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sabato 16 luglio 2016

L’estremismo islamico non esiste

Le dimissioni polemiche dell’imam Hocine Drouiche, vice-presidente delle guide islamiche in Francia e candidato alla Grande Moschea di Parigi, dopo la strage di Nizza conferma quello che non si vuole sapere – “troppa ipocrisia”, si finge di non sapere che “l’estremismo islamico non esiste” per le autorità religiose islamiche. La taqiya, la dissimulazione, è virtù che l’islam premia, e gli imam non se ne privano: diranno, qualche volta, che condannano i terroristi, e che il terrorismo non è islamico, ma non se ne occupano, a loro preme la decima, e semmai gli animi eccitarli, con qualche predica, e non ammansirli. Ma con troppa disinvoltura.
Il problema non sono gli imam. Che al più sono solo una spia. Di un’integrazione che non può essere quella corrente, in Francia e Belgio, e in Gran Bretagna: octroyée, si diceva un tempo, buttata lì come una concessione e un premio. L’integrazione dev’essere voluta e meritata. A pena del rifiuto, anche se non violento e diffuso come in Francia e Belgio ultimamente, isolatamente e in gruppi.
Il rifiuto di molti mussulmani, giovani, di seconda e terza generazione europei, con troppi casi di brutalità, non è eccezionale – in certo senso gli imam francesi hanno ragione. È assimilabile al rifiuto, incondizionato in quel caso con buona ragione, della civiltà che si imponeva con le colonie. Il”problema” immigrazione e integrazione va rovesciato: l’assimilazione non va concessa ma va conquistata.
Un processo lento di assimilazione evita anche la costituzione di “luoghi” del rifiuto: il concentramento delle masse di nuovi cittadini nei cosiddetti ghetti. Non chiusi ma ugualmente marginalizzanti. Un’integrazione lenta ugualizza le condizioni.

E adesso, povero Erdogan?

Ha vinto il golpe, ma Erdogan è al capolinea: la ribellione di molti ufficiali superiori lo ha spiazzato – ha mostrato il re nella sua nudità.
Tutto quello che Erdogan ha voluto in questi ultimi anni e mesi gli si rivolterà contro. Il nepotismo e la corruzione. Il confessionalismo: l’affettazione di islamismo di cui si compiace con la moglie disturba la non confessionale Turchia, e anche quella buona mussulmana. L’isolamento internazionale: ha inimicato alla Turchia Israele, l’Iraq e la Siria, la Russia, ora è sul piede di guerra con la Grecia per i fuoriusciti del golpe, e minaccia gli Usa, cosa che col debole Obama può, ma non potrà più con Trump o Hillary Clinton. La crisi economica: il boom di cui si fa corona in realtà ha lavorato per sgonfiarlo, gli investimenti esteri sono in calo, e anche le esportazioni (nonché le entrate da turismo). La censura e le carcerazioni arbitrarie: non potrà condannare tanti più giornalisti di quanti ha fatto condannare. Le forze armate: non ha nessuna autonomia di fronte ai generali che hanno sventato il golpe, tanto più se vorrà condannati a morte i golpisti – pena non prevista dall’ordinamento. L’establishment, cioè la sua stessa massoneria: troppe condanne tra i giudici, i giornalisti, i militari. Le minoranze: non può eliminare fisicamente i curdi, una ventina di milioni di turchi.
Non ci vorrà molto per saperlo. Gli arresti tra i militari sono tremila. Altrettante le dimissioni d’autorità dei giudici. Ma se anche limiterà i necessari processi e le condanne a trenta militari e trenta giudici, considerando gli altri 2.770 dei meri esecutori, avrà contro comunque l’ordine militare e l’ordine giudiziario. Erdogan ha dalla sua le masse, come ce le aveva Mussolini, in piazza a ogni rodine, ma quelle si dissolvono al primo vento. Il suo vero miracolo è il tributo della stampa italiana – ma anche francese e inglese.   
La dittatura fascista che Erdogan ha in mente è impossibile. Una dittatura fascista è impossibile in Turchia. In un paese grande – continentale - e molto diversificato, socialmente e etnicamente. E ora è innegabile: la rivolta dei militari, dopo i giornalisti, e dopo i partiti d’opposizione, ha esposto la dittatura larvata in modo incontrovertibile. L’isolamento non potrà che crescere.

Cinquant’anni dopo, niente più porci, né adolescenti


Una graphic novel del classico del Sessantotto (in realtà del 1967, quindi va per il mezzo secolo). Di cui diventano materia anche gli autori, Rocco (Marco Lombardo Radice) e Antonia (Lidia Ravera). Il diario in parallelo, un capitolo lui uno lei, di una sagra sessuale tra adolescenti.
Una storia molto disinvolta all’epoca. Meno oggi, per il contesto mutato: la sessualità è  desessualizzata, l’adolescenza è (molto) attardata, e di liberazione più non si parla – troppo ci sarebbe di cui liberarsi. Ma più rompe il sex appeal originario la trattazione dotta, quasi erudita, seppure in forma di fumetto: è una riflessione su. Una riflessione su Rocco e Antonia, su “Porci con le ali”, e nell’introduzione di Ravera sul 1967.
Il titolo di oggi congloba anche il sottotiolo, all’epoca famoso: “Diario sessuo-politico di due adolescenti”. Che oggi, dice Ravera, lo renderebbe “illeggibile”. In effetti, non c’è più la forma diario – c’è il selfie, che è però differente, il monumentino a sbalzo. Non c’è il sesso. Il sesso politico è tutto sui diritti - ai beni, alla pensione, all’eredità. E l’adolescenza langue, forma estenuata e quasi esistenziale, per ciò stesso dissolta.
Più succosa non sarebbe stata una riedizione storicizzata? Con la scomunica da parte del Pci. Quella di Goffredo Fofi, che non era ancora  Fofi ma era già stanco pauperista, per primo dell’immaginazione e la scrittura. E per contro l’accettazione immediata e spontanea, senza pruriti e senza scandali, del pubblico, giovane e meno – il Sessantotto,quando se ne potrà fare la storia senza pregiudizi, sarà quello che fu: la liberazione come un riconoscimento, lo stappo di un brindisi, senza forzature, intrighi, progetti, il riconoscimento di quelo che la società era e voleva.
Resta anche in spiegato – problema succedaneo -  perché Rocco viene prima di Antonia. La quale invece scrive il primo diario, e probabilmente ha avuto l’idea del “porcile” di Wodehouse. Anzi, il titolo rubato a Wodehouse, P.G., proprio lui, il fluviale autore di Jeeves, maggiordomo inglese, e di un numero incredibile di racconti, sceneggiature, canzoni, può risolvere il quesito: chi leggeva ancora Wodehouse, benché stilista della lingua inglese apprezzato da Kipling e Salman Rushdie, nel bollente 1967)? Per quanto, ma “se i porci hanno le ali” non è quesito di “Alice”?
Manfredi Giffone-Fabrizio Longo-Alessandro Parodi, Rocco e Antonia. Porci con le ali. Diario sessuo-politico di due adolescenti, Bompiani, pp. 158, ill., € 16,90 

venerdì 15 luglio 2016

L’emergenza in Francia è politica

Uno stato d’emergenza all’acqua di rose. Una serie di attentati mirati a uccidere in massa, nei luoghi di svago, vissuta nella normalità – “non ci lasceremo distrarre dai nostri stili di vita”. Facciamo finta che il terrorismo non ci sia? Con un terrorismo dichiarato, più che pubblico, e permeabilissimo. Un attentatore noto in Tunisia, ma non in Francia. Una polizia tropo inefficiente: un immigrato con una lunga storia di violenze domestiche e un passato criminale, di cui tutti in Tunisia sapevano tutto, era “completamente sconosciuto ai servizi d’informazione” francesi. E una presidenza imbelle. Due presidenze, di Hollande dopo Sarkozy, che il terreno ha preparato da ministro dell’Interno e poi da presidente, con le sue guerre allegre all’islam.- e nel sistema politico francese la presidenza assomma tutti i poteri.
La strage di Nizza dopo quelle di Parigi supera ogni immaginazione. La Francia non può essere disarmata, non a questi punti, anche se ha una comunità islamica di tre milioni di persone. Tanto peggio se l’attentatore di Nizza è un lupo solitario. Nel sistema politico francese la presidenza della Repubblica assomma tutti i poteri. Ma è come se preparasse una guerra civile, col Fronte Nazionale al comando. Il peggio deve venire?

