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sabato 21 dicembre 2024

Le guerre (non) perdute degli Stati Uniti

Dall’11 settembre una serie lunga, quasi un venticinquennio, di guerre perdute per gli Stati Uniti. Anche quando sembrano vinte – quella di Netanyahu contro mezzo mondo arabo. In Afghanistan, in Iraq, in Libia, in Siria, in Ucraina.
L’Afghanistan consegnato ai Talebani – come dire all’Al Qaeda dell’11 settembre. L’Iraq agli sciiti. La Libia a Putin, e a Erdogan. La Siria a Putin e allo Stato islamico prima, e ora allo Stato islamico e a Erdogan.
L’Ucraina armata, psicologicamente e militarmente, a sfidare la Russia, per rimetterci la semidistruzione, qualche milione di morti e la perdita della sua parte mineraria.
E la strana simbiosi negli “accordi di Abramo” con le petromonarchie, regimi monocratici e patrimoniali assurdi nel terzo millennio - che per di più finanziano l’estremismo arabo, perfino le cosiddette guerre sante, cioè il terrorismo.
Tutto insensato. A meno di un disegno geopolitico - come ora usa analizzare e collocare i fatti, in diplomazia e nella storiografia (a che fine?). E l’unico disegno geopolitico che quadra è: annientare l’Europa. Non annientarla, perché serve: circondarla di focolai e indebolirla, da vera provincia dell’impero. Col caro energia. Con la dipendenza energetica accentuata invece che ridotta. Con sanzioni antirusse autopunitive per l’Europa (gas, petrolio, terre rare, esportazioni, turismo) e benefiche per gli Stati Uniti (riserve monetarie, asset finanziari). Quando tutti sanno che l’Europa senza la Russia è poca cosa.
Con lampi di ostilità non mascherata. Il neo presidente Trump la prima cosa che ha annunciato in materia di dazi e contingenti – la sua filosofia economica, da affarista - è contro l’Europa: l’obbligo per l’Europa di comprare petrolio e gas dall’America, anche se a prezzo più caro. Ma Biden non ha fatto due forti leggi, per la reindustrializzazione e i semiconduttori, a danno principalmente dell’Europa?

La strana guerra Usa-Cina

Sono ormai cinque anni, dalla controffensiva all’iniziativa cinese della Belt and Road Initiative (Bri), detta “Nuova via della seta”, che l’Europa deve ridurre gli scambi industriali e commerciali con la Cina, per assecondare le strategie americane. Ridurre o bloccare, per le incontestabili “ragioni di sicurezza”, gli investimenti cinesi, e ridurre perfino l’export.
Lo stesso sembra avvenire nei rapporti degli Stati Uniti con la Cina. Che però, sotto le schermaglie giornaliere di hackeraggi, spionaggi (ora coi palloncini, o con i droni - in arrivo dalla Cina, a long way
) se si guarda ai dati reali, della bilancia dei pagamenti, restano floride. La bilancia commerciale, esportazioni e importazioni di merci, è sempre favorevole alla Cina – gli Usa avranno ridotto la “dipendenza”, cioè le importazioni, ma non di molto. La bilancia dei pagamenti, che è quella che conta, pende invece tutta per l’America: gli Stati Uniti pagano per le importazioni con dollari americani naturalmente, che gli esportatori cinesi usano per lo più per investimenti finanziari in America. In titoli del Tesoro americano, oppure di agenzie federali americane (le vittime maggiori della crisi del 2007 furono probabilmente gli investitori cinesi, grandi sottoscrittori di “Fanni Mae” e “Freddie Mac”, Federal National Mortgage Association e Federal Home Loan Mortgage Corporation - le finanziarie pubbliche create nel 1933 tra le misure anti-crac, che rifinanziavano i mutui immobiliari per ridurne gli oneri per le famiglie (quelle dei mutui sub-prime
, infetti: si arrivava a ipoteche di quarto e quinto grado….).

Meloni signora di Bruxelles

Eccezionale, senza precedenti, la convergenza fra Italia e Ue – Meloni direbbe la convergenza Ue sull’agenda italiana. O fra Italia e Germania - von der Leyen si regola sulla Germania, su quella in fieri con le nuove elezioni. Sull’immigrazione. Sulla transizione verde, Un po’ sull’unione bancaria – senza che nessuno le chieda della mancata ratifica del nuovo Mes, il meccanismo europeo di stabilità del mes. S ugli accordi con l’America Latina (Mercosur): le obiezioni e i limit italiani trovano accoglienza a Bruxelles, quelli di Macron valgono come “dispetti”. E sull’Ucraina: sostegno all’Ucraina senza avventurisni - le balorde sbruffonate di Macron sulla guerra alla Russia (“tenetemi sennò faccio sfracelli” - ha sopravanzato polacchi e baltici, ed è tutto dire).
Tanto più, a proposito di Ucraina, emerge Meloni al confronto con i due leader dell’Europa reale, da tempo in difficoltà, nei rispettivi Paesi e tra di loro. Scholz non parla con Meloni, ma fa com se, e ora comunque è fuori.
La transizione green sempre più si manifesta, dopo le insistenze meloniane, come una strategia di mercato – rinnovare tutto il parco automobilistico. Un affare da molti miliardi di miliardi, con scarso o nessun effetto sull’inquinamento. O il rifacimento di tutto l’edilizia in venti anni…. – come? con quali soldi e con quali forze o organizzazioni produttive, e con che materiali?
Anche l’immigrazione Meloni ha riportato ai suoi dati veri. L’Europa ne ha bisogno. Ma non può accettare, anzi ha l’obbligo di prevenirli e punirli, i mercanti dell’immigrazione: non si possono tollerare barche, barchini e barchette in giro per il Mediterraneo, con migliaia di morti, l’anno. La soluzione, accettabile per tutti, non è semplice, ma si può organizzarla – “piano Mattei”: regolare con intelligenza i “ricongiungimenti familiari”, introdurre “l’atto di richiamo” di mallevadori (parenti, conoscenti) già integrati nei paesi di destinazione, aprire agenzie locali di reclutamento, con visite mediche, visti, biglietti di viaggio.

Le lingue servono

È incredibile come Meloni, pur essendo di pochi studi, conosce e sa muoversi sui problemi internazionali. Forse per innato senso della prospettiva, geografica e politica – ma anche storica (la storia non è innata)? Sicuramente per avere studiato e praticato le lingue, inglese e spagnolo soprattutto, e anche il francese.
“Parlare le lingue” è una rarità fra i politici italiani. Anzi con un solo precedente, Draghi – di pratica però limitata all’inglese, e un po’ legnosa. Lo stesso Monti, con tanta esperienza internazionale, alla Commissione di Bruxelles alla quale fu mandato da Berluscsoni, e nel think-tank Bruegel, ha limitato uso dell’inglese.
Nel G 7 in Puglia è riuscita per questo solo vantaggio a superare handicap non marginali – e a ottenere pieno il successo d’immagine, a cui questa assise ormai burocratizzata si è ridotta a servire. Una localizzazione avventurosa e faticosa per tutti i convenuti. Riuscire a tenerceli chiusi per due giorni. In un momento non propizio, fra gli europei e con lo stesso presidente Biden. E il colpo di teatro dell’invito al papa, che su Meloni capopartito non può non avere riserve, ma con lei deve aver gradito parlare finalmente castigiano
invece dell’indigesto italiano – come ora Milei, altro convertito meloniano.

