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letterautore
Barricata – Termine e concetto
sono di origine spagnola (castigliana)? ; “No barricado for a belly” è in Shakespeare,
“Il racconto d’inverno”, I, II, 204, il dramma romanzesco ambientato a Messina.
Dante - Ballerino –
questa mancava. A mezzo della recensione di un volume illustrato e quasi musicato,
“Dante’s Perfomance”, sulla messa in scena al Covent Garden il14 ottobre 2021 del
balletto “The Dante Project”, il critico e accademico italianista Stefano Jossa
su “La Lettura” può glossare: “Dopo essere stato poeta, profeta, politico, patriota,
linguista, filosofo, filologo, teologo, persino alpinista, runner, dispensatore
di ricette e cronista sportivo, Dante era diventato finalmente anche
ballerino”. Ma non senza ragione, ragiona Jossa commentando una ricerca di Francesco
Ciabattoni, italianista a Georgetown, che ha intitolato “Dante’s Performance. Music,
dance and drama in the «Commedia»”: le sue “scene” sono riconducibili alle
“Laudi”, in piazza, la stessa struttura
del poema è drammatica, performativa: Dante è sempre in scena, con numerosi
personaggi e storie spettacolari. Quindi anche teatrante.
La “Vita nuova” è ripetutamente per Montale, “Dante ieri e oggi”, la
conferenza tenuta a chiusura del Congresso fiorentino per il centenario della
nascita, nel 1965, un “libello”.
Don Juan – Di Byron “l’unico
poema ancora leggibile che ci ha lasciato”, E. Montale, “Dante ieri e oggi” -
in “Auto da fé”, 329, e “Sulla poesia”, 32: “L’ironia e il senso del pastiche
modellano ottave di vaga ispirazione ‘italiana’”.
Gabbiano – “Dal grido
dimesso, di un’avidità malinconica”, lo sente Ernst Jünger sul mare di “Illador”
(Villasimius) in Sardegna – nel diario di viaggio “Presso la torre saracena” (nelle
raccolte “Terra sarda” e “Il contemplatore solitario”).
Gadda – “Teatrale” lo vuole
Alba Andreini, la sua studiosa principe – principessa? Alla voce “Teatro” della
“Pocket Gadda Encyclopedia” dell’università di Edimburgo, curata da Federica G.
Pedriali. Andreini fa una sintesi della “teatrografia” sulle opere di Gadda
(compreso l’adattamento venticinque anni fa operato da Ronconi sul
“Pasticciaccio”), ma presto approda a “un’altra, meno visibile, conclusione: la
forte teatralità intrinseca alle opere non teatrali di Gadda”.
La “teatralità
filologica” di Gadda era già nel “romanzo” di Elsa De Giorgi sul suo amore con
Calvino, “Ho visto partire il tuo treno”.
Italiano – Santa Cecilia
recupera a Roma un’opera di Hāndel, “Rodelinda” – una delle opere più eseguite
di Hāndel ma in Italia le sue opere non vanno molto, controtenori (i vecchi
“castrati”) e contralti, con le arie a vari daccapo, non funzionano. Ci si rende
conto nell’occasione che Hāndel a Londra, quarant’anni di Londra, fino alla
morte, operista acclamato, produceva opere in italiano. Almeno 37 delle sue 42,
stando ai cataloghi. Con vari librettisti italiani. Per un pubblico londinese
che le amava evidentemente molto, e in qualche modo le capiva. Le sue altre
opere censite sono le tre giovanili in Germania, su libretto in tedesco, e nel
1718, qualche anno dopo lo sbarco a Londra, l’oratorio in inglese “Acis and
Galatea”, dalle “Metamorfosi” di Ovidio, scritto da John Gay sulla traduzione
di Ovidio operata da John Dryden, un tentativo di opera inglese evidentemente non
gradito.
Joyce – Con l’“Ulisse”
“non crea un linguaggio, lo distrugge” – E. Montale, “Dante ieri e oggi”
(“Sulla poesia”, 32). A maggior ragione col “Finnegans Wake”, è da supporre.
Orano – Lo scrittore
Boualem Sansal, Gran Premio del romanzo dell’Accademia di Francia, è stato arrestato ad Algeri per avere sostenuto
che la città di Orano, nella regione occidentale, era marocchina e non algerina.
Orano, la città di adozione di Camus, che in vari racconti (vi ha ambiento
anche “La Peste”) utilizza parole italiane e spagnole del gergo locale – Camus che veniva
dall’Est algerino, ala frontiera con la Tunisia, da un paese chiamato Mondovì.
C’era molta presenza italiana e spagnola nel Maghreb, nei secoli, prima che la
Francia occupasse e si annettesse l’Algeria, nel 1830-34.
Otello – Non più
rappresentabile, per il politicamene corretto? Per l’“atro tenebror” del viso e
il “selvaggio dalle gonfie labbra”. A Venezia Francesco Meli lo farà bianco.
Ma c’è anche il femminicidio. Qui si può rimediare, lo stesso Meli ha la
soluzione: Otello non uccide per gelosia ma contro il tradimento. “Per Otello
il t2radimento vero non è quello sessuale ma della lealtà”. Uccide perché tradito
nella fiducia, nel dovere di lealtà. “Ho provato a immaginare un altro finale”,
spiega il tenore a Giuseppina Manin sul “Corriere della sera”: “Se Desdemona
gli avesse confessato di essersi innamorata di un altro, Otello si sarebbe
disperato ma avrebbe capito”. Questo è vero. Oggi, età dei diritti, non è la gelosia
alla radice della violenza, o al centro dei dissidi di coppia, ma sgarbi, trucchi,
interessi.