Ombre - 324

Col nuovo governo inglese la politica tricologica diventa invasiva, Teresa May e Boris Johnson dopo Hillary Clinton e Trump: ore di cure e eserciti di parrucchieri.
Si può dire anche un asse anglosassone tricologico. Non fosse per il francese Hollande, che – per invidia? – si fa pagare un acconciatore personal da 30 mila euro, al mese.

Però, Banca Intesa che si compra, tramite il fidato Cairo, il suo debitore “Corriere della sera” non è male. È vecchio principio del credito, quello d’impadronirsi del debitore insolvente per fargli sputare il dovuto.


Non è male neanche il Tribunale Vaticano che sancisce “diritto divino” la libertà di stampa, Che invece Gregorio XVI sanciva “delira mento”. Due secoli fa, quasi, 1832, ma ben in un’enciclica, “Mirari vos”. Meglio tardi che mai, etc.

C’è un disastro, ora l’incidente di Andria con così tanti morti, Cantore interviene a dire che è tutta corruzione. Senza colpirla, senza nemmeno individuarla. Parla per occupare la scena?
Il commissario anti-corruzione è come i giornalisti specializzati in prima pagina: a ogni catastrofe tornano a lavorare – si dice per dire: tornano a “firmare”?
Cantore per la verità non fa nemmeno quello, ridice il solito discorso – Napoli non si smentisce.

Sembrerebbe impossibile, se non fosse vero, che la terza più grande città italiana si è data in comodato gratuito a Dolce & Gabbana – nomen omen? –per promozione delle ditta. Con luminarie  speciali, vigili visibili sulle strade, e per tre giorni niente scippi. Feste e forca? No, il popolo è stato tenuto fuori dalla transenne – e del resto se ne è fregato, ha solo pagato la festa.

La Juventus, che ha dato più atleti ai tornei internazionali, l’Europeo e la Copa Sudamericana, si ritrova con una schiera di perdenti. Di malumore, se non depressi, oltre che spremuti per due mesi supplementari:  i quattro della difesa dell’Italia, con Sturaro e Zaza, e Dybala, Khedira, Mandzukic, i francesi Pogba e Evra. Si ritrova cioè con un capitale ridotto (le quotazioni di Pogba, Bonucci, Zaza) e depresso, e non vincerà niente.

Si fa il salvataggio delle banche se e come dice e decide Angela Merkel. Senza darlo a vedere, naturalmente, per lei parlano e agiscono la Commissione Europea, i Dijsselbloem, e quant’altri. Poi, cioè dopo in sequenze temporale, viene su Renzi e dice: “Avevamo ragione”. Poi dice che non lo prendono sul serio.
Renzi si vuole, e viene lusingato, come uno storyteller. Ma lui si crede, sennò chi altri?

Wanda Icardi non viene in uggia quando va la vamp, rovina gli uomini, e si esibisce procace. No, quando difende gli interessi del marito, che l’Inter paga poco e male. Una donna svampita va bene, una intelligente è taccagna, attaccata ai soldi, libidinosa, non si sa cosa leggere di peggio in tutti i giornali.

Cento islamici a Firenze al sit-in in piazza sabato per le vittime di Dacca. O no, erano duecento Tutti gli impiegati delle onlus a pro degli immigrati?

Dopo tanto bail-in, pagano i risparmiatori, pagano gli azionisti, pagano gli obbligazionisti, rigidissimo, la Germania d’improvviso vuole un bail-out, un salvataggio. Di misura teutonica, niente bruscolini: Deutsche Bank vuole un fondo salvataggi (bail-out) da 150 miliardi. Un fondo europeo. Che fa, la Germania arcigna si converte alla farfallona Italia? No, deve salvare la banca di Brema, un buco da 29 miliardi.

La Germania potrebbe salvarsi la banca di Brema da sola - come fa onesta lItalia col fondo Atlante e simili. Ma vuole un salvataggio europeo, che ognuno paghi. Il disegno tedesco - merkeliano - di egemonia è questo. È l’Europa.

“Die Zeit” e Habermas si intrattengono liberamente sulle insufficienze e le colpe del governo Merkel, nella crisi, in Europa, e nella stessa Germania. Fuori dal mercantilismo micragnoso dei democristiani tedeschi, che tanti danni ha fatto e fa all’Italia e all’Europa. Nemmeno un milligrammo di tanto acume invece in Italia, germanisti compresi, tra gli economisti e i sociologi. Più per ignoranza o più per conformismo, per compiacere il potente?

Nemmeno una notìzia, anzi, in Italia, sull’improvviso cambio di linea tedesco - non più bail-in ma bail-out. L’Europa non è simpatica, ma l’informazione è pessima.

Solenne impegno dell’Italia a presidiare la democrazia in  Afghanistan fino al 2020 – “whatever it takes” è la parola d’ordine del momento. Al chiuso nella fortezza, un “Deserto dei tartari” di Buzzati reale. Al costo di un miliardo l’anno, soprattutto in stipendi da espatriati e ai corrieri degli espatriati – quanta ricerca se ne potrebbe estrarre? Per passare il tempo in altitudine e pulire le anime – delle armi. Nella pause del calcetto e il biliardino.

Per questo, per questo impegno a sollevarne gli Usa, l’Italia avrà anche il comando delle truppe. A turno, con la Turchia, quando il generale americano va in week-end.
Solo che la Turchia parla volentieri anche coi talebani. Mentre l’Italia non ha nessuno con cui parlare.

Lo stesso giorno in cui il governo italiano s’impegna a difendere al democrazia in Afghanistan con le armi, a Catania il giudice fa pignorare la base Usa di Sigonella, perché un signor Cucuzza vi è stato licenziato. Il giudice gli dà ragione nel 700 dopo sedici anni - il vecchio "700" è il ricorso urgente contro il licenziamento, un volta si esperiva in giorni. Credibilità, incredibilità?

“Nel 2002 lo 0,01 degli americani più ricchi guadagnavano a testa 700 mila dollari, oggi guadagnano 21 milioni”, dice Carlo De Benedetti a Cazzullo sul “Corriere della sera”. Non è vero – non è vero che quindici anni fa gli americani ricchi guadagnassero 700 mila dollari l’anno, che era lo stipendio forse del loro chauffeur. Ma è ben detto: De Benedetti è un fina finanziere-editore che sa fare la notizia.

Patuelli prode, presidente dell’associazione delle banche, dice incostituzionale il bail-in. Ma si guarda bene dall’adire la Corte Costituzionale. Come invece avrebbe fatto – farà quando gli converrà – il suo omologo tedesco. Come ha fatto del resto contro l’Italia un gruppo di tedeschi antitaliani. La partita Germania-Italia si gioca anche così.

Oppure non è mancanza di coraggio, Patuelli semplicemente conosce i suoi polli. Cioè i giudici della Corte Costituzionale. Da cui tenersi alla larga?

“Lei crede che la Germania non salverà la Landesbank di Brema”, lancia De Benedetti a Cazzullo sul “Corriere della sera”. Certo che no, ma noi non lo diciamo, lasciamo la responsabilità a De Benedetti.

