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sabato 16 novembre 2024

Problemi di base di G.Greene - 832

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“È agli amici che si riservano il dolore e il vuoto”?
 
“La morte è assai più sicura di Dio”?
 
“Quando non sei sicuro sei vivo”?
 
“La natura umana non è bianca e nera, ma nera e grigia”?
 
“Quando non sei sicuro, sei vivo”?
 
”I ricordi felici sono i peggiori”?

spock@antiit.eu

Napoli come Venere, marina e capricciosa

Dopo la grande bellezza di Roma, la grande bellezza di Napoli. Un omaggio alla città, con la subordinata Capri. Ma più alle persone – tipi, modi, linguaggi – che alle cose. Come nella grande bellezza originaria. Qui intervallato dal grottesco, alla vista e all’udito, come è del decamerone napoletano, “Lo cunto de li cunti” di Basile. Sempre in un caleidoscopio rutilante di immagini, la cifra di Sorrentino.
Una sorta di autobiografia anche, l’arco temporale circoscrivendosi dagli ultimi sprazzi del laurismo al campionato del 2023. È Achille Lauro, il grande armatore, che porta con cura su una zatterona il grande letto su cui verrà concepita Parthenope - che però nascerà dall’acqua, secondo la procedura ostetrica già molto in voga: come Venere, dal mare di Posillipo. E il cardinalone che svezzerà Parthenope ha molto figurativamente di Sepe, il cardinale napoletano (casertano) di Napoli ora pensionato. Ma un’autobiografia, curiosamente, “al femminile” – curiosamente perché anche la sceneggiatura è tutta di Sorrentino. O Napoli non può essere che donna, incostante, e perfino capricciosa – come si poteva dire o pensare il “femminile” qualche tempo fa?
La vena personale, un fondo di dolore nella fantasmagoria della vita, accompagna tutta la narrazione - come la vita stessa di Sorrentino: Parthenope è sbarazzina ma segnata dal lutto. Dalla morte, dall’abbandono di sé (la deriva, l’alcolismo, figurati nello scrittore americano di Roma John Cheever, una figura di “Capri” – l’isola un tempo leggenda della trasgressione), dallo sradicamento, qui addirittura a Trento, dalla vecchiaia – dall’angoscia della vecchiaia.
Ma un’avventura, sempre e solo, di immagini. Tra La Capria, “Ferito a morte”, degli anni felici giovanili, e gli eccessi di Malaparte. Degli amplessi, forse non necessari, del cardinale con Parthenope nella cattedrale, e dei figli di due cosche rivali davanti alle “famiglie” riunite per celebrare la pace mafiosa. Se non che, forse, l’uno aneddoto e l’altro, non sono veri ma tali sono stati per la città – e Napoli è una città che crede e si crede. O il figlio obeso del professore di Parthenope, che il professore nasconde ma col quale convive, un Buddha ingombrante col visino vispo di bambino.
Una prova d’attrice, offerta e raccolta, da Celeste Dalla Porta, Parthenope. Col recupero di molti nomi in ruoli di caratteristi, di personaggi a una sola faccia, Silvio Orlando, Luisa Ranieri, Gary Oldman, Isabella Ferrari, Pepe Lanzetta, Alfonso Santagata.
Il film non è piaciuto alla critica “militante”, quella delle stellette, e non si vede perché. Un monumento, come lo vuole Lanzetta.
Paolo Sorrentino, Parthenope

venerdì 15 novembre 2024

Ombre - 746

Succedono brutte cose. L’albergatore che non vuole israeliani, “colpevoli di genocidio”. Il gestore del cinema che rifiuta il film su Liliana Segre. La sordina a feste e manifestazioni ebraiche. E non è antisemitismo – in America le stesse cose sono opera e raccomandazioni di ebrei anti-sionisti. Bisognerebbe prendere atto che la legge di Mosé, o del taglione, è limitata.
 
“Leoncavallo, tre milioni ai proprietari per il mancato sgombero. Paga il Viminale”. Agli eredi dell’immobiliarista Cabassi - cui al suo tempo Milano non concedeva buona fama. Non si può dire che la giustizia non sia politica, della peggiore: la sovversione. Quanto giudici (non) hanno avuto a favore gli “squadristi di sinistra” del Leoncavallo, “grande cuore” di Milano?
 
Perquisizioni e arresti in Campidoglio per gli appalti. Anche del giubileo. Anche del giubileo straordinario 2016. E niente. Poche righe sul “Corriere della sera”. Solo pagine romane per “la Repubblica”. Come non detto.
 
Morosini, il capo del Tribunale di Palermo che boccia Meloni sui paesi sicuri (paesi di provenienza degli immigrati irregolari), era il presidente di Magistratura Democratica, la corrente dei giudici del Pd. Succeduto da Albano, la giudice di Roma che per prima ha bocciato Meloni. Bianconi, “Corriere della sera”, gli chiede: “Non è legittimo il sospetto di orientamenti politici applicati ai provvedimenti?” Morosini non obietta: “In ogni caso ci sono le impugnazioni: se un provvedimento non convince si va da un altro giudice”. Ma non quello italiano, che magari, dopo qualche anno, capita che decida. No, furbo, la Corte europea, i galantuomini che si fanno un merito di non faticare.
 
C’è molto più militantismo anti-Trump sul “Corriere della sera” e “la Repubblica”, perfino sul “Sole 24 Ore”, che sui giornali americani dichiaratamente anti-Trump. Non nelle corrispondenze, nella titolazione, nell’evidenziazione. C’è un motivo?
 
Nessuno in America contesta alle futura ministra della Sicurezza Interna Kristi Noem di avere scritto nelle sue memorie che sarò al suo cane da caccia perché “non ubbidiva”. Ma è la notizia, con grande foto da cacciatrice-quasi-marine, della prima del “Corriere della sera”. E, con una foto più piccola, di “la Repubblica”. Siamo in guerra con l’America?
 