L’immigrazione è un problema semplice

Si divide – i media dividono – l’opinione, in Italia e in Europa, su un falso problema, l’immigrazione. Il ridicolo del processo siciliano a Salvini ne è una illustrazione, a tutto tondo.
L’immigrazione incontrollata è un problema. Non per razzismo. Non c’è razzismo sicuramente in Italia, e molto poco, isolato e governabile, nei vecchi feudi europei del razzismo (i paesi a più vasta e radicata immigrazione, Germania e Francia, e i più soggetti ai terrorismi arabo-islamici). L’immigrato è accettato, nel quartiere e nel condominio, i matrimoni misti si moltiplicano, malgrado le differenze culturali, i figli di immigrati sono accetti e specialmente trattati a scuola, e gli immigrati tutti mai discriminati nella sanità.
Il problema è l’immigrazione illegale. Per le migliaia di morti che provoca. Per lo sfruttamento degli immigrati nei viaggi della speranza – spesso crudele, e molto crudele. Per la moltiplicazione dei migranti disorientati, manodopera di ogni avventura, quando l’abbordaggio all’Europa è riuscito.
Il problema non è insolubile, e anzi è semplice: bisogna bloccare l’immigrazione clandestina, e creare canali di immigrazione sicura e necessaria – automaticamente difesa anche nei suoi diritti.

Chi difende e perché l’immigrazione clandestina

Il traffico di esseri umani è fuorilegge, da ogni punto di vista. Tanto più se si fa a rischio vita, cioè buttando i migranti in acqua. Dopo avere esatto cifre astronomiche: in Africa, ma anche in Bangladesh o in Iraq, le cifre di cui si parla per un passaggio del Mediterraneo a rischio vita con i contrabbandieri, 5 o 7 mila dollari – ma anche solo mille dollari - sono cifre enormi, mostruose.
Il mercato di esseri umani non si limita peraltro al passaggio. I molti sono inquadrati da organizzazioni, piccole e grandi, a scopo di sfruttamento (caporalato), e per attività illegali (spaccio) e disumane (mendicità).
Su questo sfondo limaccioso, noto a tutti, non si capisce l’impegno al “liberi tutti”, falso mercato della libertà, da parte di persone che si dicono impegnate per i diritti umani: politici, giudici e ong. Fulcro ne è l’industria dell’accoglienza, sotto insegne false di volontariato. Degli ambienti un tempo confessionali, ora dominanti nel cosiddetto “terzo settore”, o degli appalti pubblici nel sociale.
Un mercato della solidarietà si è costituto anche attorno all’immigrazione legale. Forse poco ricco ma molto esteso – è il più vasto del “terzo settore”, più dell’assistenza ai senza tetto o delle comunità di recupero. A cui però si appaiano ambienti poco affini, e anzi mangiapreti, quali sono i finanziatori alla Soros e i tanti giudici italiani.
I giudici si giustificano con la pregiudiziale politica: fanno la lotta a Meloni. Ma, politicamente, non le fanno un favore? E dunque, non resta che constatare: logge e sacrestie unite nella lotta – per fare più morti?  

Padri e figli, oggi non si salva nessuno

Una storia generazionale: degli adolescenti che oggi vivono nell’ansia, sebbene immotivata, fino ad autodistruggersi. Una storia anche paradigmatica: della disintegrazione della famiglia, anche quella dalle migliori intenzioni - tra coniugi capaci e in armonia.
Un tema da tragedia greca, o del destino ineluttabile. Realizzato purtroppo come un dramma teatrale - Zeller, autore-prodigio francese, nasce come scrittore, di narrativa e per il teatro. “Il figlio” è il pendant di “The Father”, il padre, con cui Zeller due anni prima aveva avuto grande successo anche al cinema, con l’Oscar per la sceneggiatura – ma per merito soprattutto dei due protagonisti, Anthony Hopkins (Oscar) e Olivia Colman.
Pubblicizzato come un film “di” Anthony Hopkins, in realtà questo sequel mostra Hopkins in una sola, breve, scena. Dove lui stesso si dice il padre che ha “bullizzato” (stimolato) il figlio in gioventù - il quale poi, per rivincita, ha fatto una carriera brillante. Quello che adesso, padre premuroso, pur immedesimandosi nel figlio non riesce invece a salvarlo.
Florian Zeller, Il figlio
, Sky Cinema, Now

venerdì 20 dicembre 2024

Ombre - 751

“Il Sole 24 Ore” rimedia alla classifica della vivibilità con cui ha condannato Reggio Calabria all’ultimo posto e pubblica una corrispondenza in cui tutto funziona. Perfino l’aeroporto, da sempre disastrato. È cambiato tutto in pochi giorni?0
Il giornale della Confindustria non si rende conto dei danni (e dei vantaggi) che procura con le sue classifiche? Oppure sì. E quanto rendono?


Terrificante pubblicità di Mediolanum; negli ultimi dieci anni la ricchezza pro capite in Italia è cresciuta di poco o nulla: del 10,5 per cento. In Francia è cresciuta del 40,9 per cento, in Germania di una solido 84,3 per cento - negli Stati Uniti del 150. Il famoso vincolo europeo di Ciampi e Draghi che doveva avviare il circolo virtuoso dei conti italiani è stato un capestro: saldi di bilancio pubblico ogni anno attivi, il famoso stringere la cinghia, in una automutilazione senza fine. 

 
“Capodanno, si cercano artisti stranieri”. Cronache romane – ora pure nazionali - in ansia, “la Repubblica”, “Corriere della sera”, un po’ anche “il Messaggero” (non ha lettori giovani – non s’illude?) sul concerto di Capodanno del Campidoglio. “Campidoglio in difficoltà dopo il no a Tony Effe e la rinuncia di Mahmood e Mara Sattei”. È una questione di libertà di espressione, o si tratta di salvare la faccia a Gualtieri, grande sindaco (degli appalti)?


La censura a Tony Effe non è piaciuta agli altri artisti del concertone. E allora un piedistallo al sindaco-eroe spazientito: “Roma è e resta una città aperta, e che ama l’arte e la musica in tutte le sue forme”.  Due pagine, perbacco!

Ma c’è di più. Roma - il Campidoglio, gli assessori, il sindaco Gualtieri - aveva posto Tony Effe al centro del concerto di Capodanno senza saperne niente, giusto perché Elly Schlein si era fotografata a ballare un suo motivo. Sembra incredibile, ma è vero.

L’arbitro di Paris Saint-Germain-Monaco, Letexier, “il migliore di Francia”, non punisce una scarpata in faccia a Donnarumma. Una botta di piatto, con tutti i tredici tacchetti sulla guancia. È così adesso. Si vedono in campo prese da lotta libera, anche di catch, insistite, che nessuno fischia. Si punisce solo il tocco al piede, e il rimbalzo della palla sul braccio – col fuorigioco di un centimetro dopo le molteplici visure tv (si fa calcio per la televisione, immagini di immagini). Con arbitri come i giudici: i più bravi conoscono i regolamenti.

