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sabato 24 maggio 2025

Letture - 579

letterautore


Brexit
– È anche linguistica – di nuovo, come è stata nei secoli? Ritorna oltremanica l’incapacità secolare di compitare i nomi latini, per es. italiani, i Giuseppi, i Lucca, etc. La Cambridge University Press manda al macero una copertina in cui il Nobel per la Fisica Giorgio Parisi era diventato Giogioa.
 
Claques
 - Un classico del teatro, gli applausi organizzato, decidono ora anche dei successi al cinema, nei festival? Mariarosa Mancuso sul “Foglio”, recensendo “Fuori”, il film di Martone al festival di Cannes, precisa che è stato tra i meno applauditi – “insistiamo perché sui giornali itaiani sta scritto che il film di Mario Martone  «è stato accolto benissimo»”. Insinuando peraltro il dubbio che chi ne scrive “sui giornali”, in Italia perlomeno, non vada a vedere il film, si fida dell’ufficio stampa. Dev’essere vero. Gli inguardabili film premiati a Cannes ultimamente, “Titane”, “Emilia Perez”, annoverano tra i riconoscimenti - registra wikipedia – il favore del pubblico. Non tanto agli incassi, che non si dicono ma si sanno magri, no, del pubblico al festival, nella standing ovation – di dieci minuti il primo, di otto il secondo (forse perché troppo lungo, le claques si erano stancate di attendere).  
E le giurie, oltre ai critici, anche loro seguono il “pubblico”. Evidentemente. Ma si sa che gli organizzatori raccomandano alle giurie di “seguire il pubblico”.

 
Confessione
- Come genere narrativo, come racconto, prima che come sacramento o testimonianza, nasce da sant’Agostino – il santo tanto celebrato e tanto dimenticato, che ora col papa torna in voga.  Ma ultimamene dilaga nel racconto romanzesco – uno su due editi, si calcola. E quasi sempre nella forma psicoanalitica, della confessione laica.
Un genere di cui si considera precursore Philip Roth, per “Portnoy” - che si rilancia oggi con grande enfasi - e non Berto, “Il male oscuro”. Di una psicoanalisi cioè non presa sul serio.
Ma anche di questo genere di confessione, senza l’analista ma pratiche morbose comprese, l’inventore è sempre sant’Agostino.
 
Egemonia
– La categoria gramsciana che tanto inquieta il governo Meloni non esiste, argomenta Pierluigi Battista – senza citare Gramsci. E fa un lungo elenco di scrittori, più Fellini, non graditi alla “sinistra” – cioè al Pci, buonanima (che però non si nomina). Praticamente tutti i buoni scrittori del dopoguerra. Eccetto Calvino, Pasolini e Moravia. Lo scrive sul “Foglio”. Poi uno va al cinema, oppure legge il “Corriere della sear”, “la Repubblica”, “la Stampa”, o guarda La 7, o Sky Tg 24, e l’egemonia la sente, eccome.
 
Fiction-Reality – A proposito di teatro-verità (la simulazione di un rapporto prolungato d’incesto) Annie Ernaux annota il 28 maggio 1993, in “La vie extérieure”: “Sensazione strana che questa «realtà», a causa della sua messa in scena, non era vera, cioè che la verità delle persone coinvolte, della storia, non era vera”. Poi l’ipotesi: “Ci fossero sempre più reality-show la fiction sparirebbe, poi non si sopporterebbe più questa realtà fatta spettacolo e la fiction ritornerebbe”.
 
Maranza – Specie già diffusa a Parigi trent’anni fa? In un’annotazione del 13 gennaio 1995 Annie Ernaux (“La vie extériuere”) ne fa la descrizione precisa – manca solo il “maranza”: “Quegli adolescenti che non obbediscono che alle loro voglie, che alzano bruscamente il pugno o un coltello su uno sconosciuto di cui «la faccia non piace»”.
 
Matriarcato
– Impera al cinema (ma anche nella narrativa, si direbbe)? “Finalmente, c’è da dire, c’è qualche maschio ribelle”, sbotta Mariarosa Mancuso sul “Foglio” alla rassegna di Cannes, stufa dei tropi film al femminile: “L’obiettivo parità dei sessi ha riempito il programma con storie di madri e figlie. Lontane, troppo lontane. Vicine o abbandonate. Litigiose ma poi in pace. Attaccatissime ma poi separate. Solo quando la mamma muore, le sorelle vanno poi d’accordo”. Con una chiusa cattiva: “In Norvegia il film s’intitola «Sentimental Values», e di questa materia è fatto (più la casa di famiglia da vendere, ma la rivuole il papà narciso che ha lasciato la mamma)”.
Curiosamente, anche il film di Martone, “Fuori”, che sarebbe su Goliarda Sapienza, la scrittrice, è virato su un personaggio, quello principale, di ragazza che imputa i suoi eccessi i maltrattamenti in famiglia, a opera della madre.  
 
Russia
- “L’impunità della Russia tiene oscuramente al suo mito di popolo ai confini dello spazio, della ragione, dell’umanità”. Concludendo le sue note sparse di “cose viste”, “La vie extérieure”, quando Eltsin ordinava il contrattacco sui Ceceni, Annie Ernaux, che di Russia ha fatto conoscenza di prima mano, per  visite, celebrazioni, amori, ne fa questa sintesi: “Si è presa l’abitudine di considerare la Russia come una fiction sanguinosa con steppe ghiacciate, vodka, mostri e mummie o buffoni per personaggi principali. Che Yeltsin sia le tre cose insieme (oggi si direbbe Putin, nd.r. – senza la vodka) non è che il topos portato alla perfezione e il capitolo dei Ceceni è nella vena dei precedenti. L’impunità….”
 
Scrittura-Scrivere 
– Una “strategia di immunizzazione” – dagli “eventi irrimediabili” della vita. Così la ipotizza il filosofo Ferraris presentando l’opera di Giancristiano Desiderio, “Vita intellettuale e affettiva di Benedetto Croce”. La vita non può essere “immediatamente scritta”, argomenta Ferraris di Croce, a proposito del “dissenso, perplesso, che Corce ebbe con l’esistenzialismo di Enzo Paci”. A meno che. “A meno che, come Croce, come Proust, autore che Croce non amava ma che ebbe strategie di immunizzazione analoghe, non ci si chiuda in casa e si eriga, con la vita e contro la vita, un’enorme muraglia di parole, che si tratti delle 3 mila pagine della Recherche, dei 70 libri di Croce, dei cento e passa di Derrida, delle 25 mila pagine di Simenon”.
 