Ora si scopre che le sofferenze bancarie non sono un problema italiano ma europeo, 900 miliardi.
Cioè non si scopre, lo dice il Fondo monetario, noi non lo sappiamo.

Il Fondo dice che “in casi sistemici (di crisi sistemica, n.d.r.) in cui l’intervento dello Stato sia necessario, le regole Ue sugli aiuti di Statop dovrebbero essere applicate in modo flessibile, come è previsto”. Noi non sappiamo leggere, oppure vogliamo il Monte dei Paschi a un euro?

Dopo i tanti assassinii per le strade americane, di neri a opera di bianchi, e di bianchi a opera di neri, amara constatazione : “Su mezzo milione di poliziotti Usa solo 58 mila sono afromericani”. Cioè il 12 per cento, tanto quanto sono gli afroamericani negli Usa.

Beyoncé invece, che dice: “Non vogliamo solidarietà, vogliamo solo rispetto”, va su poche righe – Benché il personaggio sia tutt’altro che trascurabile, se non altro alla vista.

Topi in fuga dal “Corriere della sera”

Finanche la “Gazzetta dello Sport”, che non fa politica né cronaca, trova una pagina per l’attentato di Nizza. Che il “Corriere della sera” riduce invece a mezza pagina. Benché l’attacco si sia prodotto alle 22,30, in tempo per qualsiasi edizione, e fosse corredato di foto e testimonianze istantanee. E senza menzionare il terrorismo né gli islamisti nei titoli. Vogliono dare ragione a Cairo, che dice la Rcs una banda d’incapaci?
Direzione e redazione in disarmo al “Corriere della sera” alla vigilia dello show-down sulla nuova proprietà. Che si sa essere di Cairo, ma bisogna aspettare lunedì. La settimana si è chiusa con un ultimo sforzo per la vecchia proprietà Mediobanca, quella della cordata Bonomi. Non condivisa da oltre la metà della redazione. Ed è come se al giornale non ci fosse nessuno.
Bucato anche Di Pietro leghista alla Pedemontana Lombarda, notizia ghiottissima. Così come l’indagine a Firenze sui familiari di Renzi per appropriazione indebita ai danni dell’Unicef, su segnalazione della Banca d’Italia – su questo glissa anche “la Repubblica” (salvo riprendere oggi la notizia con i pareri pro familiari, confinandola all’online, tardi nella giornata).

Il fascino della traduzione sul sulfureo Burton

“Chi mai avrebbe pensato\ che si poteva morire così di mattina\ per una boccata d’aria fina?”. Poesiole cattive, come tutto di Burton. “Mentre l’anima di Persico,\ il bambino Tossico\, abbandonò\ il suo corpo, gli amici\ nella sera mormorarono una preghiera”.
“Per bambini” adulti, come tutto Burton, l’animatore dell’orrido per famiglie di Hollywood e delle letteratura yankee. L’artista geniale, scrittore e cinematografaro - sceneggiatore, produttore, regista, disegnatore, animatore – di fervida attività, e più nella trascuratezza .Di storie e personaggi stravaganti, di qua e di là della fiaba – incarnati in attori di culto, a lungo ora Johnny Depp, e fino a qualche tempo fa anche Helena Bonham Carter - finché fu sua sposa.
Leone d’oro alla carriera a Venezia dieci anni fa, a 49 anni, candidato agli Oscar, ai Globe etc., Burton ha una sensibilità da poeta maledetto, si sarebbe detto nel secondo Ottocento. Aggiornata all’epoca dei teen-ager – i suoi bambini sono tragici e riflessivi.
L’edizione italiana è straordinaria per la grafica, semplice e avvincente, coi disegni dello stesso Burton, e per la traduzione di Nico Orengo. Che ne mantiene le rime e assonanze da filastrocca, miracolosamente, per tutti e venti e più componimenti (dandone comunque anche gli originali, opportunamente in appendice). E in più ne italianizza felicemente le situazioni e i riferimenti, senza tradire lo spirito originario, invece di attardarsi in note spigolose. E insomma, si legge con altrettanto godimento che l’originale.
Tim Burton, Morte malinconica del bambino ostrica, Einaudi, pp. 137, ill., € 10


giovedì 14 luglio 2016

Il business dell’antidoping

La provetta di Schwazer è stata manomessa? Venendo l’accusa da lui c’è da dubitare. Ma dal suo trainer-manager Donati  no, vero uomo dell’antidoping. Anzi: perché non dovrebbe – non dovrebbe essere stata manomessa? La Iaaf, l’agenzia che governa l’antidoping, è un centro di malaffare noto. E perché i laboratori su cui si poggia dovrebbero essere meglio?
Succede dell’antidoping come di tutte le iniziative a difesa dell’integrità (lealtà, onestà), che diventano comodi ombrelli degli affari, se poco poco non sono divorati dal sacro fuoco. È anche inevitabile: le rivoluzioni sono solo cambiamenti di regime, a meno di un rivolgimento continuo. Ma la questione non è di procedura filosofica: è che l’antidoping è un business, non altro: la Iaaf è business, la Wada è business per definizione, i suoi laboratori collaboratori un business.
La procedura di un prelievo antidoping come quello di Schwazer, in un villaggio remoto del Tirolo,  è costosa, fra gli 8 e i 10 mila euro, fra viaggi, diarie, personale specalizzato, materiali, e spese generaeli (amministrative, tecniche). Se ne spendano tre-quattrocento, o anche meno (un medico locale disoccupato per il prelievo, un invio per posta, al più per corriere, e il business diventa “competitivo”, molto. Tanto più che l’anti lo garantisce da ogni curiosità, del fisco o del pubblico.

L’informazione dopata

Dell’ultimo scandalo Schwazer è curiosa soprattutto l’informazione. È curioso che non si contesti l’attendibilità dell’analisi di laboratorio, come tutto induce a credere, perché il laboratorio d’analisi è tedesco. Fosse stato Schwazer un atleta tedesco, e il laboratorio di Bologna invece che di Colonia?
Il test della positività di Schwazer è stato offerto in esclusiva in anteprima a “Sports World”. Che non l’ha pubblicato. Poi è stato offerto alla “Gazzetta dello Sport”, che invece l’ha pubblicato. Differenza di sensibilità, essendo la “Gazzetta” più in sintonia col pubblico italiano? No, la pubblicazione su “Sports World” avrebbe avuto lo stesso effetto. La differenza è di valutazione delle fonti, dell’attendibilità o dell’interesse privato (“conflitto d’interesse”) delle stesse. Ed eventualmente di pagamento, che alcuni giornali praticano (pagano le fonti), altri no, per una questione di principio.
Non è finita. La “Gazzetta dello Sport”, direttore Monti in testa, scende in campo per “uccidere la notizia”, come dicono i giornalisti inglese, invece di metterla a frutto. Ha sostenuto la positività di Schwazer. Bene. Poi Schwazer dice che è un complotto, e si penserebbe: “Bene, lo scandalo non è finito”. Invece no, Monti dice: “Niente da fare, Schwazer è colpevole”, e la chiude lì. Perché continuare a leggere la “Gazzetta dello Sport”? Si “uccide la notizia” per un motivo, non per perdere lettori – ammesso che gli scandali portino lettori e non li allontanino (“è sempre la stessa zolfa” – i giornali scandalistici infatti durano poco).