Dopo una campagna acquisti di (almeno) 200 milioni, e un nuovissimo allenatore miracoloso, la Juventus ha nove punti in meno rispetto a dodici mesi fa. Ciononostante viene magnificata. Per tirarla su in Borsa? Si sa, anima del commercio è la pubblicità, ma lo sport non è più altro?


Si ricorda in morte il pm di Milano addetto al terrorismo, Ferdinando Pomarici. Ma non si ricorda la condanna di Adriano Sofri quale mandante dell’assassinio del commissario Calabresi, che lui sapeva falsa. Basata sulla testimonianza dell’assassino e contro ogni altra evidenza. Testimonianza da lui preparata, o da lui col colonnello dei Carabinieri Bonaventura, dei servizi segreti (poi morto di “infarto”, prima della pensione), in una settimana di colloqui non verbalizzati con Marino. Contro ogni procedura d’obbligo per l’audizione dei “pentiti”. Servita poi, benché confusa contradittoria, in ben tredici processi palesemente “politici”, cioè manovrati.

Si vuole una “guerra delle cifre” sui morti a Gaza. Fra “The Lancet”, la bibbia inglese della medicina, che due mesi fa stimava i morti a “186 mila o anche più”. Oppure “Le Monde”, che il 7 ottobre concludeva che le cifre di Hamas erano “affidabili e forse perfino sottostimate” - basandosi sulla veridicità di “un documento di 649 pagine” redatto a metà settembre, con dati al 31 agosto, che elencava esattamente 34.344 morti, identificandoli (nome, sesso, nascita). E una Henry Jackson Society inglese, che i palestinesi morti riduce a 46 mila, di cui 17 mila “combattenti di Hamas” e 5 mila di morte naturale. Spiegando che questo istituto è di destra. Senza dire che è “vicino” ai servizi segreti inglesi.  

Si fa forte Meloni al Senato del Superbonus. L’Italia paga ogni anno 50 o più miliardi di interessi sui Bot e pazienza, con le agenzie (americane) di rating non si può nulla. Ma ne paga anche 35-40   per il Superbonus. Varato dai partiti oggi all’opposizione, 5 Stelle e Pd, dal sindaco Gualtieri allora ministro del Tesoro. Un regalo contro ogni buonsenso, anche politico o di classe, alla ricchezza. Incredibile, ma è avvenuto e si paga caro. E nessuno chiede scusa.

Il “Corriere della sera” rilancia al centro del villaggio Romano Prodi, 85 anni. Il nuovo che avanza? E lo affida a Roncone, specialista del gossip.

La giornalista Rai Sara Giudice e il marito Nello Trocchia, La 7, ex Rai 2, autore di molti libri sulla criminalità, sono denunciati da una collega di violenza sessuale, in tassì, dopo somministrazione di una droga A Ferragosto. L’accusa fa le cronache fino a metà dicembre, quando un giudice trova il tempo di interinare l’assoluzione già richiesta dalla Procura della Repubblica, che aveva indagato la denuncia, a fine agosto. Ma di nuovo si pubblicano le foto della coppia e non dell’accusatrice. Di cui non si fa, per paura?, nemmeno il nome. Nemmeno dei suoi avvocati, in genere donne, della genia specializzata nelle cause per danni – a percentuale del risarcimento. Una moda molto americana, e molto mafiosa.

Lei intanto, Sara Giudice, è stata licenziata, nei quattro mesi di durata del “processo”. La sentenza non condanna l’accusatrice ai danni. Si può diffamare liberamente. E guai a criticare la giustizia.

“Lo vogliamo dire che la destra non sta dando risposte alla domanda di sicurezza delle persone?”, Stefano Bonaccini, già concorrente di Elly Schlein alla guida del Pd. Il giorno dopo le “manifestazioni di massa” contro il decreto sicurezza del governo. Come criticare da sinistra la destra, con la destra estrema?
Bonaccini, il solito ex Pci pronto a tutto. Ma che sprezzo del ridicolo.

“Migliaia sfilano per i diritti”. Non ventimila, forse nemmeno diecimila. Ma nessun giornale lo dice. Invece, a corpo grande: “Tra i manifestanti sindacalisti, studenti, attori”. Un pubblico selezionato.
La protesta è per la libertà di protesta. Dai Parioli a piazza del Popolo, la Roma bene.
 
Hanno sempre più spazio gli avvocati (ma sono soprattutto avvocatesse) a percentuale che fanno causa per lauti accordi. Quelli (quelle) dele ginnaste che si sono visti respingere le denunce spopolano ora sui giornali, con paginate di intercettazioni sulle conversazioni tra i responsabili del settore. Da Malagò in giù.
In America, dove gli avvocati a percentuale si sono inventati, le loro “carte” escono sul giornali scandalistici. In Italia in prima pagina sui grandi giornali.

Se il processo è una condanna

Il processo “Open”, a Matteo Renzi e al Pd fiorentino, il “cerchio magico”, quello che aveva conquistato il partito attraverso la “Leopolda” (un adattamento dell’idea di Prodi che per l’Ulivo preparava le campagne elettorali facendo confluire ad appositi tavoli a Bologna chiunque avesse idee da proporre), si conclude prima di cominciare, il giudice dell’udienza preliminare avendo bocciato l’accusa. Ma dopo nove anni. Il tempo di azzoppare Renzi – e anche il Pd. Con un processo che non doveva cominciare.
Nove anni per un giudizio “preliminare” sembrano troppi. Ma nessuno scandalo. Soprattutto non nell’ambiente giudiziario. Il giudice che aveva montato l’accusa, Luca Turco, uno specialista di processi a Renzi e famiglia, serafico ha assistito alla bocciatura, ed è andato in pensione. In buona salute, si suppone: lavorare nove anni a un non-processo dev’essere stata una fatica dilettevole (Turco aveva cominciato la carriera come giudice, poi ha scelto la meno pregiata carriera di Procuratore, evidentemente di maggiore soddisfazione - a parte il fatto di poter non lavorare, basta puntare un personaggio).
Anche in America la giustizia è politica. Le Procure inondano i media di materiali sempre sensazionali e a cascata, per rendere la difesa faticosa e comunque tardiva. I Procuratori sono politici - eletti o nominati politicamente. Ma si va veloci. E i giudici sono sanzionabili. Dagli elettori (dai partiti di appartenenza) e da chi li ha nominati. In Georgia la procuratrice Fani Willis, che col fidanzato montava un processo contro Trump per l’assalto al Congresso del 6 gennaio 2020, e per sottrazione di documenti segreti, è stata rimnossa dal procedimento. Da una corte d’Appello, del suo stesso partito, Democratico.