“Semplice abitudine di mettere in parole il mondo” è la scrittura per Annie Ernaux, annotando (“La vie extérieure”, 30) il riflesso condizionato di figurarsi i rumori della strada – la circolazione di ogni giorno, sulla strada bagnata, come spesso è. Che diventa per lei : “Si sentiva il rumore regolare delle vetture, lo stridio più lungo dei pneumatici a causa del suolo bagnato”.

Tatuaggi
– La voga viene dalla Marina inglese – dai bucanieri? “Nella Marina inglese”, spiega un personaggio di un romanzo di Simenon del 1955, “Il grande Bob”, “tutti gli ufficiali sono tatuati”.
 
Transfert
– Libri letti, invece che sfogliati, probabilmente meditati, e critiche elaborate, circostanziate, sostanziose di libri non di narrativa, non di poesia, non di saggistica, di Joan Didion e di Vivian Lamarque, che raccontano o rappresentano lunghe terapie psicoanalitiche. Lamarque che in varie raccolte ritorna su un suo perdurante transfert – si suppone con lo stesso analista – è devotamente anticipata, anche di un paio di mesi, da estese critiche, per quanto poco informate dei versi, per creare l’attesa. Si direbbe il risveglio della critica, seppure in forma di transfert.

letterautore@antiit.eu

Nanni della Garbatella, anche lui

L’omaggio a Roma iniziale, il vagabondaggio in Vespina, giù per via delle Fornaci, fino a Spinaceto, e al quartiere-non quartiere, l’esoromano Casalpalocco, è specialmente entusiasta alla Garbatella. Di cui gli piace tutto: il taglio delle strade, la tipologia delle case, il sole, l’ombra, le aiuole fiorite. L’edilizia popolare degli anni 1930, sottolinea. Gustata negli anni in cui Meloni ci girava signorina – il film sembra antico, come i classici, ma è di trent’anni fa.
E non è il solo accenno rétro. Gli amici rivoluzionari moltiplica instupiditi: coppie agli ordini del bambino, “un figlio solo”, singoli anti-tv che “Beautiful” affata. Moretti non è nato trinariciuto, come da quando è “sceso” in politica, anche lui: l’humour tagliente che lo segnava, da “splendido quarantenne”, lo sparge(va) ovunque.  
Nanni Moretti,
Caro diario, Sky Cinema, Now

venerdì 23 maggio 2025

Ombre - 775

Grandi spazi ogni giorno alla revisione del processo Poggi, ma nessun cronista giudiziario, che pure sa di che si tratta, ricorda che l’imbroglio è opera della Cassazione. Che non ha poteri d’indagine - solo formali, sul processo - ma se li è presi. Finendo per dire Stasi “colpevole oltre ogni ragionevole dubbio” di sua iniziativa, contro le sentenze delle corti d’assise d’appello – e contro il parere della sua stessa Procura.

Colpevoli del papocchio? Sì, qualche maresciallo. I giudici non si toccano, non si sa mai – sono vendicativi?

 
La vicenda – della condanna di Stasi oltre ogni ragionevole ragionevolezza (senza la Cassazione si sarebbero fatte indagini serie, a suo tempo) - la dettaglia solo Adriano Sofri sul “Foglio”. La dettaglia sabato ma le iper-redazioni giudiziarie di tg e giornali fanno finta di nulla. Solo, qualcuno si ricorda che Vittorio Feltri ha sempre detto la condanna una baggianata, e glielo fa ripetere – tragico per una volta e non esilarante.
Destra e sinistra unite nella lotta? Ma sempre perdenti?  
 
Volendo vedere una fiction Mediaset fino in fondo, “Maria Corleone”, di mafiose belle e feroci, si sono contate per 97 minuti di film sette interruzioni pubblicitarie, per 26-27 minuti. Ci vuole un pubblico di grande attenzione – o semplicemente addormentato?
 
“L’Ue rivede le norme sui «paesi terzi sicuri». Stretta alle richieste di asilo. Più facile trasferire i migranti in Stati extraeuropei”. Poche righe, taglio basso, per la questione che un anno fa, sei mesi fa, faceva paginate fluviali. Se non c’è un giudice di mezzo, che dà torto al governo, non interessa ai lettori. Degli immigrati, della questione immigrazione di massa, del mercato dell’immigrazione, non frega nulla a nessuno.
 
Ci si chiede perché Macron privilegi la Polonia, nei suoi colloqui a tre o a quattro per il riarmo, e trascuri l’Italia. Una delle ragioni è che la Polonia è il Paese europeo che più spende per gli armamenti, rispetto al pil, in Europa. Il 4,12 per cento (secondo l’annuario Nato) nel 2024. E quest’anno va verso il 6 per cento. Ma soprattutto spende per gli armamenti, più che per il personale o il commissariato: il 51 per cento del totale ( l’Italia è al 22 per cento, Germania e Francia al 28).
 
L’emozione domenica per il calcio minuto per minuto, tutto il campionato in contemporanea, la sera, invece di due ore di noia insofferente, che i commentatori sono obbligati a riempire di scemenze, con un linguaggio assurdamente “tecnico”. In ogni momento di ogni giornata – il calcio è per pensionati.


Nel contesto spicca l’assurdità del o della Var. A cui evidentemente l’arbitro ha ceduto ogni potere di visione – e di decisione decisiva. L’arbitro Chiffi, che pure dicono bravo, non vede il gomito di Bisseck che si muove verso il pallone, come si vedeva a occhio nudo e a velocità. E non vede l’abissale, doppio, fuorigioco interista nel goal dell’ultimo minuto poi annullato.
 
Resta sempre inedito il romanzo degli oneri di sistema, impropria “imposta di scopo” (di fatto non sappiamo a chi vanno i soldi) con cui il governo grava da un paio danni i consumi di energia. Mentre si fanno grandi titoli per la “riduzione delle accise sulla benzina”. Di un centesimo al litro – peraltro passato sul gasolio. Del governo che “non mette le mani in tasca agli italiani”. In aggiunta a un’incredibile serie di “patrimonialine”. Poi si dice che non è vero che destra e sinistra non sono unite nella lotta – e perché gli italiani non vanno a votare? boh!
 