L’isola Europa è un luogo maledetto, in Africa

Un “manuale dell’orrore” lo vuole l’editore italiano – della “paura” quello originale francese.. E in effetti c’è di che: da Scilla e Cariddi ai meno famigliari luoghi di perdizione del Giappone, o delle isole Flannan, ce n’è per tutti i gusti dell’orrido. Quaranta luoghi di spavento hanno censito i curatori. Tra essi gli sciami di pipistrelli che attaccano il visitatore di Kasanka, la riserva naturale dello Zambia. E la foresta dei suicidi di Aokigabara, appunto in Giappone. Molti luoghi sono inventati – immaginari. La crociera non è una sfida tra Scilla e Cariddi, avendola praticata per anni quasi ogni giorno senza rischi. Ma l’evocazione è forte. Alcuni sono solo luoghi di fantasmi, di maledizioni, di sortilegi, di pura evocazione. Altri corrispondono a minacce reali, la natura è anche cattiva.
Le quaranta schede dei luoghi, e una vasta infografica, sono di grande intrattenimento. Ci sono, oltre Scilla e Cariddi, il castello di Barbablù e il mistero dei Maya, la solita roba. Ma alcuni “luoghi del terrore” sono evitati: il triangolo delle Bermude, la fossa delle Marianne. E ci sono sorprese.  
C’è un’“Isola Europa” nel canale del Mozambvico, a metà strada col Madagascar: 22 kmq. di mangrovie, l’habitat meno accogliente per la vita, grigio-marrone nella mappaaerea di Google – una prefigurazione?
Carrer, Olivier e Sybille, Atlante dei luoghi maledetti, Bompiani, pp. 154, ill., ril., € 21,50


mercoledì 13 luglio 2016

È Bazoli vs. Mediobanca

A valore facciale non c’è partita: un euro secco subito per ogni azione Rcs è un incentivo imbattibile. Soprattutto a fronte dello scambio con azioni Cairo, un editore relativamente piccolo. E invece Cairo raccoglie adesioni, Bonomi con la sua pur blasonata International Media Holdings (Imh) no.
Cairo vanta oggi un’adesione del 9,5 per cerno del flottante, contro un 2,13 a Imh – ben al di sotto dell’8 per cento di cui il raggruppamento di Bonomi ha bisogno, in aggiunta alla quota preesistente del 22 per cento, per raggiungere il 30 per cento prefissato come quota di successo. Dopodomani la vittoria potrebbe arridere all’outsider, per resa dell’avversario - se i fondi confluiranno, come via via annunciano, su Cairo, un 20 per cento dei titoli.
Cairo se ne congratula come la vittoria del nuovo, rispetto a un azionariato tradizionale del “Corriere della sera” incapace di gestire alcunché, almeno da una dozzina d’anni – e ora punta a un inesistente mercato online. I soci di Bonomi sono infatti i soliti grandi vecchi che hanno portato il primo gruppo editoriale italiano alla semiliquidazione: Mediobanca, Della Valle, Pirelli, Unipolsai. Cairo se non altro conosce il mercato, e sa vendere.
Ma la partita vera, s’intuiva all’inizio e si conferma sempre più, è tra Bazoli e Mediobanca. Il creatore di Intesa sfida Mediobanca nel sul feudo milanese, dopo essere stato spinto fuori qualche anno fa da Generali, il maggiore feudo ancora sotto il controllo dell’ex banca di Cuccia, una sconfitta di cui non si è spento il fuoco. È  con Bazoli che Cairo ha tentato l’avventura, forte di un finanziamento di 150 milioni. E a Bazoli deve quasi la metà della adesioni alla sua offerta di scambio, il 4,2 per cento.

L’ultima trincea di Mediobanca

L’affare Rcs, finanziariamente poca cosa, è per Mediobanca uno snodo decisivo. Per la sopravvivenza della piccola grande banca d’affari, o per un suo ridimensionamento. Lo scarso seguito ottenuto finora dalla sua controffensiva sul “Corriere della sera” è un indice di debolezza. Ma di più pesa, sebbene incerto, lo schieramento dei suoi protetti\protettori tradizionali. I francesi di Bolloré non hanno dato una mano. I gruppi italiani non sembrano entusiasti, sebbene schierati.
Unipolsai non ha interesse alla Rcs: tiene la posizione che ha ereditato dall’acquisizione dell’ex gruppo di Ligresti, in attesa di monetizzarla. Pirelli della nuova proprietà cinese, senza più Tronchetti Provera, sta al gioco molto passivamente – e l’ex patron, con la sua ricchissima liquidissima Camfin, si tiene cospicuamente in disparte. Della Valle è attivo protagonista della partita, ma non è Mediobanca, e piuttosto non la sopporta.

Problemi di base - 284

spock

È Angela Merkel che salva le nostre banche, o noi che dovremo salvare (pagare) le sue?

È Merkel un argine contro la destra, o quella che le spalanca le porte?

E perché, dopo il populismo, il fascismo?

Ma in Italia, non è successo più nulla dopo il fascismo?

La Repubblica ha fermato il sole, come Giosué?

E l’Agenzia delle Entrate,  lavora per lo Stato o per i fiscalisti?

Dunque, si può essere colpevoli per non avere un alibi?

La facoltà di non rispondere non dà per scontato che il il giudice è ingiusto?

Comprarsi un rene compatibile, per non morire, è immorale, comprarsi un figlio, per diletto, è opera di bene?

spock@antiit.eu

L’artigianato per salvare l’arte

Quattro saggi da un altro mondo – un secolo o poco più fa. Quattro brevi saggi sull’arte come espressione: personale e insieme popolare, estetica ma non arcigna. Di fronte alla crisi commerciale che sul finire dell’Ottocento ne minacciava l’estinzione, con la copia, la standardizzazione, la massificazione del gusto. Dell’arte come, anzitutto, artigianato: conoscenza dei materiali e degli utensili, delle tecniche dei materiali. E applicazione.
Tutto desueto, come il socialismo cui si ispirava Morris, l’animatiore a Londra del movimento delle Arts and Crafts, primo designer moderno, in uno studio che condivideva con Burne-Jones e Dante Gabriel Rossetti?
Wiliam Morris, Arte e socialismo, Mimesis, pp. 96 € 5,90

martedì 12 luglio 2016

La scoperta dell'Africa, bancaria

Primi ministri e cancellieri sorpresi e soddisfatti a Bruxelles hanno scoperto che i problemi bancari non sono l’Mps ma ben altri, in altri paesi. Che le sofferenze delle banche italiane sono gestibili, a meno di non volerne derubare le banche stesse. E che altri sono i rischi. E hanno deciso che quindi non c’era da fare una crisi: che insomma c’è tempo, intanto faremo un fondo speciale, come chiedono i tedeschi, per venire incontro alle difficoltà monumentali delle banche tedesche - contro le quali peraltro, anche questo è singolare, nessuna speculazione si scatena, non a colpi di ribassi del10 e del 20 per cento a seduta
A voler essere ingenui è la scoperta dell’Africa, la quale era stata scoperta prima di Gesù Cristo. Quella di chi ha le banche semifallite. Ma i capi di governo che si riuniscono a Bruxelles non sono ingenui. È che l’opportunità politica non passa per l’Italia. Neanche per mezza Europa, ma per l’Italia specialmente non passa. E la colpa è dell’Italia, questa sì.
I primi ministri e cancellieri a Bruxelles hanno detto quello che tutti sapevano – se lo sapeva anche questo sito. Ma non si diceva. Non in Italia. Che senso ha l’informazione?
È come se ci fosse una incapacità, l’inutilità (non professionalità, ignoranza), e presso i pochi illuminati la soggezione alle banche d’affari, cioè agli affaristi, probabilmente senza rimborso spese.