L’anima di Dante in francese

Una raccolta di scritti – saggi e testimonianze – in memoria di Jacqueline Risset, la poetessa francese, francesista alla Sapienza dagli anni 1970, erede del francesista principe Giovanni Macchia, morta dieci anni fa: Bonnefoy, Kristeva, Ossola, Balestrini, Trevi, Citati e molti altri. A cura del suo compagno, il latinista Todini – morto ora anche lui. Con una silloge di suoi scritti.
Poetessa di molteplice ispirazione, aveva esordito giovanilmente con la sperimentazione. Sulla rivista “Tel Quel” di Philippe Sollers - altra presenza un tempo significativa e presto dimenticata. Per virare successivamente verso la “poesia delle origini”, i provenzali e Dante. Dante soprattutto, di cui fu cultrice assidua nella maturità – così come del Joyce “italiano” (il Joyce italiano, articoli, lettere, saggi, si può dire recuperato per la sua acribia).
La raccolta rende conto di una produzione, d’autore e critica, vasta e sempre stimolante. Numerosi i lavori su Dante, che divenne presto la sua passione – la estese anche a Fellini, che provò con lei a immaginare una riduzione cinematografica della “Commedia”. Resta soprattutto importante la sua versione in francese della “Commedia”, basata sul ritmo, page-turner, di forte leggibilità ( senza perdere in complessità e dignità) – per una lettura come De Sanctis la consigliava, senza le note. Come un racconto di avventure “mirabile”.
Una versione meglio spiegata da un altro italianista - qui tra quelli che le rendono omaggio - René de Ceccatty, nella presentazione della sua propria versione della “Commedia”, popolaresca, tipo “I Reali di Francia”, il “Guerin Meschino”, in settenari. Anch’essa si era posta “la necessità della leggibilità”, spiega Ceccatty, e c’è riuscita, senza tradire il poema, per la “sua sensibilità poetica”: “Poeta lei stessa nelle due lingue, italiano e francese, sa perfettamente ciò che vuole dalla poesia, fatta di concentrazione e folgorazioni, che ricerca e riproduce in francese”. Per cui “la versione di Jacqueline Risset è la sola che dà un’idea della vita, dell’invenzione, dei cambiamenti di ritmo, degli effetti di realismo, della sensualità, degli scherzi o dei momenti di profonda meditazione, di questo testo sempre inatteso”.
Umberto Todini-Andrea Cortellessa-Massimiliano Tortora (a cura di), Avanguardia a più voci
, Edizioni di Storia e Letteratura, pp. 286, free online

giovedì 19 dicembre 2024

La guerra di Erdogan ai curdi (di Siria)

Nel 2018, alla dissoluzione dell’impero ottomano, i curdi costituivano l’unico possibile Stato: una popolazione, una lingua, un territorio. Per evitarlo, saggezza coloniale, furono divisi in tre: una parte alla nuova Turchia, una parte alla Francia (Siria) e una parte all’Inghilterra (Iraq). Da allora combattono, e niente, non c’è via d’uscita per loro. Sono un popolo, sono mussulmani ma sono “moderni”, democratici e rispettosi dei diritti.
“Siamo democratici, inclusivi, femministi e mussulmani”, può dire oggi a Nicastro sul “Corriere della sera” l’avvocato Amina Omar, già presidente del Consiglio Democratico Siriano, dei curdi di Siria. Che si autogovernano da una quindicina d’anni, nel caos del paese, di Assad e dopo. 
Il Consiglio governa il Rojava. Ridenominazione della regione Nord della Siria, lungo la frontiera con l’Iraq e la Turchia. Ma contro di esso è in atto una guerra non tanto nascosta, solo “dimenticata”, di Erdogan. Contro l’idea di uno Stato curdo, che fatalmente attrarrebbe il Curdistan turco. E contro un islamismo femminista.
Erdogan ha armato una Syrian National Army, alleata di quello che resta dell’Is in Siria - dello Stato islamico, che controlla la Siria centrale - contro il Rojava, col quale confina per tutta la sua lunghezza. Lo stesso Erdogan che la Ue finanzia lautamente per “gestire” l’esodo dei siriani: curdi stanchi delle guerre, e perseguitati dall’Is. Quindi sue vittime - da avviare peraltro sulla rotta balcanica, invece di accudirle, o su quella della Magna Grecia, verso Locri e Crotone.

La scoperta dell’Africa

Scopre il “Corriere della sera” con Rampini le guerre “dimenticate” dell’Africa. E la politica degenerata che avvelena il continente: dittature. corruzione, guerre tribali. Camuffata da anticolonialismo er le “anime belle”. Un assurdo, sotto gli occhi di tutti, e non remoto, anzi alle porte di casa. Che solo questo sito ha documentato:
http://www.antiit.com/2019/02/il-mondo-come-366.html
http://www.antiit.com/2018/09/quanto-lafrica-potrebbe-essere-ricca.html
http://www.antiit.com/2024/10/lafrica-suo-malgrado.html
(alcuni take).
Se ne vede lo specchio all’emigrazione: confusa e problematica. È praticamente impossibile individuare chi è protetto dalle convenzioni internazionali sui diritti civili e politici. Ogni africano vi avr ebbe diritto. E questo non può essere: non si può trasferire l’Africa in Europa.
A che fine poi, per importare la stessa incapacità politica e sociale? Non si emigra dall’Africa per decisione ponderata, come nei film, per costruirsi un futuro – che sarebbe una benedizione, l’emigrante ha una marcia in più. Si emigra con la stessa superficialità con cui si vive e ci si governa in Africa. E d’altra parte è difficile l’integrazione: non ci sono disegni di integrazione, se non in casi rari (per la mediazione di missioni e parrocchie, o delle poche organizzazioni umanitarie non avventuristiche – un 5 per cento dell’immigrazione africana, il 10?) Ci sono agenzie in Nigeria che promettono “Roma” alle donne per la prostituzione, all’opera da anni, decenni. E altre per la mendicità…. L’unico obiettivo essendo “money”, fare un po’ di soldi. Soprattutto non ci sono reti, parentali, amicali, di indirizzo pratico (economico, finanziario) per gli africani come ce ne sono per le comunità asiatiche, di indiani, pakistani, bengalesi o filippini, o anche per i sudamericani (peruviani). Mentre ci sono le mafie, dette “nigeriane”, per il caporalato, la prostituzione, lo spaccio. C’è la dissoluzione sociale.

Cronache dell’altro mondo – informative (316)

 “Come i Sunday Morning News Shows promuovono un’agenda anti-palestinese per Washington”.
“Dall’ottobre 2023 le rubriche d’informazione domenicali delle maggiori emittenti nazionali, “Meet the Press” della Nbc, “This Week” di Abc, “Face the Nation” della Cbs, e “State of the Union” della “Cnn, non hanno mai avuto un solo ospite palestinese”.
“Con l’eccezione di una sola intervista, i programmi domenicali di notizie hanno coperto “la cosiddetta «guerra Israele-Hamas» senza mai parlare con un solo palestinese, o con un americano palestinese”.
È la conclusione di una ricerca condotta dal settimanale di sinistra “The Nation”. Al cui parere “i centri media di centro-sinistra hanno aiutato a vendere, sottostimare, e fornire copertura alla guerra su Gaza dell’amministrazione Biden”. In aggiunta, scrive il settimanale, “questi programmi mostrano un costante pregiudizio anti-palestinese. Con cura usano termini emotivi per descrivere le vittime israeliane, ignorano gli scudi umani palestinesi e le vittime palestinesi di stupro, e normalmente esibiscono esponenti israeliani credibilmente accusati di crimini di guerra - soprattutto il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu”.
 “Gli shows domenicali sono un barometro utile delle priorità dei media Usa upstream, che fanno opinione. Importanti non perché raccolgano alte percentuali di ascolto ma perché, come il settimanale “The Atlantic” ha spiegato nel 2018, fissano l’agenda” per Washington: “Cristallizzano le pratiche del consenso nel giornalismo, e esibiscono in miniatura il suo rapporto con la classe politica”.

