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venerdì 13 giugno 2025

Le banche alla Lega

“Una procedura con 4 stranezze, 4 invitati, e 4 identici prezzi in 9 minuti. Le modalità con le quali nel novembre 2024 il ministero del Tesoro ha ceduto, attraverso incarico a Banca Akros, il 15 % per cento di Monte dei Paschi di Siena a Banco Bpm (5%), Caltagirone (3,5%), Delfin (3,5%) e Anima (3%) sono oggetto di una inchiesta della Procura di Milano con persone iscritte nel registro degli indagati («modello 21»)”. Prudentemente, in pagina interna, il “Corriere della sera” infine interrompe con Ferrarella, il suo cronista giudiziario, il fragoroso silenzio sul “banche a me” del ministro Giorgetti” – il “riassetto” bancario che Giorgetti governa per conto della Lega. Il più grosso scandalo politico dopo “Mani Pulite”.
Un fatto molto evidente, perfino a questo sito  
http://www.antiit.com/2025/02/ombre-758.html
http://www.antiit.com/2025/01/lopa-di-roma-su-milano.html
http://www.antiit.com/2024/11/ombre-747.html
sul quale finora non una parola – Milano è pettegola, ma quando vuole (altrove si direbbe mafiosa).
Le stranezze, sulle quali la Procura di Milano non può più, dopo sette mesi, non indagare (anche perché Mediobanca si è querelata - e Unicredit potrebbe farlo, se lo spesso muro della iperredditività dovesse incrinarsi), sono evidenti. Giorgetti dà incarico a Banca Akros di vendere in fretta – accelerate book building – il 15 per cento di Mps. L’11 novembre 2024? Giovedì 14 l’affare è fatto: Akros, gruppo Bpm, ha collocato il 5 per cento con Bpm, il 3 per cento con Anima, sempre gruppo Bpm, e il 7 per cento in due quote eguali a due “compagni di merende” di Giorgetti, Caltagirone e gli eredi Luxottica. La compagine con la quale due mesi dopo il ministro ha lanciato l’ops su Mediobanca-Generali. Semplice.

Berlinguer, famolo santo

“Il film indaga perché Enrico Berlinguer è il politico più amato a quarant’anni dala sua scomparsa” – questo il blurb di presentazione. La  nostalgia si può capire, magari in chi nasceva quando Benigni furbo si affermava col “Berlinguer, ti voglio bene”, 1977. Ma a quarant’anni di distanza c’è appunto la distanza. E non si capisce.
Forse perché visto dopo la scorpacciata di apologie del papa Francesco, sa particolarmente di falso. Un’apologia si regge se in qualche misura, per qualche aspetto, anche solo per la distanza o la lontananza, è condivisa, accomuna  Ma qui quello che va in scena non è Berlinguer, sono gli autori e i loro – possibili, previsti – spettatori.  Per dire: anche di paga Bergoglio si sono fatti una decina o dozzina di film tutti insieme, come per Berlinguer, ma non altrettanto stucchevoli.
Pesa poi anche la distanza, la prospettiva storica. E non si vede come si possa glorificare un leader  vita di partito che ha distrutto il suo partito. Letteralmente, volutamente. Che si voleva lontano dal sovietismo ma il suo partito non lo voleva altrettanto lontano, nei finanziamenti, nell’organizzazione, nelle procedure. Che piuttosto che farne un partito socialista o socialdemocratico lo ha appaltato all Dc. Alla Dc? Si veda ancora oggi a Roma, nella comune, irrefrenabile, spudorata corruzione, in opere e omissioni, in appalti e trabocchetti.
Una trama di ricordi personali scelti e montati ovviamente “al punto”. Un’enfatizzazione del disacco dal sovietismo – quado tutti sanno che il partito fu finanziato da Mosca fino al 1989. Un personaggio che sarà stato anche simpatico (in Parlamento e coi cronisti non lo era), ma al congresso del 1975, quando già aveva lanciato il “compromesso storico”, al congresso del Pcus, il partito comunista sovietico, ribadiva la la primazia “etica” dei regimi sovietici. Per l’esattezza: “Un clima morale superiore. Mentre le società capitalistiche sono sempre più colpite dal decadimento di idealità e valori etici”. Superiore negli anni di Breznev? Mah.
E la “questione morale” come scudo?. Morale di chi riceveva e gestiva non solo le tangenti pretese da Eni e Finsider dal Pcus e depositate in Svizzera, ma anche oro, pelli, e perfino dollari, in mazzette? Onesto a suo modo: nel 1984, poco prima della morte, a Minoli che in tv gli chiedeva quale era la personalità internazionale che più ammirava rispose: Janos Kadar, il capo del partito e del governo ungherese che aveva rovesciato con i russi al rivolta del 1956. Uno che chiuse il partito, piuttosto che farlo socialista, in “deriva solipsistica” (Piero Fassino), con la sempre incresciosa “autoconsolatoria riaffermazione di diversità” (id). Maneggiato peraltro da Tonino Tatò, un filibustiere politico, la quinta colonna “democristiana” al suo fianco.
Per quale motivo Miriam Mafai, buona comunista da una vita, chiedeva di “Dimenticare Berlinguer”, nel 1996? “Col passare degli anni quella opzione strategica (il “compromesso storico”, n.d.r.) appare sempre più chiaramente come uno dei fattori – se non addirittura come una delle cause principali – della difficoltà della sinistra italiana, e della crisi politica e  istituzionale che ancora travaglia il nostro Paese”.
Un film “con il contributo della presidenza del consiglio dei ministri” - nel 2025? Prodotto dalla Fondazione Cespe, che dunque ancora esiste - la creazione di Eugenio Peggio (quanti problemi con Enrico...).
Farina, “sociologo e saggista”, che “nel 2009, a vent’anni, crea enricocoberlinguer.it, il primo sito web su Enrico Berlinguer”, è anche autore con Bianca Berlinguer di un “Per Enrico, per esempio. L’eredità politica di Enrico Berlinguer”. Qual è? Ma gli autori vanno a passo di marcia, “Enrico Berlinguer continua ad essere il leader politico più amato della storia repubblicana”, e si risparmiano la risposta.
Pierpaolo Farina, Berlinguer. A Love Story