Dal Nord Africa con disprezzo

Numeri, cifre, dati, il rapporto della Polizia tedesca sui fatti di Capodanno a Colonia, Amburgo e altre città tedesche, delle manomissioni e aggressioni alle donne tedesche a opera di nordafricani di recente immigrazione è pignolo ma non spiega. Anche per l’anticipazione cui il rapporto è inteso: che i fatti criminogeni, oltre 1.200 accertati, sono e saranno impuniti. Ma non c’è l’essenziale: come e perché un paio di migliaia di nordafricani, non gruppetti isolati, né di ubriachi o alticci, un fenomeno che si può dire di massa, si è sentito libero di mettere le mani addosso alle “donna bianca”.
Questo fatto è il disprezzo. L’Europa, che ha goduto di una lunga storia di superiorità, molto ammirata nell’ex Terzo mondo, è ora disprezzata. Perché inerme. E anzi avviluppata nelle sue stesse leggi, per un’errata percezione dei proprio torti storici, o dei propri doveri di riparazione, e per un’equivoca lettura del suo sistema di leggi e di giustizia, ai loro occhi debole per essere 
ugualitario. .
L’immigrato arriva prevenuto. Ambisce all’Europa per l’euro, che è per lui, anche in poche unità, un capitale. Ma senza più l’attrattiva culturale, fonte di rispetto, che fino agli anni 1970-1980 il continente esercitava. Soprattutto se di fede islamica, che si vuole concorrente del cristianesimo che identifica l’Europa. È comunque in parallelo con l’offensiva islamica nell’Africa sub-sahariana, del Corno d’Africa e dell’Africa Occidentale ugualmente, e del fondamentalismo islamico nel Nord Africa e in Asia. E in una certa misura fa perno sul razzismo inconscio: sfidare la supremazia dell’“uomo bianco” in casa dell’uomo bianco, anzi con le sue stesse leggi.
Il rispetto delle regole senza l’uso della forza è per il mondo transmediterraneo una ridicolaggine.
Il traffico di uomini è peraltro gestito su questa base: l’immigrazione illegale diventa legale nelle more delle leggi europee – basta un avvocaticchio di poche pretese, una onlus pro immigrati, una volontaria pasionaria.

I tradimenti di Conrad

Si gioca alla rivoluzione anarchica. Per complotti che inevitabilmente falliscono. Col tradimento. Una tematica oggi scontata, dopo tante esperienze reali di questo terrorismo “conradiano” – in Italia con le Br e assimilati. Ma all’epoca coraggiosa, come usa dire: controcorrente.
I complotti inevitabilmente falliscono. Questo lo sanno tutti, e infatti Conrad non ci punta. Non inscena un complotto, indefinito, ma i caratteri del complotto, una dozzina. Il tradimento, magari a scopo rivoluzionario, o col sacrificio personale, è tema ricorrente di Conrad – ne era un’ossessione? In questo “romanzo”, che ne è un classico, ma anche in tanti racconti. Un paio dei quali altrettanto espliciti come tema: “L’informatore” e “Un anarchico”. Quest’ultimo  una storia di soprusi, della Legge anzitutto, che come ovunque è in Conrad inflessibilmente cattiva – marcia o stupida. Ma anche dell’anarchia come violenza, “il cuore caldo e la testa debole” – la storia di una delusione, non c’è anarchisa possibile. Uno dei tanti emblemi – i suoi personaggi sono molto emblematici - del conservatorismo di Conrad (formidabile, se il più eccessivo di tutti, il Kurtz di “Cuore di tenebra”, fu la lettura di molto Sessantotto).
Molto conradiano anche, e memorabile, il racconto freddo della perversione degli animi candidi, l’ansia del fallimento. Che, si sa, lo ha perseguitato fino all’età matura. Conrad adolescente s’imbarcava come mozzo non per amore del mare – non sapeva nuotare – ma per sfuggire a una brutta storia familiare e nazionale.
Una peculiarità evidente alla rilettura è che Conrad è molto europeo in queste tematiche, in sintonia con i tanti altri scrittori del genere nel continente, e per nulla inglese – forse per questo il romanzo fu accolto con freddezza all’uscita, e anzi con caustici commenti. Questo è il suo punto di vantaggio, secondo George Orwell ((“L’uomo venuto dal mare”, ora in “Gli anni dell’«Observer»”), suo tardo ammiratore e uno dei pochi in Inghilterra: il romanticismo. E cioè, in fondo, “l’amore per il nobile gesto”. Nonché, aggiunge, “la notevole comprensione della politica cospirativa”. Conrad, dice Orwell, aveva in orrore anarchici e nichilisti, e nello stesso tempo li ammirava: “reazionario magari in politica interna, ma ribelle alla Russia e alla Germania”.
Joseph Conrad, L’agente segreto

lunedì 11 luglio 2016

Letture - 265

letterautore

Autore – “Un uomo vero, che ha il diritto di scrivere”, dice Wittgenstein di Tolstòj. Lo stesso, più o meno, che diceva Stendhal: “Per essere grandi in qualunque cosa bisogna essere se stessi”. Anche nella stupidità evidentemente no, l’impegno dovrà essere impegnativo.

Blurb – Sono in realtà messaggini promozionali degli autori degli stessi blurb, più che dell’autore che sono intesi a promuovere: per essere ripresi nelle copertine dei libri degli altri e nelle colonnine di pubblicità, i soffietti editoriali fanno autorevoli i loro firmatari. Per questo non si pagano – è l’unico messaggio pubblicitario gratuito, anche se richiede una certa applicazione (bisogna essere incisivi, epigrammatici, allettanti, ed esporsi personalmente - senza rimetterci in onorabilità), e in offerta anzi preponderante. Nessuno, o raramente, legge o anche solo sfoglia il libro che promuove, si vede da quello che scrivono..

Chesterston – Si rubrica scrittore “cattolico” per ridimensionarlo? È l’ipotesi di Simon Leys nel lungo saggio sullo scrittore inglese, “Le poète qui dansait avec une centaine de jambes” (in “Le Studio de l’inutilité”). Ma era anche di Sciascia, che ne tentò il recupero - così come, con più successo, di Savinio: dello scrittore profondo senza “profondità”, e anzi lieve, spiritoso, apparentemente svagato e anzi mutevole.
Chesterston si convertì tardi, nel 1922, quando aveva 48 anni, e poi visse ancora quattordici anni: fu cattolico per un terzo della vita attiva.

Conrad – “Portatore della luce dal punto di vista europeo nella nera palude britannica”, lo dice Ezra Pound. Contrappunto al mondo inglese che pure scelse a preferenza di quelli più familiari, il polacco e il francese. Dal quale era peraltro (Henry James, Virginia Woolf, H.G.Wells) ritenuto estraneo, foreign, e senza complimenti – il riferimento corrente era a un poor queer man, un poveretto un po’ bislacco.
Una colpa di cui fece l’esperienza alla pubblicazione dell’“Agente segreto”, vittima di tutti i limiti inglesi: l’assenza d’immaginazione, la flemma, la puerilità delle argomentazioni, tipiche di un mondo la cui ambizione era di essere establishment. Limiti che tanto colpiscono oggi prepotenti, col Brexit, nell’“inadeguatezza” dei Johnson e dei Farage.   

È lo scrittore di Primo Levi: “Se il mio lavoro letterario ha radici in qualche parte, è in Conrad”.
Anche Orwell ne dette retrospettivamente un giudizio ammirato, mettendolo tra gli “scrittori che riuscirono nella nostra epoca a civilizzare la letteratura inglese mettendola in contatto con l0’Europa, da cui essa era stata separata per un centinaio d’anni”. Insieme con gli americani Pound e Eliot, anche James malgrado gli snobismi, e gli irlandesi Yeats, Joyce, Shaw.   

Napoleone – È il  maiale più maiale di tutti nella “Fattoria degli animali” – sarebbe Stalin, fuori d’allegoria.. La casa editrice francese O.Pathé , che lo tradusse immediatamente, nel 1947, o la traduttrice Sophie Duval, lo  mutò in Cesare – ritornerà Napoléon nella riedizione Gallimard, senza nome del traduttore, nel 1964..

