sabato 21 dicembre 2024
Le guerre (non) perdute degli Stati Uniti
Dall’11 settembre una serie lunga, quasi un venticinquennio, di guerre perdute per gli Stati Uniti. Anche quando sembrano vinte – quella di Netanyahu contro mezzo mondo arabo. In Afghanistan, in Iraq, in Libia, in Siria, in Ucraina.
La strana guerra Usa-Cina
Sono ormai cinque anni, dalla controffensiva all’iniziativa
cinese della Belt and Road Initiative (Bri), detta “Nuova via della seta”, che
l’Europa deve ridurre gli scambi industriali e commerciali con la Cina, per
assecondare le strategie americane. Ridurre o bloccare, per le incontestabili “ragioni
di sicurezza”, gli investimenti cinesi, e ridurre perfino l’export.
Lo stesso sembra avvenire nei rapporti degli Stati
Uniti con la Cina. Che però, sotto le schermaglie giornaliere di hackeraggi, spionaggi
(ora coi palloncini, o con i droni - in arrivo dalla Cina, a long way) se si guarda ai dati reali, della bilancia dei
pagamenti, restano floride. La bilancia commerciale, esportazioni e importazioni
di merci, è sempre favorevole alla Cina – gli Usa avranno ridotto la “dipendenza”,
cioè le importazioni, ma non di molto. La bilancia dei pagamenti, che è quella
che conta, pende invece tutta per l’America: gli Stati Uniti pagano per le
importazioni con dollari americani naturalmente, che gli esportatori cinesi usano
per lo più per investimenti finanziari in America. In titoli del Tesoro americano,
oppure di agenzie federali americane (le vittime maggiori della crisi del 2007 furono
probabilmente gli investitori cinesi, grandi sottoscrittori di “Fanni Mae” e “Freddie
Mac”, Federal National Mortgage Association e Federal Home Loan Mortgage
Corporation - le finanziarie pubbliche create nel 1933 tra le misure anti-crac, che
rifinanziavano i mutui immobiliari per ridurne gli oneri per le famiglie (quelle
dei mutui sub-prime, infetti: si arrivava a ipoteche di quarto e
quinto grado….).
Meloni signora di Bruxelles
Eccezionale, senza precedenti, la convergenza
fra Italia e Ue – Meloni direbbe la convergenza Ue sull’agenda italiana. O fra
Italia e Germania - von der Leyen si regola sulla Germania, su quella in fieri con le nuove elezioni. Sull’immigrazione. Sulla transizione
verde, Un po’ sull’unione bancaria – senza che nessuno le chieda della mancata
ratifica del nuovo Mes, il meccanismo europeo di stabilità del mes. S ugli
accordi con l’America Latina (Mercosur): le obiezioni e i limit italiani
trovano accoglienza a Bruxelles, quelli di Macron valgono come “dispetti”. E
sull’Ucraina: sostegno all’Ucraina senza avventurisni - le balorde sbruffonate
di Macron sulla guerra alla Russia (“tenetemi sennò faccio sfracelli” - ha sopravanzato
polacchi e baltici, ed è tutto dire).
Tanto più, a proposito di Ucraina, emerge
Meloni al confronto con i due leader dell’Europa reale, da tempo in difficoltà,
nei rispettivi Paesi e tra di loro. Scholz non parla con Meloni, ma fa com se,
e ora comunque è fuori.
La transizione green sempre più si manifesta,
dopo le insistenze meloniane, come una strategia di mercato – rinnovare tutto il parco automobilistico. Un affare da molti miliardi
di miliardi, con scarso o nessun effetto sull’inquinamento. O il rifacimento di
tutto l’edilizia in venti anni…. – come? con quali soldi e con quali forze o
organizzazioni produttive, e con che materiali?
Anche l’immigrazione Meloni ha riportato ai
suoi dati veri. L’Europa ne ha bisogno. Ma non può accettare, anzi ha l’obbligo
di prevenirli e punirli, i mercanti dell’immigrazione: non si possono tollerare
barche, barchini e barchette in giro per il Mediterraneo, con migliaia di
morti, l’anno. La soluzione, accettabile per tutti, non è semplice, ma si può
organizzarla – “piano Mattei”: regolare con intelligenza i “ricongiungimenti
familiari”, introdurre “l’atto di richiamo” di mallevadori (parenti, conoscenti)
già integrati nei paesi di destinazione, aprire agenzie locali di reclutamento,
con visite mediche, visti, biglietti di viaggio.
Le lingue servono
È incredibile come Meloni, pur essendo di pochi
studi, conosce e sa muoversi sui problemi internazionali. Forse per innato senso
della prospettiva, geografica e politica – ma anche storica (la storia non è innata)?
Sicuramente per avere studiato e praticato le lingue, inglese e spagnolo soprattutto,
e anche il francese.
“Parlare le lingue” è una rarità fra i politici
italiani. Anzi con un solo precedente, Draghi – di pratica però limitata all’inglese,
e un po’ legnosa. Lo stesso Monti, con tanta esperienza internazionale, alla
Commissione di Bruxelles alla quale fu mandato da Berluscsoni, e nel think-tank Bruegel, ha limitato uso dell’inglese.
Nel G 7 in Puglia è riuscita per questo solo
vantaggio a superare handicap non marginali
– e a ottenere pieno il successo d’immagine, a cui questa assise ormai burocratizzata
si è ridotta a servire. Una localizzazione avventurosa e faticosa per tutti i
convenuti. Riuscire a tenerceli chiusi per due giorni. In un momento non
propizio, fra gli europei e con lo stesso presidente Biden. E il colpo di
teatro dell’invito al papa, che su Meloni capopartito non può non avere riserve,
ma con lei deve aver gradito parlare finalmente castigiano invece
dell’indigesto italiano – come ora Milei, altro convertito meloniano.
L’immigrazione è un problema semplice
Si divide – i media dividono – l’opinione, in
Italia e in Europa, su un falso problema, l’immigrazione. Il ridicolo del processo
siciliano a Salvini ne è una illustrazione, a tutto tondo.
L’immigrazione incontrollata è un problema.
Non per razzismo. Non c’è razzismo sicuramente in Italia, e molto poco, isolato
e governabile, nei vecchi feudi europei del razzismo (i paesi a più vasta e radicata
immigrazione, Germania e Francia, e i più soggetti ai terrorismi arabo-islamici). L’immigrato è accettato, nel quartiere e nel
condominio, i matrimoni misti si moltiplicano, malgrado le differenze culturali,
i figli di immigrati sono accetti e specialmente trattati a scuola, e gli immigrati
tutti mai discriminati nella sanità.
Il problema è l’immigrazione illegale. Per le
migliaia di morti che provoca. Per lo sfruttamento degli immigrati nei viaggi
della speranza – spesso crudele, e molto crudele. Per la moltiplicazione dei
migranti disorientati, manodopera di ogni avventura, quando l’abbordaggio all’Europa
è riuscito.
Il problema non è insolubile, e anzi è
semplice: bisogna bloccare l’immigrazione clandestina, e creare canali di
immigrazione sicura e necessaria – automaticamente difesa anche nei suoi
diritti.