Claudio Ranieri, il terzo allenatore dell’As Roma in due mesi – tragicommedia di cui fuori Roma non si percepisce l’acuità – è lo stesso che rilevava la Roma quindici anni fa. La stessa: solo batoste nelle prime gare. Ma con un organico allora di campioni, Totti, De Rossi, Perrotta, tre campioni del mondo 2006, e altri ottimi centrocampisti. Una Roma presieduta da Rosella Sensi, che oggi si scandalizza. Allenata da Spalletti…
Sarà il calcio l’industria della passione? O del capriccio - indisciplina, incapacità di lavorare in gruppo?
 
Landini, araldo salottiero della “rivolta sociale”, porta a palazzo Chigi e regala a Meloni, la fascista, “L’uomo in rivolta” di Camus. Che è un lungo, circostanziato, violento atto d’accusa contro Marx e il sovietismo. Specie nel 1951, quando apparve. Landini ha regalato il titolo ma non ha letto il libro – nemmeno l’indice. Nessun giornale che lo noti: nessuno legge più Camus? nessuno legge più?
 
Oppure è peggio. Sicuramente i giornali hanno redattori e collaboratori che avranno segnalato l’equivoco. Se non altro per essere gustoso. Ma non l’hanno rilevato.
C’è ancora un comitato centrale dell’informazione – c’era, ufficiale, ancora al tempo di Veltroni alla Stampa e Propaganda del Pci, primi 1980 (riuniva una volta a settimana a Botteghe Oscure i  giornalisti compagni per le delazioni sulle redazioni)?
 
Cazzullo ha passato una settimana in America per le presidenziali e ha scoperto che tutti i tassisti di cui si è servito hanno votato Trump. Uno solo dei quali, un uzbeko, era nazista-comunista (pro Hitler e pro Stalin) - tutti eccetto un certo Lorenzo, un afroamericano, che si è fatto ingiustamente 23 anni di carcere, ha beneficiate di indulto di Trump, ma ha votato Harris per fare contenta la madre novantenne: uno eritreo, uno etiope, uno senegalese, uno ecuadoriano, uno salvadoregno. Tutti immigrati col visto, contro gli immigrati irregolari.
Cazzullo ha fatto la scoperta dell’America – ma, poi, chissà se l’America è stata scoperta davvero (chi era Colombo?).
 
Lo stesso “Corriere della sera”, il giornale di Cazzullo, scopre anche che il traffico di immigrati in America dal Messico “è controllato dai narcos, “i veri padroni della frontiera”. Ma in una minima, in fondo a una pagina, a riempitivo.
Però, comunque, perbacco!
E a quando un’analoga scoperta per i traffici su Delo, Lampedusa e Roccella Jonica? Lo deve dire il papa?
 
“Non abbiamo il Libretto di Mao né il Capitale di Marx”, dice alla tv la giudice Albano, presidente di Magistratura Democratica alle assise annuali del suo sindacato. Peccato.
Sarà la giudice solo una buona democristiana – di sinistra naturalmente, come è il Pd romano, padrone degli appalti, anche quelli delle “cooperative” e delle ong dell’accoglienza
 
Amanda Knox  sull’assassinio della sua amica Meredith Kercher ci ha fatto una piccola fortuna – tanto da consentirle di non lavorare: interviste, comparsate tv, uno o due libri, e ora un film. Che gira nei luoghi dell’assassinio. Non è stata lei ad assassinare Meredith, secondo i giudici di Firenze – o meglio secondo la sua avvocata di ultima istanza, Bongiorno. Ma sicuramente sa cosa è sucecsso. La tipica ragazza americana, una delle “innocenti all’estero” che commuovevano Mark Twain?
 
“Mi annoiano le partite di oggi. Si fanno 500 passaggi all’indietro col portiere, che ormai fa il playmaker”, sbotta l’ex allenatore Sonetti ottantenne, he vinceva col Torino i derby con la Juventus: “Vogliono tutti imitare Guardiola”. Senza che nessuno ricordi che Guardiola aveva Messi, che prendeva la palla davanti al suo portiere e in pochi secondi l’aveva portata davanti al portiere avversario. Tanti soldi, ma niente spot – niente agonismo, niente tecnica.

Gioco della torre in famiglia, tragico

Chi buttare giù dalla torre, il padre o la madre? Il vecchio gioco da salotto o da famiglia (all’origine del film è il dramma teatrale dallo stesso titolo di Filippo Gili) trasformato in un incubo familiare. Entrami i genitori vanno a sicura morte, se non per un trapianto di midollo osseo, per il quale solo la figlia è compatibile, il figlio no.  i può fare quindi solo un trapianto: a quale dei genitori?
Un non caso medico-fisiologico, e quindi logico, argomentativo. Gran successo a teatro, al cinema non offre molte immagini. Se non dolorifiche – anche litigiose, e stranianti, comunque traumatiche. Anche per lo spettatore.
L’irrealtà del caso si traduce in una visione poco partecipata? Lo spettatore non ama porsi troppi problemi? Il tema è da tragedia greca. Ma è una tragedia quanto attuale, o non, forse, solo rispettabile, come tutto ciò che è antico - “classico”. Senza la catarsi finale.
Una “rappresentazione” coinvolgente per l’appeal degli interpreti, Bonaiuto, Scalera, Leo.
Francesco Frangipane, Dall’alto di una fredda torre, Sky Cinema, Now
 