Una pagina e molte stelle per il film “La petite dernière” di Hafsia Herzi sul “Manifesto”, Poche righe e una striminzita stella di Mereghetti – critico di molto giudizio – sul “Corriere della sera”. Basta il lesbismo (e di una ragazza mussulmana) per fare un buon film? Rivoluzionario? Nelle “Mille e una notte” e nella letteratura esotica (Potocki, Pierre Loti, etc.), la donna “libera” s’incontrava nei paesi mussulmani, Il Cairo, la Persia, Algeri, Tunisi, Casablanca.
 
Guardando gli inguardabili film premiati a Cannes ultimamente, “Titane”, “Emilia Perez”, uno si meraviglia, salvo poi scoprire che sono stati premiati sull’onda di una “standing ovation”, debitamente registrata da wikipedia tra i “riconoscimenti”. È il termine critico oggi a Cannes: standing ovation di nove minuti (“Titane”), di sei minuti (“Emilia Perez”). E si capisce: ci sono le claques anche alla Croisette, più facili anche da montare che al teatro, e le giurie seguono le claques – gli organizzatori si raccomandano alle giurie di “seguire il pubblico”. Dalla mediocrità del cinema oggi non ci-si salvano nemmeno le giurie.


“Trump, insulti al Boss dopo le critiche: «È una prugna secca». Springsteen aveva detto: «Inadatto, governo canaglia»”. Chi ha criticato e chi ha insultato? 


Forse la colpa è di Trump, che ruba la scena con i suoi annunci ogni giorno, ma gli Stati Uniti sono stati governati a lungo (mesi? anni?) da un presidente in confusione mentale. Come non detto – giusto qualche recriminazione, per imputare a Biden la sconfitta del partito Democratico a novembre. Chi governava in sua vece? Come? E cosa diceva al G 7?


A nessuno degli ex collaboratori di Biden si chiede niente. A differenza di quelli di Trump, che ora si possono godere nei media l’anti-trumpismo dopo aver esercitato il potere con lui - come i pentiti di mafia. E gli psichiatri? Anni fa se ne trovarono dozzine per denunciare la pazzia di Trump, clinica, organica. Ora nemmeno uno? 


“Ho fatto coming out quando ancora non si usava nemmeno l’espressione”, Ivan Cattaneo: “Prima di Pasolini, di Testori e di Tiziano Ferro…Debuttai al festival di «Re Nudo» (il “festival del proletariato giovanile”, organizzato dalla rivista “Re Nudo” tra il 1971 e il 1878; quello qui ricordato è del 1975, al Parco Lambro, “il meglio riuscito” della serie, 100 mila partecipanti, n.d.r.)…. Mi presentai dicendo che ero omosessuale. Venne giù il modo, un putiferio, gente che fischiava…. La lapidazione. Mi spiegarono poi che per i comunisti di Lotta continua o Servire il popolo l’omosessualità non era che un vizio piccoloborghese”.
 
Il festival di Cannes impone un dress code. Alle donne, alle attrici. Ma non un lamento. La pubblicità val bene un patriarcato – non sappiamo bene di che cosa parliamo quando parliamo.
 
Contro la separazione delle carriere il presidente del sindacato dei giudici (Anm) Parodi afferma che “in tutti i paesi in cui c’è la separazione delle carriere c’è il controllo dei pubblici ministeri da parte del governo”. Cioè in Gran Bretagna? Svezia? Spagna e Portogallo? Il Portogallo in particolare Parodi ha nel mirino. Dove però il primo ministro Costa (ora presidente Ue) fu aggredito due anni fa con un’incolpazione resa subito pubblica che poi si manifestò artefatta, con omonimie e falsi testimoni.
 
Sembra incredibile che nella “battaglia” per i referendum ci sia anche Renzi. A cui si deve, contro venti e maree, l’abolizione dell’art. 18 – l’illicenziabilità - di cui ora un referendum chiede l’abrogazione. Ma come si fa?


Dei due volontari italiani morti in guerra in Ucraina si lascia intendere che fossero combattenti per un ideale, rinviando indirettamente alla epopea internazionalista della guerra di Spagna. Mentre sono assoldati - mercenari - con soldo elevato, da 3 a 4 mila euro mensili. Perché non dirlo?


Trump dice che il downgrading del debito americano da parte di Moody’s è dovuto a un analista noto militante Democratico. Può darsi che non sia vero – nelle agenzie di rating non decide un analista, per quanto importante. Più probabile è che l’annuncio di Moody’s sia servito a una speculazione – la sbandata del debito in conseguenza del rating è stata di breve durata. Padroni (soci, azionisti) delle agenzie di rating sono i maggiori fondi d’investimento, anche hedge, cioè speculativi. E questo è considerato normale.


Ma è vero che il giudizio delle agenzie di rating risponde agli interessi dei fondi – il downgrading fa lievitare gli interessi. Basta vedere l’equiparazione del debito italiano a quello del Paraguay. Peggio di quello di Bulgaria, Cipro, Perù, Filippine, Indonesia, Kazakistan. Molto peggio di Perù e Uruguay. Pagatori molto più attendibili dell’Italia sono valutati Malesia e Botswana – si investe nel debito del Botswana? 


Si fa scandalo del Boeing 747 “superlusso” regalato dall’emiro del Qatar a Trump. Ma solo in Italia. In America il regalo è stato semplicemente preso in carico dal Pentagono per la manutenzione. È uno di due vecchi aerei – l’altro è state regalato a Erdogan - di cui l’emiro si sbarazza perché la manutenzione costa troppo rispetto all’uso che può farne. Anche perché il modello è fuori produzione da tempo. Questa sarebbe stata una storia più saporita, ma il giornalismo italiano non ha più gusto – si è anti-Trump come si è antifascisti. anche se la noia è grande. 