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Chi difende e perché l’immigrazione clandestina
Il traffico di esseri umani è fuorilegge, da
ogni punto di vista. Tanto più se si fa a rischio vita, cioè buttando i
migranti in acqua. Dopo avere esatto cifre astronomiche: in Africa, ma anche in
Bangladesh o in Iraq, le cifre di cui si parla per un passaggio del Mediterraneo
a rischio vita con i contrabbandieri, 5 o 7 mila dollari – ma anche solo mille
dollari - sono cifre enormi, mostruose.
Il mercato di esseri umani non si limita peraltro
al passaggio. I molti sono inquadrati da organizzazioni, piccole e grandi, a
scopo di sfruttamento (caporalato), e per attività illegali (spaccio) e disumane
(mendicità).
Su questo sfondo limaccioso, noto a tutti,
non si capisce l’impegno al “liberi tutti”, falso mercato della libertà, da
parte di persone che si dicono impegnate per i diritti umani: politici, giudici
e ong. Fulcro ne è l’industria dell’accoglienza, sotto insegne false di volontariato.
Degli ambienti un tempo confessionali, ora dominanti nel cosiddetto “terzo
settore”, o degli appalti pubblici nel sociale.
Un mercato della solidarietà si è costituto anche
attorno all’immigrazione legale. Forse poco ricco ma molto esteso – è il più
vasto del “terzo settore”, più dell’assistenza ai senza tetto o delle comunità di
recupero. A cui però si appaiano ambienti poco affini, e anzi mangiapreti, quali
sono i finanziatori alla Soros e i tanti giudici italiani.
I giudici si giustificano con la pregiudiziale
politica: fanno la lotta a Meloni. Ma, politicamente, non le fanno un favore? E
dunque, non resta che constatare: logge e sacrestie unite nella lotta – per fare più
morti?
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Padri e figli, oggi non si salva nessuno
Una
storia generazionale: degli adolescenti che oggi vivono nell’ansia, sebbene
immotivata, fino ad autodistruggersi. Una storia anche paradigmatica: della disintegrazione
della famiglia, anche quella dalle migliori intenzioni - tra coniugi capaci e
in armonia.
Un
tema da tragedia greca, o del destino ineluttabile. Realizzato purtroppo come un
dramma teatrale - Zeller, autore-prodigio francese, nasce come scrittore, di
narrativa e per il teatro. “Il figlio” è il pendant di “The Father”, il padre, con
cui Zeller due anni prima aveva avuto grande successo anche al cinema, con l’Oscar
per la sceneggiatura – ma per merito soprattutto dei due protagonisti, Anthony Hopkins
(Oscar) e Olivia Colman.
Pubblicizzato
come un film “di” Anthony Hopkins, in realtà questo sequel mostra
Hopkins in una sola, breve, scena. Dove lui stesso si dice il padre che ha “bullizzato”
(stimolato) il figlio in gioventù - il quale poi, per rivincita, ha fatto una
carriera brillante. Quello che adesso, padre premuroso, pur immedesimandosi nel
figlio non riesce invece a salvarlo.
Florian
Zeller, Il figlio, Sky Cinema, Now
venerdì 20 dicembre 2024
Ombre - 751
“Il Sole 24 Ore” rimedia
alla classifica della vivibilità con cui ha condannato Reggio Calabria
all’ultimo posto e pubblica una corrispondenza in cui tutto funziona. Perfino
l’aeroporto, da sempre disastrato. È cambiato tutto in pochi giorni?0
Il giornale della
Confindustria non si rende conto dei danni (e dei vantaggi) che procura con le
sue classifiche? Oppure sì. E quanto rendono?
Terrificante pubblicità di Mediolanum; negli ultimi dieci anni la ricchezza pro capite in Italia è cresciuta di poco o nulla: del 10,5 per cento. In Francia è cresciuta del 40,9 per cento, in Germania di una solido 84,3 per cento - negli Stati Uniti del 150. Il famoso vincolo europeo di Ciampi e Draghi che doveva avviare il circolo virtuoso dei conti italiani è stato un capestro: saldi di bilancio pubblico ogni anno attivi, il famoso stringere la cinghia, in una automutilazione senza fine.
“Capodanno, si cercano artisti stranieri”. Cronache
romane – ora pure nazionali - in ansia, “la Repubblica”, “Corriere della sera”,
un po’ anche “il Messaggero” (non ha lettori giovani – non s’illude?) sul concerto
di Capodanno del Campidoglio. “Campidoglio in difficoltà dopo il no a Tony Effe
e la rinuncia di Mahmood e Mara Sattei”. È una questione di libertà di
espressione, o si tratta di salvare la faccia a Gualtieri, grande sindaco
(degli appalti)?
La censura a Tony Effe non è piaciuta agli altri
artisti del concertone. E allora un piedistallo al sindaco-eroe spazientito: “Roma
è e resta una città aperta, e che ama l’arte e la musica in tutte le sue
forme”. Due pagine, perbacco!
Ma c’è di più. Roma - il Campidoglio, gli assessori,
il sindaco Gualtieri - aveva posto Tony Effe al centro del concerto di
Capodanno senza saperne niente, giusto perché Elly Schlein si era fotografata a
ballare un suo motivo. Sembra incredibile, ma è vero.
L’arbitro di Paris Saint-Germain-Monaco, Letexier, “il
migliore di Francia”, non punisce una scarpata in faccia a Donnarumma. Una
botta di piatto, con tutti i tredici tacchetti sulla guancia. È così adesso. Si
vedono in campo prese da lotta libera, anche di catch, insistite, che nessuno
fischia. Si punisce solo il tocco al piede, e il rimbalzo della palla sul braccio
– col fuorigioco di un centimetro dopo le molteplici visure tv (si fa calcio per
la televisione, immagini di immagini). Con arbitri come i giudici: i più bravi
conoscono i regolamenti.
Dopo una campagna acquisti di (almeno) 200 milioni, e un nuovissimo allenatore miracoloso, la Juventus ha nove punti in meno rispetto a dodici mesi fa. Ciononostante viene magnificata. Per tirarla su in Borsa? Si sa, anima del commercio è la pubblicità, ma lo sport non è più altro?
Si ricorda in morte il pm di Milano addetto al terrorismo,
Ferdinando Pomarici. Ma non si ricorda la condanna di Adriano Sofri quale
mandante dell’assassinio del commissario Calabresi, che lui sapeva falsa.
Basata sulla testimonianza dell’assassino e contro ogni altra evidenza.
Testimonianza da lui preparata, o da lui col colonnello dei Carabinieri
Bonaventura, dei servizi segreti (poi morto di “infarto”, prima della pensione),
in una settimana di colloqui non verbalizzati con Marino. Contro ogni procedura
d’obbligo per l’audizione dei “pentiti”. Servita poi, benché confusa contradittoria,
in ben tredici processi palesemente “politici”, cioè manovrati.