Pound – Cosa deve a
Dante, si chiede Montale in “Dante ieri e oggi” (“Sulla poesia”, 32)? “Evidente
è il tentativo di porre mano a un poema totale dell’esperienza storica
dell’uomo nei cento e più ‘Cantos’ di Ezra Pound, che non ha voluto però
imitare le simmetrie e la rigorosa struttura della ‘Commedia’”. E non sono
un’ascesa ma piuttosto una discesa: “I ‘Cantos’ contengono tutto lo scibile di
un mondo in disfacimento”, continua Montale, e in essi il senso del carpet
domina su quello di una costruzione, di un avvicinamento a un centro”.
Con una postilla: “Se fosse però vero che l’argomento ultimo del poema
dantesco fosse il cosiddetto dono di Costantino, allora forse potremmo trovare
un parallelo nel tema poundiano
dell’usura”.
Russia - “Per l’Europa
la Russia è l’epitome della Sfinge”. E “Se c’è al mondo un Paese più
sconosciuto e inesplorato, più incompreso e incomprensibile, questo Paese è
indiscutibilmente la Russia per i suoi vicini occidentali”. I cui pensatori, si
può aggiungere, si pregiavano di pensare per San Pietroburgo, e le cui principesse
di fare le zarine nella stessa città. È Dostoevskij del 1858, o 1859, reduce da
tre anni di processi politici e da sette di Siberia, nel primo articolo che
scrive per la rivista che ha in animo di lanciare, “Il tempo”, per rifarsi del
tempo perduto. E che ora si traduce in italiano. “La Lettura”, che ne anticipa
la pubblicazione, confina questo “inedito” Dostoevskij alla p. 31, l’ultima del
settore libri. È solo per atlantismo – niente più russi tra noi? O niente è
cambiato?
Scrivere – “Per farla
semplice, quando scrivo impazzisco”, spiega a Montefiori su “La Lettura” lo
scrittore francese del momento, Édouard Louis: “A causa della scrittura non
posso vivere senza prendere sonniferi, senza antidepressivi, senza crisi
d’ansia…. Il mio corpo a 32 anni è già rovinato, soffro di tachicardie, di
irritazioni della pelle, che derivano dall’angoscia” - “ma allo stesso tempo
non posso impedirmi di scrivere”.
Era il modo di essere e di scrivere di Sartre, che abusava di anfetamine
e altri eccitanti, ogni sorta, la mattina, scrivendo di filosofia, spesso tutto
il tubetto, venti compresse, e la notte nell’alcol, come lui stesso lo spiega
Simone de Beauvoir in “Conversazioni con Jean-Paul Sartre” (in
appendice a “La cerimonia degli addii”): “Ne ho usato molto, per vent’anni”,
fino a una “crisi abbastanza grave”, nel 1958 - “Correvo, prendevo non una
pasticca di corydrane ma dieci alla volta…. Un tubetto d’ortedrina mi durava un
giorno”.
Voci – Suonano diverse
“continuamente”. Graham Greene lo nota in “L’americano tranquillo”. E poi
aggiunge: “Le voci hanno un colore, le voci dei gialli cantano, le voci dei neri
gorgogliano, mentre le nostre parlano e basta”. Anche questo può essere vero:
la prima volta in Cina, al risveglio la mattina all’atterraggio una voce
femminile in aereo si mise a cantare, e quando tradusse in inglese disse “stiamo
per atterrare etc., allacciate le cinture di sicurezza”.
C’è d a chiedersi però se per i neri le nostre voci “parlano e basta”. Per
gli orientali c’è una grande differenza, di suono e di senso, fra il tedesco, per
esempio, anche l’inglese, e l’italiano – “lingua musicale” per gli orientali.
letterautore@antiit.eu
“Nulla rischia di
uccidere la democrazia più che l’eccesso di democrazia”. Si ricorda per questa
apertura il saggio del titolo, con cui Bobbio chiudeva gli anni 1970, del ribellismo
terrorista. Per il resto, molte righe, molte macerie.
I salti mortali per “democratizzare”
il partito Comunista, tipicamente gerarchico, volutamente. O l’alternativa? Di
Andreotti con Berlinguer? Di Prodi con Berlusconi, due democristinai doc,
benché a differente caratura? Usa dire “scienza triste” dell’economia, ma questa
scienza giuridico-politica sembra peggio.
Una raccolta con
molte riedizioni, almeno quattro, e quattro premesse. Di spiegazione della spiegazione,
più che di aggiornamenti. Una riflessione in progress, sì, ma. La democrazia
è anche semplice – è un fatto e non una dottrina, sa andare avanti da sola.
E Bobbio lo sapeva,
prima di “allinearsi”.
Noberto Bobbio, Il
futuro della democrazia, “Corriere della sera”, pp. XXVII + 207 € 8,90
Einaudi, pp. XXVI-220
€ 12
Merkel non richiesta anticipa – fa anticipare
da “Die Zeit” – le poche righe di una pagina delle 750 delle sue profuse
memorie in cui figura avere obiettato nel 2008 all’ingresso dell’Ucraina nella
Nato. Avrebbe potuto dire di più: perché, da garante degli accordi di Minsk,
2015, fra Ucraina e Russia, non li ha fatti applicare, evitando probabilmente
la guerra. Ora è per la pace perché il suo partito è in una campagna elettorale
delicata, dove deve contrastare i movimenti anti-guerra. O adeguarvisi, visto
che sono in forte crescita, sulla destra che il suo partito presidia, oltre che
a sinistra dei socialdemocratici.