giovedì 12 giugno 2025

Se la Russia guarda all’Europa

La Ue è alla 17ma o 18ma sanzione contro Mosca. E si riarma con ben due programmi miliardari, Rearm e Safe, sempre contro la Russia. Ma la cosa non sembra essere presa sul serio a Mosca. Non dai russi che ovviamente si sentono e pensano europeo. Non dal regime, questo è il punto. Dai vari istituti di politica estera, tutti più o meno al governo.
Non molto tempo fa il ministro degli Ester Lavrov ricordava nostalgico sul sito del ministero “i vertici due volte l’anno, cosa che la Ue non ha mai fatto con nessun altro Paese”. In contemporanea il teorico sovranista Vladimir Surkov lamentata sul settimanale francese “L’Express”:  “La Russia da anni si dice pronta a parlare con l’Europa, l’Europa avrebbe potuto rispondere e aprire un dialogo, ma non l’ha fatto”. Perfino Putin ultimamente apriva una finestra, con “ottimismo e speranza” – ma distinguendo fra Ue e Stati: “Prima o poi ci muoveremo al ripristino di relazioni costruttive con gli Stati europei”.
Putin e i suoi parlano come se, finita la guerra in Ucraina, le cose torneranno al loro corso abituale. “naturale”.
Non mancano le ipotesi di un interesse comune. Di fronte alla sfida cinese, e in genere del Sud del mondo. Un mondo s’immagina triangolare, Usa-Cina-Europa, con dentro (in Europa) la Russia. E perfino una sorta di Occidente nordico, per fronteggiare la sfida del Sud del mondo.

Letture - 581

letterautore


Arabia Saudita
– Oggi al centro delle “industrie culturali” (promozioni socio-politiche) di ogni tipo, architettoniche, green, calcistiche, tennistiche, etc., con numerosi testimonial ben pagati (tra essi Matteo Renzi, in qualità di ex sindaco di Firenze, con un ruolo molto semplice: dire ogni tanto che “l’Arabia Saudita è in pieno Rinascimento”) era per Elemire Zolla sconsolato, “L’eclisse dell’intellettuale”, 1959, “ormai l’unico posto del mondo che resista all’industria culturale”.  
 
Compromesso storico
– Lo storico –mite - Giuseppe Galasso ne rivendica – polemicamente - la primogenitura in nota a “La Calabria spagnola”, una delle sue ultime opere, 2012 (rifacimento di uno dei suoi primi lavori di storico, “La Calabria nel Cinquecento”, 1963). Spiegandone anche l’intrinseco ossimoro. Senza riferimenti all’uso berlingueriano, o politico, della formula, ma con curioso puntiglio, riferendosi  a se stesso come a terza persona:
“La formula del «compromesso storico» è stata usata – con consapevole anacronismo terminologico, voluto a fini pratici di semplicità e di icasticità espressiva – da G. Galasso in molti dei suoi lavori fin dagli anni in cui imperversava la polemica sulla cosiddetta «rifeudalizzazione», che avrebbe caratterizzato la storia politico-sociale del Regno nel secolo XVI. Poi, in progresso di tempo, la rifeudalizzazione (di cui Rosario Villari fu il maggiore sotenitore) ha perduto la massima parte della sua attrazione, se non è addirittura scomparsa, come tema storiografico di persuasiva  fondatezza”.
Rosario Villari è stato uno storico e un esponente Pci, promotore e poi direttore di “Studi Storici”, la rivista dell’Istituto Gramsci, membro del Comitato Centrale del Pci, e parlamentare. La polemica sulla “rifeudalizzazione” seguì la pubblicazione nel 1967 della sua storia del Regno di Napoli nella prima metà del Seicento, “La rivolta antispagnola a Napoli. Le origini, 1585-1647”. Il compromesso storico di Galasso è quello intercorso fra la monarchia spagnola di Napoli e la feudalità

 
Domani
– È il nuovo motto dell’Europa per l’ “Economist”, nello speciale che il settimanale ha dedicato al continente nel numero dell’1 giugno. Aperto col “Gattopardo” -  col “se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”, detto dal giovane Tancredi, garibaldino e futuro senatore, l’uomo dei tempi nuovi. Come dire dell’irresolutezza, dei buoni propositi e gli efferati fatti, del quieto vivere, della rassegnazione. Si sostituiranno nella koiné europea, nella lingua franca occidentale, i vecchi mañana  e bukra (insha Allah), l’indolenza e il rinvio in spagnolo e in arabo, con l’italianissimo domani?
 