Si vuole una “guerra delle cifre” sui morti a Gaza. Fra
“The Lancet”, la bibbia inglese della medicina, che due mesi fa stimava i morti
a “186 mila o anche più”. Oppure “Le Monde”, che il 7 ottobre concludeva che le
cifre di Hamas erano “affidabili e forse perfino sottostimate” - basandosi sulla
veridicità di “un documento di 649 pagine” redatto a metà settembre, con dati
al 31 agosto, che elencava esattamente 34.344 morti, identificandoli (nome,
sesso, nascita). E una Henry Jackson Society inglese, che i palestinesi morti riduce
a 46 mila, di cui 17 mila “combattenti di Hamas” e 5 mila di morte naturale. Spiegando
che questo istituto è di destra. Senza dire che è “vicino” ai servizi segreti
inglesi.
Si fa forte Meloni al Senato del Superbonus. L’Italia paga
ogni anno 50 o più miliardi di interessi sui Bot e pazienza, con le agenzie
(americane) di rating non si può nulla. Ma ne paga anche 35-40 per il Superbonus. Varato dai partiti oggi
all’opposizione, 5 Stelle e Pd, dal sindaco Gualtieri allora ministro del
Tesoro. Un regalo contro ogni buonsenso, anche politico o di classe, alla
ricchezza. Incredibile, ma è avvenuto e si paga caro. E nessuno chiede scusa.
Il “Corriere della sera” rilancia al centro del
villaggio Romano Prodi, 85 anni. Il nuovo che avanza? E lo affida a Roncone, specialista
del gossip.
La giornalista Rai Sara Giudice e il marito Nello Trocchia,
La 7, ex Rai 2, autore di molti libri sulla criminalità, sono denunciati da una
collega di violenza sessuale, in tassì, dopo somministrazione di una droga A Ferragosto.
L’accusa fa le cronache fino a metà dicembre, quando un giudice trova il tempo
di interinare l’assoluzione già richiesta dalla Procura della Repubblica, che
aveva indagato la denuncia, a fine agosto. Ma di nuovo si pubblicano le foto della
coppia e non dell’accusatrice. Di cui non si fa, per paura?, nemmeno il nome. Nemmeno
dei suoi avvocati, in genere donne, della genia specializzata nelle cause per
danni – a percentuale del risarcimento. Una moda molto americana, e molto mafiosa.
Lei intanto, Sara Giudice, è stata licenziata,
nei quattro mesi di durata del “processo”. La sentenza non condanna l’accusatrice
ai danni. Si può diffamare liberamente. E guai a criticare la giustizia.
“Lo vogliamo dire che la destra non sta dando risposte
alla domanda di sicurezza delle persone?”, Stefano Bonaccini, già concorrente
di Elly Schlein alla guida del Pd. Il giorno dopo le “manifestazioni di massa”
contro il decreto sicurezza del governo. Come criticare da sinistra la destra,
con la destra estrema?
Bonaccini, il solito ex Pci pronto a tutto. Ma che
sprezzo del ridicolo.
“Migliaia sfilano per i
diritti”. Non ventimila, forse nemmeno diecimila. Ma nessun giornale lo dice.
Invece, a corpo grande: “Tra i manifestanti sindacalisti, studenti, attori”. Un
pubblico selezionato.
La protesta è per la
libertà di protesta. Dai Parioli a piazza del Popolo, la Roma bene.
Hanno sempre più spazio
gli avvocati (ma sono soprattutto avvocatesse) a percentuale che fanno causa
per lauti accordi. Quelli (quelle) dele ginnaste che si sono visti respingere
le denunce spopolano ora sui giornali, con paginate di intercettazioni sulle
conversazioni tra i responsabili del settore. Da Malagò in giù.
In America, dove gli avvocati a percentuale si sono
inventati, le loro “carte” escono sul giornali scandalistici. In Italia in
prima pagina sui grandi giornali.
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Se il processo è una condanna
Il processo “Open”, a Matteo Renzi e al Pd fiorentino, il “cerchio
magico”, quello che aveva conquistato il partito attraverso la “Leopolda” (un
adattamento dell’idea di Prodi che per l’Ulivo preparava le campagne elettorali
facendo confluire ad appositi tavoli a Bologna chiunque avesse idee da
proporre), si conclude prima di cominciare, il giudice dell’udienza preliminare
avendo bocciato l’accusa. Ma dopo nove anni. Il tempo di azzoppare Renzi – e
anche il Pd. Con un processo che non doveva cominciare.
Nove anni per un giudizio “preliminare” sembrano troppi. Ma nessuno
scandalo. Soprattutto non nell’ambiente giudiziario. Il giudice che aveva
montato l’accusa, Luca Turco, uno specialista di processi a Renzi e famiglia,
serafico ha assistito alla bocciatura, ed è andato in pensione. In buona
salute, si suppone: lavorare nove anni a un non-processo dev’essere stata una
fatica dilettevole (Turco aveva cominciato la carriera come giudice, poi ha scelto la meno pregiata carriera di
Procuratore, evidentemente di maggiore soddisfazione - a parte il fatto di
poter non lavorare, basta puntare un personaggio).
Anche in America la giustizia è politica. Le
Procure inondano i media di materiali sempre sensazionali e a cascata, per
rendere la difesa faticosa e comunque tardiva. I Procuratori sono politici -
eletti o nominati politicamente. Ma si va veloci. E i giudici sono
sanzionabili. Dagli elettori (dai partiti di appartenenza) e da chi li ha
nominati. In Georgia la procuratrice Fani Willis, che col fidanzato montava un
processo contro Trump per l’assalto al Congresso del 6 gennaio 2020, e per
sottrazione di documenti segreti, è stata rimnossa dal procedimento. Da una
corte d’Appello, del suo stesso partito, Democratico.
L’anima di Dante in francese
Una
raccolta di scritti – saggi e testimonianze – in memoria di Jacqueline Risset,
la poetessa francese, francesista alla Sapienza dagli anni 1970, erede del francesista
principe Giovanni Macchia, morta dieci anni fa: Bonnefoy, Kristeva, Ossola, Balestrini,
Trevi, Citati e molti altri. A cura del suo compagno, il latinista Todini –
morto ora anche lui. Con una silloge di suoi scritti.
Poetessa
di molteplice ispirazione, aveva esordito giovanilmente con la sperimentazione.
Sulla rivista “Tel Quel” di Philippe Sollers - altra presenza un tempo significativa
e presto dimenticata. Per virare successivamente verso la “poesia delle origini”,
i provenzali e Dante. Dante soprattutto, di cui fu cultrice assidua nella maturità
– così come del Joyce “italiano” (il Joyce italiano, articoli, lettere, saggi, si
può dire recuperato per la sua acribia).
La raccolta
rende conto di una produzione, d’autore e critica, vasta e sempre stimolante. Numerosi
i lavori su Dante, che divenne presto la sua passione –
la estese anche a Fellini, che provò con lei a immaginare una riduzione cinematografica
della “Commedia”. Resta soprattutto importante la sua versione in francese della
“Commedia”, basata sul ritmo, page-turner, di forte leggibilità ( senza perdere in complessità e dignità) – per una
lettura come De Sanctis la consigliava, senza le note. Come un racconto di
avventure “mirabile”.