giovedì 14 novembre 2024

Fanfani, il più grande di tutti

 Tra pochi gironi, il 20 di novembre, fanno 25 anni dalla morte di Amintore Fanfani. Che nessuno ricorda, ma è quello, a uno sguardo restrospettivo, che ha fatto, l’Italia del dopoguerra, letteralmente, quale tuttora è, nelle opere e perfino nelle leggi. Anche quelle del nuovo diritto di famiglia e civili – malgardo il referendum, in cui non credeva, che pure promosse contro il divorzio. Dall’alto del suo metro e sessanta – sessantatrè per l’esattezza. Dal piano casa1949, con l’ina-Casa – che assortì nel 1963 con la Gescal. E i rimboschimnenti: negli anni 1950 dieci volte di più di tutti i rimboschimenti Pnrr. Fanfani, di cui nessuno parla, sarà stato l’uomo politico più produttivo della storia della Repubblica. Fino al voto ai diciottenni, e ai decreti delegati (le famiglie a scuola), 1974. E compresa la “piccola liberalizzazione” universitaria del Fanfani III, 21 luglio 1961, assortita del “presalario” universitario ai meno abbienti, del Fanfani IV, 14 febbraio 1963.
Prese in mano la Dc degasperiana nel 1954 e ne fece un partito movimentista. Suscitando opposizioni anche violente della destra. Capitanata da Moro. Che quando Fanfani portò la Dc al primo centrosinistra negli anni 1960, s’impose a capo del governo Dc-Psi quale garante dell’unità del partito, cioè garante del “non fare” (provocò perfino una crisi del suo stesso governo quando si provò a non aumentare i sussidi alle scuole private confessionali). I quindici anni di duello con Moro finirono per sfinirlo – ancora prima che Moro diventasse, alla morte incredibile per mano delle Br, il “santino” della sinistra, di cui pure aveva preparato il catafalco con i “non governi” di Andreotti.
Un rapido elenco lo vede all’origine di tutto ciò che si è fatto nell’Italia repubblicana: la riforma agraria, il piano casa, la liberazione delle campagne dalla mezzadria, i piani verdi, che hanno finanziato per mezzo secolo e oltre l’agricoltura con risultati ottimi, i rimboschimenti, l’Eni, l’edilizia popolare, le autostrade, Carli alla Banca d’Italia, Bernabei alla Rai, la scuola media unificata, superba istituzione, coi libri gratis, la refezione, il doposcuola e gli edifici scolastici, di cui metà degli ottomila Comuni d’Italia non disponeva, si andava a scuola dove capitava, il centrosinistra, il centrodestra, il quoziente minimo d’intelligenza per i diplomatici, che ne erano privi, la moratoria nucleare, la nazionalizzazione dell’elettricità, seppure a caro prezzo, le regioni, idem, la direttissima Roma-Firenze, col treno veloce, la fisica delle particelle sotto il Gran Sasso, il referendum popolare, gli opposti estremismi. Infine l’austerità, che dal 1974 ci governa, una genialata “marxiana”,  prontamente adottata da Berlinguer, e dal papa Polo VI alla finestra - “Affrontiamo l’austerità con animo sereno”.
E i dossier, sport nazionale, di cui montò il primo, lo scandalo Montesi, contro il venerabile Piccioni. 
La serie di realizzazioni di Fanfani, che pure, nel complesso, ha governato poco, quattro anni e sei mesi, e a capo di governi quasi tutti di brevissima durata, è sorprendente, nell’Italia delle burocrazie. Fu un innovatore in tutto, e sempre fu sconfitto dal suo partito, dai potentati Dc. Una volta gli fecero fare il governo per un solo giorno.
Con più ragione fu avversato nel suo partito dopo il referendum contro il divorzio, da lui incautamente chiamato nel 1974 – ma era un colpo di coda, già il freddissimo Moro lo aveva “segato”: se ne liberarono labellandolo aspirante dittatore.
Questo in parte è vero: lui si dichiarava per la purezza della razza al tempo del Puzzone, mentre gli altri ghignavano in pri
vato. E poi si sa che i brevilinei vanno veloci: anche Stalin era 1,60, Lenin, Napoleone.


P.S. – Un commento va aggiunto, opinabile certo, ma su informazioni certe. Il referendum Fanfani lo ha combattuto per il papa Paolo VI, il papa libertario sempre più smarrito – l’ex papa libertario, che la libertà da lui scatenata con il concilio aveva mandato in confusione, come Pio IX un secolo prima. Fanfani aveva provato l’accordo con i comunisti per superare socialisti e radicali, fermi alla legge così com’era, ma il papa non ha voluto nessun accordo. Nessun divorzio. Questo non si può dire, perché i fedeli hanno bisogno del papa, anche quelli, e soprattutto quelle, che hanno votato per il divorzio. Ma è anche vero che, per la chiesa, i papi possono essere un problema.

Di Fanfani invece non si può dire, a differenza di anti altri buoni “cattolici”, che non fosse un credente vero. Autore a soli 26 anni, nel 1934, di una refutazione fondata e provata di Max Weber, del suo spirito protestante del capitalismo che ancora si osanna, col fondamentale “Cattolicesimo e protestantesimo nella formazione storica del capitalismo”.

Saltare e cadere, al cinema la saga del cinema

Un Bud Spenser e Terence Hill in salsa americana - con la minuta Emily Blunt altrettanto candida di Terence Hill. E un film sul fare film, uno dei temi che più fa mercato oggi.
Il film di cui si fa il film è del genere catastrofista: “la più grande storia d’amore interplanetaria, quando gli extra sbarcano sulla terra – di maschere e deserti che fanno il verso ai “Dune”. Con grandi interpreti, Ryan Gosling dappertutto, dalla prima all’ultima scena, un centinaio di scene, oltre a Emily Blunt. E una grande pirotecnia di atti e misfatti stunt - “quello delle cadute” del titolo è uno stuntman, uno di quelli che in realtà “fanno” il film d’azione, un inglese ricercatissimo dall’industria cinematografica, e più che altro stanco per i cambiamenti continui di fuso orario.
Tra una devastazione e l’altra alla Bud Spenser, con la solita gara all’inventiva dei colpi proibiti, bombe scoppiano di ogni tipo in ogni frangente, e incendi “uniformabili”, con un catalogo inesauribile di auto che saltano, si disintegrano, si ricompongono. Si corre molto e si casca ancora di più, si fanno i tiri più sorprendenti, anche senza le armi, e i buoni alla fine vincono. Ma – è questa la novità - i cattivi sono “Hollywood”, la produttrice di soli successi, finanziari, di trame che fanno gli incassi.
Ma: la produttrice che colpa ne ha? Alla fine si resta con l’impressione di una regista-Emily Blunt sciocchina più che Grande Artista. E allora di chi, di che, s’innamora il super-stunt Gosling? Interrogativo superfluo, il film non ne pone, solo si propone: due ore di super-immagini, di super-sorprese.
Una megaproduzione, da 150 milioni di dollari. Che è piaciuta ai critici, a otto di essi su dieci. E anche al pubblico. Che gli ha fatto incassare 200 milioni.
David Leitch, The fall guy, Sky Cinema, Now

mercoledì 13 novembre 2024

Cronache dell’altro mondo – securitarie (304)

