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sabato 12 settembre 2020

Il mondo com'è (409)

astolfo

Francesco Misiano – Un Misiano è condannato (provvisoriamente) a Varese per ‘ndrangheta. È inevitabile per un calabrese che faccia politica fuori, c’è sempre un parente vicino o lontano con carichi pendenti che l’opposizione possa far valere. Ma il Misiano di Varese-Malpensa è di Fratelli d’Italia, mentre Misiano ricorre in Calabria a sinistra, anche estrema. Sull’orma di Francesco  Misiano, socialista, fondatore del partito Comunista d’Italia, e poi da Mosca anima del Comintern,  la Terza Internazionale, 1913-1943, quella di Stalin per intendersi. A capo dell’attivissima sezione Propaganda, in anni di successi, 1920-1930, sotto la supervisione di Willi Münzenberg: Misiano è il suo braccio destro soprattutto per il cinema, e quindi a contatto con le stelle russe ma anche americane. 
Nativo di Ardore in provincia di Reggio Calabria, fu presto socialista, a Napoli, dove si era trasferito da impiegato delle Ferrovie. Dapprima massone, poi socialista non più massone. Richiamato in guerra, benché in età, era nato del 1884, si diede disertore. Rifugiandosi in Svizzera (a Zurigo incontra un altro calabrese celebre disertore, l’ingegnere e poeta Bruno Misefari, l’“Anarchico di Calabria”). Fermato anche in Svizzera, su richiesta italiana, si diresse in Russia, non ancora sovietizzata. Nel viaggio fece tappa a Monaco di Baviera, dove si legò al movimento della Lega di Spartaco – per essa fece propaganda tra i prigionieri di guerra italiani.

Riemerge a Belino a fine guerra, a fine 1918 nella fallita Novemberrevolution di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, il movimento degli spartachisti. Distinguendosi ai primi di gennaio 1919 nella difesa per sei giorni della sede del giornale socialista “Vorwärts” assediata dai Freikorps, i gruppi paramilitari di destra. Arrestato di nuovo, per sovversivismo, fu condannato a dieci mesi, rinchiuso nel carcere di Moabit. Ma riebbe la libertà per l’intervento del partito Socialista italiano.
A novembre del 1919 il Psi lo candidò a Napoli e Torino, dove nel 1914 si era recato da Napoli per svolgervi attività sindacale. Fu eletto in entrambi i collegi. Nelle due città sarà ricandidato dal Pcd’I nell’elezione del maggio 1921, risultando eletto a Torino, mentre a Napoli il Pcd’I non superò lo sbarramento. Nell’agosto 1920 era stato a Fiume, al fianco della “classe operaia fiumana” contro D’Annunzio, che lo aveva fatto oggetto di un bando di proscrizione, pena la morte.
Al XVIImo congresso del partito Socialista era stato per la scissione, e alla fondazione del Pcd’I  venne nominato al Comitato Centrale in rappresentanza dei massimalisti, quindi candidato parlamentare nelle due circoscrizioni chiave dell’operaismo, Napoli e Torino.
A  fine 1921, bersaglio dei fascisti come simbolo del disfattismo in guerra e nell’azione politica, e dopo la condanna a dieci anni del Tribunale di Palermo per diserzione in guerra, perse il mandato parlamentare e si rifugiò a Berlino e poi in Urss, lavorando al Comintern. Quindi al Comitato internazionale di Soccorso all’Unione Sovietica, preliminare al Soccorso Operaio Internazionale, Soi, fondato a Berlino il 12 agosto 1921 da Willi Münzenberg. Che presto si trasformò, da organismo di aiuto alle popolazioni russe in organismo di soccorso alle lotte operaie fuori dall’Urss, agli scioperi, alle manifestazioni. Con molte pubblicazioni, anche di grande diffusione, molti film, convegni, proteste. Un’organizzazione complessa della Terza Internazionale o Comintern. la più, “internazionalista” di tutte: riuscì a mobilitare il consenso di una vastissima élite intellettuale in Occidente, Rolland, Barbusse, Dos Passos, Upton Sinclair, Freud, Nehru, e i tantissimi tedeschi anti-Hitler – eccetto Thomas Mann. Willi Münzenberg lo fa prima direttore e poi presidente della Mezrabpom-Rus, la più importante casa di produzione cinematografica sovietica degli anni 1920. Attivissima, con decine di film storici, sentimentali, comici, di fantascienza (il primissinìmo, “Aelita”, 1924, di Serghej Protozanov, uno dei creatori della stessa Mezrabpom-Rus, nello stesso 1924)), il primo sonoro russo, “Il cammino verso la vita”, di Nikolaj Ekk, i capolavori di Pudovkin, “La madre”, “La fine di San Pietroburgo”, “Tempesta sull’Asia”. Con una rappresentanza a Berlino, la Prometheus Film Ag, casa di produzione e di distribuzione - e uffici a Düsseldorf, Amburgo, Monaco e Lipsia. A Berlino Misiano produce il cinema proletario tedesco, di Brecht, Joris Ivens, Piel Jutzi, mentre distribuisce il cinema sovietico – il 29 aprile 1926 organizza la prima mondiale della “Corazzata Potemkin” di Ejzenstein.
Nell’ambiente semilibero creato nei primi anni 1920 dalla Nep, la Nuova Economia Politica, specialmente aperto – come ora avviene nella Cina comunista -  con gli Usa, Misiano riuscì perfino a “fare un film” con Mary Pickford all’apice del successo: la invitò in Unione Sovietica nel luglio 1926, lei, “la fidanzata d’America”, con Douglas Fairbanks jr. “ambasciatore di Hollywood nel mondo”, facendo seguire la coppia da uno stuolo di cineoperatori, nel delirio del pubblico, le cui riprese non finirono nei cinegiornali ma nel film, un po’ rubato, “Il Bacio (di Mary Pickford)”, di Serghej Komarov.
Dopo il 1933 Misiano rinforzò la sua casa di produzione con i fuoriusciti tedeschi, Erwin Piscator, Hans Richter, Bèla Balàzs. Ma presto morì, a Ferragosto del 1936, quando Stalin scatenava le grandi “purghe” della dirigenza sovietica, di 52 anni.
Nel 1927-28 aveva diretto la rivista “Faschismus”, che si pubblicava a Berlino e Francoforte, con lo pseudonimo Martino. In contatto fra i tanti intellettuali anche con Nitti, eletto “compagno di viaggio”. In movimento continuo fra Germania, Belgio, Francia, Olanda, Inghilterra, per cerimonie antifasciste e promozioni commercial-politiche. In rapporti sempre combattivi col partito italiano, ma ospitale con i fuoriusciti a Mosca - finché gli stranieri, benché compagni, non vennero in sospetto a Mosca. Sempre legato alle vicende italiane, nei primi anni 1920, con Terracini e altri corrispondenti. Ma con difficoltà. Nel 1922 aveva accompagnato un convoglio italiano di aiuti umanitari agli affamati del Volga, a Tsarytsin (Stalingrado). Per tale accompagnamento fu poi  processato da Pcd’I, come profittatore a vantaggio dei fuoriusciti italiani a spese dei russi affamati. La commissione d’inchiesta (Terracini, Tasca, Grieco) lo riterrà responsabile del disordine organizzativo della missione a Tasrytsin. La sentenza del Pcd’I, trasmessa a Mosca e al Soi, non ebbe effetto, Münzenberg ne fece anzi il suo braccio destro, sempre lodandolo presso i centri politici, in pratica il suo sostituto. Il partito italiano non mancò naturalmente, poco prima della morte, in obbedienza a Stalin, di accusarlo  di “trockismo”, inquisitore il solito Grieco dei tanti guai di Gramsci.
Misiano morirà classificato tra gli “antipartito”, dopo una dura serie di condanne politiche per due lunghi anni. Poco prima di morire arriverà,  protestandosi buon comunista col capo dell’Internazionale Dimitrov, a proporsi, in segno della sua buonafede, come inviato dell’Internazionale in Abissinia, contro gli italiani.
La sua memoria è del tutto trascurata. Ricordato in Germania per i suoi interventi a favore degli oppositori a Hitler, ma da subito trascurato dal movimento comunista. Per il partito Comunista italiano solo molti mesi dopo la morte uscì un necrologio su “Il Grido del popolo”, 10 aprile 1937, scritto da Giuseppe Berti su sollecitazione di Togliatti – in cui non si faceva menzione del suo lavoro al Soi. Nel dopoguerra furono vane le sollecitazioni al Pci della vedova Maria e delle figlie Carolina e Ornella. La memoria di Misiano riemerse solo a opera di Helmut Liebknecht, il figlio di Karl, emigrato nell’Urss, e di Juri Friedman, un vecchio collaboratore del Soi sfuggito alle purghe moscovite, ai quali si sono dovute. negli anni 1960. le sole testimonianze su Misiano - lamentando peraltro la “assenza di qualsiasi ricerca storica sulla sua figura”.
In Italia lo aveva ricordato solo Mario La Cava, lo scrittore di Bovalino a 5 km da Ardore, ne “I fatti di Casignana”. Lo ricorderà Spriano di sfuggita nella “Storia del Pci”, e poi nient’altro. Se si eccettua, nel 1972, la biografia agiografica di Franca Pieroni Bortolotti, “Francesco Misiano. Vita di un internazionalista”, Editori Riuniti. E nel 1996 l’intervento di Claudio Natoli, “Francesco Misiano e il Soccorso Operaio Internazionale”, al convegno “Tra Berlino e  Mosca. Francesco Misiano, l’italiano che inventò il cinema di Soviet”, organizzato dall’Elart e dal Goethe Institut Roma, 11 novembre 1996. Ha ora una lunga voce nel “Dizionario biografico degli Italiani” della Treccani, al volume 75, scritta da Giuseppe Masi.