Babbo Natale, per resuscitarci

“Il reverendo anglicano Paul Chamberlain”, nomen omen?, “della diocesi di Portsmouth, si è presentato in una quinta elementare di Klee-on-the-Solent, nello Hampshire, e ha spiegato ai bambini che ormai erano abbastanza grandi da sapere la verità: Babbo Natale non esiste, l’unico vero eroe del Natale è Gesù Bambino”. È notizia di oggi, proprio mentre si ricorda una analoga di settanta e passa anni – si ricorda per la ripublicazione di questo saggio di Lévi Strauss.
Una storia che finisce oggi come allora: “I genitori hanno protestato con la scuola, che ha protestato con la diocesi, che ha costretto lo sventurato reverend a fare ammenda”. Nel 1951 un parroco di Digione, in Francia, processò Babbo Natale, lo condanno, convocò tutti i bambini e ragazzi della parrocchia, alcune centinaia, e lo bruciò nella forma di un pupazzo. Un autodafé, nel 1951? Ma più serioso che buffonesco. Che fece la prima pagina dei giornali, e creò anche qualche risentimento nella Francia “repubblicana”, cioè laica e negli stessi cattolici: il sindaco e deputato di Digione era un prete, il canonico Kir, che si tenne ostinatamente fuori dalle polemiche.   
Lévi-Strauss si chiese come mai il bonario Babbo Natale potesse suscitare così arcigni sentimenti e risentimenti, e ci trovò alcune più che valide ragioni. Questa riflessione proponendo, breve ma succosa (su “Les Temps Modernes”, la rivista di Sartre), non tanto per “giustificare le ragioni per le quali Babbo Natale piace ai bambini, ma piuttosto quelle che hanno portato gli adulti a inventarlo”.
Una prima conclusione è che si tratta di “un codice differenziale che distingue i bambini dagli adolescenti e gli adulti”. Uno dei tanti “riti di passaggio e di iniziazione”, che hanno la funzione pratica di aiutare “gli adulti a mantener I loro discendenti nell’ordine e nell’obbedienza”. Uno di questi riti, che somiglia “in modo sorprendente a quello che stiamo esaminando”, L.S. lo trovava presso i katchina, “indiani del sud-ovest degli Stati Uniti”. Che innovavano rispetto alla tradizione: i loro antenati non torna(va)no per punire o ricompensare i bambini, come le vecchie figure dell’Orco o del Castigamatti, ma in figura benevola, in quanto dispensatori di doni.
Segue una veloce rivisitazione dei riti analoghi nel passato, fino a quello fondativo, i Saturnali romani. Che L.-S. trova analoghi in tutto e per tutto, perfino le date. Ripresi nel Medioevo con le caratteristiche di oggi: “La distinzione tra classi e censo è temporaneamente abolita”, ma allo stesso tempo “il gruppo sociale si scinde in due: la gioventù si costituisce in modo autonomo ed elegge il proprio sovrano”. E si costituivano “bande di bambini” – che poi saranno passate in Halloween -  che “vanno di casa in casa cantando e porgendo gli auguri, ricevendo in cambio frutta e dolci” – detti in Francia guisarts (in Calabria, si può aggiungere, “sàmburi”).
E dunque Natale. Che si comincia ad attendere già a settembre – ma non usa(va) dire: agosto, capo d’inverno? “Credere in una generosità senza limiti, in un altruismo senza secondi fini; in un breve intervallo durante il quale è sospesa ogni paura, ogni invidia, ogni rancore”. Natale diventa una sorta di preghiera, di scongiuro, che ogni anno “indirizziamo ai bambini - incarnazione tradizionale dei morti – perché acconsentano, credendo in Babbo Natale, ad aiutarci a credere nella vita”.
Una riedizione della prima traduzione trent’anni fa, con un ampio saggio di presentazione (e interpretazione) di Antonino Buttitta, che l’aveva voluta, “Ritorno dei morti e rifondazione della vita”. E una nuova introduzione di Gianfranco Marrone,
Claude Lévi-Strauss, Babbo Natale giustiziato
, Sellerio, pp. 108 € 13

mercoledì 18 dicembre 2024

Problemi di base storici - 838

spock


La storia è il conforto del presente?
 
È lo stampo del presente?
 
E ne è la gabbia?
 
La storia è la scena dell’essere – anche del volere?
 
S’impara sempre dal passato – se il presente è già ieri?
 
La memoria si dilata col digitale oppure si comprime?


spock@antiit.eu

Cronache dell’altro mondo – siriache (315)

Il nuovo uomo forte della Siria, Al-Julani, è ufficialmente ricercato dagli Stati Uniti, con una taglia di 10 milioni di dollari, in quanto “terrorista mondiale specialmente designato”, come fondatore della branca siriana di Al Qaeda, poi Is, stato islamico.
Il presidente Biden ha definito il cambio di regime “un’occasione storica per il popolo siriano, che lotta da lungo tempo per costruire un avvenire miglior”.
Gli Stati Uniti tengono ancora la Siria sotto sanzioni economiche. Controllano militarmente un quarto del territorio siriano. E ne controllano pure, attraverso i curdi siriani, le (modeste) riserve di petrolio e gas. Sotto il controllo, diretto e indiretto, degli Stati Uniti sono campi di detenzione per decine di migliaia di siriani, nelle zone già controllate dal’Is e poi liberate.

Israele abbandonato, dalle sinistre

Israele ha perso il sostegno – e i valori? – della sinistra, in Europa, nell’Occidente, e dunque ha perso se stesso. Una tesi radicale, ma problematica.
Colombo, ultranovantenne,  ripubblica un vecchio saggio del 2007, aggiornato agli ultimi eventi, e con un senso di disperazione. Di fallimento di un disegno che a questo punto gli si rivela utopia. E dà per perduto Israele. Non quello di Netanyahu, Israele in sé: la copertina è la stella a sei punte, gialla come nelle vecchie interdizioni, su un fondo di fiamme.
“Israele ricco, potente, usurpatore di case e di terre, colpevole di occupazione, esecutore di «apartheid» e del «muro della vergogna». Israele assassino”: gli slogan pro-Palestina sono il filo del corruccio di Colombo. Con uno strano sguardo, non sull’interno, su come si evolve la composizione sociale e politica di Israele, che sostiene la politica di annientamento di Netanyahu, con corredo di irrisioni ai “due Stati”, allo “Stato palestinese”. Ma sull’esterno, come l’“opinione pubblica” evolve nel mondo nei confronti di Israele.
La riedizione si vuole un grido di dolore su come la sinistra – la politica di sinistra, in Europa, negli Stati Uniti - si allontana da Israele. Cioè sul fatto che Israele si faccia sostenere piuttosto dalle destre. Il mite Colombo è diventato nella maturità un cacciatore intransigente di destre, e questo soprattutto gli duole, che Israele non riceva – e non cerchi? – l’appoggio delle sinistre, dei (pochi) Paesi democratici.
“Israele ha nuovi amici. I nuovi amici di Israele vengono dalla parte sbagliata della storia”. Mah, non c’è di peggio? E non è finita, la curiosità è doppia. È colpa delle sinistre – in Europa, in America – se Israele si perde. “La sinistra italiana ha abbandonato Israele, consegnandolo di fatto alla destra e a un destino di guerra. Israele appartiene al mondo e ai valori della sinistra. Senza il sostegno della sinistra del mondo Israele muore”. Di chi la colpa?
Furio Colombo, La fine di Israele
, Baldini + Castoldi, pp. 160 € 19