Nuovo ministro della Sicurezza Interna, nominata da Trump, sarà Kristi Noem, la governatrice del Sud Dakota, uno degli Stati americani meno popolosi, il 46mo. Governerà, più che sui servizi di sicurezza, sugli immigrati irregolari. Che si presume siano più del milione scarso di abitanti del Sud Dakota.
Il ministero della Sicurezza Interna è stato creato un anno dopo l’attacco alle Torri Gemelle, per vigilare su possibili nuovi attacchi. Ha molte competenze, che interferiscono col resto dell’amministrazione, ed è stato in più occasioni criticato, con molte proposte di abolizione.
Noem, cinquantenne, già autrice di due libri di memorie di successo, entrambi all’insegna del “no”, “Not my First Rodeo” e “No going Back”, è appassionata di caccia e decisionista – nel secondo libro ricorda di avere ucciso un suo cane da caccia perché “non obbediva”, oltre che una capra vecchia e sporca che minacciava la sua bambina. Cresciuta in campagna, nella fattoria dei genitori, di origine norvegese, ha sempre vinto i test politici ai quali ha concorso. È stata deputata a Washington per quattro legislature. Durante le quali si è laureata, in Scienze Politiche, all’università del Sud Dakota. A febbraio del 2018 e a febbraio del 2022 è stata eletta governatrice del suo Stato.
Kristi Noem è conservatrice in tema di aborto e di diritti delle minoranze sessuali. Aderente del Tea Party, il gruppo più conservatore del partito Repubblicano prima del Maga di Steve Bannon, Make America Great Again. Su posizioni liberali e liberiste: nato contro il salvataggio delle banche con i soldi pubblici nel 2009, la sua sigla (in origine collegata allo storico Tea Party di Boston a fine Settecento, che accelerò la rivoluzione e l’indipendenza) viene ora letta come Taxed Enough Already, già troppo tassati.

Cronache dell’altro mondo – “recessionarie” (303)

Trump ha già chiesto al Congresso la facoltà di fare nomine anche nei periodi di recesso dei lavori parlamentari – salvo convalida successiva - anche in periodo di recesso del Senato stesso.
Il presidente degli Stati Uniti deve fare migliaia di nomine di funzionari, di grado elevato (a partire dai segretari della sua amministrazione – i ministri del suo governo – e dai capi dei servizi di sicurezza), e non. A incarichi ritenuti politici. Alcune di queste nomine devono avere l’approvazione del Senato.
Trump parte con un Senato a larga maggioranza repubblicano. Sul quale quindi può fare affidamento. Ma si ritiene che intenda procedere a nomine non tutte in linea col suo partito. Da qui la richiesta di poterne fare anche quando il Senato non lavora – con un’approvazione quindi successiva all’assunzione dell’incarico, più difficile da boicottare.
Il Senato Usa ha lunghi periodi di recesso, per circa due mesi lavorativi – tre da calendario: due settimane per le Feste di fine anno, il mese di agosto, e cinque-dieci giorni al mese, nei restanti mesi lavorativi per “State work”, per il lavoro negli Stati di origine, di cui sono i rappresentanti in Congresso. La Costituzione, art. II, prevede che il pr
esidente possa fare nomine anche quando il Senato è in recesso, e quindi non può riunirsi per deliberare.

Il wc al tempo del razzismo, separato fuori casa

La storia delle cameriere nere, bambinaie e cuoche, delle famiglie bianche del Mississippi, negli anni 1950-1960. Le vere mamme dei bambini, specie delle bambine, che le mamme vere non accudivano in nessun modo, nonché vestali della cucina, ma segregate: un autobus giallo le porta al lavoro ogni mattina dalle loro periferie, e al lavoro per fare pipì devono uscire di casa - il gabinetto separato è una delle gag, ripetuta in più varianti, più tristi e più godibili.
Una figlia cresciuta con la cameriera nera, e tra amicizie sceme come lei, sempre in attesa di un marito, da cercare oppure già sposato ma non presente, decide di diventare scrittrice. Non sa di che - non sa scrivere – finché non scopre che la cameriera di sua madre sa raccontare le cose. Mobilitando lei e le amiche di lei, con racconti di cose viste o vissute, ne viene fuori un libro che New York pubblica immediatamente, con grande successo. Anche a Jackson, la città superbianca, capitale del Mississippi, dove il racconto si svolge: la vena satirica o dolente delle domestiche fa da specchio alla stupidità delle signore. Le amiche della scrittrice hanno naturalmente un club delle signore bianche, la cui attività sociale è naturalmente la raccolta di fondi “per i bambini dell’Africa”.
Racconti di cose viste e vissute, eppure strabilianti. Merito anche delle attrici – è un fim all women. Emma Stone, non ancora il manichino di Lanthimos, regge tutti i registri della sciocca che diventa intelligente. Ma soprattutto tengono su il film le due domestiche che le fanno da spalla, Viola Davis e Octavia Spenser - premiata quest’ultima con l’Oscar per l’attrice non protagonista. Insieme con la superbionda Jessica Chastain, nel ruolo tragicomico della bianca snobbata dalle superbianche.
Rivisto sullo sfondo del ritorno
di Trump, del successo dell’America “perbene”, è un film pacificante, e perfino promettente: non tutto il bianco viene per nuocere.
Tate Taylor,
The Help, Rai 1, Raiplay

 

 

martedì 12 novembre 2024

Letture - 563

letterautore

Čechov – I suoi personaggi vanno visti come i viaggiatori compulsivi, secondo Graham Greene – a margine del suo “In viaggio con la zia”. Nei tanti punti morti che ogni viaggio comporta: “C’è tanta stanchezza e disappunto nei viaggi che le persone devono aspettarsi – nelle stazioni, sui ponti dei traghetti, sotto le palme nel cortile degli alberghi in un giorno di pioggia Devono passare il temo in qualche modo, e possono passarlo solo con se stesse. Come i personaggi di Čechov esse non hanno riserve, si vengono a sapere i segreti più intimi”.
L’accostamento più verosimile nella considerazione successiva: “Si riceve l’impressione di un mondo popolato di eccentrici, di strane professioni, di stupidità quasi incredibili e, per riequilibrarla, di sopportazioni sorprendenti”.
 