astolfo@antiit.eu

La sanità pubblica privata

Candidato del Pd in Puglia, l’epidemiologo Lopalco accusa la Lega: “La ripresa dei contagi è anche l’effetto della propaganda scriteriata di alcune forze politiche del Nord, che il virus non esiste e quindi possiamo tornare a curarci nelle cliniche del Nord”. Però è vero, la Lombardia –  le “cliniche del Nord” sono lombarde – ha un sistema sanitario profit, pro cliniche private. Alcune perfino elevate a ospedali di alta specializzazione e policlinici universitari, dove però non si studia.
“Per alcune regioni del Nord la sanità non è un servizio ma un mercato”, insiste Lopalco. Questo è più vero. Anche per il servizio pubblico: dal Pronto Soccorso all’accettazione alla corsia, c’è di programma, volutamente quindi, una prestazione insoddisfacente (ritardi, rinvii, diagnosi incerte) che invita a fare il percorso a pagamento – magari nella stessa struttura pubblica. A pagamento immediato invece che in attesa dei rimborsi delle Asl – qui forse non incide l’ideologia del mercato ma la miseria del pubblico. Delle Asl ultima roccaforte del sottogoverno politico, che si regola sul potere, corruzione compresa, e non con l’efficienza. Il manager sanitario pubblico è ancora da inventare, dopo 42 anni di Sistema sanitario nazionale.

Campanella don Chisciotte e poeta del mondo unito

Centocinquanta pagine brevi di testi, assortite da una cinquantina di succosi dati e aneddoti, con l’introduzione del curatore. Una scelta diversa, nel mare magnum degli scritti campanelliani, con alcune pagine allora inedite dal “Senso delle cose”, trattazione privilegiata, e dall’“Epilogo Magno”.
Alvaro non è specialmente lettore di Campanella, dopo questa antologia non se ne conoscono altri scritti sul frate. Ma come per ogni cosa si applica, e come sempre mostra fiuto e intelligenza, colta. Di Campanella, per quanto incarico occasionale, è andato perfino a riscontrare la memoria nei luoghi di origine, Stilo e la concorrente Stignano, sul presupposto che era “figlio della comunità monastica e figlio del popolo”, trovandocela. Di un tipo particolare, che scopre corrispondere all’immagine persistente del frate, di veggente combattente: “Uomini siffatti a contatto con la cultura diventano smisurati in tutto, e credono alle idee assolute”. Dote e stimmata, si direbbe, dell’autodidattismo, col quale Campanella sostanzialmente crebbe: di studi regolari ma senza ambiente culturale di riferimento - Alvaro stesso mette in rilievo che il Fenomeno Galileo, col quale spesso confronta il frate calabrese, culminava secoli di civiltà condivisa.
“Campanella era un uomo ingombrante” è l’esordio: troppo innovatore ma “troppo acutamente malato del male del suo secolo”, il rigetto della modernità. “Alla chiesa della Controriforma prestò più di un’arma”. Al tempo di “un Galileo”, appunto, che però egli difese, “e di un Torricelli”, un secolo dopo Machiavelli. Ma rivoluzionario nell’animo. Nel progetto di Monarchia Universale – ultimo assertore della “Astraea” di Frances Yates – della “Città del Sole”. E nelle stesse variegate proposte che partorì per papi, cardinali, principi e ogni altro che potesse giovargli nei lunghissimi ventisette anni di carcere duro: aumentare le rendite del Regno di Napoli con beneficio dei sudditi, convertire senza violenza le Indie occidentali e orientali, come andare a cavallo senza fatica, come navigare senza remi e senza vento, e naturalmente il morto perpetuo.
Un fanfarone? No, è frate colto e perfino dotto. Buontempone per sopravvivere alla galera. E insopprimibilmente innovatore – anche nei suoi contributi, nota acuto Alvaro, alla Controriforma. Giusto un po’ don Chisciotte dal vero, prima di quello poi classico. Non senza senno politico. Un secolo dopo Machiavelli, che aveva bene avvertito la novità dell’epoca, la costituzione degli Stati nazionali. “Campanella” invece “appartiene al ceppo popolare degli apostoli”, per i quali l’etica conta e non il potere: “Machiavelli fa della psicologia esatta, Campanella è la fede armata” - “Egli seguita a credere nell’avvento del Regno di Dio fino alla fine della sua vita, nei dieci anni più fecondi sogna ancora, traccia su questo un’etica, una visione del mondo, una poesia”.    
È la riedizione dell’antologia curata da Alvaro nel 1935, per la collana, piena di grandi titoli, di Ugo Ojetti, “Le più belle pagine degli scrittori italiani scelte da scrittori viventi”. Di una quindicina di anni fa, quando la Fondazione Alvaro era ben attiva, non sommersa da Duisburg e San Luca.