Ma non c’è solo il tatticismo di Merkel
in gioco. Né la paura, o il rigetto, della guerra in Germania. C’è la verità
della cosa, che stenta ancora ad emergere: non c’è una terza guerra mondiale in
corso, come dicono il papa, Putin, e la portavoce di Biden. C’è una guerra
europea, come ce ne sono state nella ex Jugoslavia trent’anni fa, fino alla
scoperta del Kossovo, a “intensità (meno) bassa”. Una guerra che già nella terminologia
richiama l’origine: la guerra “a bassa intensità” è terminologia americana, varata
e applicata per prima in Europa - tra slavi, un tribalismo che i servizi
angloamericani conoscono bene e alimentano, ma sempre in Europa. Per guerre che
l’Europa combatte e non sa nemmeno perché. Ma che gli Stati Uniti armano e non
combattono. A cominciare da quando nasceva, si pensava nascesse, la Fortezza Europa,
attorno all’euro.
Trump non è solo mostruoso, è anche noioso”,
dichiara Alec Baldwin, popolare in
America perché ne fa la macchietta in tv: “Se fosse intelligente sarebbe
più interessante per me”. Che è più intelligente di Trump?
Settimana distensiva per gli indici di Wall Street (non ascoltano Baldwin): Trump è il solito Trump, nomina e disnomina, e i missili di Biden volano lontano. Le borse europee invece li temono. Sembra che abbiano colpito in Europa e non in Russia.
Settimana di passione per Milan-Juventus,
con paginate sulle teorie, tecniche e tattiche di due allenatori che non hanno
vinto nulla, fanno un gioco modesto, incassano goleade come all’oratorio. E
sono strapagati. Quello della Juventus abile anche a far regalare al Marsiglia il
centrocampista Rabiot come fosse un bidone, uno che da solo ha poi umiliato la
Nazionale italiana – per comprare a carissimo prezzo, e a ingaggio altrettanto
caro uno che a Torino fa il malato e in Olanda gioca, segna e vince. Il calcio italiano è di furbi scemi?
Singolare anche lo strapotere di Motta, l’allenatore
della Juventus, e del suo direttore generale Giuntoli sui media. Con una
presenza costante, capziosa, magnificante sui giornali sportivi, “Tuttosport”, “Corriere
dello Sport”, “Gazzetta dello sport”, sulle pagine sportive dei quotidiani,
nonché sui social di ogni tipo. Lo sport diventa comunicazione – anche lo
sport? Propaganda?
Orlopp, la ceo di Commerzbank, dice che sulla fusione in Unicredit non decide il governo - dimissionario, fatto non trascurabile: se ne riparlerà in aprile-maggio, con i Popolari alla cancelleria - ma il management. Mentre sa che decidono gli azionisti. Si prepara la buonuscita?
Emilia-Romagna, “il Pd sfiora il 43 per
cento, ma perde 110 mila elettori”, rispetto alle Regionali 2020. Pur avendo
fagocitato i 5 Stelle. Una stravittoria? E se avessero votato gli altri?
“Il neoliberismo è stato un fallimento”,
Joseph Stiglitz, l’economista premio Nobel che fu consigliere di Clinton per la
globalizzazione. Non per il resto del mondo, ma sì per l’America e l’Europa.
Che ha astretto a paghe basse, bassa produttività e poca imprenditorialità. “Non
esistono pasti gratis”, la bandiera del neoliberismo, significa che qualcuno
deve pagarli.
“Kamala Harris è un abito vuoto”, “La
Lettura” ricorda che Scott Thurow lo disse il 25 febbraio – sulla stessa
“Lettura” John Grisham l’ha sempre pensato, attesta “La lettura”: “Fu scelta da
Biden soltanto perché è un donna, nera”. Migliori commentatori politici sono i giallisti?
Si scoprono dopo la sconfitta le
debolezze di Kamala Harris, una di casta nobile, che ha avuto tutto gratis, senza
esperienza politica – se non quella della ragazza viziata, di sinistra per
sport, alle manifestazioni politiche e sullo scranno del tribunale dove l’avevano
messa a San Francisco. Si scoprono per assolversi.
Settimane, mesi, con l’Italia in ansia: ce
la farà Fitto, non ce la farà? Questa Italia è tra le cose più scontate in Europa:
basta darle un posto, un amico degli amici, e questo basta: trema, obbedisce,
esegue, anche se non sa che cosa: abbozza, come si dice a Roma nel gergo anche
non-Dc. Politiche? Progetti? Strategia? Ma de che – sempre a Roma, in ambito parrocchiale
e non.
“L’Italia sa badare a se stessa”: formidabile
ben trovata battuta del presidente Mattarella, spiazzante per il tweeteriano più
scafato. Lo stesso Mattarella, che presiede il Consiglio Superiore della Magistratura,
e dunque conosce dal di dentro lo stato dell’arte, come governa il golpe giudiziario
in atto da un trentennio – più di Mussolini?
Si tengono le assise di Magistratura Democratica,
e si concludono, senza che una sola voce si sia alzata per richiamare l’esercizio
della giustizia nel suo alveo, fuori dalla politica. Si chiama democratica una
corrente sindacale che vuole fare del giudice, certo nel suo piccolo, un dittatore,
in spregio delle leggi.