martedì 17 dicembre 2024

Il problema dell’Italia è l’America, - ma non l’Argentina

Con la visita a Roma di Milei, basettoni, sfottò, noncuranza, ritorna l’Argentina come brutta copia dell’Italia. O fantasma dell’Italia, quale l’Italia potrebbe diventare, se non…. Oggi ne fa la sintesi Cazzullo, sul “Corriere della sera”: “L’Argentina, con l’inflazione che Milei si vanta di aver ridotto al 124 per cento, è per noi un memento di come potrebbe essere ridotta l’Italia senza l’ancoraggio europeo”.
Che c’entra l’Italia con l’Argentina? Da qualche decennio il tormentone mancava.
Ignoranza dell’Argentina? Sicuramente del problema italiano, il debito, creato con la corsa a entrare nell’euro, auspici Ciampi, Draghi e Prodi, senza prima consolidare il debito stesso (l’Italia entrò nell’euro con la barzelletta del prestito forzoso di 35 mila lire per ogni contribuente, per “rientrare nei parametri”). E da allora il debito si moltiplica da solo.
Da trent’anni l’Italia ogni anno stringe la cinghia – spende meno di quanto incassa (il famoso “attivo primario”). Ma ogni anno deve pagare una taglia di 50 miliardi. Per interessi che le agenzie del credito tengono altissimi - con la ridicola ragione che l’Italia non è più affidabile del Paraguay, e anzi peggio della Bulgaria (agenzie americane, per investitori americani: quindi, se si vuole, l’America c’entra, ma non è l’Argentina).
50 miliardi l’anno non sono pochi – farebbero un paese ricchissimo.
La crisi del debito non è una novità. Carlo Cipolla, storico dell’economia, lo spiega nella sua “Storia facile dell’economia italiana dal Medioevo a oggi” – facile e accessibile, costa solo 13 euro: l’unità si è fatta a debito, e ogni pochi anni dopo l’unità l’indebitamento è diventato critico. Nel dopoguerra l’ottima politica di Einaudi, La Malfa, un po’ anche Carli, aveva evitato il cappio. Ma cinquant’anni fa, esattamente, col bilancio del 1974, finito il boom con la guerra del petrolio, e con le casse prosciugate per pagare gli sceicchi, è riapparso, e con l’inflazione si è moltiplicato rapidissimamente. Andava consolidato entro i parametri europei, prima dell’entrata nell’euro, come chiedeva la Bundesbank.

Giallo disamore

Una storia (in)amorevole, più che un giallo. Di amori quali usano, violenti: stupri, femminicidi. Anche quando sono distratti, delle belle di mestiere. Una storia, in filigrana, di uomini senza donne - inaccessibili ora come forse lo erano prima, ma in forma dichiarata. “Il buio su un piatto d’argento” è il sottotitolo.
Una storia di (dis)amori intervallati dalla poesia. Dal mistero della poesia, della parola. Quale si può cogitare a Roma, al cimitero degli Inglesi, in pace idilliaca in pieno cafarnao. Luogo d’elezione del quartiere Ostiense.
Una storia di quartiere. Patrizia Licata se ne può dire ormai specialista, dei quartieri di Roma, geografia e anime - il quartiere come il paese, il villaggio, ha un’anima, seppure compressa. Ha già raccontato il Nomentano e Trieste (“Un caso irrisolto”) e Montesacro (“La donna nella vasca”). Qui racconta Ostiense, tra Piramide, Porta San Paolo, Gazometro e l’ex Porto fluviale, col ponte pedonale verso l’altra riva del Tevere. Un quartiere notturno, di movida.
Tre poliziotti indagano, un detective, un ispettore e un commissario, sulle violenze che si succedono, contro donne trenta-quarantenni. Figure materne, seppure giovanili? Ma vanno senza indizi, a naso. E anche loro, più che altro, ragionano, o non ragionano, delle strane forme di rapporti amorosi che hanno intrattenuto e intrattengono. Un giallo degli amori.
Con un ricordo e un medaglione di Jacqueline Risset, francesista alla Sapienza e poeta, “bellissima, gentile, sensibile, piena di talento”. Che “la poesia è ritmo, diceva”. Un cameo unico nella letteratura italiana, anche se Risset ne fu in larghi segmenti generosa protagonista.
Patriza Licata, Le due facce
, Laurum, pp. 200 € 16

lunedì 16 dicembre 2024

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (579)

Giuseppe Leuzzi


La città dove si vive peggio in Italia è Reggio Calabria, 107ma. Appena meno di Reggio Calabria sta messa Napoli, al posto 106. E sul serio, “Il Sole 24 Ore” ci lavora su un anno, non per ridere. Con Reggio Calabria e Napoli condividono il basso della classifica altre città del Sud, che è inutile elencare.

Si sta bene solo in Lombardia, sei città tra le quindici migliori. E nel Veneto, cinque. Si sta bene solo nel leghismo. 
 
Per la visita del re di Spagna Felipe VI a Napoli, e l’accoglienza fervorosa ed ei maggiorenti della città, accademici e imprenditori, Marino Niola nota che “per loro e per i partenopei in generale gli antichi sovrani sono insieme un sogno e un mugugno”. Per gli uni l’incarnazione della modernità anticipata, per gli altri della centralità perduta”. Della modernità prima dell’Italia, dell’unità.
 
Le tre materie prime da tenere sotto osservazione nel 2025”, titola l’“Economist” nel suo numero di fine anno “The World Ahead” (, cosa accadrà: “Il prezzo di arance, caffè e uranio resterà elevato”. Delle arance? Non delle arance italiane, di Sicilia e Calabria – la Puglia va un po’ meglio, sa vendere. Perché non sanno organizzare la distribuzione - il valore aggiunto va ai grossisti-distributori.
 
L’Europa fatta a Palermo
In “Verranno di notte”, nelle pieghe del panegirico contro la barbarie che ci minaccia, “Lo spettro della barbarie in Europa”, Paolo Rumiz ha l’idea di un’altra Europa. Non più quella che ci governa. Carolingia. Renana. Franco-tedesca per intendersi. Rugginosa in effetti, da operetta triste. Ma quella del nome, della principessa di Tiro che invaghì Zeus con la sua bellezza e fu dal dio sedotta in forma di toro mansueto, bianco, e trasportata in volo a Creta.