Corrado Alvaro (a cura di), Le più belle pagine di Tommaso Campanella, Ristampa anastatica a cura della Fondazione Corrado Alvaro, pp. 212 s.i.p.

giovedì 10 settembre 2020

Problemi di base democrat - 594

spock

Conte for Democrat: la ciliegina sulla torta, o alla frutta??
 
Di che si vergogna il Pd?
 
Perché il Pd non ha nessuno oltre (meglio di) Conte?
 
Ma chi è Conte, cosa ha fatto, cosa ha detto, cosa ha scritto, da quale partito viene, chi lo ha voluto?
 
C’è Conte e non c’è nessun altro?
 
Hanno fatto il deserto e lo chiamano politica?

spock@antiit.eu

La porta magica della lettura

Una scorrevole e brillante rivendicazione da bookworm, il bibliomane appassionato, con letture anche travolgenti, ma trascurata. Tra le opere di Conan Doyle e nel parterre eletto dei bibliofili – Conan Doyle è troppe cose?
Tutti darebbero tutto, così si introduce, per spendere un’ora o un minuto con Shakespeare, quando ce l’hanno, tutto e di più, a portata di mano sullo scaffale. Subito dopo è la volta di Macaulay, dei “Saggi”- che hanno accompagnato l’adolescenza dello scrittore, e il suo imbarco, da studente di medicina promosso medico di broso, su una baleniera - e della “Storia d’Inghilterra”, e uno ha solo voglia di leggere, o rileggere, Macaulay. Segue Walter Scott, “Ivanhoe”, “Rob Roy” e il resto.
Note non trascendentali, ma di entusiasmo contagioso. Per letture che CD fa intendere genuine, attraenti. Boswell, “La vita di Johnson” naturalmente. Prima e dopo la quale però tanta povertà, letteraria e politica, benché l’uomo fosse “un grande parlatore”. Gibbon. E Samuel Pepys. Per dire l’inconsistenza della “autobiografa britannica”: “Nessuna autobiografia britannica è mai stata franca, e di conseguenza nessuna autobiografia britannica è buona”. Lo “stranissimo uomo, bigotto, prevenuto, ostinato, incline alla depressione” George Borrow – sopravvive in questo che è il più lungo dei saggi di Conan Doyle. E, sempre sulla scia di Macaulay, i grandi cronisti francesi, Froissart, Monstrelet, Commynes.

Poi i concorrenti Poe, Stevenson, un genio, tutto un capitolo, per concludere, Kipling. E letture varie:  Maupassant, Ambrose Bierce, molto Meredith, Hawthorne. In filigrana Sterne, “Tristram Shandy”, mai affrontati direttamente. Napoleone in cattività, e le sue guerre. Molti contemporanei caduti nel dimenticatoio, come è inevitabile per i contemporaneisti.  
Pubblicato a puntate nel 1907, per sfruttare il successo di Sherlock Holmes, il libro si basa sui articoli scritti e pubblicati nel 1994, sul periodico inglese “Great Thought”, e in America nei giornali sindycated con l’Associated Press, tra essi il “Philadelphia Inquirer”.
Arthur Conan Doyle, Through the magic door, Hardpress, pp. 90 €
free online

mercoledì 9 settembre 2020

Cronache dell’altro mondo - 71

Alla Columbia University hanno tentato di far rimuovere le “Metamorfosi” di Ovidio dai piani di studio: un gruppo di studentesse che si se ne sentono molestate.
In molte università si contestano le trattazioni di temi o problemi sessuali, in opere letterarie o altrimenti materia di studio, risentite come “molestie” dalle studentesse.
Per la stessa ragione molti professori di diritto non trattano le leggi relative ai casi di violenza sessuale.
La cancel culture, l’abominio di personaggi, aziende, istituzioni di cui non si condividono i principi e\o le posizioni, che si allarga ad appositi e insistenti gruppi di pressione social, toglie ogni credibilità all’avversario, e la capacità di replica, è ovviamente un attacco alla pluralità delle opinioni. Alla libertà di opinione. In America passa per un baluardo di libertà.
Un generale fedifrago, un trumpiano licenziato da Trump per incapacità, scrive un libro per sfruttare il partito anti-Trump nella campagna elettorale, e per farsi leggere dice che Trump definisce i reduci e gli invalidi di giuerra “falliti”, “incapaci” eccetera. Un settimanale dice che il generale lo ha detto. E viene creduto.

Addirittura, Biden basa la sua campagna elettorale sul settimanale che dice che il generale ha detto. Come a dare ragione a Trump che i media sono scandalistici. Dopo quattro anni non si trova ancora la ragione per cui Trump è presidente degli Stati Uniti, non la trovano i media.

Problemi di base bielorussici - 593

spock

Bielorussia, Navalny: Merkel vuole uno sconto sul gas?
 
Bielorussia-Navalny: armiamoci e partite?
 
Ma che gli facciamo noi a questo Putin, che il baffo non ce l’ha?
 
E Erdogan, è meglio di Putin?
 
In che senso, la dittatura è meglio, solo un poco assottigliata?
 
Cos’è dittatura, se in Turchia si può andare in vacanza?
 
O è per Erdogan come per il Covid (più tamponi più contagi): chi cerca trova?l

E il presidente Xi, quel Grande Democratico, che non ha oppositori, tanto è buono?

spock@antiit.eu

Aspro Aspromonte

Un estratto del volume del Grande Giornalista di cui si celebra il centenario sul Sud nel 1992, editore Mondadori, dal titolo esplicito, “Inferno” - sottotitolo “Profondo Sud, male oscuro”. Con una presentazione entusiasta di Eugenio Scalfari, che i reportages sul Sud aveva commissionato a Bocca per “la Repubblica”.
L’attacco è nella meraviglia dei boschi dell’Aspromonte, “nella grande selva per cui scendono fiumare dai nomi bellissimi, Amendolea, Amusa, Allaro,Torbido, Laudri Careri”. È una giornata limpida, salendo da Locri al passo del Mercante Bocca vede le Eolie, e alle spalle “l’immenso Jonio Glaciale senza una vela”, come lo aveva visto Matilde Serao. “Pini così fitti”, si dice Bocca, “così vicini l’uno all’altro, così dritti, li ho visti solo in Carinzia” – così è, la Carinzia e l’Aspromonte hanno fatto la fortuna dei Feltrinelli, tagliaboschi in grande. Ma è la magia di un momento: un cartello segnala”Piani di Zomaro”, un altro “Attenzione, possibili scontri a fuoco”.
Ora, questo non è vero, non si spara in Calabria, tanto meno sull’Aspromonte. Ma i Carabinieri lo hanno scritto, e il cronista non ha motivo di dubitarne.
Bocca è prudente, incursioni precedenti lo hanno fatto detestare dagli “intellettuali del sud”, come “un criminale protervo, animoso”. Ha avuto un moto d’interesse per la Calabria, anche se qui non lo ricorda, al tempo di Giacomo Mancini, che aveva molta fiducia nel Nord, e lavorava a un asse Cosenza-Milano – e gli effetti si vedono: il cosentino, con la Sila, è già Carinzia, e forse qualcosa di più, avendo il mare. Ma presto i crudelissimi rapimenti di persona, tutti impuniti, lo hanno riportato alla diffidenza – caratteriale, montanara, piemontese. Al punto di dire anche scemenze, che la consolidata accuratezza da cronista sottolinea. A Gioia Tauro, “il porto è costato novemila miliardi. È usato solo la notte, dai contrabbandieri”. “Per tredici anni il museo di Reggio è  rimasto quasi chiuso. Al sovrintendente in carica non garbava che si vedesse il lavoro fatto dal suo predecessore…”. E, probabile, il cartello sparafuoco dello Zomaro. Vittima dei suoi informatori – queste sono storie tipiche dello humour calabrese, la “zannella”, crudele con chiunque, anche l’amico.     
Ma la tesi è semplice. Saigon era distrutta, divisa, violenta, e in due decenni è diventata prospera e civile. Per la Calabria - e l’Aspromonte per essa in queste pagine, “Aspra Calabria” s’intende il reggino, l’Aspromonte - vige il cammino opposto: sempre più violenza, disordine, e impoverimento, sprechi, malaffare. Un libriccino colossale.
  