Una versione meglio spiegata da un altro italianista - qui tra quelli che le rendono omaggio - René de Ceccatty, nella presentazione della sua propria
versione della “Commedia”, popolaresca, tipo “I Reali di Francia”, il “Guerin
Meschino”, in settenari. Anch’essa si era posta “la necessità della
leggibilità”, spiega Ceccatty, e c’è riuscita, senza tradire il poema, per la
“sua sensibilità poetica”: “Poeta lei stessa nelle due lingue, italiano e
francese, sa perfettamente ciò che vuole dalla poesia, fatta di concentrazione
e folgorazioni, che ricerca e riproduce in francese”. Per cui “la versione di
Jacqueline Risset è la sola che dà un’idea della vita, dell’invenzione, dei
cambiamenti di ritmo, degli effetti di realismo, della sensualità, degli
scherzi o dei momenti di profonda meditazione, di questo testo sempre
inatteso”.
Umberto
Todini-Andrea Cortellessa-Massimiliano Tortora (a cura di), Avanguardia a più voci,
Edizioni di Storia e Letteratura, pp. 286, free online
giovedì 19 dicembre 2024
La guerra di Erdogan ai curdi (di Siria)
Nel 2018, alla
dissoluzione dell’impero ottomano, i curdi costituivano l’unico possibile Stato:
una popolazione, una lingua, un territorio. Per evitarlo, saggezza coloniale, furono
divisi in tre: una parte alla nuova Turchia, una parte alla Francia (Siria) e
una parte all’Inghilterra (Iraq). Da allora combattono, e niente, non c’è via d’uscita
per loro. Sono un popolo, sono mussulmani ma sono “moderni”, democratici e
rispettosi dei diritti.
“Siamo democratici, inclusivi, femministi e mussulmani”,
può dire oggi a Nicastro sul “Corriere della sera” l’avvocato Amina Omar, già
presidente del Consiglio Democratico Siriano, dei curdi di Siria. Che si
autogovernano da una quindicina d’anni, nel caos del paese, di Assad e dopo.
Il Consiglio governa il
Rojava. Ridenominazione della regione Nord della Siria, lungo la frontiera con l’Iraq e la Turchia. Ma contro di esso è in atto una guerra non tanto nascosta, solo “dimenticata”, di Erdogan. Contro
l’idea di uno Stato curdo, che fatalmente attrarrebbe il Curdistan turco. E
contro un islamismo femminista.
Erdogan ha armato una
Syrian National Army, alleata di quello che resta dell’Is in Siria - dello Stato
islamico, che controlla la Siria centrale - contro il Rojava, col quale confina
per tutta la sua lunghezza. Lo stesso Erdogan che la Ue finanzia lautamente per
“gestire” l’esodo dei siriani: curdi stanchi delle guerre, e perseguitati dall’Is.
Quindi sue vittime - da avviare peraltro sulla rotta balcanica, invece di accudirle,
o su quella della Magna Grecia, verso Locri e Crotone.
La scoperta dell’Africa
Scopre il “Corriere
della sera” con Rampini le guerre “dimenticate” dell’Africa. E la politica degenerata
che avvelena il continente: dittature. corruzione, guerre tribali. Camuffata da
anticolonialismo er le “anime belle”. Un assurdo, sotto gli occhi di tutti, e
non remoto, anzi alle porte di casa. Che solo questo sito ha documentato:
http://www.antiit.com/2019/02/il-mondo-come-366.html
http://www.antiit.com/2018/09/quanto-lafrica-potrebbe-essere-ricca.html
http://www.antiit.com/2024/10/lafrica-suo-malgrado.html
(alcuni take).
Se ne vede lo specchio
all’emigrazione: confusa e problematica. È praticamente impossibile individuare
chi è protetto dalle convenzioni internazionali sui diritti civili e politici. Ogni
africano vi avr ebbe diritto. E questo non può essere: non si può trasferire l’Africa
in Europa.
A che fine poi,
per importare la stessa incapacità politica e sociale? Non si emigra dall’Africa
per decisione ponderata, come nei film, per costruirsi un futuro – che sarebbe
una benedizione, l’emigrante ha una marcia in più. Si emigra con la stessa superficialità
con cui si vive e ci si governa in Africa.
E d’altra parte è difficile l’integrazione: non ci sono disegni di integrazione,
se non in casi rari (per la mediazione di missioni e parrocchie, o delle poche
organizzazioni umanitarie non avventuristiche – un 5 per cento dell’immigrazione
africana, il 10?) Ci sono agenzie in Nigeria che promettono “Roma” alle donne per
la prostituzione, all’opera da anni, decenni. E altre per la mendicità…. L’unico
obiettivo essendo “money”, fare un po’ di soldi. Soprattutto non ci sono reti, parentali,
amicali, di indirizzo pratico (economico, finanziario) per gli africani come ce
ne sono per le comunità asiatiche, di indiani, pakistani, bengalesi o
filippini, o anche per i sudamericani (peruviani). Mentre ci sono
le mafie, dette “nigeriane”, per il caporalato, la prostituzione, lo spaccio. C’è
la dissoluzione sociale.
Cronache dell’altro mondo – informative (316)
“Come i
Sunday Morning News Shows promuovono un’agenda anti-palestinese per Washington”.
“Dall’ottobre
2023 le rubriche d’informazione domenicali delle maggiori emittenti nazionali, “Meet
the Press” della Nbc, “This Week” di Abc, “Face the Nation” della Cbs, e “State
of the Union” della “Cnn, non hanno mai avuto un solo ospite palestinese”.
“Con
l’eccezione di una sola intervista, i programmi domenicali di notizie hanno
coperto “la cosiddetta «guerra Israele-Hamas» senza mai parlare con un solo
palestinese, o con un americano palestinese”.
È la
conclusione di una ricerca condotta dal settimanale di sinistra “The Nation”.
Al cui parere “i centri media di centro-sinistra hanno aiutato a vendere,
sottostimare, e fornire copertura alla guerra su Gaza dell’amministrazione Biden”.
In aggiunta, scrive il settimanale, “questi programmi mostrano un costante
pregiudizio anti-palestinese. Con cura usano termini emotivi per descrivere le
vittime israeliane, ignorano gli scudi umani palestinesi e le vittime palestinesi
di stupro, e normalmente esibiscono esponenti israeliani credibilmente accusati
di crimini di guerra - soprattutto il primo ministro israeliano Benjamin
Netanyahu”.
“Gli shows domenicali sono un barometro
utile delle priorità dei media Usa upstream, che fanno opinione.
Importanti non perché raccolgano alte percentuali di ascolto ma perché, come il
settimanale “The Atlantic” ha spiegato nel 2018, fissano l’agenda” per Washington:
“Cristallizzano le pratiche del consenso nel giornalismo, e esibiscono in
miniatura il suo rapporto con la classe politica”.