Tra immigrati e supermercati, mentre gli slavi si sterminano

Note sparse, prese occasionalmente tra il 1993 e il 1999. Di “cose viste”, alla Victor Hugo, e anche sentite.
Il mondo della metro prevalentemente. E dei supermercati e centri commerciali, Auchan, Leclerc, dove “la vita si svolge sempre più”. Scene di vita ordinaria che si direbbe sorda, sordida. Che Ernaux trova non più stupida di quando si svolgeva “tra i campi e il funerale o il bistrot”.
Note più variate sulla metro, da pendolare con Parigi sulla Rer, la rete extraurbana. Ma qui prevalentemente dei mendicanti, e dei “senza fissa dimora” - Ernaux usa sempre il linguaggio rispettosamente burocratico (con una sola eccezione, riusa “zigani”). Incuriosita dai tanti che provano a vendere giornali che nessuno compra – erano gli anni dei “giornali di strada”: “giornali della carità, che nessuno considera «veri» giornali, né la loro vendita come un «vero» lavoro”.
Sullo sfondo cupo degli eccidi in Bosnia, che non irritano più di tanto. E poi delle bombe sulla Serbia.   
All’ultima pagina, dei Russi che “sterminano tranquillamente i Ceceni”, un soprassalto. Veridico a ogni riflessione – tanto più che Ernaux ha buona conoscenza della Russia, tra visite, frequentazioni e amanti.
“Si è presa l’abitudine di considerare la Russia come una fiction sanguinosa con steppe ghiacciate, vodka, mostri e mummie o buffoni per personaggi principali. Che Yeltsin sia le tre cose insieme (oggi si direbbe Putin, nd.r. – senza la vodka) non è che il topos portato alla perfezione e il capitolo dei Ceceni è nella vena dei precedenti”.
Con un paio di sviste, imperdonabili per una italianofila - e per una casa editrice che avrà dei redattori. A p. 19, il 29 maggio 1993, dopo l’attentato ai Georgofili, la Maestà di Giotto agli Uffizi diventa una tela, del XVmo secolo. Anche il noto ristorante “Da Mimmo” (poi chiuso), boulevard Magenta, è maltrattato: è “Da Mimo” alla p. 74.
Annie Ernaux, La vie extérieure, Gallimard, pp. 131 € 15

giovedì 22 maggio 2025

Problemi di base storici - 860

spock


La storia prepara il futuro?
 
Il passato scrive il futuro?
 
Il passato riscrive il futuro?
 
La storia è fatta dalla preistoria?
 
La storia non è mai cambiata nei suoi 5.500 anni?
 
La sola rottura con la preistoria è il Cristo?

spock@antiit.eu

L’Italia cresce, ma – con Landini - senza più l’industria

E anche: “Ridotto il gap con Berlino”. Malgrado la ridotta produttività. Tutto vero. Ma nell’analisi di Trovati manca l’essenziale: l’Italia cresce nei servizi. Nei servizi del turismo e alla persona, a basso valore aggiunto e\o produttività. Mentre riduce la produzione industriale, quasi dimezzando la meccanica, l’automotive.
Da cinque anni la produzione industriale è in calo costante, a causa del covid e per il contemporaneo semi-smantellamento della Fiat. Senza contare i giudici senza giudizio del caso dell’acciaio, come per Taranto: la transizione verde come vendetta o mannaia, senza criterio, basta non lavorare (avendo già allontanato due o tre proprietà) – tanto gli operai hanno la cassa integrazione, e possono fare un secondo lavoro.
Nel 2024 sono state prodotte in Italia circa 310mila autovetture (- 42,8% sul 2023) e 591mila autoveicoli (- 32,3%), secondo i dati dettagliati Anfia, l’associazione delle industrie automotive.
La produzione di auto si è più che dimezzata negli ultimi anni, dopo l’era Marchionne alla Fiat: 542.007 autovetture nel 2019 (-19,5 per cento sul 2018), 451.718 nel 2020 (-16,7 rispetto al 2019), 442.432 nel 2021 (-2,1), 473 mila nel 2022, 751 mila nel 2023.
Per il 2024 si dà anche una produzione in Italia di 475 mila autovetture - cifra che contrasta col calcolo più attendibile dell’Anfia. Ma quello che è più significativo è che negli anni 1990 l’auto made in Italy era terza in Europa e quinta al mondo, con una produzione annua di quasi 2 milioni di veicoli (il massimo, 2.220.774 auto, fu toccato nel 1989). Poi le strategie aziendali dovettero farsi sempre più internazionali, in Serbia e Polonia, in Sud America, in Nord America. Nel 2011, a metà dell’era Marchionne, non si arrivò a produrre in Italia 800 mila autovetture.
E la responsabilità è solo – prima dello sganciamento di Elkann – del sindacato: non c’è altro motivo per investire in Serbia o in Marocco invece che a Termini Imerese. A Pomigliano, dove la Fiat aveva investito per rinnovare l’impianto, i lavoratori arrivarono a disobbedire al sindacato, che voleva lo sciopero a oltranza contro l’impianto rinnovato. A un sindacato che poi era già allora l’incredibile Landini.
Gianni Trovati, Pil pro capite, l’Italia raggiunge la Francia,
“Il Sole 24 Ore”

mercoledì 21 maggio 2025

Il riarmo è francese

I più attivi nel riarmo europeo, Francia e Gran Bretagna, sono anche i paesi con la maggiore industria degli armamenti.  
Il maggiore fatturato militare (dei soli sistemi d’arma, senza gli esplosivi e il commissariato) è britannico. Dei gruppi Bae Systems, Rolls Royce, Bancock, per un fatturato totale (2023) di 40 miliardi di dollari. Segue la Francia (Thales, Naval, Safran, Dassault, Cea) con 25,5 miliardi.
L’Italia verrebbe terza, con Leonardo e Fincantieri, 14,2 miliardi. Ma la Germania ha grandi progetti, dalla Zeitenwende socialdemocratica di Scholz due anni fa ai piani di riarmo del governo Merz e, a Bruxelles, di Ursula von der Leyen – gli investimenti complessivi annunciati sono di 1.200 miliardi, 600 a Berlino, 600 a Bruxelles. Allo stato (2023) ha fatturato con i tre maggiori gruppi (Rheinmetall, ThyssenKrupp e Hensoldt) 9,3 miliardi.
Ma la Francia è di gran lunga, e su tutti i sistemi d’arma, aerei, navali, terrestri, missilistici, il paese pilota in Europa, quello più impegnato nella progettazione e la produzione. Hanno infatti matrice francese, con siti produttivi e controllo azionario a prevalenza francesi – con partecipazioni anche qualificate ma non determinanti britanniche, tedesche, italiana e spagnola - i gruppi “trans-europei”, Airbus, MMDA e KNUDS , con un fatturato nel 2023 di 21 miliardi.

