spiega il presidente dell’azienda, Pace. Come non detto. “In un mese abbiamo rimosso 21 dipendenti, una decina perché hanno cumulato tra i 60 e i 90 giorni di assenze ingiustificate”. Cioè, si può andare a lavorare quando si vuole. Un’utopia realizzata.
 
Si vede Dybala giocare contro il Salisburgo, benché acciaccato, così ordinato, applicato, decisivo, e ci si chiede perché la Juventus lo abbia regalato alla Roma. Rimettendoci anche, qualche decina di milioni. Per fare spazio ad altri acquisti, ad altri “affari” con procuratori e bilanci?
 
Undici dei venti club di calcio più ricchi al mondo sono inglesi. Di proprietà degli sceicchi del petrolio. Nel “mercato di riparazione” qualche settimana fa la Premier ha speso 829 milioni di euro, la Serie A 32. Ma c’è calcio fuori dell’Inghilterra. Quello inglese serve per gli sceicchi arabi, e per qualche oligarca russo o ucraino, in cerca di rispettabilità nella “mafia” inglese. Il calcio è altrove.
 
In effetti, a Strasburgo se non a Bruxelles, qualche sospetto la Ue lo solleva. Con l’obbligo del passaggio all’auto elettrica entro dodici anni. In modo da distruggere l’industria della componentistica, che è europea, e prevalentemente italiana, e favorire quella cinese e americana – il business delle batterie. Prodi aveva ragione sul “Messaggero”. Qualcosa di marcio c’è, i giudici belgi dovrebbero indagare più a fondo.
 
Ma forse è solo incapacità. L’Europa era – è - forte nella componentistica tradizionale e anche nella ricerca alternativa all’auto elettrica: biocarburanti e idrogeno. Più promettenti dell’auto elettrica, che un solo vantaggio, la moltiplicazione dell’utile unitario per le case automobilistiche. E non riduce l’inquinamento, implicando un eccessivo consumo\km, cioè troppa elettricità per unità di percorso, una eccessiva produzione di elettricità, e un costo enorme di smaltimento delle batterie esauste.

Debutto col botto per il giovane Nanni

Un figlio assennato, di madre scema, è risucchiato dalla follia del padre quando questi si rompe un braccio e non può lavorare. Dal maneggio che il padre possiede, dove non ha quasi più praticanti. Ha però avuto in regalo un puledro di razza, renitente alla sella, di cui nella sua ritornante megalomania vuole fare un campione di cross-country. Il figlio accetta di aiutarlo per i pochi giorni che ha preso di vacanza. 
Un rapporto padre-figlio, alla fine, che in qualche modo si ricuce. Promette di più nello svolgimento. Ha gli ingredienti di un film di Clint Eastwood in età: un Rossi Stuart-Eastwood, filosofico, il maneggio ai Pratoni del Vivaro a Roma, il cross-country al centro ippico dei Lancieri di Montebello, il figlio equilibrato, edile-acrobata di mestiere. Una sceneggiatura affollata, o il montaggio, diluiscono l’effetto. Ma un Saul Nanni in stato di grazia, benché al debutto al cinema, salva il racconto.
Kim Rossi Stuart, Brado, Sky Cinema

domenica 26 febbraio 2023

Stati Uniti da federatore esterno a prim’attore europeo

Biden decide le sanzioni contro la Russia, la qualità, i tempi, i modi, stanzia periodicamente quanto è necessario per la difesa dell’Ucraina, in una riedizione di fatto del Lend-Lease Agreement che nel 1940 salvò l’Inghilterra da Hitler, afferma a Kiev solenne questo l’impegno a oltranza in difesa dell’Ucraina, dice no senza aprirla al tentativo cinese per l’apertura di un negoziato. La Nato seguirà. In una guerra che vede al fronte l’Europa.
Questo ruolo autonomo e prevalente nella guerra russo-ucraina segna una decisa revisione delle strategie degli Stati Uniti. Che per molti decenni, nella guerra fredda con Mosca e poi, sono stati assertori primi e più forti di una difesa europea, di una forza armata europea integrata.
Gli Stati Uniti superarono rapidamente le perplessità iniziali sulla Ced, il progetto di Comunità europea di difesa, espresse dall’alto commissario americano per la Germania John McCloy. McCloy, che aveva opposto con successo il piano Morgenthau, di distruzione del patrimonio industriale tedesco, e in Germania aveva facilitato la riabilitazione dei Krupp e di molti altri personaggi eminenti, vedeva con preoccupazione il riarmo della Germania, seppure nel quadro di una comunità europea., previsto dal progetto Ced. Ma su questo punto non fu seguito dal suo governo.
“La guerra di Corea”, commentava Altiero Spinelli nell'ottobre 1950 (11), “ha avuto come prima conseguenza che il problema della difesa dell’Europa occidentale è divenuto attualissimo”. Europe first è la parola d’ordine, rilevava Spinelli, e in questo ambito gli Stati Uniti hanno ripreso “l’idea che circola sulla stampa europea di un esercito sopranazionale, il quale permetterebbe un’organizzazione unitaria della difesa ed eviterebbe la ricostruzione di un vero e proprio esercito tedesco”. Con l’effetto paradossale, notava, che gli Stati Uniti d’Europa si faranno di là dall’Atlantico, mentre di qua si agitano “gli Stati Disuniti”, che applaudono ma si frappongono le “reciproche diffidenze e paure”.
Fu quello che avvenne quattro anni dopo, col rigetto del Parlamento rancese, a Ferragosto del 1954, di un primo progetto di comunità europea, centrato sulla difesa – progetto peraltro francese, del governo socialista Pleven, 1950, col sostegno di De Gasperi. E il campo è stato per sempre abbandonato.
Gli Stati Uniti assunsero direttamente la difesa dell’Europa, con le basi militari. Trascinando sempre più stancamente la polemica per il relativo disimpegno militare europeo. Ma pur sempre in colloquio con i governi di qua dell’Atlantico – perfino con il genera le De Gaulle, allergico agli “anglosaxons”. Le pressioni sono durate fino alla presidenza Trump. Ora gli Stati Uniti decidono autonomamente.