Quella di Federico II, lo “stupor Mundi” degli epicedi, del monaco benedettino inglese Matteo da Parigi, che ne registra la morte il 13 dicembre 1250: Obiit… principum mundi maximus Frethericus, stupor mundi et immutator mirabilis»”, il magnifico riformatore. “L’imperatore che riconquistò Gerusalemme senza versare una goccia di sangue”, continua Rumiz, “il monarca illuminato dalla corte itinerante, che aveva al seguito anche consiglieri arabi, greci ed ebrei. Federico, il migliore dei re d’Italia. Il tedesco che mise in riga i feudatari, unì il Nord e il Sud del Continente e separò lo Stato dalla Chiesa. «Più leggo di lui e più mi accorgo che rappresenta il vertice dei valori oggi più dimenticati»”, si fa dire da “Lucia, colta ed appassionata guida turistica pugliese”.

Il terzo “vento di Soave” di Dante, imperatore venuto di Svevia - “la luce de la gran Costanza”, al canto III del Paradiso, “che del secondo vento di Soave\ generò ‘l terzo e l’ultima possanza”. Una Germania mediterranea, un’Italia transalpina (partendo da Palermo)? Si può fantasticare anche sulla storia, per quanto indelebile.

Il nome riporta sempre lì, attorno al Reno. La sostanza, certo, era diversa.

Il sogno dello sviluppo
La Cina, dove trent’anni usava per tutti un decoro modesto, la stessa bibicletta, nera, e bluse grige, senza colletto per risparmio, sfila ora con intere scolaresche, non classi, scuole, dal Pantheon a Largo Argentina: centinaia di ragazzi in tutte le fogge, pettinature, calzature, abbigliamenti, loquaci o silenziosi, col cellulare in mano oppure no, in gita scolastica trascontinentale. Sono immagini reali che sembrano un sogno.
O fatti. La Corea che con difficoltà passa dai generali al voto, e in otto-dieci anni è all’avanguardia per urbanistica, istruzione, sanità e industria. La stessa Russia bolscevica, finita nel marciume e la violenza della corruzione, appena trent’anni fa, ora capace di tenere testa all’Occidente in guerra, e insieme d’investire, commerciare, viaggiare, per affari o per riposo, spendendo anche molto.
Ci vuole una “liberazione”, una scossa, per stimolare la “crescita” (l’economia), il benessere, la ricchezza. Il sogno è che un giorno Carabinieri e Polizia dicano che non si può più essere mafiosi – le categorie sono cambiate. E vedere se il Sud non si arricchisce e arricchisce come tutti gli altri “sottosviluppati”. 


Se il Sud è un trampolino di lancio
Grasso, Pignatone, Cafiero de Raho, Scarpinato, Gratteri, c’è una categoria di persone per le quali il Sud è una miniera, altro che ritardo. Il Sud è una buona pedana per fare carriera, nell’antimafia, che ovunque. E chi non ci riesce, forse per avere mirato troppo in alto, come Ingroia o Di Matteo, può comunque passare i suoi giorni comodo in tribuna, seduto sulla sua buona coscienza, con lo Stato mafia, e il Dio dei mafiosi.
I giudici minacciano ora sfracelli, ma non se la passano male. Fanno la legge. Nessuno li ha delegati, ma loro la fanno lo stesso. Come scrive il giurisperito massimo Cassese, “oggi sono diventati il quarto potere dello Stato”. Per autorità propria, poiché nessuna costituzione li regola, e quindi di potenza massima.
Minacciare sfracelli è manifestazione infine non surrettizia di tanto potere. Al Sud è senza limiti, Col cosiddetto “concorso esterno” in reati associativi (da cui non ci si può difendere se non “dopo” il giudizio) e col sequestro preventivo dei beni – col noto affarismo di comodo, alla fine del quale nulla resti da restituire. Il Sud può essere provvido.
 
Il futuro della Sicilia
Franco Lo Piparo contesta Sciascia rudemente – “Sicilia isola continentale. Psicoanalisi di un’identità”, pp. 42-46 - a proposito del futuro che in Sicilia  non c’è, il tempo grammaticale. Tra l’altro spiegando che il tema, sollevato da Sciascia in “La Sicilia come metafora”, 1979, era stato introdotto, incidentalmente, dallo storico Denis Mack Smith nella “Storia dell Sicilia Medievale e Moderna”, 1968.
Scriveva Sciascia: “”La paura del domani e l’insicurezza qui da noi sono tali che si ignora la forma futura dei verbi. Non si dice mai «Domani andrò in campagna», ma «Dumani vajiu in campagna», domani vado in campagna. Si parla del futuro al presente. Così, quando mi si interroga sull’originario pessimismo dei siciliani, mi viene voglia di rispondere: «Come volete non essere pessimisti in un paese dove il verbo al futuro non esiste?»”  
Mack Smith: “I contadini disdegnavano anch’essi i nuovi metodi di coltivazione… Si riteneva comunemente ... che un cambiamento fosse sinonimo di peggioramento… In un’economia in cui tutto era precario, un comune lavoratore della terra non poteva mai fare programmi per l’avvenire. Forse la mancanza del futuro nel dialetto siciliano era espressione di questa difficoltà a pensare al domani”.
Per il linguista il problema non si pone: “In tutte le lingue l’evento futuro può essere segnalato da un avverbio temporale mantenendo il verbo al presente: domani vado in campagna in italiano, demain je vais à la campagne in francese, mañana voy al campo in spagnolo….. e si può continuare ancora per molto”. E poi: “In alcune varianti, ma non in tutte, del siciliano moderno manca o è debolmente presente il cosiddetto futuro sintetico (formatosi nelle lingue neolatine secondo lo schema verbo all’infinito + habere, per cui mangiare ho = manger-ò) ma non il futuro perifrastico o analitico (avir a + verbo all’infinito = aiu a ghiri, aiu a manciari). Il futuro perifrastico si trova in lingue come l’inglese (I will go) ol il tedesco (Ich werde gehen) parlate da parlanti che nessuno ritiene etnicamente pessimisti”.
 
Cronache della differenza: Calabria
“Dopo il delitto di Miami”, ricorda Santo Versace a proposito dell’assassinio del fratello Gianni, “le banche d’affari ci davano per falliti e dovevamo persino respingere le accuse di mafia. Litigai con Gianni Barbacetto: se fossimo stati di Voghera come Valentino non avrebbe mai insinuato una cosa del genere”.
 
Si scopre casualmente, per le vicende travagliate della sua eredità. che Ginni Vatitmo era di origine calabrese. Il padre lo era, di Cetraro (Cosenza), arrivato a Torino dopo il concorso per guardia carceraria, e lo stesso filosofo, già orfano di padre, aveva passato nella famiglia paterna a Cetraro gli anni dello sfollamento, dopo i bombardamenti del 1942. Le radici contano e non contano.
 