Perché i Democratici si accusano

Nell’elogio funebre in Campidoglio per l’architetto Mimmo Cecchini, assessore all’Urbanistica a Roma a fine Novecento nelle giunte Rutelli, ispiratore e autore dei Piano Regolatore Generale, l’ingegnere Maurizio Veloccia, assessore in carica all’Urbanistica, consigliere eletto del Pd, il secondo più votato nel 2021, ha concluso con questa considerazione: “Si difese con puntiglio da accuse ingenerose, che come sempre fanno più male quando provengono dal proprio campo. E che, peraltro, quasi sempre provengono dal proprio campo”.
Terribile. È una pratica che si pensava democristiana, fra potentati, ma evidentemente no. Con Mimmo Cecchini, a parte le familiarità, si ricorda un contatto nel 2001 per la grazia a Adriano Sofri, suo congiunto, cui il presidente Ciampi si riteneva propenso - anche perché la condanna era per due terzi scontata. Ma il ministro della Giustizia, Piero Fassino, si disse contrario a presentarla (poi tornò al governo Berlusconi, con un leghista alla Giustizia, Castelli, e la cosa diventò improponibile).
Del Pd romano si sapeva – è quello che è andato dal notaio per dichiarare la decadenza del suo sindaco Marino (dopo averlo fatto denunciare, senza nessuna colpa, dalle segretarie). Ma il fatto è più antico del Pd, e quindi più radicato. In che cosa, per quale deontologia, per quale assetto di potere?

Mafiose belle, e feroci

Sorpresa, ora si può dire, sono due donne giovani, belle, determinate, a sovraintendere alle fortune\sfortune del clan Corleone – e alle fortune della serie? Altrimenti persa in un numero incalcolabile di assassinii, si va sul fim d’azione, con relativi tradimenti - non di sa più di chi contro chi (anche perché molto dialogo è sussurrato, o si è perduto nella copia). Sono assassine fredde, e anche spietate. L’una stilista a Milano, compagna di un integerrimo Procuratore della Repubblica.  L’altra, sua assistente, nonché fidanzata amorevole del di lei fratello sopravvissuto, ragazzo simpatico, spregiatore delle mafie, ma figlia del capomafia concorrente, che gliel’ha messa alle costole per spiarla, fredda e spietata, contro il suo stesso, gentile, innamorato.
Una serie, al secondo anno, decisamente “innovativa”: la mafia delle donne ci mancava. Delle donne donne, belle, in carriera, di successo, e feroci.
Mauro Mancini, Maria Corleone, Canale 5, Infinity

martedì 20 maggio 2025

Ma non c’è la fuga dal dollaro

Trump non ha spaventato i mercati. Le altre monete derivano, effetto dei dazi minacciati, il dollaro resta centrale – la bocciatura Moody’s del debito americano non ha influito sull’uso del dollaro né sul debito. Che pure si è accresciuto nel 2024, presidenza Biden, di 1.800 miliardi di dollari – il 6,4 per cento del pil (in Italia, in Europa, la soglia limite è il 3 per ceto – ma anche la Germania di Merz si è fatta autorizzare a raddoppiare la soglia). E più elevato sarà il disavanzo quest’anno, 1.900 miliardi.
Malgrado questa marcia d’indebitamento, e malgrado Moody’s, il premio di rischio dei Treasury e del dollaro rimane molto basso. Nessun investitore, Cina compresa, si è disimpegnato – non ha interesse a svalutare il proprio investimento. Gli Stati Uniti restano l’investimento di gran lunga maggiori di tutti i surplus commerciali e valutari. Anche perché: quale altro altrove? La posizione patrimoniale netta americana verso l’estero era e resta a un record di 26.200 miliardi a fine 2024.
Il Brics coin non esiste. Allo yuan cinese non si affida nemmeno Pechino. E l’euro è quello che vuole essere, malgrado i tanti ammonimenti, di Draghi per ultimo: una moneta comune – non ci sono eurobond, che pure sarebbero vantaggiosissimi, e anzi non c’è nemmeno una regolamentazione unitaria delle banche.
Il Fondo Monetario Internazionale censisce che tre quinti delle riserve valutarie mondiali, il 57,8 per cento, è in dollari (l’euro segue a molta distanza, il 19,8 per cento – i vari mercati euro). E analogamente per i pagamenti internazionali: sono in dollari tre pagamenti su cinque, il 59,6 percento – la Cina, il maggior performer del commercio mondiale, usa lo yuan per il 4,3 per cento.
E le prospettive a breve, malgrado Trump, restano positive, poiché la Federal Reserve non ha intenzione di ridurre i tassi, fermi al 4,25-4,50 per cento.  

Meloni il nuovo Fanfani

Giorgia Meloni è alta 1,63 come Fanfani. È diventata presidente del consiglio a 45 anni, come Fanfani. E predilige le tribune internazionali – Fanfani tentò perfino di fare la pace in Vietnam. In più sa le lingue - ma questo in Italia non conta.
Come Fanfani è pure per il fare, piena di idee e di progetti. E svelta a decidere, benché abbia un partito personale da gestire, e una coalizione da tenere compatta. A differenza di Fanfani, non ha consorti ingombranti.
Non ha il record di Fanfani – http://www.antiit.com/2024/11/fanfani-il-piu-grande-di-tutti.html
Ma ha governato solo due anni e poco più. “Fa” però – propone e realizza – allo stesso ritmo di Fanfani. Il piano Mattei – con uffici e scuole sparse per l’Africa. La politica Ue per il Mediterraneo (Algeria,Tunisia, Libia, Egitto, Turchia, Siria, Giordania, Israele, penisola arabica), sempre promessa da mezzo secolo e mai nemmeno pensata. Una qualche politica per l’Africa. La regolamentazione dell’immigrazione, contro lo schiavismo assassino transmediterraneo. L’atlantismo di ritorno – non da poco, in questi mesi di furore anti-americano.

A differenza di Fanfani, non ha mai tentato la via di Mosca.  Al contrario, ha puntato su Washington e con notevoli risultati, con Biden e con Trump - la liberazione di Sala e poi, per la morte e la successione del papa, i due incontri di riappacificazione, di Trump con Zelensky e con von der Leyen.

Fanfani aveva anche il vezzo di strafare, e quindi di isolarsi, scomparendo sul più bello - salvo riemergere, lo chiamavano il Rieccolo. Meloni non si sa, ma potrebbe avere lo stesso vizio - p.es. con le banche, con la supertassa prima e ora con Unicredit (più abile Salvini con Mps-Mediobanca-Generali, mentre Schlein può contare su Unipol, con le affiliate ex Popolari Bper e Bps).