Ebraismo
-  L’identitarismo viene dalla diaspora – che invece dovrebbe annacquarlo? Era l’idea di Kafka, a proposito dell’ambiente estraneo, in viaggio: se fatto in compagnia, le difficoltà cementano i rapporti, le amicizie. Lo ricorda Daria Galateria in “Atlante degli artisti in affari”, a proposito della visita all’editore Kurt Wolff, a Lipsia, nel 1912, cui Max  Bord costrinse il timido Kafka. Che, usciti dall’ufficio di Wolff, avrebbe a sua volta rimproverato l’amico per non avere proposto la guida turistica di cui vaneggiavano per fare qualche soldo. Ribadendo: “Vediamo noi stessi meglio di quanto ci vedano gli altri, perché noi stiamo viaggiando”.
 
Gadda
- Con “200 termini in spagnolo” Gadda mette “a distanza di sicurezza…. tutto lo gnòmmero (il nodo) di Gonzalo (sé medesimo)” nella “Cognizione del dolore”, per “parlare della mamma e della sua odiata villa in Brianza” – Daria Galateria, “Atlante degli artisti in affari”, p. 184.
 
Proto-femmininismo
– Aveva mille nomi, e mille funzioni, Iside Regina nelle “Metamorfosi” di Apuleio,  qualche millennio fa, all’XI libro:
“Io sono la genitrice dell’universo,
la sovrana di tutti gli elementi,
l’origine prima dei secoli,
la totalità dei poteri divini,
la regina degli spiriti,
la prima dei celesti;
l’immagine unica di tutte le divinità maschili e femminili:
sono io che governo
col cenno del capo
le vette luminose della volta celeste,
i salutiferi venti del mare,
i desolati silenzi degli inferi.
Indivisibile è la mia essenza,
ma nel mondo io sono venerata ovunque sotto molteplici forme,
con riti diversi, sotto differenti nomi.
Perciò i Frigi, i primi abitatori della terra, mi chiamano madre degli dei [Grande Madre, Cibele],
adorata in Pessinunte;
gli Attici autoctoni, Minerva Cecropia;
i Ciprioti bagnati dal mare,
Venere di Pafo;
i Cretesi abili arcieri, Diana Dictinna;
i Siciliani trilingui, Proserpina Stigia;
gli abitanti dell’antica Eleusi,
Cerere Attea;
alcuni Giunone; altri Bellona;
gli uni Ecate; gli altri Rammusia [Nemesis].
Ma le due stirpi degli Etiopi,
gli uni illuminati dai raggi nascenti
del dio Sole all’alba,
gli altri da quelli morenti al tramonto,
e gli Egiziani
valenti per l’antico sapere,
mi onorano con riti che appartengono a me sola, e mi chiamano
col mio vero nome:
Iside Regina.
O Regina del cielo,
tu feconda Cerere,
prima creatrice delle messi,
che, nella gioia di aver ritrovato
tua figlia, eliminasti l’antica usanza
di nutrirsi di ghiande come le fiere,
rivelando agli uomini un cibo più mite,
ora dimori nella terra di Eleusi;
tu Venere celeste,
che agli inizi del mondo congiungesti
la diversità dei sessi
facendo sorgere l’Amore
e propagando l’eterna progenie
del genere umano,
ora sei onorata nel tempio di Pafo
che il mare circonda;
tu [Diana] sorella di Febo,
che, alleviando con le tue cure il parto alle donne incinte,
hai fatto nascere tanti popoli,
ora sei venerata nel tempio illustre
di Efeso;
tu Proserpina,
che la notte con le tue urla spaventose
e col tuo triforme aspetto
freni l’impeto degli spettri
e sbarri le porte del mondo sotterraneo,
errando qua e là per le selve,
accogli propizia
le varie cerimonie di culto;
tu [Luna] che con la tua femminile luce rischiari ovunque le mura delle città
e col tuo rugiadoso splendore
alimenti la rigogliosa semente
e con le tue solitarie peregrinazioni spandi il tuo incerto chiarore;
con qualsiasi nome, con qualsiasi rito,
sotto qualunque aspetto
è lecito invocarti:
concedimi il tuo aiuto
nell’ora delle estreme tribolazioni, rinsalda la mia afflitta fortuna,
e dopo tante disgrazie che ho sofferto dammi pace e riposo”.