Presentando il suo film “Favoriten”, su tre
anni di una classe elementare di Viena nel quartiere omonimo, la regista Ruth
Beckermann dice della maestra, Ilkat Ildiskut, viennese figlia di turchi
immigrati: “Lei, che prima di questa scuola insegnava in un distretto borghese,
mi ha confessato di stare molto meglio a Favoriten. Nella scuola di prima i genitori
non le davano tregua. Una insufficienza
era una tragedia”.
Si può arare
Gadda per quattrocento pagine? Sì, con beneficio. La materia c’è e il buon critico
sa, a maggior ragione, come fiutarla – Walter Pedullà, decano degi italianisti,
una lunghissima esperienza di critico militate, più degli altri.
L’esito è un
corpo a corpo con l’Ingegnere, massiccio come il suo critico, di fisico e di armamento,
intellettuale o cognitivo, e umorale o temperamentale. Appassionati in ogni
virgola. Una sorta di duello, con l’Ingegnere proiettato sul rovescio della sua
molto autoprotettiva autobiografia. Buonannulla naturalmente solo perché non pratico,
non ingegneresco, non manageriale, insomma non produttore o moltiplicatore di sghei.
Una sorta d’incontro
fra due giganti. Di Gadda si sa. Di W. Pedullà le letture sono duelli, di fino
e di forza, con l’opera e con l’autore, di fioretto e di sciabola. Per e dopo
una lettura attenta, critica, oltre che partecipativa. Una critica al servizio
anche dei lettori, oltre che degli studiosi, sui quotidiani e i settimanali, da
tempo cancellata, e di cui è quindi più grata la riscoperta. Gli studiosi di
letteratura contemporanea, critici “militanti” fino all’altro ieri, sono svaniti
da qualche tempo, o pensano di aver perso la parola, se non hanno perso già la
voglia di leggere, la letteratura considerando “interrotta”, come nota amabile
Giorgio Ficara – “esiste ancora la letteratura italiana”, una che non sia “una cattiva
traduzione da un cattivo inglese”?
È anche per questo
che è scomparsa la “letteratura” contemporanea, per il mancato filtro critico?.
Si pubblicano molte storie, e ora anche si vendono, si festeggiano in
presentazioni in serie, di cinque, dieci, venti, cento città, si premiano.
Anche i poeti, tutti per qualche verso memorabili di cui nessuno ha mai saputo
niente, o ricordando qualche verso nel senso dell’“attualità”. Il Critico invece
è disappetente. La funzione quindi si è inaridita o persa, diluita in soffietti
promozionali, di questa o quella scuola di scrittura, direttrice di collana o
casa editrice, addetta stampa e pr, amica, anche non bella guagliona.
W. Pedullà, che molte
avvertenze sulla deriva ha lanciato a suo tempo in abbondanza, senza volersi
“apocalittico”, ha continuato a leggere evidentemente, poiché invoglia a
leggere. Molte le suggestioni. L’Ingegnere le sue personali vicende e
idiosincrasie ha trasformato in crisi, drammi e tragedie personali. Di un’esistenza
prosaica e anzi piatta facendo una eroica. Sempre senza credersi, ironico senza
fondo. Pedullà, condividendone lo spiritaccio, lo scopre lemma e lemma, tic,
nevrosi e misantropie, come le amicizie devote, dell’uomo legando all’opera, e
viceversa.
Con una lettura a
specchio, del critico con l’autore. Con una scrittura non nuova in Pedullà, ma
qui come a ricalco dell’autore. Sfidando anche lui il senso comune, le costruzioni
“logiche”, il minimalismo, ne moltiplica e amplifica la lettura – oggi si
direbbe la fruizione.
Walter Pedullà, Carlo
Emilio Gadda. Storia di un figlio buonannulla, Editori Internazionali
Riuniti, pp. 399 pp.vv.
Non si è innocenti se non lo vuole il
Procuratore della Repubblica. Che a difetto di colpe, o anche in caso di assoluzioni
pronunziate, può continuare a considerarti colpevole. O forse non a considerarti,
ma a dire agli amici e conoscenti, specie ai cronisti giudiziari al suo orecchio,
che comunque sei un lestofante.
Il vice-presidente della Regione Liguria,
nella gestione Totti e in quella nuova, votata a ottobre, Alessandro Piana, lamenta
di essere stato indagato per un anno per un fatto che non ha commesso e non poteva
scommettere – un giro di squillo a base di stupefacenti. “L’indagine era chiusa
da tempo, ma si è voluto attendere”, lamenta – attendere le elezioni un mese
fa.
La notizia della chiusura delle indagini
e senza il suo nome fra i rinviati a giudizio, è stata data solo tre giorni fa,
dopo la sua conferma alla vice-presidenza. La Procura cioè voleva non solo danneggiarlo
alle elezioni, ma anche nelle nomine post-elettorali.
Il consigliere vice-presidente se ne
lamenta con cautela. Senza colpa per nessuno, e anzi con professioni di stima
per i giudici. Perché sa che ci sarebbero ritorsioni. Cioè, i giudici si temono.
Ma questo non interessa a nessuno, nemmeno a Mattarella – ha paura pure il presidente
della Repubblica?
Ideato,
sceneggiato e prodotto dallo stesso Krasinski– attore di molti film, regista di
“Un posto tranquillo”, sugli alieni senza gesta dall’udito sensibilissimo, più
noto come marito di Emily Blunt - è una vita fatta come vogliamo. Come la immaginiamo.