Giorgio Bocca,
Aspra Calabria, Rubbettino, pp. 75, ril. € 7,90

martedì 8 settembre 2020

Ombre - 529

Zingaretti si mette al sicuro, con il sì al referendum: vincerà. Così si vince ora in politica, non dirigendo l’opinione ma abbarbicandosi a quella più numerosa. È l’epoca dei partiti-paguri.
 
A due settimane dal voto De Luca è indagato. Indagini top secret, assicura la Procura della Repubblica a “la Repubblica”, conferma cioè l’accusa. E dice anche il capo d’accusa: falso e truffa. Lo confida a “la Repubblica” forse in omaggio  al nome, cui anche la Procura s’intitola.
 
Giovanni Melillo, detto “Gianni” confidenzialmente da Conchita Sannino a “la Repubblica”, il Capo della Procura di Napoli, capo di gabinetto di Andrea Orlando ministro della Giustizia del governo Renzi, è un Pd doc. Ma non vuole che De Luca, anche lui Pd, vinca le regionali. Così quattro anni di indagini si concludono alla vigilia del voto. Indagini su quattro autisti divenuti impiegati sedentari.
 
De Luca comunque (stra)vince in Campania. Non è alla sua sconfitta che il Pd punta, ma ad “azzopparlo”, come dicono gli americani. In maniera che poi non possa governare. Poi dice l’antipolitica-
Il Pd ha fatto di peggio, andando dal notaio a Roma per cacciare il suo sindaco, Marino, ma è come dice il proverbio: non c’è limite al peggio.
 
“Giusto comminare sanzioni alla Bielorussia”, rileva piano il cancelliere austriaco Kurz a Tonia Mastrobuoni, “la Repubblica”, “ma che facciamo con la Turchia? Ci sono giornalisti e oppositori in carcere, lì”. E non è che non si sappia. Non solo: “E adesso c’è anche una lesione del diritto internazionale verso la Grecia”. Già.
 
Di Willy Monteiro Duarte, 21 anni, giovane educato e generoso, massacrato di botte a Colleferro da una gang giovanile, i Carabinieri comunicano la morte alla famiglia tardi, alle sette del mattino dopo, con una  telefonata, e la convocazione in caserma. Perché i Monteiro Duarte sono capoverdiani, benché lavoratori stimati in paese, con i figli parte attiva della vita sportiva e sociale?
 
Il giovane Duarte è stato massacrato a pugni e calci, per venti lunghissimi minuti, proprio dietro la caserma dei Carabinieri a Colleferro.
 
“Che calcio è quello che esautora gli ultimi due allenatori ad aver vinto lo scudetto?” chiede Marrese a Walter Sabatini, ora direttore tecnico del Bologna. “Un calcio nevrotico e insicuro”, risponde Sabatini. Ed è quello migliore, quello che vince.
 
Meno 9,8 per cento il pil dei paesi Ocse – dell’Occidente cioè – nel secondo trimestre 2020, più 3,2 in Cina. La Cina batte l’Occidente comunque col virus, anche se non lo ha prodotto in laboratorio e esportato col trucco?L’ipotesi non è da ridere: la ripresa immediata dell’economia cinese è trainata dalle esportazioni. Grazie a una dotazione monstre di 117 miliardi di dollari di esenzioni fiscali a vantaggio degli esportatori. La Cina non si muove in un mercato, oppure sì, ma con mosse da campo di battaglia.

Le esportazioni cinesi sono vigorose soprattutto grazie alle mascherine e altri dispositivi di protezione individuale anti-Covid. E, di più, grazie alle esportazioni verso gli Stati Uniti.
 
“Superbonus, i 36 documenti che un privato deve presentare alla banca per un cappotto termico”, elenca “Il Sole 24 Ore” di sabato 29. Con questa considerazione: “Per chi possiede un’abitazione isolata ed è  intenzionato a beneficiare del superbonus al 110 per cento, s’impone una seria riflessione tra detrarre le spese in cinque anni o optare per la cessione del credito o lo sconto in fattur
a”.