Danza
– È sacra e popolare – popolare per essere sacra, Ernst Jünger, “Anatomia e linguaggio”:
“La danza è strettamente legata al gioco e al canto”.
“Uomini e animali hanno in comune le danze e la melodia. Danze e canti accompagnano, in una successione naturale, il lavoro e il ciclo annuale delle feste”.
“La realizzazione più libera della vita ctonia è la danza. In essa si concentra tutto ciò che dispensa il potere della  terra – il ritmo delle semine e della mietitura, la voluttà profonda del vino e del sesso”.
 
Fantascienza
– “Venom-The last Dance” e “Il robot selvaggio” (“The Wild Robot”), due film di fantascienza, uno Marvel (azione-horror) e uno d’animazione, hanno incassato nelle due settimane tra fine ottobre e inizio novembre sei milioni di euro, l’uno - più di “Parthenope”, il film d’autore più visto, 5 milioni.
 

Indelicatezza
– Una colpa da tempo scomparsa, inattuale. L’ultimo riferimento si trova in Camus, “Il primo uomo”, al capitolo “La scuola”, a proposito del maestro di Camus alle elementari poi sempre ricordato e celebrato, Monsieur Bernard, al secolo Louis Germani: “Non condannava che con più forza ciò che non ammetteva in discussione, il furto, la delazione, l’indelicatezza, la sporcizia”.
 
Italianità – Tre musicisti del Novecento sono ricordati, incidentalmente, solo dal maestro Pappano, nelle sue memorie, “La mia vita in musica”: Anton Coppola, lo zio del regista, in realtà Antonio Francesco Coppola, detto Anton, l’autore dell’opera “Sacco e Vanzetti”, e Anton Guadagno, di Castellammare del Golfo (Palermo), direttore del Metropolitan di New York e della Wiener Staatsoper per l’opera italiana, che in America, negli anni 1970-1980 “riuscivano miracolosamente a mettere su un allestimento nel giro di pochi giorni” – un allestimento d’opera, opera complessissima. E Giusy Devinu, la soprano cagliaritana che fu Violetta in mezza Europa negli anni 1980, “scomparsa troppo presto”.
 
Leggere – “Il lettore compare dell’autore” vuole E. Jünger in “Lettera dalla Sicilia all’uomo sulla luna”.
 

Libero scambio – “La libertà economica è come la libertà politica – un ideale, al quale gli uomini possono con fiducia ambire, ma impossibile da realizzare finché non tutti pensano su linee ideali. Il detto: «È bene tutto quello che fa bene al mio paese» è criminale, il diritto e la giustizia si radicano in n principio divino”., Hjalmar Schacht, “Confessions of «The Old Wizard»”: “Dopo che la Gran Bretagna ebbe completato con successo la sua grande innovazione industriale e affermato la superiorità della sua flotta mercantile, gli economisti politici britannici cominciarono a elevare la libertà di commercio, cioè la concorrenza senza limiti, a teoria economica standard, culminando con la clausola della nazione più favorita che avrebbe assicurato la supremazia economica della Gran Bretagna per sempre, se altri paesi non si fossero infine ribellati, per mera necessità”. Da Ricardo a Marx, e a Sraffa, l’amico di Gramsci?
La lamentazione è – era – corrente fra gli economisti tedeschi, ma non per questo è meno vera. Ancora oggi, sostituendo all’Inghilterra gli Stati Uniti, e alla sterlina il dollaro.
 

Minotauro – Due racconti, “La casa di Asterione”, Borges, e “Il minotauro, Dürrenmatt, e due testi teatrali, “I re”, Cortázar, e “Chi non ha il suo Minotauro?”, Yourcenar, trova Erika Filardo (online) nel Novecento: una predilezione per il “mostro”. Ma non ricorre anche in Gide,  Cvetaeva, Kazantzakis, Butor, Tammuz. E in Richard Strauss, Picasso, Masson: il Novecento ne è stato ossessionato. Dal mostro, o non piuttosto dai labirinti?
Dürrenmatt, da ultimo, 1985, subito dopo Tammuz, 1981, ne fa la sofferenza del diverso. Non sessualmente, dell’alieno, del newcomer, del solitario o abbandonato.
 
“Chi non ha il suo Minotauro?”, chiedeva Yourcenar. Rimproverando implicitamente Freud, che il lato oscuro lega a Edipo. Ma è anche vero che nessuno prima di lui se ne occupava – si occupava dell’inconscio.
 
Telefonate – Si mitizzano periodicamente i tre minuti di telefonata di Stalin a Pasternak nel giugno del 1943. La telefonata fu fatta all’indomani dell’arresto di Osip Mandel’štam. E si ipotizza che Stalin volesse il parere di Pasternak sull’arresto – si ipotizzava in regime sovietico che Pasternak, pavido, non avesse dissuaso Stalin, o non gli avesse dato buone ragioni per la liberazione. Ora un libro di Ismail Kadaré ipotizza quattordici possibili conversazioni.
È il fatto più importante della vita di Pasternak, e questo inquieta. È uno Stalin che ancora non era arrivato a concepire e comandare l’assassinio di tutti i comunisti che gli facevano ombra – cioè, più o meno, tutti: gli arresti, anche dei poeti, erano normali nella rivoluzione bolscevica. Ma era una questione di qualche mese, o di settimane – le “purghe” erano già su strada. Una telefonata per questo inquietante: Stalin, “lo” Stalin, ancora leggeva poesia. E nient’altro.