Babbo Natale, per resuscitarci
“Il reverendo anglicano
Paul Chamberlain”, nomen omen?, “della diocesi di Portsmouth, si
è presentato in una quinta elementare di Klee-on-the-Solent, nello Hampshire, e
ha spiegato ai bambini che ormai erano abbastanza grandi da sapere la verità:
Babbo Natale non esiste, l’unico vero eroe del Natale è Gesù Bambino”. È notizia
di oggi, proprio mentre si ricorda una analoga di settanta e passa anni – si ricorda
per la ripublicazione di questo saggio di Lévi Strauss.
Una storia che
finisce oggi come allora: “I genitori hanno protestato con la scuola, che ha
protestato con la diocesi, che ha costretto lo sventurato reverend a fare
ammenda”. Nel 1951 un parroco di Digione, in Francia, processò Babbo Natale, lo
condanno, convocò tutti i bambini e ragazzi della parrocchia, alcune centinaia,
e lo bruciò nella forma di un pupazzo. Un autodafé, nel 1951? Ma più serioso
che buffonesco. Che fece la prima pagina dei giornali, e creò anche qualche risentimento
nella Francia “repubblicana”, cioè laica e negli stessi cattolici: il sindaco e
deputato di Digione era un prete, il canonico Kir, che si tenne ostinatamente
fuori dalle polemiche.
Lévi-Strauss si
chiese come mai il bonario Babbo Natale potesse suscitare così arcigni
sentimenti e risentimenti, e ci trovò alcune più che valide ragioni. Questa riflessione
proponendo, breve ma succosa (su “Les Temps Modernes”, la rivista di Sartre), non
tanto per “giustificare le ragioni per le quali Babbo Natale piace ai bambini,
ma piuttosto quelle che hanno portato gli adulti a inventarlo”.
Una prima conclusione
è che si tratta di “un codice differenziale che distingue i bambini dagli
adolescenti e gli adulti”. Uno dei tanti “riti di passaggio e di iniziazione”,
che hanno la funzione pratica di aiutare “gli adulti a mantener I loro discendenti
nell’ordine e nell’obbedienza”. Uno di questi riti, che somiglia “in modo sorprendente
a quello che stiamo esaminando”, L.S. lo trovava presso i katchina, “indiani
del sud-ovest degli Stati Uniti”. Che innovavano rispetto alla tradizione: i loro
antenati non torna(va)no per punire o ricompensare i bambini, come le vecchie
figure dell’Orco o del Castigamatti, ma in figura benevola, in quanto dispensatori
di doni.
Segue una veloce rivisitazione
dei riti analoghi nel passato, fino a quello fondativo, i Saturnali romani. Che
L.-S. trova analoghi in tutto e per tutto, perfino le date. Ripresi nel
Medioevo con le caratteristiche di oggi: “La distinzione tra classi e censo è
temporaneamente abolita”, ma allo stesso tempo “il gruppo sociale si scinde in
due: la gioventù si costituisce in modo autonomo ed elegge il proprio sovrano”.
E si costituivano “bande di bambini” – che poi saranno passate in Halloween - che “vanno di casa in casa cantando e porgendo
gli auguri, ricevendo in cambio frutta e dolci” – detti in Francia guisarts
(in Calabria, si può aggiungere, “sàmburi”).
E dunque Natale.
Che si comincia ad attendere già a settembre – ma non usa(va) dire: agosto,
capo d’inverno? “Credere in una generosità senza limiti, in un altruismo senza
secondi fini; in un breve intervallo durante il quale è sospesa ogni paura,
ogni invidia, ogni rancore”. Natale diventa una sorta di preghiera, di
scongiuro, che ogni anno “indirizziamo ai bambini - incarnazione tradizionale
dei morti – perché acconsentano, credendo in Babbo Natale, ad aiutarci a credere
nella vita”.
Una riedizione
della prima traduzione trent’anni fa, con un ampio saggio di presentazione (e
interpretazione) di Antonino Buttitta, che l’aveva voluta, “Ritorno dei morti e
rifondazione della vita”. E una nuova introduzione di Gianfranco Marrone,
Claude
Lévi-Strauss, Babbo Natale giustiziato, Sellerio, pp. 108 € 13
mercoledì 18 dicembre 2024
Problemi di base storici - 838
spock
La storia è il
conforto del presente?
È lo stampo del
presente?
E ne è la
gabbia?
La storia è la
scena dell’essere – anche del volere?
S’impara sempre
dal passato – se il presente è già ieri?
La memoria si
dilata col digitale oppure si comprime?
spock@antiit.eu
Cronache dell’altro mondo – siriache (315)
Il nuovo uomo forte della Siria,
Al-Julani, è ufficialmente ricercato dagli Stati Uniti, con una taglia di 10
milioni di dollari, in quanto “terrorista mondiale specialmente designato”,
come fondatore della branca siriana di Al Qaeda, poi Is, stato islamico.
Il presidente Biden ha definito il cambio
di regime “un’occasione storica per il popolo siriano, che lotta da lungo tempo
per costruire un avvenire miglior”.
Gli Stati Uniti tengono ancora la
Siria sotto sanzioni economiche. Controllano militarmente un quarto del territorio
siriano. E ne controllano pure, attraverso i curdi siriani, le (modeste)
riserve di petrolio e gas. Sotto il controllo, diretto e indiretto, degli Stati
Uniti sono campi di detenzione per decine di migliaia di siriani, nelle zone già
controllate dal’Is e poi liberate.
Israele abbandonato, dalle sinistre
Israele
ha perso il sostegno – e i valori? – della sinistra, in Europa, nell’Occidente,
e dunque ha perso se stesso. Una tesi radicale, ma problematica.
Colombo, ultranovantenne, ripubblica un vecchio saggio del 2007, aggiornato agli ultimi eventi, e con un
senso di disperazione. Di fallimento di un disegno che a questo punto gli si
rivela utopia. E dà per perduto Israele. Non quello di Netanyahu, Israele in
sé: la copertina è la stella a sei punte, gialla come nelle vecchie interdizioni,
su un fondo di fiamme.
“Israele
ricco, potente, usurpatore di case e di terre, colpevole di occupazione,
esecutore di «apartheid» e del «muro della vergogna». Israele assassino”: gli
slogan pro-Palestina sono il filo del corruccio di Colombo. Con uno strano
sguardo, non sull’interno, su come si evolve la composizione sociale e politica
di Israele, che sostiene la politica di annientamento di Netanyahu, con corredo
di irrisioni ai “due Stati”, allo “Stato palestinese”. Ma sull’esterno, come l’“opinione
pubblica” evolve nel mondo nei confronti di Israele.
La
riedizione si vuole un grido di dolore su come la sinistra – la politica di sinistra,
in Europa, negli Stati Uniti - si allontana da Israele. Cioè sul fatto che
Israele si faccia sostenere piuttosto dalle destre. Il mite Colombo è diventato
nella maturità un cacciatore intransigente di destre, e questo soprattutto gli
duole, che Israele non riceva – e non cerchi? – l’appoggio delle sinistre, dei
(pochi) Paesi democratici.