Malinconia di Kerouac

Kerouac applica alla lettera il “metodo della creazione immediata” – che l’aveva portato da poco a scrivere “I sotterranei” in tre giorni (“Sulla strada” era stato un caso diverso, è anche opera redazionale). Della memoria come spontaneità, e quindi rapidità. Il “Libro” sono i taccuini degli anni 1952-1957, in viaggio in America, in Messico, a Parigi. Quindici taccuini, sistemati per la pubblicazione nel 1957. Che non lasciano tracce, se non in alcune, poche, riflessioni su se stesso: la mamma, il francese, il lavoro letterario, la vita in paese, la città mal digerita, da uno scrittore “metropolitano” per eccellenza. Che però, è vero, è sempre generazionale.
Divagazioni sul nulla, l’ananke quotidiana, della gente senza nome, anche quando ne ha uno – Neal Cassady, la cugina Caroline in North Carolina, pochi altri. Sul modello di William Carlos Williams, “Paterson” e altri componimenti: sul linguaggio povero, semplice, come modo di essere povero. Sui “Paul Nulla”: “Paul nulla nel\ grande selvaggio, vasto&vuoto\  mondo che ti odia\ è il tuo nome”, impiegato di una qualche ferrovia che ne dispone a piacimento, spedendolo di qua e di là, “indebitato, cupo,\ triste – Solo” – e sotto la perfida profezia che si avvererà nel 2007 ma evidentemente è in America condizione condivisa: “Perderai questa casa, perderai\ i 5, 6 dollari che hai in\ tasca – perderai\ l’auto in cortile-perderai\ il cortile…”. Povero di aneddoti. A Easonburg, North Carolina, “visto negro\ in bici trainato\ da un mulo!” Ritornante “la povera triste gente\ del Sud il sa-\ bato pomeriggio\ all’emporio sull’Incrocio.\ Non tristi come il cielo\ che li osserva ma tanto\ più smarriti”. La povertà non è indicibile.
Una minuscola antropologia, erratica. Del contadino americano, la casalinga, il bambino, le bambine – una ha una “madre italiana giovane e carina”.Molti esami di coscienza. Con molti buoni propositi. Tra cui: “Devo andare a Pavia\ A Taranto per le ostriche\ A Padova per i quadri\ Villaggio Età della Pietra vicino Terrni”. Contro I canadesi. L’atto di nascita di “Sulla strada”: “Il mattino della mia\ liberazione – 4 ott. 1952\ - Vado a vivere da solo in\ un stanza sulla 3rd St., lascio\ casa di Neal – per la 1a\ volta dal 1942 -\ (a Hartford) – Tutto\ preso a scrivere On the\ Road, quello grande\ con Michael Levesque\ - l’unico - \ ho ripudiato tutti,\ &me stesso per dedicarmi a\ tristezza, lavoto, silenzio,\ solitudine, intense gioie della\ prima bruma”. L’avvio della “leggenda di Duluoz” - “Duluoz” è lo pseudonimo che fantastica lungo di prendere, che in franco-canadese è pidocchio. Una narcisata, la vita ridotta a se stesso, sentendosi già “vecchio”. Anche se col proposito di “3 all’Anno, come Shakespeare”, tre opera l’anno. Per diventare “lo scrittore più grande”. Molto in sogettiva, con più di un autoritratto. Compreso il ricordo del “Memory Babe”, il sopranome che gli davano in famiglia da bamino, per la memoria prodigiosa.  
La storia dell’America fellahìn non è male – “Appunti sul millenio dei moderni fellaheen”, ottobre 1952, in California”. Il fellahìn, il contadino nordafricano, è l’Umile, punto di forza dell’America: “L’Americano Rurale\ è l’Americano più forte”. L’Americano Rurale e la Ferrovia. Moderni fellahìn  sono del resto i compagni del movimento, Burroughs, Carr (Lucien Carr), Ginsberg, Cassady, Huncke, Joan Adams, John Holmes, Solomon (Carl Solomon)..
Anni nel “Vuoto Tempo di Attesa”. I trenta dell’autore, che si ripete: “Sarò un grande scrittore”. E vuole farsi credere avventuroso. Ma il vagabondaggio è malinconico. Nei ricordi familiari, col francese familiar e delle filastrocche. Da voyeur, delle vite anche minime degli altri., commesse, ubriachi, operai messicani, amiche al caffè.  
Jack Kerouac, Il libro degli schizzi, Oscar, pp. IX + 359 € 16 
 



lunedì 7 settembre 2020

Take-away

Si chiama ora take-away e viene proposto o richiesto in tutti gli esercizi alimentari, anche i baretti – almeno un panino. Un must dopo il coronavirus: non c’è esercizio di commestibili che non pratichi o a cui non viene richiesto il take-away – anche i siti che valutano gli esercizi vi pongono tra le prime domande: è possibile ordinare? c’è un servizio di take-away? Ma è la vecchia rosticceria. Rinverdita, senza più le troppe pietanze messe a bollore da tempo immemorabile, senza più il pollo allo spiedo indurito, con più nomi di fantasia, se non piatti o proposte, e con tutte le scatole e scatolette, bianche, a strisce e colorate, i polistirolo o forex che fanno fino. Con la differenza, però, che il take-away tutti possono farlo, o ritengono di poterlo fare, anche i baristi neofiti, quelli che hanno problemi col semplice caffè espresso, ce ne sono, lasciamo andare il panino, per non dire del tramezzino. Il virus non trasmette conoscenze, ha solo creato un bisogno. Meglio, lo ha allargato, includendo le coppie che vogliono uscire, comunque non hanno voglia di fare,  accanto ai single, e alle segretarie in pausa pranzo.
L’ultima esperienza di rosticceria, una delle ultime, risale a molti anni fa, all’agosto del 1968, quando i Bertolucci, Bernardo regista già affermato col giovane fratello Giuseppe, ridacchiavano spernacchiando nella rosticceria di Rosolino Pilo al neo funzionario aziendale che, solo, in giacca e cravatta, in agosto, solo anche al lavoro in ufficio, i neo assunti vengono ultimi nei piani ferie, mangiava il suo piatto in piedi in un angolo dell’angusto locale – l’inevitabile lasagna? l’inevitabile pollo?
Doveva essere il 21 agosto, il funzionario era reduce dalla lunga alba al ponte radio aziendale che dettagliava l’invasione di Praga e della Cecoslovacchia: lo scherno dei viziati fratelli urtò contro un freddo orgoglio, come di chi è stato in mezzo alla storia. Oppure il 22 agosto, la forza della testimonianza fu durevole.
Ora è diverso. Invece che in piedi, ci si può appoggiare a scomodissimi tabouret alti a mezzo fianco. E il vino viene versato nel calice invece che nel vetro da osteria. Ma anche casual il cibo non migliora.

Appalti, fisco, abusi (182)

Il governo progetta di fare di Mediobanca un asset non scalabile, con la golden power, sia pure light. Un bene nazionale, un campione? Mediobanca che ha consegnato all’affarista Bolloré Tim e Mediaset, la rete digitale e i contenuti. Tim che s’intasca un esosissimo canone, mensilmente (aveva tentato con i 28 giorni, per un tredicesimo canone…), e produce conti sempre in affanno.
Una quinta colonna? Che altro danno deve fare Mediobanca?
 
Mediobanca inevitabile richiama Cuccia. Che l’ha fatta ricca a spese di tutti i grandi gruppi cui si applicava, come banca d’affari unica e sola in Italia: Montedison, Olivetti, la Fiat a più riprese, che ha messo fuori praticamente del mercato dell’auto, come già con Olivetti all’inizio del mercato dei personal, e ci ha provato pure con Eni, via Montedison. Un genio, del male - la Lombardia si è salvata ricorrendo alla Cariplo: credito confessionale, ma non peloso, che sarà il pezzo forte di Banca Intesa.
 
La Tari è raddoppiata – come minimo - dal 2007. Per il business della raccolta differenziata. La quale, dovendo ogni parte, carta, vetro, umido, plastiche, lattine, produrre un riutilizzo, dovrebbe costare di meno e non di più.
La Tari costa di più non a beneficio dei Comuni, a beneficio delle ditte di raccolta.
 
Anche l’acqua è mediamente raddoppiata di costo, più che raddoppiata, dal referendum del 2011 che la dichiara bene pubblico inalienabile. Anche se in molte aree, e specialmente al Sud, in Puglia, Sicilia, Calabria, manca. Non da ora, ma ora il deficit si è aggravato. D’estate. Quando se ne avrebbe più bisogno per l’igiene personale.