L’ossessione sulla telefonata non mostra l’irrilevanza della poesia – di Pasternak si ricorda poco o niente di altro?
 
Usa – “È un grande paese, forte e disciplinato nella libertà, ma che ignora molte cose e anzitutto l’Europa”, Albert Camus di ritorno dall’America scriveva al vecchio maestro Louis Germain ad Algeri a settembre del 1946.
 
Vocali
– “Le vocali racchiudono una determinazione sessuale segreta delle parole, più istruttiva e più necessaria che il loro genere grammaticale”, E. Jünger, “Anatomia e linguaggio” (in “Il contemplatore solitario”). Tutto il lavoro di demolizione del genere dovrà fare a meno delle vocali?

letterautore@antiit.eu

Ma Camus critica Marx, e le rivoluzioni politiche

 “Io mi rivolto, dunque noi siamo”. La capacità – la possibilità di ribellarsi è la sola breccia nell’assurdo che avvolge l’uomo, l’esistenza umana. Questo è assioma costante della riflessione di Camus. “Che cos’è un uomo in rivolta? Un uomo che dice no”, è l’incipit di questo saggio: “Ma se si rifiuta, non rinuncia: è anche un uomo che dice sì, fin da suo primo movimento. Uno schiavo, che ha ricevuto degli ordini tutta la sua vita, giudica all’improvviso inaccettabile un nuovo comando”. Semplice.
Il contenuto di questo “no” è da vedere. E qui si viene a sapere molto di ciò che si vuole salvifico e non lo è - non nel senso di Camus, come uscita dall’assurdo dell’esistenza, della nascita. L’incipit vero di questo lungo saggio, che è in realtà un lungo pamphlet, le prime righe della prefazione, è devastante: “Ci sono crimini di passione e crimini di logica. Il Codice penale li distingue, abbastanza comodamente, per la premeditazione. Noi siamo al tempo della premeditazione e del crimine perfetto. I nostri criminali non sono più quei ragazzi disarmati che invocavano la scusa dell’amore. Sono adulti, al contrario, e il loro alibi è irrefutabile: è la filosofia che può servire a tutto, anche a cambiare gli assassini in giudici”.  
Il regalo di Landini, reduce dall’appello alla “rivolta sociale”, alla capo del governo Meloni, bersaglio dell’appello, è un controsenso. L’“uomo in rivolta” di Camus non è il barricadiero, stile contestazione. Sono quattrocento pagine, piene, anche troppo, martellanti, inflessibili, che mettono in discussione le rivoluzioni storiche.

Il capitolo “Le rivoluzioni storiche” prende quasi la metà della trattazione: i regicidi, il terrore, i deicidi, Hegel e Nietzsche compresi, il terrorismo individuale (Nečaev, Bakunin, nichilismo), e quello organizzato, lo “scigalevismo” di Dostoevskij (“I demoni”), il terrore di Stato (Napoleone, Stalin, Mussolini o “la santa religione dell’anarchia”, Hitler), Marx (“Il terrore di Stato e il Terrore razionale”, “Il regno dei fini”, e, sul sovietismo, “La totalità e il processo”). Il tema, del capitolo e del libro, è come l’uomo, nel nome della rivoluzione, che pure è la sua essenza, accetta e anzi propugna il crimine. Come la rivoluzione ha avuto sempre esito nel Novecento in Stati di polizia e totalitari (“concentrazionari”)? Come l’orgoglio umano ha potuto erigersi a violenza?
L’interrogativo è insistito. Ben raccontato, tanto più che se le sue derivazioni sono state tantissime, quelle di cui Camus tiene conto, ma alla fine deprimente. Come dire: meglio non essere che rivoltarsi? Meglio non rivoltarsi, non in politica.
Le parti migliori, leggibili oggi con qualche sorpresa, e anche nel senso che Landini forse intendeva facendone omaggio provocatorio a Meloni, sono la parte iniziale, “La rivolta metafisica”, e quelle finali, sotto l’insegna “Rivolta e arte”.
La pubblicazione del lungo saggio a fine 1951 fu una sorpresa nella sinistra politica in Europa, all’Ovest e all’Est, dalla Jugoslavia di Tito alla Polonia e alla stessa Russia. Aprì una contesa furibonda di buona parte dell’intellighentsia europea contro Camus. Specialmente aspra fu la polemica in Francia. Aperta da Sartre, allora in fase bolscevica, anzi staliniana - col supporto di de Beauvoir, mediatrice ma non convinta. L’amicizia tra i due si ruppe senza nemmeno una grande discussion. La discussione ci fu ma non risolutiva - e nemmeno di grande livello, col senno di poi, ma anche con quello dell’epoca: Sartre in politica si può dire che non ne azzecca una.
Albert Camus, L’uomo in rivolta, Bompiani, pp. 384 € 16

lunedì 11 novembre 2024

Cronache dell’altro mondo – eleggibili (302)

Le statistiche elettorali americane tengono contro di due categorie di elettori, i Vap e i Vep, la  Voting Age Population e la Voting Eligible Population – la popolazione cioè di americani provvisti di cittadinanza, e di diritti politici.
Gli statistici preferiscono i Vep per calcolare l’affluenza alle urne - come base di calcolo della percentuale di votanti. Perché molti residenti, soprattutto negli ultimi anni, non sono cittadini a tutti gli effetti, non hanno diritto di voto.
L’affluenza è in declino da oltre mezzo secolo, dal 1971 (Nixon), ed è “interamente” spiegata dall’incremento della popolazione non eleggibile. Nel 1972 la popolazione americana senza cittadinanza era meno del 2 per cento della popolazione in età di voto, nel 2004 era già dell’8,5 per cento, e successivamente è ancora cresciuta, al 10 per cento circa.
A questo 10 per cento bisogna aggiungere i condannati a pene che compartano la perdita dei diritti politici. Una percentuale ora dell’1 per cento dei Vap - era lo 0,5 per cento circa nel 1972.
Usando come base di raffronto la popolazione eleggibile, l’affluenza alle urne è tornata nel 2020 e nel 2024 ai livelli di partecipazione elevata, degli ani 1950 e 1960.
Nelle statistiche statali, comunque, la base Vap, popolazione in età di voto, non è utile (comparabile), perché gli “ineleggibili” non sono distribuiti uniformemente. In California, per esempio, quasi il 20 per cento della popolazione non è eleggibile, perché di condannati o non cittadini.