Russia -  Scriveva Proust a un’amica nel novembre del 1914, quando la guerra era già sanguinosa: “Se invece che con la Germania fossimo in guerra con la Russia, cosa si direbbe di Tolstoj e di Dostoevskij?”


Sartre – Di “profondo e (Dio ci perdoni) elegante talento comico” lo vuole la francesista Daria Galateria  (“Atlante degli artisti in affari”, 195-196). Perlomeno a Roma, per il progetto poi incompiuto de “L’ultimo turista”. Ultimo già nel 1952?
Se si ripercorre la sua enorme produzione e, soprattutto, le sue attività quotidiane, anche del pensiero, della riflessione, testimoniate variamente da Simone de Beauvoir nelle sue numerose memorie, un taglio azzeccato – giusto, vero.

letterautore@antiit.eu

La strada di Berlinguer, al cimitero

“Berlinguer vedeva una strada dove altri non la vedevano”. Quale?
Il docufilm di Samuele Rossi, con “molte immagini inedite”, è approdato alla “Torre di Babele”, il mini salotto su La 7 di Corrado Augias, per l’occasione prolungato a due ore. Con la partecipazione, mesta, di Sandro Veronesi. 
Un’agiografia vecchio stile, parrocchiale. Perfino con i “miracoli”.
Una celebrazione tristanzuola. Forse perché Augias non ha nelle corde il pindarismo. E Veronesi – Berlinguer era juventino? Evocare gli “ultimi giorni” rimanda a Karl Kraus, gli ultimi giorni dell’umanità, alle sette parole di Cristo in croce. Mentre qui è solo un po’ di propaganda – questo è uno di una dozzina di film programmati o annunciati per i quarant’anni della morte d Berlinguer.
Samuele Rossi, Prima della fine. Gli ultimi giorni di Enrico Berlinguer, La 7

mercoledì 11 giugno 2025

Il Treasury europeo vuole il riarmo

Londra, senza dirlo, vuole il return, tornare a essere la capitale finanziaria dell’Europa, e lo prepara col riarmo. Suo ed europeo (il 19 maggio ha firmato accordi per accedere ai fondi europei per il riarmo, del programma Safe, Security Action for Europe). La Banca centrale europea vuole consolidare l’euro come moneta internazionale, approfittando della politica trumpiana d’indebolimento del dollaro, ma ritiene preliminare la difesa europea.
Sembrerebbe il contrario, nella dottrina e nella prassi convenzionali, che gli affari cioè diminuiscano o indeboliscano i pericoli di guerra. Ma ora si procede al contrario.
Anche in Germania, il programma di rilancio dell’economia dopo la lunga stagnazione si basa su una forte spesa per la difesa – per le infrastrutture tecnologiche e per la difesa, ma per ora si procede con la spesa e la riorganizzazione militari.

La Germania immobilizzata dalla destra

La Germania vive nella paura della destra – della destra vera, estrema, di Afd. A differenza della Francia, dopo pure l’estrema destra, anti-sistena e anti-Europa, è quasi il doppio che in Germania: la Francia non la teme, semplicemente si organizza alle elezioni per innocuizzarla.
Il piano Merz di rilancio dell’economia promette infrastrutture e militarismo. Ma l’organizzazione e le spese militari sono già in atto. La Germania ha sempre bisogno di lavoro immigrato. Ma Merz fa sorvegliare le frontiere, pratica su larga scala i “respingimenti”,  e a Bruxelles ha fatto adottare da von der Leyen misure restrittive all’immigrazione incontrollata.
Per Commerzbank, per tirarla fuori da trent’anni di sofferenze, Berlino aveva chiesto aiuto a Unicredit: è come dice il ceo Unicredit Orcel – senza un partner solido Commerzbank non vale la metà di quanto quota adesso, dopo nove mesi di corte Unicredit. Ora è sempre spaventata, ma dall’oltranzismo Afd, e dice no a ogni mano straniera.      
La Germania di Merz è tutta inward looking, proiettata al suo interno. Il cancelliere parla con Macron, è andato da Trump, e anche da Meloni, ma con l’aria distratta. Pensa sempre: come faccio a sgonfiare Afd?

Ritornano gli anglosassoni

Non c’è solo Trump che non vuole “gli stranieri”, c’è anche la Gran Bretagna. E non quella di Farage, estrema destra, quella isolazionista del brexit, ma del governo laburista. E non si capisce il perché.

La sola spiegazione è è che sia un’esigenza “anglosassone” – una mentalità tribale, un comunitarismo razziale. Che gli anglosassoni esistono, come li chiamava il generale De Gaulle, che li temeva e li aborriva – pronunciava con disprezzo “les anglosaxons”. A lungo, si ricorderà, il generale ammonì contro la Gran Bretagna nella Comunità europea, in quanto “cavallo di Troia”.