“Israele
ha nuovi amici. I nuovi amici di Israele vengono dalla parte sbagliata della
storia”. Mah, non c’è di peggio? E non è finita, la curiosità è doppia. È colpa
delle sinistre – in Europa, in America – se Israele si perde. “La sinistra
italiana ha abbandonato Israele, consegnandolo di fatto alla destra e a un
destino di guerra. Israele appartiene al mondo e ai valori della sinistra.
Senza il sostegno della sinistra del mondo Israele muore”. Di chi la colpa?
Furio Colombo, La
fine di Israele, Baldini + Castoldi, pp. 160 € 19
martedì 17 dicembre 2024
Il problema dell’Italia è l’America, - ma non l’Argentina
Con la visita a Roma di Milei, basettoni, sfottò,
noncuranza, ritorna l’Argentina come brutta copia dell’Italia.
O fantasma dell’Italia, quale l’Italia potrebbe diventare, se non…. Oggi ne fa
la sintesi Cazzullo, sul “Corriere della sera”: “L’Argentina, con l’inflazione
che Milei si vanta di aver ridotto al 124 per cento, è per noi un memento di
come potrebbe essere ridotta l’Italia senza l’ancoraggio europeo”.
Che c’entra l’Italia con l’Argentina? Da
qualche decennio il tormentone mancava.
Ignoranza dell’Argentina?
Sicuramente del problema italiano, il debito, creato con la corsa a entrare nell’euro,
auspici Ciampi, Draghi e Prodi, senza prima consolidare il debito stesso (l’Italia
entrò nell’euro con la barzelletta del prestito forzoso di 35 mila lire per
ogni contribuente, per “rientrare nei parametri”). E da allora il debito si moltiplica
da solo.
Da trent’anni l’Italia
ogni anno stringe la cinghia – spende meno di quanto incassa (il famoso “attivo
primario”). Ma ogni anno deve pagare una taglia di 50 miliardi. Per interessi
che le agenzie del credito tengono altissimi - con la ridicola ragione che l’Italia
non è più affidabile del Paraguay, e anzi peggio della Bulgaria (agenzie
americane, per investitori americani: quindi, se si vuole, l’America c’entra,
ma non è l’Argentina).
50 miliardi l’anno
non sono pochi – farebbero un paese ricchissimo.
La crisi del debito non è una novità.
Carlo Cipolla, storico dell’economia, lo spiega nella sua “Storia facile dell’economia
italiana dal Medioevo a oggi” – facile e accessibile, costa solo 13 euro: l’unità
si è fatta a debito, e ogni pochi anni dopo l’unità l’indebitamento è diventato
critico. Nel dopoguerra l’ottima politica di Einaudi, La Malfa, un po’ anche Carli,
aveva evitato il cappio. Ma cinquant’anni fa, esattamente, col bilancio del 1974,
finito il boom con la guerra del petrolio, e con le casse prosciugate per
pagare gli sceicchi, è riapparso, e con l’inflazione si è moltiplicato
rapidissimamente. Andava consolidato entro i parametri europei, prima dell’entrata
nell’euro, come chiedeva la Bundesbank.
Giallo disamore
Una storia
(in)amorevole, più che un giallo. Di amori quali usano, violenti: stupri, femminicidi.
Anche quando sono distratti, delle belle di mestiere. Una storia, in filigrana, di uomini senza donne - inaccessibili ora come forse lo erano prima, ma in forma dichiarata. “Il buio su un piatto d’argento”
è il sottotitolo.
Una storia di (dis)amori intervallati dalla poesia. Dal mistero della poesia, della parola. Quale si
può cogitare a Roma, al cimitero degli Inglesi, in pace idilliaca in pieno cafarnao.
Luogo d’elezione del quartiere Ostiense.
Una storia di quartiere.
Patrizia Licata se ne può dire ormai specialista, dei quartieri di Roma, geografia
e anime - il quartiere come il paese, il villaggio, ha un’anima, seppure
compressa. Ha già raccontato il Nomentano e Trieste (“Un caso irrisolto”) e Montesacro
(“La donna nella vasca”). Qui racconta Ostiense, tra Piramide, Porta San Paolo,
Gazometro e l’ex Porto fluviale, col ponte pedonale verso l’altra riva del
Tevere. Un quartiere notturno, di movida.
Tre poliziotti indagano,
un detective, un ispettore e un commissario, sulle violenze che si succedono,
contro donne trenta-quarantenni. Figure materne, seppure giovanili? Ma vanno senza
indizi, a naso. E anche loro, più che altro, ragionano, o non ragionano,
delle strane forme di rapporti amorosi che hanno intrattenuto e intrattengono.
Un giallo degli amori.
Con un ricordo e
un medaglione di Jacqueline Risset, francesista alla Sapienza e poeta, “bellissima,
gentile, sensibile, piena di talento”. Che “la poesia è ritmo, diceva”. Un cameo
unico nella letteratura italiana, anche se Risset ne fu in larghi segmenti generosa
protagonista.
Patriza Licata, Le
due facce, Laurum, pp. 200 € 16
lunedì 16 dicembre 2024
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (579)
Giuseppe Leuzzi
La città dove si vive
peggio in Italia è Reggio Calabria, 107ma. Appena meno di Reggio Calabria sta
messa Napoli, al posto 106. E sul serio, “Il Sole 24 Ore” ci lavora su un anno,
non per ridere. Con Reggio Calabria e Napoli condividono il basso della
classifica altre città del Sud, che è inutile elencare.
Si sta bene solo in Lombardia, sei città tra le quindici migliori. E nel Veneto, cinque. Si sta bene solo nel leghismo.
Per
la visita del re di Spagna Felipe VI a Napoli, e l’accoglienza fervorosa ed ei maggiorenti della città, accademici e imprenditori, Marino Niola nota che “per
loro e per i partenopei in generale gli antichi sovrani sono insieme un sogno e
un mugugno”. Per gli uni l’incarnazione della modernità anticipata, per gli
altri della centralità perduta”. Della modernità prima dell’Italia, dell’unità.
Le
tre materie prime da tenere sotto osservazione nel 2025”, titola l’“Economist” nel
suo numero di fine anno “The World Ahead” (, cosa accadrà: “Il prezzo di
arance, caffè e uranio resterà elevato”. Delle arance? Non delle arance
italiane, di Sicilia e Calabria – la Puglia va un po’ meglio, sa vendere.
Perché non sanno organizzare la distribuzione - il valore aggiunto va ai grossisti-distributori.
L’Europa fatta a Palermo
In “Verranno di notte”, nelle pieghe del panegirico contro la barbarie
che ci minaccia, “Lo spettro della barbarie in Europa”, Paolo Rumiz ha l’idea
di un’altra Europa. Non più quella che ci governa. Carolingia. Renana.
Franco-tedesca per intendersi. Rugginosa in effetti, da operetta triste. Ma
quella del nome, della principessa di Tiro che invaghì Zeus con la sua bellezza e fu dal dio sedotta in forma di toro mansueto, bianco, e trasportata in volo a Creta.