Nostalgia di Lombardia

Un tutto Gadda (un po’“tutto”) che si può dire del Gadda milanese. Di cui molto è nei racconti, e anche ne “La cognizione del dolore”, la Brianza fa bene “Milano”. Di Milano com’era, e in fondo come è, anche ora con i grattacieli.
Una sorta di baedeker Gadda per nuovi lettori, ma con questa curiosa filigrana. Forse non curiosa, l’ingegnere del romanesco era ben un lombardo a Roma, e anzi un milanese. Molte delle sue nevrosi erano di ritegno ben lombardo. Così come la permalosità. Da ultimo si preparava alla morte, ricorda Arbasino, facendosi leggere Manzoni, il romanzo.
Un’edizione curata e presentata da Dante Isella, forse il suo miglior lettore – Gran Lombardo anche lui, curatore, oltre che di Gadda, di Maggi, Parini, Porta, Dossi, Tessa, Sereni. Col saggio famoso di Gianfranco Contini, “Lo strano ingegner Gadda”. Raffaella Redondi cura “La Madonna dei filosofi” e “Il Castelo di Udine” – con un’inedita “Appendice al «Castello di Udine»”. “L’Adalgisa” ha curato Guido Lucchini, “La cognizione del dolore” Emilio Manzotti.
Carlo Emilio Gadda, Romanzi e racconti (La Madonna dei filosofi, Il castello di Udine, L’Adalgisa, La cognizione del dolore)
, Garzanti. pp. 912 € 15

domenica 10 novembre 2024

Cronache dell’altro mondo – o zero ai democratici (301)

Il conteggio preciso del voto popolare non sarà concluso prima dei primi di dicembre. Fino a ieri Trump aveva vinto con 74,1 milioni di voti. Più di Harris ma meno che nel 2020 – l’elezione contestata.
Nel 2016 Trump aveva vinto con 62.984.828 voti (il 46,1 per cento dei voti espressi) contro i 65.853.514 di Hilary Clinton (48,2 per cento). Nel 2020 aveva perso con 74,2 milioni di voti (46,9 per cento dei voti espressi), contro gli 81,1 di Biden (51,1 per cento).
Anche per la statistica, sono i Democratici che hanno perso il voto del 5 novembre. Per astensione o per un voto d’opinione sfavorevole. I calcoli variano, ma Kamala Harris non è andata oltre i 71 milioni di voti espressi. Un calo di ben 10 milioni rispetto a quattro anni fa – un’elezione, si direbbe, a voto zero.

Cronache dell’altro mondo – astensive e partecipative (300)

È dal primo dopoguerra che la percentuale dei votanti alle elezioni politiche e presidenziali americane ogni quattro anni si è ridotta, dall’80 al 50 per cento. Pert effetto dell’allargamento del diriro di voto a tutta la popolazione. Con qualche puntata al 60 per cento – 1960, effetto Kennedy.
Le ultime due elezioni con Trump hanno mobilitato l’elettorato Nel 2020, Trump-Biden, l’affluenza è risalita al 66,4 per cento, record del dopoguerra (e anche del primo dopoguerra). Il 4 novembre, secondo le proiezioni dell’università di Florida, la partecipazione si è ridotta ma è sempre alta, il 62,3 per cento - il “Washington Post” invece calcola una partecipazione al voto “vicina al record del 2020”.

Cronache dell’altro mondo – o il Trump dei poveri, anche a New York (299)

"Kamala ha perso non soltanto perché donna. Noi democratici in Pennsylvania abbiamo fatto una campagna vecchia, porta a porta. Anche nei quartieri poveri. Ma non serve: o sono già convinti o non ti votano comunque. L’unica cosa che sta loro a cuore è il prezzo della benzina”, Margherita “Magalì” Sarfatti, “Corriere della sera”.
Per la prima volta in tre elezioni Trump ha vinto anche il voto popolare – il voto nell’urna. E lo ha vinto – effetto trascinamento - anche per i candidati repubblicani al Senato e alla Camera dei Rappresentanti.
Hanno votato Trump in larga percentuale i poveri. Veri o supposti - chi ha perso potere d’acquisto per la moltiplicazione dei prezzi nel dopo-Covid, di due e anche di tre volte. E chi, nei servizi a basso valore aggiunto (domestici, pulizie, ristorazione (lavapiatti, anche camerieri), giardinaggio, guardianie, piccole riparazioni….), si è obbligato a due, anche a tre occupazioni, per guadagnare il necessario, le paghe orarie contraendosi (in termini reali ma anche, a New York, in termini monetari) per l’offerta esuberante da nuova immigrazione.
Alta la percentuale per Trump negli Stati poveri, anche se scarsamente popolati – agricoli, deindustrializzati, decentrati, del “profondo Sud”: Wisconsin, Montana, Iowa, North Carolina, Oklahoma, Mississippi, Arkansas.
Per la prima volta un repubblicano, il newyorchese Trump, è riuscito ad aumentare i voti a New York - Staten Island, Bronx, Queens, la parte meridionale di Brooklyn. Solo la ricchissima Manhattan era e resta indefettibilmente tutta Democratica – malgrado il riuscito ultimo raduno di Trump al Madison Square Garden (che ha riempito, luogo di celebrazione alto-borghese, di afro, latinos, arabi, indiani, donne grasse e magri teen-ager). Nel 2016 Hillary Clinton aveva staccato Trump nel voto popolare a New York di 63 punti. Biden nel 2020 di 54 punti. Kamala Harris ha visto il margine nella Grande Mela ridotto al 37 per cento.