Se la Germania è il malato d’Europa

Dopo un quarto di secolo e più che l’“Economist” labellò la Germania “il malato d’Europa”, l’etichetta va ancora bene. E questa volta la malattia è cronica, richiede un piano terapeutico a lungo termine. Il piano finanziario del nuovo governo, puntato sugli investimenti in infrastrutture e sulla spesa per la difesa è solo un inizio.“La Grmania deve anche aprire la sua economia alle tecnologie orientate al futuro, impegnarsi per una maggiore integrazione dei mercati in Europa, e costruire al suo interno un forte mercato dei capitali”.
Insomma, la crisi tedesca non è passeggera. Sono  cinque anni che l’economia ristagna: dal 2019  è cresciuta solo di uno 0,1 per cento. Cioè ha ristagnato. Per quest’anno e il prossimo il Consiglio degli Esperti Economici prevede  un crescita minima, dello 0,4 per cento – le autrici sono economiste del Consiglio, un organismo autonomo di esperti, che si dà il compito di consigliare il governo federale.
La Germania era il “malato d’Europa” nel 1999 perché aveva cinque milioni di disoccupati (la delocalizzazione, allora all’Est Europa, fu in Germania fulminea e larga), e la crescita minima. Oggi la crescita non c’è ma per altri motivi: il lavoro c’è, mancano i lavoratori. E “nei prossimi dieci anni la situazione peggiorerà, 20 milioni di lavoratori andranno in pensione e solo 12 milioni e mezzo li rimpiazzeranno. Ne  risulteranno ulteriormente aggravati i costi del lavoro: troppo alti, con una produttività risicata. La competitività ne ha sofferto.
“I costi del lavoro sono di fatto la causa maggiore del declino della competitività tedesca, più ancora degli accresciuti costi dell’energia”. I costi unitari del lavoro. “Vediamo questi fattori avversi all’opera in particolare nel settore manifatturiero,  che era il motore della crescita dell’economia tedesca ma ora è in continuo declino, dal 2018”.
Per questo aspetto il problema è anche italiano: la popolazione sempre più anziana e una offerta di lavoro insufficiente e poco qualificata. E costi del lavoro elevati – seppure insufficienti in quanto fonte di reddito: per scarsa produttività, cioè per scarsi investimenti.
Ulrike Malmendier-Claudia Schaffranka, Making Germany grow again, “F&D, Finance&Development Magazine”, mensile del Fondo monetario internazionale, free online

martedì 10 giugno 2025

Problemi di base d'autore - 866

spock

“La speranza non è una probabilità,  è una possibilità”, Edgar Morin?

 

“Per trovare fortuna bisogna averne. Almeno un po’. Almeno all’inizio”, Ernesto Franco?

 

“Giocare, giocare al lotto, per aspettarsi ancora qualcosa”, Annie Ernaux?

 

“Perdonare è più facile che dimenticare”, Elena Sofia Ricci?

 

“Il riposo è la lingua natale della velocità”. E. Jünger?

 

“Il ribelle è un infelice perché è uno sradicato”, Carlo Cassola?

spock@antiit.eu

Tragedie d’Italia

“Il racconto di quattro delitti italiani” è il sottotitolo. Il fattaccio più noto è “Il triangolo maledetto. Il delitto Casati”.Ma non mancano gli orrori in “Amore fino alla morte, Il boia di Albenga”, “Intrigo perverso. Il delitto del nano”, “L’atroce vendetta. Il delitto del Canaro” . Quattro fatti di cronaca raccontati nei risvolti noti e messi in prospettiva.
Una forma nuova di cronaca nera? Di più – anche molto di più, giacché è il libro più stampato di Cerami (e quello, forse, che ha avuto più editori nel secondo Novecento, se lo rubano). Racconti pubblicati su “Messaggero” dapprima, poi nella serie-regalo estiva dello stesso quotidiano, “I gialli di Roma”, a ottobre del 1991 (la riedizione migliore di tutti, con articoli e interviste che mettono in quadro le messe in quadro di Cerami), e successivamente in edizione Einaudi, 1997, e Oscar, 2006, prima di questa.
Si ripubblica con una nuova prefazione, di Sandro Veronesi. E con quella originale di Cerami, che spiega la sua romanità, con una infanzia poi segnata da Pasolini maestro di scuola. Veronesi apre con un episodio del genere dei racconti, per “l’attrazione inconscia del male”: una giornata in allegria, sulla barca di una coppia giovane e felice, che un  settimana dopo finiva in tragedia: “Al sorgere della mattina, prima di spararsi in fronte lei uccide il marito che ancora dormiva”.
Un occhio romano, disincantato, su vicende truculente ma pur “romane”, mediocri, con risvolti grotteschi, e perfino ridicoli. Per l’attrazione sempre distruttiva a autodistruttiva del male, ma cui si obbedisce inconsapevoli, per una sorta di istinto belluino. Senza molta compassione, più con la cattiveria dell’autore di “Un borghese piccolo piccolo”.
Vincenzo Cerami, Fattacci, Garzanti, pp. 252 € 14