Quella di
Federico II, lo “stupor Mundi” degli epicedi, del monaco benedettino inglese Matteo da Parigi,
che ne registra la morte il 13 dicembre 1250: “Obiit…
principum mundi maximus Frethericus, stupor mundi et immutator
mirabilis»”, il magnifico riformatore. “L’imperatore che
riconquistò Gerusalemme senza versare una goccia di sangue”, continua Rumiz, “il
monarca illuminato dalla corte itinerante, che aveva al seguito anche consiglieri
arabi, greci ed ebrei. Federico, il migliore dei re d’Italia. Il tedesco che
mise in riga i feudatari, unì il Nord e il Sud del Continente e separò lo Stato
dalla Chiesa. «Più leggo di lui e più mi accorgo che rappresenta il vertice dei
valori oggi più dimenticati»”, si fa dire da “Lucia, colta ed appassionata
guida turistica pugliese”.
Il terzo “vento di Soave” di Dante, imperatore venuto di Svevia - “la luce de la gran Costanza”, al canto III del Paradiso, “che del secondo vento di Soave\ generò ‘l terzo e l’ultima possanza”. Una Germania mediterranea, un’Italia transalpina (partendo da Palermo)? Si può fantasticare anche sulla storia, per quanto indelebile.
Il nome riporta sempre lì, attorno al Reno. La
sostanza, certo, era diversa.
Il sogno dello sviluppo
La Cina, dove trent’anni
usava per tutti un decoro modesto, la stessa bibicletta, nera, e bluse grige,
senza colletto per risparmio, sfila ora con intere scolaresche, non classi,
scuole, dal Pantheon a Largo Argentina: centinaia di ragazzi in tutte le fogge,
pettinature, calzature, abbigliamenti, loquaci o silenziosi, col cellulare in
mano oppure no, in gita scolastica trascontinentale. Sono immagini reali che
sembrano un sogno.
O
fatti. La Corea che con difficoltà passa dai generali al voto, e in otto-dieci
anni è all’avanguardia per urbanistica, istruzione, sanità e industria. La stessa
Russia bolscevica, finita nel marciume e la violenza della corruzione, appena trent’anni
fa, ora capace di tenere testa all’Occidente in guerra, e insieme d’investire,
commerciare, viaggiare, per affari o per riposo, spendendo anche molto.
Ci vuole una “liberazione”,
una scossa, per stimolare la “crescita” (l’economia), il benessere, la ricchezza.
Il sogno è che un giorno Carabinieri e Polizia dicano che non si può più essere
mafiosi – le categorie sono cambiate. E vedere se il Sud non si arricchisce e arricchisce
come tutti gli altri “sottosviluppati”.
Se il Sud è un trampolino di lancio
Grasso,
Pignatone, Cafiero de Raho, Scarpinato, Gratteri, c’è una categoria di persone per
le quali il Sud è una miniera, altro che ritardo. Il Sud è una buona pedana per
fare carriera, nell’antimafia, che ovunque. E chi non ci riesce, forse per
avere mirato troppo in alto, come Ingroia o Di Matteo, può comunque passare i
suoi giorni comodo in tribuna, seduto sulla sua buona coscienza, con lo Stato
mafia, e il Dio dei mafiosi.
I
giudici minacciano ora sfracelli, ma non se la passano male. Fanno la legge.
Nessuno li ha delegati, ma loro la fanno lo stesso. Come scrive il giurisperito
massimo Cassese, “oggi sono diventati il quarto potere dello Stato”. Per
autorità propria, poiché nessuna costituzione li regola, e quindi di potenza
massima.
Minacciare sfracelli è manifestazione
infine non surrettizia di tanto potere. Al Sud è senza limiti, Col cosiddetto “concorso
esterno” in reati associativi (da cui non ci si può difendere se non “dopo” il
giudizio) e col sequestro preventivo dei beni – col noto affarismo di comodo, alla
fine del quale nulla resti da restituire. Il Sud può essere provvido.
Il futuro della Sicilia
Franco
Lo Piparo contesta Sciascia rudemente – “Sicilia isola continentale.
Psicoanalisi di un’identità”, pp. 42-46 - a proposito del futuro che in Sicilia
non c’è, il tempo grammaticale. Tra
l’altro spiegando che il tema, sollevato da Sciascia in “La Sicilia come
metafora”, 1979, era stato introdotto, incidentalmente, dallo storico Denis
Mack Smith nella “Storia dell Sicilia Medievale e Moderna”, 1968.
Scriveva Sciascia: “”La
paura del domani e l’insicurezza qui da noi sono tali che si ignora la forma futura dei verbi. Non si
dice mai «Domani andrò in campagna», ma «Dumani vajiu in campagna»,
domani vado in campagna. Si parla del futuro al presente. Così, quando mi si
interroga sull’originario pessimismo dei siciliani, mi viene voglia di
rispondere: «Come volete non essere pessimisti in un paese dove il verbo al
futuro non esiste?»”
Mack
Smith: “I contadini disdegnavano anch’essi i nuovi metodi di coltivazione… Si
riteneva comunemente ... che un cambiamento fosse sinonimo di peggioramento… In
un’economia in cui tutto era precario, un comune lavoratore della terra non
poteva mai fare programmi per l’avvenire. Forse la mancanza del futuro nel
dialetto siciliano era espressione di questa difficoltà a pensare al domani”.
Per
il linguista il problema non si pone: “In tutte le lingue l’evento futuro può
essere segnalato da un avverbio temporale mantenendo il verbo al presente: domani vado in campagna in italiano, demain je vais à la campagne in francese, mañana voy al campo in spagnolo….. e si può continuare ancora per molto”. E poi: “In
alcune varianti, ma non in tutte, del siciliano moderno manca o è debolmente
presente il cosiddetto futuro sintetico (formatosi nelle lingue neolatine
secondo lo schema verbo all’infinito + habere, per cui mangiare ho = manger-ò) ma non il futuro perifrastico o analitico
(avir a + verbo all’infinito
= aiu a ghiri, aiu a manciari). Il futuro perifrastico si trova in lingue come l’inglese (I will go) ol il tedesco (Ich werde gehen) parlate da parlanti che nessuno ritiene etnicamente pessimisti”.
Cronache della differenza:
Calabria
“Dopo il delitto di Miami”,
ricorda Santo Versace a proposito dell’assassinio del fratello Gianni, “le
banche d’affari ci davano per falliti e dovevamo persino respingere le accuse
di mafia. Litigai con Gianni Barbacetto: se fossimo stati di Voghera come
Valentino non avrebbe mai insinuato una cosa del genere”.
Si scopre casualmente, per le vicende
travagliate della sua eredità. che Ginni Vatitmo era di origine calabrese. Il
padre lo era, di Cetraro (Cosenza), arrivato a Torino dopo il concorso per guardia
carceraria, e lo stesso filosofo, già orfano di padre, aveva passato nella
famiglia paterna a Cetraro gli anni dello sfollamento, dopo i bombardamenti del
1942. Le radici contano e non contano.
“C’è più somiglianza tra un calabrese e un piemontese
che tra un calabrese e un siciliano”. È un complimento, Gramsci ne scrive alla cognata
Tania l’11 aprile 1927, tra righe feroci contro la Sicilia, dove era temporaneamente
carcerato.