Sul presupposto
che i migliori racconti per bambini sono quelli che i bambini si fanno, Krazinski
immagina una ragazza che ritorna in casa della nonna, perché la madre è morta e
il padre è in ospedale, e qui, dopo aver rifiutato sdegnosa – “non sono una
bambina” – lo scatolone con i suoi disegni da piccola e altri materiali religiosamente raccolti e conservati nell’armadio, finisce poi per recuperarli. Se li porta in
soffitta, e vive con loro, la nonna eternamente assopita davanti alla tv, le
sue piccole e meno piccole attività di ogni giorno, in ospedale e per strada,
in loro compagnia - ogni pupazzo una
personalità e un linguaggio.
Semplice, e geniale.
Con una resa felice, per tempi, situazioni, dialoghi. Per bambini – o forse più
per adulti.
John Krasinski, IF
– gli amici immaginari, Sky Cinema
spock
Morire per Biden?
Basta “lo zar” Putin alla buona coscienza?
Perché cacciare
i russi dall’Ucraina – “prima” erano ben un quinto della popolazione?
Biden, dopo di
me il diluvio?
Ma la pax
americana è fatta di guerra – già cinque in venti anni?
La guerra non
ha limiti?
spock@antiit.eu
Ieri i missili, oggi le mine,
domani? È possibile che un presidente degli Stati Uniti visibilmente disturbato,
incapace di memorizzare e anche di coordinare le parole, di parlare, possa decidere
questioni di guerra? Evidentemente sì. E non è una novità nell’imperialismo –
non lo era già nell’antico impero romano? – anche se democratico.
Da non preoccuparsi, si dice, perché
su questo strano presidente vigila il deep State, l’insieme di costanti
della politica americana, specie in materia di economia, di politica estera, e
di difesa. Un organismo, o solo un orientamento, un sentiment?, tanto
volatile quanto incongruo. Biden è pur sempre il presidente che ha preso decisioni
tanto masochiste quanto bislacche – che il deep State, cioè, avrebbe
dovuto impedire, o correggere. Il ritiro dall’Afghanistan all’improvviso, lasciando
al terrorismo migliaia di persone che avevano lavorato con gli americani, per venti
anni - e le stesse truppe americane. O le provocazioni alla Cina su Taiwan, ripetute,
a nessuno scopo e a nessun effetto. O il sostengo totale a Netanyahu, che è processato
al tribunale penale dell’Aja, e pure in patria – per quale guerra? per quale fine?
in Israele ha lasciato che si scavasse un fossato incolmabile, per la stessa
sicurezza di Israele.
Per giustificarlo si dice che vuole
solo mettere il bastone fra le ruote al successore, l’odiato Trump. Per giustificarlo?
Questo Biden sarà intellettualmente
menomato, ed emotivamente scosso, ma ben il presidente degli Stati Uniti. Che agisce
come da tempo i suoi avversari, nel suo stesso partito, lo descrivono: chiuso
in se stesso e umorale, e intemperante. Nazionalista e nazionalizzatore come e
più di Trump, in economia, nella difesa, nella politica estera. E dalla vista
corta, cortissima. Assurdo, ma è quello che succede.
Putin ha avvisato che consentire l’uso
di armi americane per colpire all’interno della Russia farebbe degli Stati
Uniti una parte direttamente coinvolta nel conflitto.
Le opinioni in Russia sono diversificate,
sul significato della decisione di Biden – anche se tutte concludono che essa intensificherà
le azioni di guerra, sul campo, e nelle relazioni bilaterali Usa-Russia. Il “confronto”
cresce d’intensità, e il negoziato sarà più difficile da avviare, per un
armistizio o anche un semplice cessate il fuoco.
Ma in certo modo la decisione di Biden
era scontata: l’opinione in Russia è comune che la l’iniziativa di Biden mira a
mettere in difficoltà il successore Trump – che nella campagna elettorale aveva
promesso una soluzione al conflitto “in 24 ore”.
(“The Washington Post”)
Nella contea californiana di Alameda
(Oakland e Berkeley, con l’università di California) la Procura distrettuale
per anni ha mantenuto un gruppo di élite di procuratori per giudicare “i casi capitali”,
in cui chiedeva la pena di morte. Noti come Death Team. Ora si scopre che
alcuni membri del Team lavoravano per escludere sistematicante certe categorie
di giurati, inclusi gli ebrei e i neri.
Gli uffici delle Procure sono talvolta
chiamati “scatole nere”, perché l’operato interno è tenuto al coperto dal
pubblico. Ma più segni, nei documenti emersi alla Procura della contea mostrano
sentenze modificate oppure scavalcate. E
i criteri come le giurie venivano assemblate nelle cause con “la posta più
elevata”.
In California i processi che contemplano
la pena di morte durano solitamente decenni, e le possibilità di manipolazione
sono per questo ampliate.
(“The New Yorker”)
I giudici della Suprema Corte
durante la seconda guerra mondiale erano in tutto asserviti al presidente Roosevelt. Dal quale erano stati nominati, sette su nove di essi all’entrata
in guerra degli Stati Uniti.
Lo studio di un costituzionalista,
Ciff Sloan, “The Court at War”, trova le decisioni della Corte tutte allineate
alle decisioni presidenziali, dal controllo dei prezzi all’internamento degli
americani di origine giapponese. Contravvenendo al principio della divisione dei
poteri, quasi tutti i giudici operarono anche come consiglieri e consulenti di
F.D.Roosevelt, dalle nomine ai regolamenti e alle strategie politiche.