La predica nera

Un assassino condannato ad assassinare – “La vita è uno schifo”, primo romanzo della trilogia. Un anarchico: ruba assassinando anche per aiutare gli operai in sciopero, ruba per rubare, ruba per niente. Andrà dall’analista. Per rappresentarsi - guardarsi allo specchio. Che però lo scopre: “Il fine della sua vita non è Gloria (l’innamorata, n.d.r.), ma la ricerca appassionata della morte, un lungo suicidio”.
Malet lo dice “un romanzo d’amore e di passione, una disperata ricerca dell’assoluto affettivo”. Una storia di amour fou, anche se al rovescio. Concepito quando l’autore ancora s’immedesimava nelle teorie e i piani del non più amico Breton, del surrealismo – finirà per identificarsi nello sciovinismo di LePen. Un romanzo di testa – Malet dice di no, “di non aver cercato di fare letteratura, né anti-letteratura”. Ma che cosa ha cercato di fare non si vede, cioè quello che si vede non è granché, lunghe serie di sciagure.
Il secondo romanzo, “Il sole non è per noi”, è datato retrospettivamente 1926, “l’epoca della gioia di vivere”. Non però per il ragazzo destinato da subito a finire male. Che è il protagonista e il lettore si porta dietro per tutto il romanzo. Niente gioia di vivere, è la violenza del non violento, la perdizione come si suol dire.
Il terzo romanzo, “Nodo alle budella”, vuole dire che l’amore non è possibile ai reietti, solo la violenza è possibile, che è sempre autodistruttiva. Perché ci sono i reietti, anche se il termine è desueto, non ci sono buona volontà o buoni propositi che tengano.
Tre romanzi si direbbe impegnati, che raccontano – denunciano – la miseria. Quasi bozzettistici, nelle argomentazioni morali, i buoni propositi, il doppio orizzonte, che non latitano neanche nel disagio più estremo, e anzi sono diffusamente esposti, dall’autore o dagli stessi condannati dalla vita.
La cosa più sorprendente, l’unica, è l’introduzione di Luigi Bernardi. Che distingue il noir dall’hard-boiled : non un romanzo di caratteri forti e di azione ma “un romanzo psicologico attorno alla figura di una vittima”. Senza giustizia, senza lieto fine. E perciò elegge questo Malet a quintessenza del noir. Ma sembra una predica dal pulpito – quella di Malet – per di più lunga. Non sarà per questo che Malet non è mai entrato nella Série Noir Gallimard, il Giallo Mondadori francese, benché diretta da Duhamel, amico in surrealismo di Malet – e non per i dissapori poi intervenuti tra i surrealisti?
Léo Malet, Trilogia nera, Fazi, pp. 539 € 19,50

domenica 6 settembre 2020

Del Benedetto

Fiat, Ambrosiano,
la Repubblica, Olivetti
dove ha messo mano
tutti ha distrutti
dopo essersi arricchito
tra i benedetti sì
ma non tra i cavalieri.