lunedì 9 giugno 2025

Quando i referendari fecero vincere Berlusconi

Quando Veltroni voleva chiudere Berlusconi - la tv “commerciale”, che schifo - gli elettori non disertarono il referendum, e dissero no, in massa.
Unanime, quasi commovente, nelle celebrazioni di rito dei referendum di trent’anni fa, l’11 giugno 1995, quelli contro la tv commerciale, promossi da Walter Veltroni, “non si interrompe un’emozione”, la mancata menzione dello stesso Veltroni. Neanche nella requisitoria anti-promotori di Alberto Mingardi, il direttore dell’Istituto Bruno Leoni, ideologo del liberalismo, “Meglio poter scegliere” – che la Mondadori dei Berlusconi si pregia di poter celebrare. È vero che Veltroni, “non sono mai stato comunista”, è passato al liberalismo.
Anche allora le sinistre persero ma ci fu un vero voto, una mobilitazione. Contro i referendum.
I referendum erano stati presentati con ben nove milioni di firme. Proposti da Rifondazione Comunista, Verdi, Pds (ex Pci), Federazione Laburista di Valdo Spini, ex Psi, La Rete giustizialista di Leoluca Orlando, Partito dei Democratici (Psi, Patto Segni, repubblico-comunisti – Bordon, Ayala, etc.), Pri, e due partiti Popolare, uno  di Gerardo Bianco e uno di Rocco Buttiglione, e Bossi – che aveva appena buttato giù il governo Berlusconi su ordine del presidente della Repubblica Scalfaro.
Votarono 27 milioni 773 mila persone, il 57,22 degli aventi diritto, con ben 15 milioni 240 mila no - i sì fermi a 11 milioni 720 mila, pochi di più dei disciplinati firmatari.
Un’altra Italia? Ma era solo trenta anni fa, con Berlusconi già “in campo”. È che la “gente” vota con cognizione di causa, mentre i referendari vanno volentieri col paraocchi.

Ombre - 777

Siamo passati dal lunedì 2 giugno, la festa del primo referendum, onesto, sì oppure no, al lunedì 9, per i referendum di Landini  che nemmeno un luminare del diritto avrebbe potuto sceverare – ammesso che uno sia andato al seggio per votare sui quesiti e non per “obbedienza di partito” (di partito, di quale partito?). Uno spettacolo per Landini, tutta la campagna referendaria in tv, e anche dopo, per “celebrare” la sconfitta. Mah!
 
Cauta, cautissima, la Rai sulla débacle referendaria. Domenica il notiziario delle 13 dà l’affluenza al misero 7 virgola alle 13,25, dopo i delitti, le guerre, lo sport, e in cinque-sei parole, passando subito ad altro. Strano per essere una Rai di destra, in virtù dello spoil system, quindi anti-referendaria. In realtà la Rai è immutabile – è quella di Bernabei, di sinistra e di destra, democristiana. Ci sono sempre Dc di destra e di sinistra, abbastanza per coprire ogni spoil system, purché non si cambi.
 
C’è un deep State anche in Italia, ma non militare e non finanziario – basti vedere la fine di Mediobanca-Generali, i “poteri forti” laici. La Rai è una di quelle cose che la Dc non ha mai ceduto, con l’energia (Eni, Enel), la ricerca scientifica, e l’università.
 
La banca anche si può dire Dc: le vecchie Popolari e Casse di risparmio, oltre all’impero Intesa costruito da Bazoli, il consulente finanziario del vescovo di Brescia. Unicredit fu creata per bilanciare il compromesso di Berlinguer, sempre da banche bianche ma affidandone la gestione al compagno Profumo – come poi il fatale Mps.
 
“Il Btp migliora su tutti gli spread. Risultati al top nell’eurozona”, certifica “Il Sole 24 Ore”. Meglio che col governo Daghi? Molto meglio: anche un governo eletto può fare cose buone, certificherebbe un moderno Poirot.
 
“La questione delle curve pericolose non è solo milanese”, spiega Marina Del Duca in un’inchiesta su “l’Altra Voce” oggi – delle “curve” allo stadio, del tifo calcistico: sono 431 gli ultras censiti dalla Digos, orientati per lo più politicamente, quindi da destra a sinistra, le cui attività vanno dal bagarinaggio al merchandising, e allo spaccio di stupefacenti. Bello sport – il tifo, non era una malattia?
 
Oh 
meraviglia, un tripudio, tricche e ballacche e putipù, per il riarmo, al 2 per cento, no al 3,5, no al 5 per cento. Nessun giornale o tg che spieghi cosa vuole dire il 5 per cento del pil da spendere in armi. E per fare che?

 
Lodi anche esagerate, da campagna promozionale, gratuita?, per la “partecipazione” tedesca e francese alla guerra in Ucraina, contro la Russia – partecipazione che Germania e Francia tralasciano di rivendicare, anche perché non la fanno.
Cioè, il giornalista italico è il tipo Gano di Maganza nell’opera dei pupi palermitana del signor Cuticchio, che intima: “Vile Meloni, tìrati di panza!”
 