Il romanzo del Vietnam prima del Vietnam

Il romanzo del Vietnam prima del Vietnam. Reporter e romanziere di tutte le guerre e guerriglie, Graham Greene non si è fatto mancare il Vietnam, quello del 1952-1955, quando la guerra era d’Indocina, della Francia che tentava di recuperare la colonia (ogni notte scoppiano bombe a Saigon, ma anche di giorno). Di cui però sapeva anche gli sviluppi futuri. Al punto da essere per questo dichiarato “persona non grata” negli Stati Uniti, niente più visto d’ingresso - criticato perfino, per leso americanismo, dal “New Yorker”, rivista progressista se mai ce ne sono state. G.Greene non sapeva di Kennedy naturalmente, ma sapeva dell’ansia “umanitaria” americana di imporsi nel resto del mondo. Cominciando col “fare le scarpe” alla Francia in Indocina, nel nome della decolonizzazione e della democrazia. In contemporanea con la guerra di Corea.
Un racconto tanto semplice, nello svolgimento, quanto intricato, perfino carognesco, nel ghiommero dei personaggi. Che poi sono semplici anche loro, sono solo tre: Pyle, l’americano del titolo, “volontario della pace”, Fowler, il giornalista inglese blasé, fra oppio e alcol, e la ragazza Phuong vietnamita, nome vero di una vecchia amica di Greene a Saigon. Con l’autore impersonato in Fowler, il narratore.
Molte bombe scoppiano, e i mortai fanno “aggiustamento”, nel capitolo centrale, al Nord, sopre le teste per tutto il girono. Ma poche scene di guerre. Anzi, solo questa, tra Hanoi e Saigon, di tipo malapartiano, dell’orrido semplice, del grottesco – il grottesco delle guerre. Il nemico è onnipresente e invisibile. I giornalisti sono cinici – gli americani e gli inglesi. Gli Stati Uniti vogliono la sconfitta della Francia.
È il racconto di un “inviato speciale”, che molto dice del cinismo del mestiere. A partire dal modo di vivere, con una ragazza vietnamita, “inviato speciale” – quale del resto era – insabbiato, a metà tra oppio e amanti. Con l’elogio della donna vietnamita.che sa anche tenere la casa – rammendare i calzini, e preparare e alimentare l’oppio la sera. In questo caso, ma come in molti altri Greene, il racocnto di una spia, tra le spie – Graham Greene fino alla fine si dilettò di fare l’informatore dei servizi segreti inglesi, ai quali lo aveva introdotto la sorella maggiore, che vi lavorava, in gioventù, quando aveva bisogno di guadagnarsi di che vivere.
Molto autocritico, l’“americano tranquillo” è di fatto un punching ball, sul quale Greene esercita autocritiche e autocommiserazioni. Compresa l’autoflagellazione di uno scrittore vecchio a cinquant’anni, traditore della moglie – qui ancora con una sola donna, a Capri, che poi lo ha abbandonato, mentre altre due successive “vite” seguiranno, a Antibes e a Montreux. Con l’orgolgio del cronista anti-solone, anti-commentatore, rivendicato a ogni passo. Il capitolo più drammatico, al centro del racconto, conclude con un: “Che strano, tiriamo fuori appena due righe d’agenzia per una notte del genere”.
Il colonialismo – storia e sistema – in due pagine, nessun particolare omesso. E una critica radicale della guerra. Ma – per questo? - sentenzioso. Prolisso a volte. Sull’inutilità della guerra, di tutte le guerre. Sui rapporti umani. Sui rapporti familiari. La storia di un amore, disperato. Con tanto di Dante, Paolo e Francesca – c’è Dante anche nel volto liberale, di “virute e conoscenza”.
E una nota singolare nella vasta produzione di G. Greene. Là dove, nell’estremo tentativo di legare a sé la ragazza Phuong, scrive alla moglie per chiedere di abiurare per una volta al principio, pure sacrosanto, dell’indissolubilità del matrimonio, che lei da buona cattolica professa. Questa è stata una costante della vita vera dello scrittore, che ebbe tre lunghe convivenze, matrimoniali, all’estero, mentre restava sposato in Inghilterra.
Un cameo è – in una delle due scene di guerra della narrazione (l’altra è il bombardamento del caccia, che punta l’obiettivo in picchiata, per non consentire all’antiaerea di puntarlo, e si risolleva avvitandosi un secondo prima dell’impatto al suolo) - la dimenticata Phat Diem al Nord, “la città più vivace dell’intero apese”: la capitale cattolica del Vietnam, un insieme di chiese, cattedrali, monasteri, costruito sugli acquitrini, come e con le stesse tecniche di Venezia.  
Zadie Smith, che presenta questa riedizone, dovendo dare a G. Greene un appellativo, è un Tolstoj?, è uno Stendhal?, lo riduce a “più grande gionalista mai esistito”. Ma è ben di più. Oltre che romanziere, è scienziato politico raffinatissimo del secondo Novecento. In questo “romanzo” come in quelli dell’Africa e dell’America Latina – sapeva di che parlava. E narratore di vasta – aperta, non conchiusa, non definita – umanità. E scrittore onesto, pur essendo in vita donnaiolo frivolo, buon bevitore dall’occhio lucido, pro-comunista larvato, al modo degli snob inglesi, cattolico non osservante ma quanto “religioso”.
Golosissima la postfazione di Domenico Scarpa. Un (piccolo-grande) monumento a G. Greene. Pieno di tagli sorprtendenti e utili al lettore. Sull’autore, e su questa opera – “tra letteratura, religione, politica e autobiografia, i cunicoli che percorrono il sottosuolo dell’‘Americano tranquillo’”.
Graham Greene, Un americano tranquillo, Sellerio, pp.360 € 16