La concorde riconoscenza verso il
presidente contrasta con le frequenti liti e i pettegolezzi che dominarono in quegli
anni la vita interna della Corte Suprema. Il più litigioso sarebbe stato Felix
Frankfurter, l’avvocato liberal di origine austriaca, uno dei fondatori
nel 1920 dell’Aclu, American Civil Liberties Union, e negli anni 1920 costante
e veemente difensore di Sacco e Vanzetti.
La storia
del vecchio film di Spielberg, quasi quarant’anni fa, dallo stesso titolo, con la
stessa trama, ricavata dal romanzo dallo stesso titolo dell’ora molto celebre
Alice Walker, ottantenne icona della poesia americana e dei diritti civili delle
donne. Ma messa in musica: il film è la trasposizione in immagini del musical
che è stato tratto dalla messinscena di Spielberg.
Una storia all
blacks, all women¸ di violenze familiari, di uomini neri, padri, mariti,
a danno delle figlie e delle mogli. e di riscatto, tra donne. Qui con una squadra
di interpreti meno spumeggiante di quella di Spielberg, che annoverava Whoopy
Goldberg, Margaret Avery, Oprah Winfrey. Anche se voluta e prodotta dallo
stesso Spielberg e da Oprah Wimfrey. Anzi volutamente dimessa, nei costumi e
nel fisico, giri di vita larghi, seni cadenti, passo anelastico. Ma dalle belle
voci, furiose o dimesse, liriche, idilliache.
Una storia di
ingenuità che rasentano la stupidità. Sotto la sferza del disprezzo. Ma senza
cadere nella polvere o nello squallore: un mondo tratteggia di costruttori di
case e coltivatori di campi, ma avari e tignosi, anzi violenti. Una piccola borghesia
nera – due o tre bianchi fanno capolino non più di un paio di minuti in tutto, il
postino, il gelataio, la moglie del sindaco, tiranna sciocca. In cui la donna
semplicemente non esiste: non ha dignità e non merita rispetto, perfino il nome
ha incerto. Un mondo separato al contrario, senza avversione ma senza alcun
rilievo: di neri che sanno essere felici e infelici per sé.
Bliz Bazawule, Il
colore viola, Sky Cinema, Now
La
paura dell’Afd, di uno scivolone della Germania a destra, si conferma ogni giorno
di più il tratto dominante di questa vigilia di consultazione elettorale fra tre mesi.
Alla pari, se non di più, della crisi economica.
La paura non è infondata. Anche perché
il successo di Alternative für Deutschland nei Länder orientali è stato doppiato
da una costola dell’estrema sinistra, il movimento creato da Sahra Wagenknecht,
già animatrice di Linke, il partito scissionista a sinistra dei
Socialdemocratici. Che in un’intervista all’“Economist” a fine ottobre così
spiegava la sua “sinistra conservatrice”: “È semplicemente un programma che
corrisponde a quello che molta gente vuole. Da una parte la giustizia sociale.
Dall’altra una politica conservatrice basata sulle tradizioni culturali e la
riduzione dell’immigrazione, che si pone le questioni di guerra e pace”. In
comune questa sinistra e Afd hanno l’immigrazione, l’energia (meno transizione
verde, meno accelerata) e la difesa. Per difesa intendendosi la “questione
Russia”: niente guerra alla Russia. È per tenere conto di questa forte tendenza che Scholz non si è allineato, come Macron, alla decisione di Biden di consentire offensive ucraine in territorio russo con missili Nato a lunga gittata (e con serventi Nato) - e anzi ha provato a ristabilire i contatti con Mosca.
Su questi temi c’è stato anche,
evidenziato dal crollo massiccio dei Socialdemocratici e dei Verdi nei Länder
che hanno votato, un travaso da sinistra a destra. Al movimento personale di Sahra
Wagenknecht, e alla stessa Afd. Che, va ricordato, è stata fondata nel 2013, e
tuttora è presieduta, da una lesbica dichiarata, Alice Weidel. Una destra
capitanata da due donne, e con un certo richiamo a sinistra. I Verdi sono anche
fuori dai parlamentini regionali, dal 15-16 per cento essendo crollati a meno
del 5 per cento.
È su questa minaccia, doppiata
dalla crisi economica, che il governo Scholz si è infine diviso, avviandosi
alla dissoluzione. La lettera aperta di Lindner a Scholz, col richiamo
all’austerità, ai conti in ordine e senza debito, in un momento difficile
dell’economia, con chiusure di fabbriche e licenziamenti, ha avuto solo il
senso di anticipare il voto politico, per provare a bloccare il consenso
montante per l’estrema destra, proponendo un’altra destra, quella storica dei
liberali.
Lezione di calcio della Francia all’Italia,
e niente, come non detto (“L’Italia è prima, ma è seconda, etc. “). Della
Francia delle riserve. Compresi gli scarti francesi delle squadre italiane,
Guendouzy (Lazio), Koné (Milan), e il superlativo Rabiot (regalato dalla Juventus
al Marsiglia, proprio regalato, gratis…).
Una lezione all’Italia di calcio “all’italiana”,
con difese dentute (il miglior attacco è la difesa) e contropiedi, oggi ripartenze,
semplici, coordinati, eleganti, e fulminei. A un’Italia di passaggetti impacciati,
di giovanotti che non sanno che farsene del pallone, e lo mostrano anche, l’imperizia
chiamando costruzione dal basso. In una coi commentatori: “Tra le linee, cerca
il controllo, controllo che non riesce….”.
La
Francia non ha vinto col contropiede, ha fatto gol su calci piazzati – giusto per
umiliare di più gli italiani? Ma ha vinto anche la gara dell’eleganza, dell’atletismo,
del gioco di squadra. Dell’intelligenza. Ma è solo calcio?