Il Faust di Lenau

Si entra e si esce dalla storia attraverso l’hotel Rinascimento. Le era accaduto una notte, inciampando nell’insegna, una notte di calura che vagava in cerca di refrigerio, e poteva sentire i suoi passi sui sampietrini, in questa molle città che non farebbe brutte sorprese, e neppure belle, alla più indifesa sgallettata, figurarsi a una donna insonne, sola ma dai nervi tesi. Entrare e uscire dal passato, aveva immaginato, attraverso la finestrina sopra l’insegna sulla parete laterale cieca, con un balzo aereo dentro lo spazio-tempo verso l’incanto, perché il Rinascimento era un’epoca d’incantesimi. Ma l’interno corrispondeva all’esterno, e fu felice di averci sistemato Alessandra, fu felice per lei che ne sarebbe stata felice, con quel suo broncio goloso da bambina.
Al Pellegrino, sotto il cartone da pacchi ritagliato senza grazia, con la scritta L. 1.000 a caratteri grandi incerti, il libriccino bianco Carabba di Lanciano le sembrò subito dopo un incontro inevitabile. Eccolo, “Faust” di Nikolaus Lenau, traduzione di Vincenzo Errante. Settant'anni di polvere, il fregio quadrato della collana stampato sghembo, la copertina stiracchiata da un maldestro rilegatore, ma  era un pensiero divertente, che avrebbe divertito Alessandra.
Esitò a entrare per l’aspetto deprimente del posto, una delle librariacce della strada, un antro in ombra con i libri buttati alla rinfusa. Un ragazzotto ghignava al telefono accanto all’entrata, barba di tre giorni, capelli lucidi e l’inevitabile orecchino. Controllava che non gli sgraffignassero la povera merce. E quando si azzardò a stendere la mano sotto il cartone ci trovò le “Maccheronee”. Guardò per terra, ma il “Faust” di Lenau non era caduto. Cercò nella pila, ci doveva ben essere un’altra copia. Ma non c’era. Chiese al ragazzotto, che sembrava non sentire e non alzò lo sguardo, ma col capo indicò dietro uno scaffale. Dove non c’erano i Carabba di Lanciano ma un signore dalla capigliatura polverosa che accatastava libri. Si dispose ad ascoltarla girandosi a metà, aveva l’occhio grigio chiaro come i capelli, quel ceruleo che sa di glaucoma.
- Se non è lì… - si limitò a dire, indicando l’ingresso, e riprese la sua occupazione.
Bene, se ne sarebbe andata. Ma volle frugare ancora fra i piccoli Carabba, le sembrava impossibile aver visto un libro che non c’era. Sentì un brontolio del libraio, insistente, e poi la piccola copertina riapparve. Gliela porgeva una mano curata. Barba di tre giorni (se la spuntano?), capelli crespi e occhio lucido ridente, il tipo dell’intellettuale era emerso dal fondo dell’antro. Camicione a scacchi, fay sontuoso, con chiusure a coulisse, collo doppio, patelle antivento, cerniere protette, gli uomini d’oggi si corazzano mollemente, sopra dei pantaloni inutili, bianchi e di popeline, tanto sono stretti - si proteggono il seno, direbbe la vecchia casta lingua. Era alto, esibiva un ghigno che voleva essere un invito. E quando lei disse che era per un’amica, una piccola stravaganza nata dall’occasione, tirò indietro mano e libretto.
- Allora lascerà a me il piacere di fare felice un’amica - disse. Se n’era andata senza nemmeno salutare, frastornata.
Alessandra era arrivata, aveva apprezzato il Rinascimento, anche senza il libretto di Lenau, ed era piena di verve e di grazia. Era en beauté. Come sempre. Aveva sempre il fascino del momento: le tettone quando andavano grandi, i fianchi snelli per la minigonna, sembrava un’inglese di generazioni, lo sguardo da nonna ardente per i falpali rétro, e poi i riccioli a cascata, l’allure finta bambina, alla Bongiovanni-Bonaccorti, e ora i labbroni alla Julia Roberts. Che sempre suggerivano un procacissimo, o che era, bacio mozzafiato, se solo la chiamava, “Margherita!”, e ancora più, immaginarsi, per gli uomini. Ma era tabù il sesso, nelle loro scorribande sfrenate. Insieme erano andate a scuola dalle Orsoline a Vicenza, e a Lettere a Padova, avevano viaggiato, fatto vacanze d’estate e d’inverno, e si ritrovavano volentieri a ogni occasione ora che lavoravano lontane.
Ripassava davanti all'antro dei libri, con il solito cartello sgraziato L.1.000 sulla pila sempre alta dei bianchi Carabba. E una volta che chiese del “Faust” di Lenau giusto per allegria, il libraio glauco sembrò riconoscerla. Sorrise, infatti, e disse:
- Lei non l'ha voluto.
- Non ritornerà?
- Il libro non credo. Noi li compriamo a peso.
Tornò lui, invece, l’indomani sul tardi quando lei andava a prendere Alessandra all’hotel Rinascimento. Lo incrociò davanti all’antro e non fu certa che l’incontro non fosse voluto. Lui in un certo senso la bloccò, imponendosele davanti, perché era imponente.
- Allora, questa amica che non può fare a meno del “Faust”, ha un’anima da vendere?
- Oh, è una studiosa di Lizst - non si trattenne dal confidare. E così l'uomo la accompagnò per i pochi passi fino all’hotel Rinascimento, e s’impose anche ad Alessandra. Si presentò con nome, cognome e professione, e per un buon momento fu imbarazzante: le due amiche, intime da sempre, con un estraneo, bell’uomo ma indifferente, a cui esse non avevano nulla da dire, e che non aveva nulla da dire a loro, apparentemente, se non le quattro scemate su un libriccino di nessun conto. Ma ebbe il buongusto di togliere il disturbo. E questo salvò Ulderico il cineasta, come presero a chiamarlo concordi senza neppure uno sguardo d’intesa, un nome ridicolo e una professione ubiqua, senza senso – chi inventa le parole? Avevano sviluppato un'arte speciale a scarnificare i tipi antipatici e i goffi, che sono quasi sempre gli uomini.
Ebbero delle giornate allegre, come le volevano. Lavorare poco, chiacchierare senza eccedere, era il loro ritmo. Alessandra mise a punto con la Scandiani di Santa Cecilia il suo programma di sala per i “Mephisto Walzer” di Lizst e il recital di Campanella. La Scandiani è una donna dal naso imperioso e una profonda voce da basso, che fuma in continuazione, e forse aveva una passione per Alessandra. O forse no. Con Alessandra non si può sapere: sembra non avesse sensibilità, per ingenuità o indifferenza. La Scandiani era stata loro assistente a Lettere, e questo era tutto. Le dava volentieri i lavoretti, schede, presentazioni, programmi. Aveva scovato per il risguardo il Lizst ventenne di Dévéria e se lo mirava in trance - non senza ragione, quella doppia sensualità era sfacciatamente invitante.
Lei scribacchiava, traduceva, faceva proposte, riceveva proposte, imprecise, senza scadenze. Niente è definito, e meno che mai urgente a Roma - e forse era meglio così. Del resto nessuno, o quasi, paga. Insieme prendevano qualcosa a mezzogiorno, quando Alessandra era libera, facevano le vetrine, e ogni sera celebravano a cena. Poi si separavano. Lasciando il Rinascimento, si divertì talvolta a immaginare qualcuno che sbucando dal tetto al primo piano della casa adiacente si fosse introdotto per la finestrina ad aspettare Alessandra, nell’angolo buio della casa. Qualcuno che prese a immaginare nell’aspetto del cineasta. Avevano incontrato insieme più di un uomo. Michele Campanella, per esempio.
- Ma nulla di meno luciferino di Campanella - avrebbero detto dello scherzoso pianista napoletano - non c’è molta allegria nel mondo della musica.
E del direttore di Santa Cecilia:
- La forfora lo soffocherà.
- Questo è bene tenerselo buono – del direttore dell’auditorium, che si stropicciava le mani grassocce alla ricerca di una battuta accattivante, volendo compiacerle, don Giovanni doveva essere grasso se era sempre in fregola. Del cineasta Ulderico, invece, non avevano più parlato. Anche se permaneva quale numen locis, il portento che aleggiava, seppure sfocato, su Monserrato, piazza dell’Oro e il Pellegrino. Ogni luogo s’identifica con un fatto, una persona, un avvenimento, talvolta con l’assenza di un qualsiasi evento, e lei ogni volta ci pensava, rifacendo a piedi quel percorso. Ci pensava andando a prendere Alessandra, ci pensava lasciandola.
Ci pensava anche Alessandra? Ne aveva avuto il dubbio, le volte che era stata trattenuta dalla Scandiani, o dalla zia. Lo sguardo di Alessandra appariva ora perduto in un segreto, il riserbo più accentuato del solito, o era la pelle, lievemente arrossata, stropicciata sembrava. Ma scacciò i cattivi pensieri, il dubbio era da ridere e ne aveva riso. Furono insieme dalla vecchia zia, la vedova di un generale, e dalla Scandiani. Alessandra era giovanile, fresca, eternamente ragazza, naturale cioè, senza affettazione. Ogni increspatura, in quel suo aspetto da statuina di porcellana, denotava un vizio, ma sono le imperfezioni di chi è perfetto.