Genesio, l’allenatore del
Lille, brillante squadra di calcio costruita con pochi soldi, nipote di nonni
di Mammola, che in casa parlavano solo francese (ci provavano) per
francesizzarsi prima, non sa niente di italiano ma ha forte il senso della
famiglia – pasti in comune, zie, cugini, eccetera.
Il nono era un bambino abbandonato,
cui l’assistenza pubblica diede il cognome fittizio di Genesio – piuttosto che
di Italiano, Esposito, Trovato, Innocenti, e i vari composti di Dio.
Non c’è conoscenza che sia
stato in Calabria in vacanza e non se ne lamenti: niente corrisponde al sito, disordine,
sporcizia, strafottenza. La Calabria è salita ai primi posti quest’anno per il turismo
delle famiglie, favorita dall’impraticabilità di molte destinazioni
tradizionali, romagnole e marchigiane, per le mucilaggini. A buon prezzo. Ma
non sa capitalizzare – le risorse non mancano, non si sa gestirle.
Non è violenta, contrariamente
alla percezione. Reggio Calabria viene all’80mo posto nella classifica della delittuosità
del “Sole 24 Ore”. Catanzaro è la più pericolosa, avendo ancora nel 2023 il Procuratore
Gratteri, al 41mo posto. Segue la provincia di Vibo, al 61mo posto, per il
troppo turismo, e quindi gli scippi, prima sconosciuti. Crotone segue al 77mo posto,
Cosenza al 95mo.
Commisso? È calabrese, e non
conta. “Gli Agnelli? Lui è il loro opposto”, dice un manager della Fiorentina di
Rocco Commisso, il patron della squadra, al capo dei servizi sportivi del “Financial
Times”, Ahmed Murad, nella pagina che il quotidiano dedicò alla Fiorentina e a
Commisso un paio d’anni fa: “Se lei passa un minuto con qualcuno di Torino, e poi
con uno della Calabria, è come l’olio e l’acqua, non importa quanti soldi
abbia. Non voglio dire non c’è gente per bene al Sud. Ma non sarà alla pari”.
A Commisso, benché abbia investito, di soldi suoi, nella
Fiorentina 350-400 milioni, o forse per questo, “La Gazzetta dello Sport” non
aveva risparmiato, nota incredulo il giornalista del “Financial Times”, il solito
commento: “Don Rocco, più che da un grande gangster movie di Coppola o Scorsese,
sembra uscito da un poliziesco italiano di serie B”. Incredulo, il giornalista,
perché sapeva degli intrallazzi cinesi e americani a carico delle squadre
milanesi – ne riferisce.
leuzzi@antiit.eu
La scoperta del figlio, da morto
Industriale indaffarato
a New York, settantenne, che non ha mai voluto un figlio (un ruolo per il
dimenticato Richard Gere), scopre di averne uno, in Canada. Lo scopre perché il
giovane è morto, suicida.
Lo scopre cone un
figlio ancora vivo. Padre protettivo, anche nelle magagne – non ha mai voluto un
figlio perché disprezzato e percosso dal padre fino alla maggiore età.
Il finale è alla
canadese – freddo, bizzarro: un matrimonio fra due morti, un rito taoista,
pare, o cinese, di buon auspicio per le famiglie (ci sono nelle cronache traffici
illeciti in Cina di spose-cadavere). Ma il soggetto e il trattamento sono multiformi,
pieni di situazioni e persone bizzarre-normali, coinvolgenti.
Savi Gabizon, Era
mio figlio, Sky Cinema
domenica 15 dicembre 2024
Problemi di base bellicosi siies - 837
spock
“Le bombe dell’esercito israeliano hanno
fatto 150 mila vittime tra morti e feriti e distrutto l’80 per cento di Gaza”, Abu
Mazen?
“In questi mesi Biden ha permesso a Netanyahu
di fare quello che voleva”, id.?
Gli Usa hanno respinto tre volte le
risoluzioni dell’Onu”, id.?
“Mentre proponevano il cessate il fuoco, da
noi sostenuti, gli Usa continuavano a fornire armi all’Idf”, id.?
“È scritto che
il futuro di Israele va da Gerusalemme a Damasco”, Bezalel Smotrich, ministro
delle Finanze?
“Ogni guerra è
una guerra civile”, C. Pavese?
spock@antiit.eu
Il mite macellaio
Dietro l’immagine
del vegliardo tremebondo e mite, Biden lascia una presidenza da rude macellaio.
Per avere abbandonato gli afghani, le afghane, dopo quasi vent’anni, ai talebani.
Come ora in Siria, alla mercé di un terrorista venduto come un br av’uomo – uno
su cui aveva messo una taglia di 10 milioni di dollari, organizzatore di attentati
suicidi e stragi d’innocenti. Liberando peraltro la Siria mentre la bombarda, e
tiene in campi di conentramento decine di migliaia di siriani, per lo più ragazzi
e bambini.
E per l’Ucraina,
dove tanto ha fatto per provocare l’invasione, e niente dopo, né una tregua, né
un negoziato qualsiasi. Una guerra buona per smaltire l’armamento obsoleto, a
spese degli ucraini. E imporre sanzioni selettive che colpiscono di ritorno l’Unione
Europea - mentre gli Stati Uniti gozzovigliano con gli attivi russi nelle piazze
finanziarie della City e di Wall Street. Ma più per avere fornito a Netanyahu
il munizionamento per un anno di bombardamenti quotidiani di due milioni di persone
stipate in un quartiere di Roma. Mentre mandava su e già, a giorni alterni, il
suo ministro degli Esteri Blinken in “missione di pace” - per meglio prendere
la mira? Europa alo stremo e Medio Oriente in fiamme, di nuovo, un monnmento.
Giallo d’acqua, sporca
Poirot nel dopoguerra
si è ritirato a Venezia in solitudine, in lite con l’umanità che tanta violenza
ha esercitato in guerra. Ma non pacificato – i suoi baffi su Kenneth Branagh
sono sempre ritti, ispidi. E si lascia perfino trascinare in una storia trucida
di spiritismi, morti improvvise, porte che sbattono, arpie che volano, bambini saputi,
su un sfondo cupo, di acque turbolente. Un guazzabuglio.
Branagh nei panni
d Poirot era inverosimile anche nel primo episodio del suo trittico, “Assassinio
sull’Orient-Express”. “Poirot e la strage degli innocenti” (tit. orig. “Hallowe’en
Party”), l’originale di Agatha Christie “Assassinio a Venezia”, non è a
Venezia, ed è cupo ma non catastrofico – fu pubblicato, nel 1969, con dedica a
P.G.Wodehouse, lo scrittore umoristico di Jeeves il maggiordomo. Branagh più
che a Poirot tiene alla sua opera di regista: nel primo episodio ha fatto un
racconto di un paio d’ore con protagonista la neve, i ghiacci, i silenzi (e un
Poirot mobile, quasi saltimbanco), nel secondo “Assassinio sul Nilo” la luce
che viene dal deserto (e un Poirot innamorato….), in questo l’acqua, brutta e
sporca.
Kenneth Branagh, Assassinio a Venezia, Sky Cinema, Now
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