Droga e transizione non fanno una bella storia

Un polpettone – riscattato da qualche canzone nella parte iniziale, quelle di Zoe Saldana, che impersona l’avvocata tuttofare impecuniosa cui tocca sbrogliare gli impicci di cui s’intesse la trama (premiata giustamente con l’Oscar – ma non da protagonista, giustamente non hanno voluto sopravvalutare il film).
Un capomafia della droga barbuto e spietato, il messicano-tipo, padre tenerissimo di due figli, è infelice dalla nascita, perché non è femmina. Assolda l’avvocata ammirata in tv, che gli trova il chirurgo adatto, lo fa morire ammazzato dalla concorrenza, gli sistema moglie svampita e figli a Ginevra, e con lui diventato lei avvia un sostegno contro le violenze sulle donne. Finché la moglie scema, che lo tradiva già quando era onnipotente, non si rimette con l’antico amante, altro signore della droga, anzi più violento.
Karla Sofia Gascòn, l’attrice spagnola transgender di fatto, lui\lei, è espressiva – e anche simpatica, nel film e nella presentazione del film, in un italiano godibilissimo. Ma non basta.  
Un altro regalo di Cannes, festival irriconoscibile, ai produttori, a danno degli spettatori – dopo Julie Ducourneau, certo inarrivabile. Flop in Messico e negli Stati Uniti, dove Cannes non conta, il film ha incassato in Italia e in Spagna, e (meno) in Francia.
Sky l’ha anche accorciato, di una dozzina di minuti, ma non è servito – alcune scene, rimontate, forse darebbero un senso e un ritmo. 
 Jacques Audiard, Emilia Pérez, Sky Cinema

lunedì 19 maggio 2025

La “liberazione” di Trump

Lo yen si è apprezzato sul dollaro del 6,5 per cento da metà febbraio – ora a 145 yen per dollaro (era a 100 durante il covid, a fine 2020). La sterlina da 1,21 a 1,33. L’euro da 1 a 1,13  (era 1,23 a metà covid, fine 2020). Lo yuan cinese si è mosso poco, da 7,39 un mese fa a 7,20. Ma, anche se lieve, la quotazione – molto eterodiretta, la Cina ha pur sempre un’economia dirigista - significa che Pechino riconosce la richiesta di rivalutare, in qualche misura (il cambio è uno dei segreti più inattaccabili della Cina, forte regime comunista).
Il Liberation Day di Trump comincia a dare i suoi frutti. Sul fronte commerciale, dei dazi, la Gran Bretagna ha già concluso accordi più favorevoli agli Stati Uniti, Canada e Messico li stanno trattando, la Cina ne ha riconosciuto l’esigenza. E la Ue, per quanto improvvisamente anti-americana, per la difesa, l’immigrazione, i diritti, e Trump, riconosce che qualcosa in materia di dazi e doppie tassazioni c’è da fare, e sulle spese militari ha perfino superato subito le pretese di Trump.  

Trump-Ue, storia vecchia

Nel gennaio 1981 si insediava a Washington Ronald Reagan, un presidente poi passato alla storia (per avere sconfitto l’Urss, ridotto la burocrazia, chiuso il ciclo quasi ventennale di appannamento degli Stati Uniti - Cuba, assassinio Kennedy, crisi del dollaro, Vietnam, Nixon, Iran - e avviato un ciclo trentennale di crescita dell’economia, fino alla crisi delle banche), ma visto all’epoca come un personaggio minore (attore e sindacalista fallito, etc.) e un forte destrorso. Anche lui repubblicano, come Trump, anche lui portato dall’ala reazionaria – populista - del partito, che allora aveva anche un’ala liberal, dei Rockefeller. E analogamente rifiutato.
Nello stesso mese i principali istituti politici europei, la tedesca Dgap (Deutsche Gesellschaft für Auswärtige Politik, società per la politica estera), il britannico Royal Institute of International Affairs (Riia), e l’Ifri francese, Institut français des relations internationales – cui si accodava negli Usa il Council on Foreign Relations, fondato negli anni 1920 dai Rockefeller - pubblicavano un rapporto preoccupato. Sul presidente, e sulla difesa europea.
La preoccupazione era che Reagan ponesse fine alla distensione – il primo passo verso la globalizzazione - e anche ai rapporti transatlantici. La proposta comune era che gli “Stati chiave” dell’Occidente procedessero al riarmo. Nell’ottica di una “responsabilità” speciale per la pace – fino alla formazione di una “coalizione di volenterosi”, con compiti di polizia internazionale.
Il documento del 1981 era seguito due anni dopo da uno studio dei tre istituti europei, con l’italiano Iai (Istituto Affari Internazionali) e l’olandese Clingendael, dal titolo: “La Comunità Europea di fronte alla decisione. Progresso o declino”.

Secondi pensieri - 562

zeulig


Cinema – “Il cinema è l’arte della verità”, P.P.Pasolini. Lo è – l’arte della finzione suprema – inattaccabile - che è la realtà. Come lo è di tutte le narrazioni. Ma al cinema con l’“evidenza”, invce della “descrizione” – per quanto immaginifica.

Crimini di guerra – Fattispecie diffusa postbellica, ora dilagante, sebbene senza criterio o fondamento giuridico, solo l’autoproclamazione, di solito del vincitore o del potente: il nemico è un criminale. È quello che emerge dall’applicazione del crimine. E, a contrariis, dal fatto che gli Stati Uniti, che hanno inventato e applicato la nozione, in tribunali speciali, non abbiano aderito alla Corte Penale Internazionale dell’Aja e anzi la avversino – non intendono sottostare a un giudizio “terzo”.
 
