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venerdì 27 luglio 2012

Secondi pensieri - (109)

zeulig

Dio – È morto solo in Occidente, in Europa. Che attraverso la Riforma e le opere della Controriforma si era avvezzata a un Dio personale, la cui immagine era definita e anche familiare. Con la perdita dell’immaginazione e della personalità diventa impossibile ogni fede, e inutile o svanita ogni immagine di Dio. Che ritorna, è comunque possibile, come un Dio impersonale, astratto. Cui far riferimento con assiomi filosofico-teologici o con radici linguistiche (letterarie).
Dio è morto sancisce un ritorno all’antico, all’imperscrutabilità di Dio, della Bibbia come di Budda.

Sarà onnisciente, ma è uno che non intercetta. L’intercettazione è una trappola: si osserva e (perché) si è osservati. Una attività a somma zero, cui Dio si sottrae per essere, per definizione e non solo nella Bibbia, nascosto, segreto. È la sua sfera di libertà e anche la sua natura. Se deve muovere un rimprovero o comminare una sanzione non ha del resto bisogno di giustificarsi.
Questo non vuol dire che l’intercettatore non è un dio: ci sono tanti dei, c’è un mercato anche della divinità. Ma non quello che si pensava.

Ermeneutica – Non può prendersi sul serio.
Se non con la chiave del dubbio (dell’ironia, del gioco).

Indiscrezione – Sotto la forma dell’intercettazione, legale o letteraria, della videosorveglianza, o di google, è la forma di comunicazione prevalente, in questa epoca che pure si vuole della privacy. Friedrich Dürrenmatt prospetta in “L’incarico” un mondo ipersorvegliato, dove tutti controllano tutti, con un miriade di satelliti geostazionari. Ne fa la filosofia come una superfetazione di “1984”, che non cita, ma di un universo concentrazionario non politico, senza poteri individuabili. Dürrenmatt ne scrive nell’ottica salvifica antibellicista, che vede nel male un esito della malvagità dei promotori di guerre. Mentre invece questa “visibilità totale” è una sorta di guerra hobbesiana, di tutti contro tutti. Senza alcun esito apprezzabile, né progettuale né casuale, se non una distruzione sempre più ubuesca - “L’incarico” si svolge e si conclude in maniera insoddisfacente, malgrado il linguaggio astruso, iperletterario, come una storia da B-film, del genere splatter, di lacerti sanguinolenti in vista.

Ironia - Il contrasto anima l’ironia, il ridicolo, lo scherzo. Ma è (resta) verità. Dà spessore all’ipertesto, ne vivifica gli echi, lo alleggerisce: una trivella che consente una rilettura a più livelli – la chiave della Cabala, della rilettura costante, dell’ermeneutica.
Un grimoire senza oscurità - intessuto di eventi noti.

Oppure no, l’ironia (Swift, Voltaire, anche Sterne) è un impianto - una posizione nella vita, una rigidità: per questo dissecca.

Male – È mancanza. È quindi in funzione del bene. Mentre il bene è possibile e immaginabile, reale, senza il male, il contrario non è possibile – non c’è il mondo se non c’è il bene. Un mondo di solo male è immaginabile ma defunto, da sempre.

Storia - Non è mai ricostruzione di un dato passato. La storia non è, o lo è soltanto in misura limitata, un prodotto della scuola. È erudita, vuol’esserlo, deve esserlo. Ma dev’essere considerata “scienza” inesatta per eccellenza, impensabile senza la teoria: il pensiero storico è sempre finalistico. La storia è condannata a divenire sociologia.

La storia è certo di una parte, lo spiega Huizinga. È un Gestalt. Una forma spirituale, come la letteratura, la filosofia, il diritto, la scienza, per comprendere in essa il mondo. È la forma dello spirito in cui una civiltà si rende conto del suo passato. Ogni civiltà produce la sua propria forma di storia. Che è sempre storia universale. Ma la storia non fornisce mai altro che una certa figurazione di un certo passato, un quadro comprensibile di un frammento - “frammento di frammenti” la dice Goethe, come la letteratura.
Febvre invece la vuole arte – anche questo è Occidente - e scienza, del passato e del presente. Un ramo della scienza delle comunicazioni, aggiunge Lévi-Strauss, per il quale “in ogni società la comunicazione ha luogo a tre livelli: scambio di beni e servizi, scambio di messaggi, scambio delle donne”. Non male. È sempre una signora molto esigente, trovava Giorgio Spini in polemica col professor Spadolini, che non s’è mai sposato: richiede cultura internazionale, scaltrezza di metodo, pesante fatica, anche fisica, di ricerca delle fonti. Ed è bene in carne, si spera, poiché va fatta propria.

Gentile è di altro avviso: “La storia non è l’essenza di Parmenide ma l’idea di Platone”, un’idea che, attraverso il concetto socratico, è “trasposizione della natura”. L’idea platonica fonda la logica aristotelica, governata dal principio d’identità, che si riflette e articola nella non contraddizione e nel terzo escluso, “per cui il pensiero vero, che è, più che il pensiero, la verità oggetto del pensiero vero, sé in sé rigira”. La storia è dunque masturbatoria: “Il concetto di circolo giova a definire con esattezza la natura del fatto storico”. Ma niente si pensa se non partendo dalla storia, “in cui l’oggetto si pone come quello che esiste”. E “la speculazione deve abbracciarsi alla storia, come il concetto all’intuizione”. Morto il positivismo resta il positivo, cioè la storia. Nella quale “il pensare è un continuo divorare, e richiede pertanto sempre materia da maciullare”, spiega il filosofo di Mussolini: “La storia costruita con formule o concet-ti, storia che può dirsi chiacchierata, è storia vescica”. E dunque fa pipì?

La storia dopo sant’Agostino è certo cristiana. Anche se non lo è. È la cifra decisiva dell’Occidente, ha scoperto Croce, che, anche se non ha o non pratica la fede, continua a pensare in modo cristiano. Per sant’Agostino la storia è una guerra che dura fino alla fine del mondo, tra la civitas Dei e la civitas diaboli. E questo è reazionario e poco cristiano. Porta infatti a De Bonald: “La storia? Un branco di ciechi, guidati da un cieco che procede a tentoni, aiutandosi con un bastone”. E a Donoso Cortès che gli rispondeva: “La storia universale è soltanto il beccheggiare di una nave alla deriva con un equipaggio di marinai ubriachi che ballano e cantano a squarciagola, finché Dio non affonda la nave perché torni a regnare il silenzio”. A meno che il cristianesimo, con tutto l’Occidente, non sia reazionario. La storia è cristiana per il senso della durata che è inerente alla religione. Quella cristiana sacralizza la storia, la trasforma in teofania. A partire dall’anno Mille, assicura Duby. Dunque, la storia comincia nell’anno Mille. Del calendario cristiano. Quando la chiesa gli amplessi disse vergogna, si rivestì di viola, e il Cristo mise in croce, che prima era giovane e vispo per la gioia della Resurrezione.

Virtù – È il muro della realtà, il punto d’inciampo e la colonna dell’edificio: non c’è reale senza. Un mondo inquinato, corrotto, violento, traditore, semplicemente non esisterebbe. C’è il ladro in quanto ci sono case oneste in cui rubare. Lo spergiuro dà per scontata la buonafede dei più. Il prevaricatore esiste (può esercitarsi) in quanto l’affidabilità è la norma. Perché questo è: il male si prevale del bene.

zeulig@antiit.eu

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