Il paese del puritanesimo, che si
rigenera a ondate, oggi fulminante, è stato mallevadore - e vittima -della
sessualità a ogni costo, in ogni libro e in ogni film, in ogni condizione e in
ogni posizione, motivo delle più diverse (sfrenate? puritane?) fantasie. Insomma,
del sesso libero e del free porn. Talese, oggi novantaduenne, ne fa il quadro
degli anni 1970-1980 (il libro è del 1981), sull’onda della “liberazione” sessantottesca.
Ma non è un libro vecchio.
Sempre leggibile, perché Talese è
uno scrittore più che un reporter, questo digesto di fatti, figure, eventi è
utile ora come storia. Antica e contemporanea. Della pratica semplice del
pluridivorzio (vivendo in America l’impressione è che si cambi coniuge, moglie
o marito, come si cambiano i mobili, ogni pochi anni – pratica che in America è
una necessità, mentre noi siamo, eravamo, per i mobili antichi, comunque di
famiglia), e dell’evoluzione dell’erotismo. Fino al porno, inteso come liberazione,
anche della donna. Con le comuni di fine Ottocento, e poi degli hippy, il
Rapporto Kinsey sul comportamento sessuale degli americani, il nudismo, l’invenzione
di “Playboy” e di “Screw”, e di “Gola profonda”, il film porno che arrivò alle
famiglie. Anche la folla di personaggi, minori e minimi, con cui Talese popola il
racconto, è fenomenale – nel senso del fenomeno: scambisti, onanisti, nudisti, centrimassaggi,
pornostar. E mancano le (tante) donne che uccidevano i mariti infedeli – per lo
più con la pistola. Raccontare le pratiche erotiche, piuttosto che le filosofie, è esercizio arduo, tra il sociologismo inerte e lo scurrile, ma Talese torva sempre la misura giusta.
Un mondo ossessionato dal sesso. Altrettanto
ossessionato come lo è ora dalla distanza, dall’intoccabilità – dalla frigidità?
Ora sessuofobo, ieri sessuomane. Sempre nel nome della libertà - - tutto in America
naturalmente è liberazione, quindi anche la sessuomania, come ora la
sessuofobia, a forza di risarcimenti multimilionari in tribunale. Uno smarrito Walter
Siti firma la postfazione.
Gay Talese, La
donna d’altri, Bur, pp. 668 € 16
Il voto anticipato
in Germania che il cancelliere Scholz ha in agenda punta a bloccare l’emorragia
di voti che minaccia il suo partito, la Sdp socialdemocratica – che non lo
segue sulla “guerra” alla Russia e gli imputa una corresponsabilità nella crisi
economica. Ma anche a mettere in imbarazzo, indebolendola, la Cdu\Csu. Il raggruppamento
democristiano, o popolare, sarà più esposto, in un voto anticiapto, a subire il
momento favorevole, presso l’elettorato, registrato ultimamente dalla destra di
Alternative für Deutschland. Dopo il voto non ci sarà altro governo possibile
se non, di nuovo, una Grande Coalizione, tra socialisti e popolari – c’è una
non dichiarata conventio ad excludendum contro Afd (come in Francia per
il Rassemblement lepenista). Ma, spera Scholz, con una Cdu\Csu indebolita e non
rafforzata.
La
corsa di Afd è stata fulminea e vigorosa. Al punto da mettere in crisi gli assetti
politici tradizionali. Che ora reagiscono provando addirittura a farla
dichiarare fuorilegge. Un partito anti immigrati, anti Ue e pro Russia, anti
transizione verde. Un partito mezzo liberale-mezzo nazionalista fondato appena undici
anni fa. Una frazione della Cdu\Csu, che virando ultimamente verso l’estrema
destra, con personaggi al vertice sospetti neonazisti, è diventato il primo
partito nei Länder orientali dell’ex Germania comunista dove si è votato, in
Sassonia, Turingia e Brandeburgo. Un voto non decisivo ma ben indicativo: sono
Länder non di peso demografico, tre Calabrie, poco di più, ma di grande
tradizione, culturalmente non arretrati.
È
poi sopraggiunto a fine settembre il voto austriaco, che ha fatto dell’estrema
destra, Fpö, Freiheitliche Partei Österreichs, partito della Libertà, il primo
partito, e i timori accessi dal voto all’Est si sono acutizzati. L’Fpö ha fatto
un balzo del 13 per cento rispetto al 2019. A spese del centro democristiano:
il Partito Popolare Austriaco ha perso l’11 per cento dei suffragi – mentre i socialisti
hanno tenuto le posizioni, specie nelle città (compresa Graz, capoluogo della
Stiria, una delle due regioni - l’altra è la Carinzia, l’Austria meridionale –
roccaforti dell’Fpö). Scholz non teme Afd, se a farne le spese sarà la Cdu\Csu.
Due madri degenere: incapaci, psicotiche, alcolizzate. Di una figlia bulimica,
di un figlio debole e solo. Anzi tre madri: la terza, di cui girano le ceneri, sopravvive
come arpia, che martirizzava i figli. E un’amica, che vive di espedienti, e di
avanspettacolo. L’unico uomo è un parroco romano, “Bill”, in vario modo
intrecciato con le donne: confessore, amico di droga, fratello.
Un’occasione per Valeria Bruni Tedeschi e Valeria Golino di esibire il lato
B a sessant’anni. Le battute farfugliando come al solito. È la parte
forte-debole del film, di due donne incapaci, anche nell’amicizia. Specie nell’amicizia.