Le parole di Dio di Alda la folle

“Le donne hanno pantagruelico il ventre…” (“Che tu venga preso dalle Erinni”). Poesie dimenticate di Alda Merini, solo apparentemente di getto, come si opina della poetessa alla sua terza età tanto prolifica. La disinvoltura nascondeva, oltre la vicenda personale (i tanti ricoveri in manicomio, la vita povera ai Navigli quando erano poveri), studio e applicazione. Da sempre innamorata a perdere. Fino alla remissione, da ultimo, al Signore – anche qui. Con arguzia – “Dei miei trenta amatori\ che io vorrei denunciare\ ne manca uno\ che forse non è mai esistito”. E crociata delle donne, madri, prigioniere – o portinaie, cattive.    
Un libro degli amici, di amore, affetto, riconoscenza, sofferenza, i temi ricorrenti di Alda Merini, in versi che scolpiscono. Per David Maria Turoldo, “una roccia”, Michele (Pierri, secondo marito), “eravamo due spettri di canto”, il maestro Giulini, “diventava la musica un vetro di Murano”, Vanni (Scheiwiller) ripetutamente, “padre giovane”, Rebora, Volponi, padre Marco, Alina Scheiwiller, il primo marito Ettore Carniti, perfino Renato Curcio. E Titano, barbone ai Navigli, l’ultima fiamma. Con alcuni “sassolini”, per Einaudi, Cerati, la psichiatra Marcella Rizzo.
Con una plaquette finale per Alberto Casiraghy, personaggio eccezionale di stampatore-editore, dei “pulcino-elefante”, disegnatore, epigrammista. L’amico più stretto e riservato di Alda Merini resuscitata, suo confidente giornaliero, che ha ritrovato gli inediti in vecchi scatoloni e ne cura una scelta. Con una presentazione breve quanto succosa, “io sono l’elefante e lui il pulcino”. “La prima volta che andai nella sua casa sui Navigli volevo chiederle di darmi un aforisma: io l’avrei stampato in venti-trenta copie e poi le avrei portato metà della tiratura. Mi accolse diffidente: c’era chi tentava di approfittarsi di lei, della sua generosità”. Scheiwiller garantisce. Una consuetudine d’incontri settimanali si stabilisce, e di telefonate quotidiane, “dieci, venti, anche trenta volte” al giorno, con dettatura di versi e aforismi. E ogni sabato un “Pulcino”, le mini-pubblicazioni di Casiraghy: “Ogni sabato mattina prendevo il treno da Osnago per Milano e andavo a trovarla. Le portavo le uova fresche delle mie galline e poi passeggiavamo…. Ogni sabato le portavo il Pulcino con il testo che mi aveva dettato la settimana precedente… Alda utilizzava quei librini come merce di scambio, e li barattava con il farmacista, il panettiere, in rosticceria; ma soprattutto li regalava, perché ad Alda piaceva fare regali”. Le piaceva anche “incontrare persone”, Vanni Scheiwiller, Roberto Cerati, e tanti altri. “Era inquieta, creativa, una immensa montagna con ai piedi un precipizio, era Mozart”. Applicata: dei suoi versi “diceva che era Dio a mandarle quelle parole”, nella tradizione, si può aggiungere, degli illustri folli, Hölderlin Celan, Nerval, Nietzsche naturalmente, “in realtà ci lavorava, ci tornava su, tagliava, aggiustava, accettava le correzioni – e quante gliene faceva Maria Corti…” – “Pensa, hanno creato un mito\ sulla tua infelicità\ è una bugia lo so\ ma è quella che ti rafforza”.
Alda Merini, Ogni volta che ti vedo fiorire, Manni, pp. Pp. 115, il. € 15