 “C’è più somiglianza tra un calabrese e un piemontese che tra un calabrese e un siciliano”. È un complimento, Gramsci ne scrive alla cognata Tania l’11 aprile 1927, tra righe feroci contro la Sicilia, dove era temporaneamente carcerato.
 
Genesio, l’allenatore del Lille, brillante squadra di calcio costruita con pochi soldi, nipote di nonni di Mammola, che in casa parlavano solo francese (ci provavano) per francesizzarsi prima, non sa niente di italiano ma ha forte il senso della famiglia – pasti in comune, zie, cugini, eccetera.  
Il nono era un bambino abbandonato, cui l’assistenza pubblica diede il cognome fittizio di Genesio – piuttosto che di Italiano, Esposito, Trovato, Innocenti, e i vari composti di Dio.
 
Non c’è conoscenza che sia stato in Calabria in vacanza e non se ne lamenti: niente corrisponde al sito, disordine, sporcizia, strafottenza. La Calabria è salita ai primi posti quest’anno per il turismo delle famiglie, favorita dall’impraticabilità di molte destinazioni tradizionali, romagnole e marchigiane, per le mucilaggini. A buon prezzo. Ma non sa capitalizzare – le risorse non mancano, non si sa gestirle.
 
Non è violenta, contrariamente alla percezione. Reggio Calabria viene all’80mo posto nella classifica della delittuosità del “Sole 24 Ore”. Catanzaro è la più pericolosa, avendo ancora nel 2023 il Procuratore Gratteri, al 41mo posto. Segue la provincia di Vibo, al 61mo posto, per il troppo turismo, e quindi gli scippi, prima sconosciuti. Crotone segue al 77mo posto, Cosenza al 95mo.
 
Commisso? È calabrese, e non conta. “Gli Agnelli? Lui è il loro opposto”, dice un manager della Fiorentina di Rocco Commisso, il patron della squadra, al capo dei servizi sportivi del “Financial Times”, Ahmed Murad, nella pagina che il quotidiano dedicò alla Fiorentina e a Commisso un paio d’anni fa: “Se lei passa un minuto con qualcuno di Torino, e poi con uno della Calabria, è come l’olio e l’acqua, non importa quanti soldi abbia. Non voglio dire non c’è gente per bene al Sud. Ma non sarà alla pari”.

A Commisso, benché abbia investito, di soldi suoi, nella Fiorentina 350-400 milioni, o forse per questo, “La Gazzetta dello Sport” non aveva risparmiato, nota incredulo il giornalista del “Financial Times”, il solito commento: “Don Rocco, più che da un grande gangster movie di Coppola o Scorsese, sembra uscito da un poliziesco italiano di serie B”. Incredulo, il giornalista, perché sapeva degli intrallazzi cinesi e americani a carico delle squadre milanesi – ne riferisce.

leuzzi@antiit.eu

La scoperta del figlio, da morto

Industriale indaffarato a New York, settantenne, che non ha mai voluto un figlio (un ruolo per il dimenticato Richard Gere), scopre di averne uno, in Canada. Lo scopre perché il giovane è morto, suicida.
Lo scopre cone un figlio ancora vivo. Padre protettivo, anche nelle magagne – non ha mai voluto un figlio perché disprezzato e percosso dal padre fino alla maggiore età.
Il finale è alla canadese – freddo, bizzarro: un matrimonio fra due morti, un rito taoista, pare, o cinese, di buon auspicio per le famiglie (ci sono nelle cronache traffici illeciti in Cina di spose-cadavere). Ma il soggetto e il trattamento sono multiformi, pieni di situazioni e persone bizzarre-normali, coinvolgenti.  
Savi Gabizon, Era mio figlio,
Sky Cinema

domenica 15 dicembre 2024

Problemi di base bellicosi siies - 837

spock


“Le bombe dell’esercito israeliano hanno fatto 150 mila vittime tra morti e feriti e distrutto l’80 per cento di Gaza”, Abu Mazen?
 
“In questi mesi Biden ha permesso a Netanyahu di fare quello che voleva”, id.?
 
Gli Usa hanno respinto tre volte le risoluzioni dell’Onu”, id.?
 
“Mentre proponevano il cessate il fuoco, da noi sostenuti, gli Usa continuavano a fornire armi all’Idf”, id.?
 
“È scritto che il futuro di Israele va da Gerusalemme a Damasco”, Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze?
 
“Ogni guerra è una guerra civile”, C. Pavese?

spock@antiit.eu

Il mite macellaio

Dietro l’immagine del vegliardo tremebondo e mite, Biden lascia una presidenza da rude macellaio. Per avere abbandonato gli afghani, le afghane, dopo quasi vent’anni, ai talebani. Come ora in Siria, alla mercé di un terrorista venduto come un br av’uomo – uno su cui aveva messo una taglia di 10 milioni di dollari, organizzatore di attentati suicidi e stragi d’innocenti. Liberando peraltro la Siria mentre la bombarda, e tiene in campi di conentramento decine di migliaia di siriani, per lo più ragazzi e bambini.
E per l’Ucraina, dove tanto ha fatto per provocare l’invasione, e niente dopo, né una tregua, né un negoziato qualsiasi. Una guerra buona per smaltire l’armamento obsoleto, a spese degli ucraini. E imporre sanzioni selettive che colpiscono di ritorno l’Unione Europea - mentre gli Stati Uniti gozzovigliano con gli attivi russi nelle piazze finanziarie della City e di Wall Street. Ma più per avere fornito a Netanyahu il munizionamento per un anno di bombardamenti quotidiani di due milioni di persone stipate in un quartiere di Roma. Mentre mandava su e già, a giorni alterni, il suo ministro degli Esteri Blinken in “missione di pace” - per meglio prendere la mira? Europa alo stremo e Medio Oriente in fiamme, di nuovo, un monnmento.

Giallo d’acqua, sporca

Poirot nel dopoguerra si è ritirato a Venezia in solitudine, in lite con l’umanità che tanta violenza ha esercitato in guerra. Ma non pacificato – i suoi baffi su Kenneth Branagh sono sempre ritti, ispidi. E si lascia perfino trascinare in una storia trucida di spiritismi, morti improvvise, porte che sbattono, arpie che volano, bambini saputi, su un sfondo cupo, di acque turbolente. Un guazzabuglio.
Branagh nei panni d Poirot era inverosimile anche nel primo episodio del suo trittico, “Assassinio sull’Orient-Express”. “Poirot e la strage degli innocenti” (tit. orig. “Hallowe’en Party”), l’originale di Agatha Christie “Assassinio a Venezia”, non è a Venezia, ed è cupo ma non catastrofico – fu pubblicato, nel 1969, con dedica a P.G.Wodehouse, lo scrittore umoristico di Jeeves il maggiordomo. Branagh più che a Poirot tiene alla sua opera di regista: nel primo episodio ha fatto un racconto di un paio d’ore con protagonista la neve, i ghiacci, i silenzi (e un Poirot mobile, quasi saltimbanco), nel secondo “Assassinio sul Nilo” la luce che viene dal deserto (e un Poirot innamorato….), in questo l’acqua, brutta e sporca. 
Kenneth Branagh, As
sassinio a Venezia, Sky Cinema, Now