Dopo la lite con Trump, Elon Musk diventa beniamino democratico. All’istante. Gli comprerebbero anche Starlink. Adorabile anche per l’abitudine di “farsi”. Non era molto, qualche settimana fa, che era un nazista - “ha fatto il saluto nazista”, etc.
 
Nemmeno una riga, non in Italia, per Joshua Wong - eccetto “il Foglio”. Che pure in Italia dovrebbe essere noto, in qualche modo, ospite nel 2019 al Senato dei Radicali e di Meloni - da remoto, perché impedito di lasciare Hong Kong. E un anno dopo ancora al Senato, ancora invitato da Fratelli d’Italia, senza più i Radicali. Chi è Joshua Wong? È l’attivista più noto per la democrazia di Hong Kong, cui Xi ha messo la museruola – per di più è cristiano. La cosa non interessa, la Cina è un affare.
 
Per Brusca in libertà Saviano esibisce sul “Corriere della sera” una disamina particolareggiata dell’uomo, delle mafie (di Riina, Cutolo, Messina Denaro), dei “pentimenti”, della spregevolezza di questi assassini che lo Stato protegge, mentre maltratta gli “innocenti…in carcere per mancanza di adeguati strumenti di difesa”. Invidiabile. Niente del genere sui media per la politica, italiana (solo cerchiobottismo) o internazionale (a parte il tycoon). Solo le mafie hanno specialisti.
 
Le cronache romane scoprono all’improvviso quello che tutti vedono e sanno, che Roma è “la capitale delle strade più pericolose”. Lo dice uno studio multinazionale e non possono più tacerlo. Anche perché, tra buche, asfalto dissestato e indisciplina si fanno quasi cento incidenti al giorno, e i morti sono 66 negli ultimi diciotto mesi. – “in manutenzione si spende meno che a Venezia”, che come si sa ha strade d’acqua. È la vecchia scuola delle federazioni giovanili? Tutto è politica, fare il cronista per fare domani il ras politico?
 
“Frustrazioni e paranoie portano alla violenza”, dice Crepet, a proposito dei “messaggi” contro i politici. Che però non sono di dementi: quello che voleva la morte per la figlia di Meloni e si vuole fare passare per scemo è un professore
 di liceo. Professore pure quello che prometteva “Piazzale Loreto”  sempre a Meloni. La violenza politica si direbbe di “destra”, mentre qui è di“sinistra”. Non da ora, da Berlusconi in poi, cioè da trent’anni.

Cioè, al netto delle minacce, sono trent’anni  che la destra è maggioritaria in Italia, nell’opinione. E la sinistra frustrata e vendicativa?
 
Nemmeno il Brasile, il Brasile di trenta e quarant’anni fa, ha avuto una reazione simile a quella della Francia per la vittoria in un torneo di calcio. La vittoria di un club, di uno sceicco, nemmeno della Nazionale. E la violenza ovunque, non in centri particolari, o contro un nemico. Si pensa alla Francia come a sorella latina, più aggraziata e intelligente, e più compatta. Mentre è sempre stata incline alla violenza - si pensi ai “gilet gialli”, alla violenza per la violenza, ogni sabato, per mesi e anni. L’Italia non ha avuto peggiori invasori dei francesi, Normanni, Angioini, Carlo VIII, Luigi XII, Napoleone, col diritto al bottino – anche a mettere nel conto la reazione austriaca al Risorgimento (gli austriaci non si portarono via nemmeno un quadro).
 
Andiamo al referendum per dimezzare l’attesa per la cittadinanza, e che si scopre? “L’Italia è prima in Europa per le naturalizzazioni”, il sociologo Maurizio Ambrosini, fautore del Sì al Referendum: “Grazie alle sanatorie varate dai governi guidati da Silvio Berlusconi. Lui è stato il più grande regolarizzatore europeo degli ultimi quarant’anni”. Al governo con la Lega.