Un delitto al plurale, quasi a indicare, onestamente, che si tratta di un criterio politico prima che giuridico: sono i crimini del nemico - il nemico si vuole criminale. Il nemico del vincitore.
È un fatto che i bombardamenti Alleati, in Europa (in Sicilia e in Calabria su ogni minuscolo centro abitato e su ogni quartiere e monumento cittadino), e di più in Asia, per la “dottrina” specifica del generale Curtis LeMay, fino alla bomba atomica contro un Paese già vinto, non sono, nonché giudicati, nemmeno mai discussi. Benché avesere alla programmazione intenti  “dissuasivi”, di scoraggiamento della popolazione, e non militari.
Dei bombardamenti sulla Germania WE. Sebald, “Storia naturale della distruzione”, 1997, ha fatto un calcolo”esatto”: un milione di tonnellate di esplosivo, su 131 città, con 600 mila morti. Ma Sebald è un romanziere, non un giudice.
Le bombe in città le ha divisate la Luftwaffe, su Guernica, Coventry, Londra, Stalingrado, e sulla Francia che fuggiva per le strade di campagna, mitragliata a vista. Pure la strategia suona tedesca: a regimi di massa bombe di massa - Hitler, che “alla radio aveva una bella voce”, attesta Peter Handke, amava pianificare con gli slogan. Ma gli Alleati ne sganciarono di più – senza contare la Bomba.  Sebald nel 1997 poneva il problema. Addossava alla Germania di Hitler la prima teoria della guerra aerea totale e i primi attacchi. Ma al contempo rilevava, da anglista, lo speciale impegno della Raf negli attacchi aerei massicci notturni, a scopo di terrore, sulle città. Sotto l’impulso di “Bomber Harris” o “Butcher Harris”, il Macellaio, sir Arthur Harris, il maresciallo dell’Aria della Raf, l’aviazione britannica, a capo del Comando Bombardieri. Harris, teorico dei “bombardamenti a tappeto notturni”, a scopo di terrore, era molto influente su Churchill, che invece sui bombardamenti dei civili aveva riserve.
L’equivalente del maresciallo Harris fu nel Pacifico il generale dell’Usaf, l’aviazione americana, Curtis LeMay. Il generale, di cui si è persa la memoria, che nel Pacifico teorizzò e utilizzò le bombe incendiarie, la sua “dottrina” diceva “omicida”, diretta contro le persone più che contro gli obiettivi bellici - il suo allora sergente George Wallace lo avrebbe voluto nel 1968 nel suo ticket, vice nella corsa alla candidatura alle presidenziali, ma LeMay si tenne convenientemente alla larga. La sua dottrina era che “non ci sono civili innocenti”. In sei mesi in Giappone distrusse 64 città con le bombe incendiarie, “missioni” facili perché le case erano prevalentemente in legno. Hiroshima e Nagasaki, che erano in cemento, le distrusse con l’atomica, un milione di morti. Mentre professava: “Se non vinciamo saremo criminali di guerra” – i grandi criminali sono-fanno i cinici.
 
Opinione - Fluisce incontrollabile – si forma e si trasforma. Contro o sotto ogni forma di limitazione o vincolo, parentale, relazionale, religioso, sportivo, militare. Anche in prigione o sotto violenza, tortura compresa. Si veda oggi nei paesi islamici, Algeria, Tunisia, Egitto, tre paesi altrimenti diversi, per etnia, storia, lingua. O l’Iran, o l’Afghanistan. O la Turchia, che pure si vuole europea. Accomunati dalla religione, e dalla repressione dell’opinione. Che per nessun vantaggio, o per altro motivo di continuità, continua a essere professata in libertà, per quanto sotto torchio.
È la forma - il fondamento e l’espressione, della libertà.
  
Storia – La storia è fatta dalla preistoria. Molta, se non tutta. La guerra, p.es., tanto illogica fuori da famiglia-clan-tribù, e tanto ricorrente. In qualsiasi assetto socio-demografico, per qualsivoglia motivo, anche banale, e sempre radicalmente distruttiva - la dissoluzione del nemico, spesso con dileggio, comunque senza pietà.
La storia ha cinquemila anni (scrittura)? La preistoria un milione novecentonovantacinquemila.
Con una sola cesura, il Cristo. Che però è rifiutato - dileggiato – dalla sua gente, gli ebrei. E anche dalla sua chiesa non è trattato granché bene. Specie in fatto di guerre.
 
La preistoria, anche prima di Babele, della scrittura, è tutta la storia, anche quella propriamente detta?
Cristo è la sola rivoluzione della storia. La sola rottura con la preistoria – a parte l’applicazione ai segni, alla conservazione dei segni. Ma gli ebrei lo deridono, il suo popolo. E i cristiani se ne fanno – se ne sono fatto - vessillo sanguinoso, assassino, distruttivo.
 
Traduzione – Si aggiornano, come è giusto, riproponendo un testo, poetico o narrativo, a una platea rinnovata, comunque attuale, contemporanea. Ma la traduzione non dovrebbe contemporaneizzare. Non il testo di cui si vuole preservare, celebrare, l’originalità – la classicità. L’autore e l’opera sono storicizzati, storicizzabili. Inevitabilmente. Il contemperamento dei due tempi sarà il massimo inciampo della traduzione.
La patina fa parte del linguaggio.

zeulig@antiit.eu

La Germania è stanca, e un po’ confusa

Un instant book, di uno che si può dire massimo conoscitore delle economie tedesche, di cui fa la summa. Senza novità – è la riedizione di analisi e critiche già scritte per il “Financial Times”, di cui Münchau è forse il redattore più sperimentato (già direttore del “Financial Times Deutschland”, in lingua tedesca, che ha chiuso nel 2012 – quando vendeva 112 mila copie…). Ma messe insieme fanno notizia.
La Germania in effetti non è mai stata miracolata. Ha puntato sull’“eccellenza” -  sull’autopropaganda - di tutto ciò che è meccanica e chimica, ma con applicazione, faticando, duro e duraturo. Senza scoraggiamenti, senza tentennamenti. Salvo da qualche tempo, finiti i russi a Berlino, dirsi e sentirsi ricca e grande, importante, decisiva. Mentre approdava a inizio Millennio, ieri, con molte produzioni delocalizzate nell’Est Europa, perfino in Russia, e cinque milioni di disoccupati – veri, non finti, come spesso in Italia, nell’economia nera. Li ha eliminati eliminando il mercato del lavoro – i pilastri sindacali, a garanzia di orari e paghe orarie - con la liberalizzazione praticamente totale. Ed è venuto il miracolo dei lunghi anni di Merkel: l’arricchimento con una politica mercantilistica perfino esagerata, che si poteva appendere i nastrini della politica più “impegnata”, per gli immigrati, per il clima, e “per la Russia” (per il gas in quantità e a buon mercato). La produttività non ne ha beneficiato – non ha tenuto il passo. L’investimento si è adagiato sulla  spesa sociale - sulle facilitazioni offerte dal radicale jobs act del cancelliere socialista Schröder prima di Merkel. E su una delocalizzazione moltiplicata, in Cina in grande misura, e nel Sud -Est asiatico.
Il mercato interno ha finito per non reggere più il passo. E da qualche tempo, già prima della confrontation imposta da Trump, la Cina, grande serbatoio di vendita e di riesportazioni, è a rischio: non “beve” più (il vecchio problema delle politiche di consumo: “Puoi portare il cavallo alla fontana ma non puoi obbligarlo a bere”). In particolare compra sempre meno tedesco: il cinese è mezzo tedesco, sa vendere anche l’“eccellenza”, e il regime che sovrintende a Pechino si sottovaluta, è ferreo oggi come lo era ieri.
La Germania, spiega ripetutamente Münchau, resta sempre la maggiore economia europea, la quarta o quinta più importante al mondo per fatturato (pil), ma è stanca, troppo dipendente da mercati autoritari, Russia e Cina, e indietro sull’economia digitale. Che è la verità fino a ieri. Oggi? Il nuovo governo, del cancelliere Merz, si è fatto subito forte di un grande battage di investimenti multimiliardari, per la difesa, per il clima, per la digitalizzazione, per le infrastrutture – essendosi fatto autorizzare dal vecchio Parlamento a una spesa senza limiti. Mentre naviga con difficoltà nella politica, nel paese e anche al Bundestag. Di questo Münchau non può tenere conto - il libro è uscito un mese fa - ma è l’handicap maggiore.
Wolfgang Münchau, Kaput: The End of the German Miracle, Swift Press, pp. 256 €15