Orwell – “Anarchico conservatore”, come si definì, e anche socialista e liberale, e tuttavia non ossimorico. A leggerlo, e anche a credergli, quando scrive a un corrispondente: “Socialismo significa semplicemente giustizia e libertà, una volta che lo si sgombra della sua sciocca logomachia”. Di sinistra ma: “Non c’è più differenza fra il fascismo e il comunismo”, concludeva, erano gli anni d Stalin. “Più” s’intende dopo la guerra di Spagna, in cui lui stesso dovette impegnarsi, la più parte del tempo, a salvarsi dai sicari di Togliatti: “Quello che ho visto in Spagna, e quello che ho visto poi dei meccanismi interni dei partiti politici di sinistra, mi ha dato l’orrore della politica”. Senza però perdere la bussola: “Io sono certamente «di sinistra», ma penso che uno scrittore non può restare onesto che nella misura in cui si guarda da ogni obbedienza faziosa”.
La distinzione migliore la fa scrivendo a Malcolm Muggeridge il 4 dicembre 1948: “La  vera distinzione non è tra conservatori e rivoluzionari, ma tra autoritari e libertari”.

“Petrolio” – Oltraggioso, volutamente più diretto (esplicito, squallido) che il metaforico “Salò-Sade”, che mantiene l’illusione della bellezza dei corpi, seppure insoddisfatta, insoddisfacente. Del sesso. Del sesso come corpo. Di cui niente si recupera, solo il rifiuto, e più per l’ossessione compulsiva che impone - una condanna. Propriamente un inferno, l’eterna condanna.
I più espliciti, White, Busi, lo stesso Pasolini di molti versi e di “Petrolio”, dannano l’impulso sessuale nel mentre che lo celebrano, come la perpetuazione dell’insoddisfazione. La gaytudine dopo aver risotto al sesso, meglio se violento, anonimo, promiscuo. Oltraggioso.


Revisioni - Quelle d’autore  non hanno  buona fama. Simon Leys fa un parallelo desolante di alcuni testi originali di Michaux e della redazione rivista che volle personalmente editare per l’uscita nella Pléiade. D.H.Lawrence riconosceva alla critica un diritto di esistere proprio in questo, nella difesa e anzi nel salvataggio dell’opera dalle mani del suo creatore. Si sa che Gogol avrebbe voluto corredare “Anime morte” di una seconda parte in forma di sermone moralistico. Tolstòj vecchio non si perdonava di avere scritto “Anna Karenina” invece di un testo pio. Henry James complicò alcuni suoi romanzi , appesantendoli della verbosità che ora si ritiene il suo stile, per rieditarli nelle opere compete – all’epoca la cosa fu mal vista, un critico newyorchese lo rimproverò: “Ci si sarebbe augurato dal signor James più rispetto per i classici, a cominciare da quelli usciti dalla sua penna”. 

Selfie – Sono tutti geniali? Se solo un genio può sapere di sé quanto è grande. Emerson indirettamente ne fornisce la prova logica, dicendo impresa vana ogni biografia letteraria, giacché racconta vite che per definizione si sono svolte nel silenzio e nell’indicibile: “I geni hanno le biografie più brevi perché le loro vite interiori si svolgono fuori dalla vista e dall’udito, e alla fine il loro proprio cugino non può raccontarvi nulla di loro”.

Silenzio – “Il silenzio è come un viottolo nascosto tra i boschi su cui sgusciano qua e là pensieri furtivi”. Sfrondata del barocchismo, l’immagine del giovane Rilke (nello “schizzo” narrativo che viene intitolato “Nel giardino”), è realistica.

letterautore@antiit.eu

La ricerca perduta di Londra, e dell’Italia

Col Brexit le università e i centri di ricerca inglesi perdono 900 milioni di euro. A tanto ammontano i finanziamenti europei alla ricerca inglese. I centri britannici sono i maggiori fruitori dei fondi europei per la ricerca, perché hanno il maggior numero di ricercatori, e perché hanno formato centri specializzati per indirizzare la ricerca verso l’uso ottimale dei fondi europei, e viceversa.
La somma è una volta e mezza il contributo britannico alla ricerca europea. Specularmente inversa a  al rapporto contributi-fruizione dell’Italia. Che contribuisce egualmente ogni anno con 600 milioni ai fondi europei per la ricerca ma ne riceve di ritorno, come finanziamenti, la metà. È una delle anomalie italiane. I ricercatori sono in Italia un terzo rispetto a quelli delle maggiori economie Ue, Francia, Germania, Gran Bretagna. Fanno miracoli, nel senso che riescono comunque a farsi finanziare da Bruxelles per metà, invece che per un terzo, del contributo. Ma l’Italia è comunque in deficit, di ricerca e di contributi per la ricerca.

La Fiat non fa bene ai (buoni) marchi

Alonso prima, ora Vettel, con Raikkonen e quant’altro: la Ferrari si è specializzata nell’ammazza-campioni? È sempre Ferrari, ma targata Fiat, si vede. Dopo il passaggio alla Fiat Maranello ha continuato a vincere sotto la vecchia gestione. Quando Todt ha lasciato una débâcle dietro l’altra. Dopo lo spegnimento di Lancia e Alfa Romeo, la prossima vittima sarà Ferrari?
Marchionne ha aggiustato molte cose nel gruppo (ex) torinese. Rimettendo l’azienda al lavoro. Liberandola anche da presenze importune, come Montezemolo, il pupillo dell’Avvocato dei Macelli. Ma non basta. C’è anzi il rischio ora che, non solo la F1, il marchio inattaccabile del lusso venga a deperire. I concorrenti, che non sono scemi e sanno lavorare, si stanno attrezzando, anche partendo da poco, per esempio Lamborghini. La Fiat invece si distingue per deprezzare e perfino annientare i marchi di cui entra in possesso.

I topi online di Roma


Una bambina romana di dieci anni, sola in strada, col telefonino, videa i ratti nel cassonetto. Normalmente si videano i gatti, e lo fanno gli adulti, non i bambini, oppure i maiali, qui i ratti. Successo virale, decreta il “Corriere della sera”, che col video si promuove. E incarica Sergio Rizzo di scriverci sopra una pagina - con seguente delirio alla Rai, dove non capiscono ma si attengono.
Proprio così: il solerte cronista viene comandato, si capisce leggendolo, di scrivere una pagina sull’“evento”. La tira in lungo. L’ispirazione non gli viene. Ma le righe per sostenere il titolone in qualche modo le assembla. E dopo la guerra civile negli Usa e i referendum che minacciano il governo, ecco il Roma-ratti a corpo 60: “I bambini giocano a contare i topi. L’emergenza rifiuti che soffoca Roma”. Dove non c’è emergenza e non ci sono rifiuti. Ma le mamme sì, è ero, quelle abbondano, che la spalla di Rizzo, Frignani, non manca di intervistare, tra i dolori.
Il “servizio” un titolo di merito però ce l’ha: non si capisce più dove sono i veri roditori. I denti di mamma? Del giornale? Del – poveretto – cronista aureo dello sciocchezzaio. O del bel quartierino di Tor Bella Monaca, una ne combino e cento ve ne racconto, di cui le cronache ormai non possono privarsi, nemmeno un giorno, le mamme ci bombardano, si vede che, beate loro, non lavorano, grilline bulgare, al 99 per cento. Il lettore confuso del presente, è qui il merito, potrà considerarsi nella norma, la confusione è generale.
A meno che non sia un gioco burlone di parole. Ecco da dove è venuta l’idea ai dirigenti del giornale milanese, non dall’odio di Roma. Un tempo era la Roma-gatti, piena di gattare e gatti nelle piazze e agli angoli delle strade, ora è la Roma-ratti? Le gattare si sono ritirate in casa e mandano fuori le figlie.
La verità purtroppo è una sola: che è l’ora dei topi online. Delle madri che mandano in strada le figlie decenni, dotate di cellulare, nelle pause quando non postano su facebook, per raccogliere materiale per la prossima flashata.