Il “bruttissimo ometto” Alvaro accudito da C. Campo

L’unico ricordo di Avaro per i sessant’anni della morte, l’11 giugno – evento dimenticato, come i 130 anni della nascita, il 15 aprile. Ma pieno di cose, e con un approccio critico più aderente, all’uomo e al personaggio.
Colpito da un tumore irrimediabile, Alvaro lo visse in silenzio, “aveva il pudore del male”. Non volle compianti di amici e conoscenti, ma si ebbe, negli ultimi due mesi, la vicinanza di “una giovane studiosa e colta poetessa, che pure in una beve e travagliata esistenza avrebbe scritto pagine fra le più belle del Novecento, Cristina Campo” – “nome di Vittoria Guerrini, oppure Vie, come usava firmare le sue lettere”.
Lei sì, aveva agio di frequentarlo, come racconta a vari corrispondenti, Alvaro, “un bruttissimo ometto”, in quei due mesi. Dapprima per un suo progetto di rivista letteraria – che non si farà – poi per abitudine. “Vado ogni giorno a vederlo”, scrive a un’amica: “Spesso lo affidano a me, nel pomeriggio. Non parla che poco, ma ci intendiamo con gli occhi. Ciò che riesce a dire è importante… Anch’io gli dico certe cose. Spesso lo faccio ridere. E quando ride chiude gli occhi ed è bello…”. E un ritratto “intenso e partecipato” ne farà in morte, in quattro lettere indirizzate, tra maggio e giugno del 1956, all’amica “Mita”, Margherita Pieracci Hallwell. Si erano conosciuti nel 1956, per il tramite di Margherita Dalmati (Maria-Niki Zoroyannidis), la traduttrice in greco de “La lunga notte di Medea”, il dramma di Alvaro che ancora va in scena.
Il titolo del saggio è quello di un libro di Giovanni Carteri, che indaga “il fondo cristiano della spiritualità di Alvaro. Ma Teti è già curatore di suo, dieci anni fa, del volume Donzelli di Alvaro, “Un paese e altri scritti inediti1911-1916” . È da Carteri che Teti estrae molti particolari della vita e la sensibilità di Alvaro. Aggiungendo le sue letture da antropologo. Alvaro e l’acqua, Alvaro e la comunione  – “la dimensione del mangiare insieme, dell’acqua come purificazione”. Con molti riscontri a sorpresa, nella testimonianza del figlio dello scrittore, Massimo, e nelle opere di Alvaro.
Non amava che si parlasse di lui – questo è un alro aspetto che Teti personalmente ha indagato. Ma “la scrittura di Alvaro ha una forte dimensione autobiografica”. In particolare, last but non least, sempre rimasto radicato, primo e forse massimo esponente della “restanza”, delle origini condizionanti e continuamnte dissodate, sepure di persona trapiantata stabilmente altrove.
Vito Teti, La lunga notte di Alvaro, “Corriere della Calabria”, 8 giugno 2025, online    
 

domenica 8 giugno 2025

Problemi di base referendari - 865

spock

Ma chi è questo Landini, che accende la rivoluzione dalle tv di Cairo?

 

Un influencer, con così pochi followers?

 

Un agitprop – del capitale?

 

Verrà mica dal Chiapas, luogotenente del subcomandante Marcos, che ancora deve manifestarsi?

 

E Elly Schlein, che vantava 12 milioni di followers, 12,4 per l’esattezza: avrà sbagliato la virgola?

 

Ma questa Cgil, non sarà una Compagnia Giochi Infantili Liberi?


spock@antiit.eu

L’esercito di Trump, i bianchi poveri

“Da tempo sono preoccupata e al contempo affascinata dall’ascesa della destra negli Stati Uniti”. Entra a gamba tesa Arlie Russell Hochschild, sociologa di riferimento per gli studi sulle emozioni nella vita sociale e politica, icona della sinistra politica in America, su “Una città”, il mensile molto progressista di Forlì (di interviste e foto, ora al suo trentesimo anno di vita). Per gusto della verità,  o perché a 85 anni uno può dire ciò che pensa. E ciò che pensa, in questa dettagliata e argomentata intervista, la accomuna al vice di Trump, J.D.Vance, che prima di entrare in politica è stato una dozzina d’anni fa autore bestseller di una “Elegia americana”, in realtà “Hillbilly Elegy”, elegia dei cafoni, che sono i bianchi del Kentucky, con i quali è cresciuto. Nello stesso tempo, nello stesso Stato, con gli stessi “bianchi a pallini neri”, Hochschild scopriva la stessa America, abbandonata, impecuniosa, specialista di aiuti governativi, beona, drogata, attaccabrighe.

“Nel 2016”, esordisce Hochschild, “ ho scritto un libro incentrato su una regione degli Stati Uniti profondamente di destra, il Sud, la Louisiana, dove il Tea Party, un precursore del movimento Maga, era molto forte. Lì ho imparato che le cose che Donald Trump offriva alle persone facevano risuonare in loro qualcosa… “. Poi, dice, per approfondire, “ho scelto un’altra area del Paese, il Kentucky Orientale, il Kentucky 5, che è la regione più bianca e la seconda più povera del Paese….”.
La regione più bianca è la più povera. Vance non è arrivato a tanto, compulsa moltissimi studi ma questa statistica gli è sfuggita o non ha voluto considerarla. Ha però rappresentato quello che ora Hochschild spiega, i bianchi impoveriti del Kentucky orientale col prospiciente Ohio. Nel mondo come ora Arlie Hochschild spiega: “Non era questo ho poi scoperto l’aspetto importante, che fosse un’area bianca e povera, bensì che sentiva di aver perso quello che aveva. L’elemento della perdita….”. Il risentimento nel degrado.
Da leggere, è un’intervista lunga e breve – a volte la sociologia è istruttiva. Il problema è che l’impoveriento dei bianchi – in realtà dei lavoratori  manuali – o è bollato di razzismo, o è ritenuto marginale. Se non, nell’ottica americana, di falliti o incapaci.
Arlie Russell Hochschild (intervista a cura di Barbara Bertoncin), L’orgoglio e la vergogna, “Una città”, n. 309\2025, aprile, free online