Se lo ritrovò invece lei stessa, reale, più imponente, un giorno che faceva i quattro passi e aveva voluto tornare verso il Rinascimento misterioso. Sorrideva come se la vedesse da distanza, e fu contenuto. Si accompagnarono per un tratto con naturalezza. Parlarono poco, avevano poco da dirsi, ma i silenzi furono rassicuranti. Con la stessa naturalezza presero una cosa, e poi andarono a cena, e lui l’accompagnò, e salì anche in casa. Lei era stanca, aveva dei ritmi blandi e tutte quelle ore in compa-gnia di quell'uomo, in fondo uno sconosciuto, le pesarono tutte insieme. Anche per il terrore all’improvviso sopravvenuto, per non sapere come si fa, alla sua età. Ma lui si trattenne pochi minuti, chiacchierando senza sosta, e la lasciò accennando un buffetto. Lei se ne sentì accarezzata, ma forse non l’aveva realmente nemmeno sfiorata.
Fu da lei la sera dopo. E ancora la sera dopo. E la toccò, e a lei parve naturale. L’accarezzò sulle guance, sulla nuca, la baciò, si baciarono, e lei avrebbe voluto farlo, le sembrò naturale anche se non sapeva come, ma lui fu un vero gentiluomo romantico. Lasciava ogni volta quella punta di rammarico, desiderio o curiosità, che alimentava l'attesa del prossimo incontro. E quando avvenne, l’attesa restò inesausta, di un piacere che non si consuma e ancora meraviglia. Fu dopo che lui era mancato due giorni, e lei ci aveva vissuto insieme in intensa solitudine.
- È una medicina da prendere - aveva sussurrato. Si ritrovò seminuda che vagava per casa, e ne ebbe un senso di pienezza. Declamava versi stupidi: “Un uomo, acceso dalla fiamme\dell'ebbrezza, vedrai, ti piacerà\meglio assai di un “in folio””. Ma lui è un uomo o una donna? Versi del “Faust”, la cifra errantiana era inconfondibile: “L'ardore del tuo sguardo mi rivela\ che il folle stormo de’ tuoi sensi, a lungo\ costretto in prigionia, libero irrompe\ fuor della carne infine. Ovvia! Un uomo\ stringi, ed all’orgia della danza sfrénati!”
Era il Diavolo Buono. E fu una presenza normale, quando c'era e anche quando non c’era, poiché ognuno manteneva le sue abitudini e la sua libertà. Fu immediata la complicità, fatta più spesso d’intese tacite. E presto si abituò al suo corpaccione, una materia ingombrante ma arcana, sfacciata con i suoi turgori e insieme timida, rispettosa. Le piaceva spogliarlo, le piaceva accarezzarlo, e più dove a lui faceva piacere, l’energia che si sprigionava la emozionava. A tratti, le volte che passavano insieme più giorni, diventava di fuoco al solo contatto, al solo pensiero. Lui aveva una maniera di accarezzarla, con delicatezza, spesso sfiorandola senza contatto, come un rabdomante, con insistenza, che la spossava. E quando l’artigliava come una preda, con le manone inquiete, la stringeva, la strizzava, il moto istintivo di revulsione ogni volta cedeva a una sottile commozione. Era una risposta cerebrale ma anche carnale, lo vedeva, si vedeva, e se ne sentiva riempire, di quel gigante che tremava per lei, con lei, in lei.
Si divertivano anche con poco. Del massimario greve, insistito: “Si è mai visto una donna barattare le cosce per lo spirito?” Che era anche una scoperta: si sa che, quando c’è la passione, tutto è appassionante. Oppure, in riferimento alla stazza di lei: “Le donne grandi vi sono più inclini, tanto più che sono hommasses, e quindi partecipano ai calori della donna e a quelli dell’uomo: come a una grande barca, si dice, è necessaria una grande acqua per sostenerla, a maggior ragione, dicono i dottori dell'arte di Venere, una donna grande vi è più portata e naturale”. Greve ma liberatorio: “Non c’è domenica senza sole, né bella donna senza amore”. E di più per essere colto, cocktail burlesco di spirito gallico e saggezza sprecata: “Gli dei, dice Platone, ci hanno forniti di un membro disobbediente e tirannico. E nelle donne hanno posto un animale goloso e avido. Un animale che, se non è alimentato al tempo dovuto, soffia im-ùpaziente di rabbia, ostruisce i condotti, s’irrigidisce. Ma torna ghiotto e giocoso quando abbia sorbito il frutto della sete comune, irrorando a volontà il fondo della matrice”. Ma anche i silenzi erano pieni di cose.
Poi venne il periodo del corteggiamento, i fiori, a mazzetti e a gerbe, il passo ceduto, il baciamano, l’opera. E quello dei vagabondaggi per i vicoli deserti, le prime ore del pomeriggio, o prima dell’alba. O forse tutte queste cose si sovrapponevano: il rapporto non era ripetitivo, forse perché non era costante. C’era stato il periodo delle uscite in società, prime, presentazioni, cocktail, serate, quello dell’intimità gelosa, quello delle grandi mostre, quello delle domeniche grasse, fuoriporta e a letto gravidi di cibo, come tutti.
A raccontarla, fu una storia piena e senza storie. Le era piaciuto lasciarsi fare. Finché lui scomparve. Senza dire né come né dove, un’assenza più lunga delle solite, all’inizio dell’estate.
Alessandra arrivò, preannunciandosi con una telefonata impacciata dopo tanto tempo che non si sentivano, impacciata da entrambe le parti. Si ritrovarono senza trasporto: dietro le effusioni di maniera, il riserbo era calato a strati spessi fra di loro. Alessandra era sempre bella, ma con un che di rotondo, ora, di umano, un’ombra nello sguardo, una piega della bocca. Non si fecero confidenze, meno che mai sul buffo cineasta dell’anno prima, che Alessandra sembrava aver dimenticato. Aveva anche molti più impegni, e quindi si videro poco, qualche volta a cena, appuntamenti difficili perché Alessandra si teneva libera fino all’ultimo momento.
I primi giorni senza di lui, una settimana, forse anche due, passarono atoni, come se il tempo si fosse fermato. Una volta che incrociò il libraio sulla soglia, andando al Rinascimento dove Alessandra aveva voluto tornare, il glaucomatoso tacque di proposito. Sembrò non riconoscerla. Poi evitò il suo sguardo. E lei vide un’altra se stessa. Impotente. Sensazione che non aveva mai sofferto, e che contrastava con il suo carattere, ma reale: l’uomo era scomparso e lei non poteva reagire, non poteva farlo riapparire, e nemmeno cercarlo, o scacciarlo. La sua storia, semplicemente, era finita, anzi sparita: poteva essere stata un’illusione, un miraggio. Un ricordo è una continuazione della storia, ha bisogno di appigli, cose in comune, abitudini, nostalgie, contrasti, mentre a lei restavano chiacchiere e sensazioni - e forse nemmeno quelle, erano l’idea di sensazioni, che potevano essere state un’illusione.
Fu come una fredda mutilazione. Della perdita ebbe percezione fisica, un pezzo di sé l’aveva abbandonata. Non aveva più rivisto quell’uomo, con cui pure aveva provato la felicità in modo probabilmente irripetibile, la felicità dev’essere intensa e lieve, né l’aveva cercato, dove avrebbe potuto? Tutto questo rivide mentre osservava la finestrina sopra l’insegna, e fu sorpresa che un pezzo di passato l’avesse abbandonata senza più alcuna vibrazione, inabissato con le sue tante aeree radici, e che tutto fosse avvenuto in breve tempo.
L’apertura era piccola, una presa d’aria più che di luce, e sguarnita, nulla di più lontano dal balcone di Romeo. Ma attraverso di essa si era vista lei, l’omaccia, passare come un folletto, per artigliare nella penombra la preda. L’immagine si era ripetuta, moltiplicata, l’ossessione era diventata sofferenza, e quando la raggiunse, passando naturalmente per la porta principale, anche Alessandra sembrò condividerla. Da amica naturalmente, che non sa niente, pochi giorni non fanno un’epoca, né una fantasia la realtà - ma la realtà letteraria riserva sorprese.

Tra Giulietta e Romeo finisce male

Si celebra il Novecento, l’anno capo di secolo, anche a Vigata. Con un ballo in maschera. E le famiglie nemiche non mancano d’incontrarsi, né manca la scintilla, fra i giovani delle due famiglie. Ma la coppia romantica a Vigata non quaglia. Basti dire che lei se ne scapperà, lasciando a lui questo testamento: “Appena sarò in Svizzera (nel collegio, n.d.r.) farò dire una messa di ringraziamento per non avere sposato un imbecille come te”.
Camileri dispiega, su soggetto classico e non, la sua fantasia di racconto e umorismo. Fofò Zaccaria, tornando “dalli Stati riccu sfunnato”, racconta al circolo tra le altre meraviglie degli States che si pratica lo spiritismo, che ci sono donne che parlano con i morti. La cosa suscita perplessità: e se si venisse a sapere che il marchese Burruano morto a trent’anni non si sa di che era stato avvelenato dalla moglie adultera? Ma suscita anche interesse. Opposti interessi.
“ Repubblica” prolunga la fortunata promozione con due racconti dalla raccolta “La Regina di Pomerania”.
Andrea Camilleri, Romeo e Giulietta
La seduta spiritica
, la Repubblica, gratuitamente col quotidiano