La “Repubblica” del mingrino

Non si può parlare male dei giornali, che non hanno buona salute. Ma di “Repubblica” si può, perché no, che si vuole partito. Di che non si sa, ma non c’è motivo per dolersene. Oppure sì, è il giornale del consumismo d’élite, si sa che i giornali devono caratterizzarsi, offrire un target alla pubblicità - dopo essere stato il giornale del compromesso storico, poi dei Democratici di Bettini e Veltroni, poi delle semplici professoresse. Ma non è questo il problema.
Il problema è di un giornale diretto dall’editore. E che giornale, un giornale-partito, il giornale del partito Democratico. Tanto democratico che l’editore, De Benedetti, dopo essersi impadronito delle quote di Scalfari, lo ha licenziato. Ha licenziato un direttore come Scalfari. Sostituendolo con uomini suoi. Il prologo dice già tutto, ma non è tutto.
L’editore De Benedetti, a suo tempo tessera n. 1 del Pd, vuole ora licenziare Renzi. E lo mette in guardia: “O…O” Ne ha diritto. Tanto più che lo esercita non sul suo giornale, ma sul “Corriere della sera”. Ma non ha buoni precedenti, lui stesso lo dice.
Questo è il suo quarto intervento scritto, ammonisce: “Il primo lo scrissi sulla riunificazione tedesca: previdi che la Germania l’avrebbe fatta pagare agli altri europei, con l’austerity. Il secondo alla vigilia della guerra in Iraq, presagendo il disastro. Il terzo dopo la vittoria apparente degli americani, che in realtà apriva la strada al collasso del Medio Oriente e al terrorismo”. Il governo è finito.

Il capolavoro è della promozione editoriale

Con più verve di Eco? è presto detto. È pure vero – ci vuole poco. E potrebbe servire, fosse questo sito autorevole, a promuovere ancora meglio Simoni. Meglio di come viene promosso dall’editore.
Il libro, ottimamente stampato, rilegato, sovracopertinato,  prezzo popolare, si presenta all’uscita con una fascetta mirifica: “N° 1 in classifica. Un milione di copie. Tradotto in18 paesi”. Seguita da una quarta più specifica, ma non meno eulogica: “N° 1 in classifica. Un autore da i milione di copie. Tradotto in 18 paesi. Vincitore del Premio Bancarella”. Perché, senza offesa per Simoni, che del genere fantastorie è cultore serio e colto, il meglio del libro è il lancio: un capolavoro. Specie i tweet dei blurb, i soffietti editoriali, qui soffiati a D’Orrico, Sgarbi, “la Repubblica”, “la Stampa”.
Un fantagiallo storico. Parte di uan “Codice Millenarius Saga”.  Col passo del fogliettone, invogliante anche per i più pigri: capitoli di quattro-cinque pagine, e una promessa di sorpresa all’ultima riga.Tra la peste, i riti satanici, i riti del potere, e la paura sempre dell’apocalisse, tutti gli eccessi che il genere vuole, Simoni sa trasportarci indietro, nel 1349, tra Ferrara e Pomposa, in una società e una storia molto credibili anche se remote. Anzi propriamente nell’inverno del 1349, Simoni sa caratterizzare anche la natura e le stagioni. Attorno al solito plot inverosimile che il genere vuole – e tuttavia credibile, possibile – a differenza appunto di Eco. Anche se politicamente corretto – cosa che a Eco non si può rimproverare: i longobardi sono subito “guerrieri ariani”. Ma con cautela: il “Magnificat” che le suore in convento cantano ai Vespri, o a Compieta?, ha una nota esplicativa – non sappiamo più quello che siamo.
Marcello Simoni, L’abbazia dei cento inganni, Newton Compton Group, p. 335, ril., € 9

domenica 10 luglio 2016

Il mondo com'è (268)

astolfo

Comunismo - Inumano e morale si dichiara da sé nella cancellazione della memoria. Della storia, della possibilità di sapere. Ieri nell’Unione Sovietica, oggi e da tempo in Cina. Nessuna ricostruzione dello stesso comunismo è possibile, chi ha venti e anche trent’anni non sa nulla e non può sapere nulla del suo passato recente e dello stesso regime che lo governa, solo quello che il regime giorno in giorno decreta debba essere portato a sua conoscenza: l’opinione vi è in coma indotto, con la cancellazione occhiuta della memoria.      

Ha fatto la fine del suo principio – nel senso di principio costitutivo, “naturale”: una dottrina e una pratica dell’odio sotto il manto della giustizia, e della prevaricazione. Ovunque materializzandosi in regimi immorali e inumani, senza paragoni nella storia. Come nell’ultimo quarto di secolo in Cina, dove, al coperto della globalizzazione e del miglioramento economico, ogni sorta di sfruttamento, anche di minori e fino di bambini, viene ammesso. E la corruzione dei politici è la via maestra e normale degli affari. Al coperto di un regime politico totalitario all’estremo. Di una burocrazia politica, peraltro, che opera per cooptazione senza ricambio democratico, che pignolescamente controlla e perseguita.

Lo stesso nella fine del sovietismo, quando con Eltsin la dirigenza del partito Comunista, le nuove leve soprattutto, si ritenne e fu libera di appropriarsi di tutte le ricchezze dello Stato, banche, finanziarie, miniere, giacimenti, fabbriche, mercati, monopoli, a titolo personale.

Destra-Sinistra – È dialettica novecentesca, e segue ovunque lo stesso modulo. Dove la sinistra si impone, o ci prova, e fallisce, la destra prende il potere, con le stesse masse, quelle comuniste si fanno subito fasciste. Non è un’esagerazione e non è da ridere: è un fatto, che si ricalca ora in Italia nel passaggio in massa a Grillo, e in Francia nel passaggio in massa a Le Pen. Grillo e Le Pen non sono esattamente fascisti, vengono detti populisti, che però è la stessa cosa, senza la violenza.
È lo scambio-dialettica che ha fatto la storia europea tra le due guerre. E ancora dopo in Grecia e in Francia. Si riprospetta ora in Europa, dalla Grecia all’Olanda e alla stessa Gran Bretagna. È lo schema più ubiquo, normale, su cui però non si riflette. Forse per non dover riesaminare i fondamenti e le procedure della democrazia. C’è sempre un tentativo, elettorale, di piazza, dell’opinione, per una soluzione popolare, fallendo la quale la reazione si impone, come più capace e anche più giusta.
L’Europa degli ultimi decenni è anche un caso, semplice, di superficie, di come il fascismo si imponga da sé, nella forma del nazismo: Cioè col razzismo incorporato, nelle forme della pulizia etnica, del primato, del dominio o riserva di sovranità necessari. In effetti, restrospettivamente, il nazismo è nato poco o nulla esoterico, e anzi quotidiano, molto. Mentre l’opinione si attesta, a vuoto (altro difetto costitutivo?), sulla neutralità (incorruttibilità) delle istituzioni, per la libertà e la democrazia, che in nessuna esperienza è stato vero.

Estremismo – “Ogni estremista è rispettabile”, scrisse Conrad all’amico Cunningham Graham, dopo averne fatto la satira in “L’agente segreto” – la satira di tutte le forme di estremismo, dal debole di mente al Professore che manipola le coscienze. È il segreto del proselitismo facile, dalle Br al Califfato?Il Professore kamikaze di Conrad lo sa: “Follia e disperazione! Datemi questa leva e solleverò il mondo”. Ma Conrad non ne era in realtà convinto. Scrivendo successivamente allp0amico e traduttore francese Henry Davray spiegava cos’ “L’agente segreto”: “Ci sono là dentro una mezza dozzina di anarchici, due donne e un idiota. Ma sono tutti imbecilli, compreso un segretario d’ambasciata, un ministro di Stato e l’ispettore di polizia”. La rispettabilità può essere idiota.