domenica 18 maggio 2025

Problemi di base cinematografici - 859

spock

Il pubblico al cinema non c’è più, ci paghi il pubblico?

 

Io so’ io e voi non siete un cazzo - E. Germano al governo?

 

Ma i David di Donatello sono ancora del Pci, ex – tutti?

 

E Geppi Cucciari, è una comica (brillante) o una vestale?

 

Il cinema è un divertimento o un’afflizione – a pagamento?

 

Anche le sale, meglio polverose e zoonotiche?

spock@antiit.eu

La Francia protagonista e la storia di Marx

La storia del miglior Marx, che si ripete sempre due volte, la prima come tragedia, la seconda come commedia, è bene espressa, testimoniata, certificata dall’Unione Europea. Per molti aspetti. Il più attuale è la Francia protagonista. Non a teatro, in politica internazionale - a parte il fatto che la storia può essere commedia sempre, e tragica, ma lasciamo perdere.
Al tempo di De Gaulle, sessant’anni fa, coi “non possumus”: niente Nato, o “anglosassòni”, niente Inghilterra, e niente, alla fine, di fatto, Germania (il genera le non amava Adenauer e non ne era amato) – “l’Europa dall’Atlantico agli Urali”. Un gigante, 1,96, a cui l’Italia poteva opporre, allora come oggi, un brevilineo – Fanfani era 1,63 (come oggi Meloni).
Ora, Macron è alto solo 1,78. Ma aspira in alto. Si erge nemmeno lui sa a che cosa, ma sempre molto in alto. Voleva mandare la Legione Straniera in Ucraina. E fin qui sembrava avere ragione, per un corpo d’élite da decenni in naftalina, finite le colonie – già peraltro attivo sottotraccia a Kiev e dintorni dal 27 febbraio del 2022. Ma ci voleva di rincalzo i tedeschi e gli inglesi, Che hanno detto sì per compiacerlo, traccheggiando, finché se l’è dimenticato. Voleva mettere le sue atomiche in Polonia, la Polonia ha detto sì, ma aspetta la prossima elezione (ce n’è sempre una, o del presidente, o del presidente del consiglio) – perfino i Baltici fanno finta di nulla. Aveva pure messo dazi contro Trump, ma poi gli hanno detto che li può mettere solo la von der Leyen – brutta sconfitta.
Ma è così che va l’Europa, al carro della Francia. Volubile – si diceva delle belle donne, adesso è bestemmia. Nel 1952 bocciò la difesa europea – pensare come sarebbe stata l’Europa oggi, altro che euro. Voleva l’Europa “continentale”, la vuole ora a metà, fino a Polonia e Ucraina – sì, ma domani? Vuole governare l’Europa con Berlino – a cui non gliene po’ frega’ de meno. E alla fine non le resta che rompere i coglioni all’Italia, in Libia, a Ventimiglia, in Ucraina, perfino a Tirana -  magari anche, attraverso il Grande Oriente, con i giudici italo-italofobi.
Ora, da Carlo VIII a Napoleone si capisce, i galli si davano un diritto di saccheggio. Ma oggi? A parte che, che cosa resta da rubare in Italia?

Il papa della fede in Cristo, e di Maria

Non è facile costruire in pochi giorni una biografia, per giunta di un papa, per di più “venuto d al nulla”, praticamente uno sconosciuto, Vecchi non ci prova. Molto qui è di papa Francesco. E di sant’A gostino. Con spigolature del conclave. E naturalmente con la “pace”, la prima e intensa parola, specialmente oggi, che Leone XIV ha pronunciato dal balcone. Ma forse molto i vaticanisti dovranno riabituarsi ad analizzare, di un papa in Vaticano. Che per adesso a loro sfugge - si vede ogni giorno: molte pagine, molte ore in tv, molti concilii e conciliaboli, e l’animus del papa e il senso che vuole imprimere al suo papato, che pure sono tangibili, ancora sfuggono.
Un papa – ha detto subito, all’annuncio, alle prime parole del primo discorso, vibrate ma calibrate, scritte, lette – che il cristianesimo intende quello del Cristo-Dio, dell’uomo che vive nell’amore e nella fede di Dio. Subito dopo intonando – intonando, non recitando, cosa mai successa – l’“Ave Maria” con tutta la folla in attesa. Per un senso corale della professione di fede – no divisorio, non “correntizio”. E per l’amore particolare della Vergine, proprio di chi è cresciuto con la madre, e quindi nel rispetto o venerazione della donna (un amore e un culto che intensificherà nei secondi e terzi atti, le prime uscite dal Vaticano, e col “Salve Regina” anch’esso intonato, e sempre in coro con gli altri fedeli).
Un papa che canta molto, in coro. Non un papa giornalistico, uno cioè che parla molto e ogni giorno prepara una sorpresa. Un papa della fede. Che sarebbe una novità, ma poco “giornalistica”.
Gian Guido Vecchi, Leone XIV, “Corriere della sera”, pp. 63, gratuito col giornale