Imperialismo – Ebbe un suo lato positivo? Nella storia e nell’etica no, ma in due scrittori di forte sensibilità politica sì, Kipling e Orwell, in parte anche Forster. Orwell ne fece esperienza diretta  nella polizia britannica in Birmania, benché ne abbia scritto subito contro, in “Giorni birmani”. Nel rifiuto cioè, e anzi l’impegno contro l’occupazione e la jugulazione, contro le leggi coloniali, anche solo contro la dignità. Però, ebbe anche a professare “rispetto per gli uomini che costruiscono le cose”. Kipling fu critico, più spesso in radice, del legame coloniale come subordinazione - anche in componimenti (racconti, poesie) che vengono portati a esempio del contrario, del suo imperialismo cieco.
Si può anche pensare che i Romani rozzi abbiano distrutto tutte le opere dell’intelletto che trovarono a Cartagine, di filosofia, poesia, storia, architettura, pittura, scultura, mentre essi avevano e coltivavano i Carmina, le Farse, la Sature, le Leggi, gli Annali, i Fasti, gli Elogia, Livio Andronico,  Ennio. Ma qualcosa ne sarebbe rimasto, se non a Cartagine in altro luogo fenicio. Lo stesso poi nelle Gallie, quando essi avevano e onoravano una ricca Età Classica. O nella selva teutonica.
C’è qualcosa che sfugge anche nella successiva assimilazione totale a Roma, nella stessa Cartagine,  in Libia e Numidia, nelle Gallie meridionali, in Spagna e altrove nel Mediterraneo. Non nel Nord Europa, ma in cambio di niente che si sia fatto ricordare. Ed è pure vero che i Romani imparavano presto e bene nei territori sottomessi in cui c’era da imparare, e partire dalla Grecia, e poi in Egitto e nell’Oriente Medio, e dai culti religiosi.

Liberali – Le professioni, che si dicevano liberali, sono ora caserme. Catene di montaggio per produrre più soldi. In un meccanismo che consuma, quasi una schiavitù, non fosse per il guadagno. Che comunque è sempre insoddisfacente, e bisogna lavorare di più, essere disponibili, intervenire a qualsiasi ora, rientrare in un obiettivo, di vendita, di crescita, di espansione. In tute le professioni mediche e paramediche. Tra i legisti. Tra i manager. I professionisti vanno in vacanza angosciati, e che sia breve. Le seconde case tengono senza aprirle, per lo standing, anche se con Monti costano caro, carissimo.

Occupazione – Quella bellica evoca automaticamente la resistenza – il tallone di ferro, etc.  Ma se accorta può indurre, induce facilmente, uno stato di soggezione volontaria. È avvenuto a Parigi nei quasi quattro anni di occupazione tedesca. Quando si pubblicava di tutto, e si faceva molto, e volentieri, teatro malgrado il coprifuoco. Mentre alla liberazione, nel 1945, Orwell trova a Parigi una censura impensabile: tutto deve passare attraverso Aragon e pochi altri, cioè attraverso la censura preventiva del partito Comunista. Commenta con un corrispondente: “In Francia ho avuto l’impressione che non c’è quasi più nessuno che si preoccupi ancora della libertà di stampa etc..Mi sembra che l’Occupazione ha lasciato un’impronta che schiaccia le mentalità delle persone”. Un’impressione attenuata dalla considerazione: “O forse una specie di decadenza intellettuale si era già installata durante gli anni anteguerra”.
Dick immagine nel famoso “La svastica sul sole” la parte occidentale degli Usa occupata stabilmente da tempo dai giapponesi: nulla di traumatico, e anzi parecchia laboriosità senza scandalo.
Se Hitler avesse attuato il temuto sbarco d’Inghilterra nell’estate del 1940, prima dell’entrata in guerra degli Usa, non sarebbe scattata la molla del filogermanesimo? Della dinastia e della cultura inglese, se non del sentimento popolare, pur sempre insulare – ma aveva già subito e accettato i normanni otto secoli prima.

Pio XII –Morto in fama di combattente, era un diplomatico, irresoluto a tutto: L’unico papa forse diplomatico in senso proprio – il successore Giovanni XXIII era stato un diplomatico improprio. È tutta qui la sua prudenza su – contro – Hitler, di cui conosceva la presa sulla Germania. La prudenza è testimoniata da Massignon, che fu suo familiare, un giorno che andò a trovarlo e gli propose, allo scoppio della prima guerra arabo-israeliana, un messaggio di pace. Al che Pio XII. obiettò: “Lo ascolteranno?”. “Ma proprio per questo bisogna dire la verità, santo padre”, rispose l’antropologo.
Contro il comunismo Pio XII fu determinato, ma sempre per induzione diplomatica. Il danno era stato già fatto, in Russia e nell’Europa orientale, dalla Polonia all’Ungheria e alla Jugoslavia. E in via prudenziale c’era da prevenire il danno in Italia – in Francia, in America Latina.

Salazar – L’ultima dittatura europea egli anni 1930 finì così. Benché il suo dominio fosse finito da con l’infarto del 1968, dopo trentasei anni di dominio ininterrotto, continuò per alcuni mesi, fino a inizio 1970,  a presiedere in casa il consiglio di gabinetto. Al quale i vecchi ministri si recavano fedeli, anche se quasi tutti erano decaduti con lui, o successivamente.


astolfo@antiit.eu

La sapienza è inutilità

Lo “Studio dell’inutilità” è il rifugio che Leys condivideva con altri ragazzi cinesi nei suoi anni di apprendistato del continente Cin - uno di essi, artista, aveva fissato il piccolo gruppo in un manifesto con questo nome. L’inutilità sarà alla fine dell’università. A essa Leys si appella nel ringraziamento a Lovanio che lo ha addottorato honoris causa: non un’esamificio, è la fine dell’“inutilità”, della creatività, ma una congregazione di ricercatori.
Non un’eresia, questa “Idea di università”: è l’ambivalenza tradizionale dell’istituzione, facilitare gli scambi e acuire l’osservazione fra chi sa pensare, e insieme insegnare, mettere a disposizione il proprio scibile. Ma sì negli ordinamenti attuali, della redditività e della caccia allo studente, al numero degli studenti, dell’università di massa, nella quale nessun’altra funzione è possibile, e anzi viene esclusa – fino ad allontanare i professori che “bocciano”, siano pure grandi scienziati.
Nel mezzo una peregrinazione di grande intrattenimento. Sulla Cina, di cui Leys è stato uno dei migliori esperti, fin dalla “rivoluzione culturale” e dalla Guardie Rosse, a partire dal 1970 – allora col suo nome proprio, Pietrre Ryckmans. Ora sul sistema totalitario all’estremo, di cui pure non si parla. Annesse sapide note sull’incredibile diario di viaggio in Cina, nel 1974, di Roland Barthes: juna sorta di sciocchezzaio,m ma non voluto. Sulla “belgitudine”, di cui lo stesso Leys è parte, a proposito di Michaux. Sugli amati Conrad, Chesterston, Orwell. Sulla letteratura francese del mare, altra sua specialità. Sui debiti di Milosz e Camus con Simone Weil – di cui Camus governerà la pubblicazione postuma.
Tagliente a volte Per esempio sul suo amato cattolicesimo, sempre professato malgrado una vita £”altrove”, in Cina prima e poi in Australia - “la  desolante caricatura di protestantesimo nella quale è scivolato il cattolicesimo occidentale post-conciliare”. Una scrittura desueta, del saggio d’occasione, tanto più ricostituiva in quanto rara, che l’autore riempie di umori.
Simon Leys,Le Studio de l’inutilité, Champs Flammarion, pp. 303 € 9