Mentre Alba Rohrwacher, l’altra mamma, fa Alba Rohrwacher. Debolezze – delle interpreti
come dei personaggi - che il film involontariamente espone. A fronte di una
Greta Scacchi, “Frances”, senza lati da mostrare, anzi imbruttita, gonfia,
zitella, che da sola gestisce la parte più drammatica del film, il ricordo della
madre, impositiva e anzi violenta. In duo-duello con Danny Huston, il fratello
prete, canadese romanizzato – il più sciolto, credibile, meno impostato dei personaggi.
Una storia di tutte donne, buone e cattive, che fanno bene e fanno male. Di
donne n famiglia – storie di famiglie. Viste a tutto tondo, nei rapporti
affettivi, e nei rapporti con i figli. In reazioni e vicende che tutti (ri)conoscono
ma non scontate, non sulla scena. Rappresentate e non “vissute” come falsamente
il cinema spesso propone: viste onestamente, a distanza. Anche la fotografia è
interessante: il taglio delle immagini, le sfumature di colore, molto fluo, e il
montaggio.
Un’idea, e una resa, nuove, che faranno epoca. Della deriva della donna,
in Italia, da un paio di generazioni. Che non sa cosa vuole ma lo vuole tutto e
subito. Di donne in assenza di uomini, incasinate e anche cattive. E niente, il
film non è piaciuto ai critici, e non ha praticamente avuto distribuzione,
benché lanciato dalla serie Sky “Call my agent”. Per il nome, per essere la regista
“sorella”? Ma la sorella di John o di Lapo? L’episodio più drammatico è il
ricordo finale di Bill e Frances, della madre che aizzava da piccoli la sorella
a bullizzare il fratello minore - poi finito nella droga, benché generoso e
buono. E niente, neanche un succès de scandale.
Uno dei tanti film che danno l’idea che i critici in realtà non li vedano
– che li vedano a turno (i giornalisti amano lavorare in pool, come
dicono, uno a turno fa il lavoro, che poi condivide), e gli altri riscrivano il
suo giudizio?
Ginevra Elkann, Te l’avevo detto, Sky Cinema
Giuseppe Leuzzi
“A Giarre la stessa acqua
piovuta su Valencia (ma nessuno si fa male)”. Come non detto, una breve - a
corredo della foto delle auto che galleggiano. Giarre è una grande cittadina, da
25-30 mila abitanti, evidentemente ben costruita – sotto l’Etna ma non sui
fiumi. Dal Sud mai una buona notizia.
“La
«processione» è il movimento grave e solenne dei piedi: lo Spirito della terra si
rivela in quanto spirito della comunità” – Ernst Jünger, “Anatomia e linguaggio”
(in “Il contemplatore solitario”). È per questo che è invisa ai Carabinieri?
Al
suo primo sbarco in Sardegna Ernst Jünger nota e annota (“La Torre Saracena”)
“i limoni dolci”. Un tesoro trascurato del Sud. Come le mele limoncelle – che
duravano anche mezzo inverno. Il Sud non vive (male) nel bisogno, vive nella
trascuratezza.
A
proposito di autonomia differenziata, lep e lup, l’avvocato e
costituzionalista Mario Esposito, “terrone per quattro quarti”, si chiede e
chiede: ”Ma possiamo dire in coscienza che il Sud ha avuto pochi denari
nell’Italia repubblicana o riflettere anche su come li ha spesi?” Senza
risposta, ovvio.
Magalì,
nipote di Margherita Sarfatti, ricorda con Cazzullo sul “Corriere”
che la nonna si consolava così: “Ho amato solo due uomini, ma entrambi erano eccezionali”. Uno era il marito, Cesare Sarfatti, avvocato. Che, spiega la nipote, “aveva difeso pure Mussolini. Dopo i fatti di Verbicaro, in Calabria.
Era il 1911, scoppiò il colera, ma si ammalavano solo i poveri, ci fu una
rivolta popolare contro i notabili, tre furono linciati. Mussolini si schierò
con gli insorti, fu accusato di apologia di reato, e Sarfatti lo difese”. Chi sa
se Mussolini, come poi lo stravotato Salvini, sapeva dov’era la Calabria.
In un saggio sullo scontro tra Camus e Sartre nel 1951,
“De l’assentiment au ressentiment”, la rottura brutale di un’amicizia, il
filosofo Jean-François Mattéi, di origine algerina anche lui, anzi proprio di
Orano, la città di Camus, trova “nell’etica di Camus…. la generosità, nel senso
cartesiano del termine, cioè la stima di se stessi”. Che poi dice “fragile
equilibrio – greco prima di essere francese, diciamo «mediterraneo» per seguire
la lingua dell’autore – tra la virtù di una volontà giusta e la felicità della
stima di sé”. Fragile evidentemente, o perduta.
Negando nell’inchiesta di Perugia coinvolgimenti nelle
intercettazioni degli imputati Striano e Melillo alla Procura Nazionale Antimafia,
l’ex capo della Pna Cafiero de Raho, ex Procuratore occhiuto a Reggio Calabria
(“si vive soli, la
nostra vita è in ufficio, la società è collusa o compiacente”, e si evitò, per
tre anni, di giocare a tennis), aggiunge,
con innocenza?, che “presso la Pna, quando sono stati accertati comportamenti anomali o irregolari di appartenenti al Gruppo Ricerche, si è provveduto
all’allontanamento, e in un caso anche alla denuncia alla Procura competente”.
Quindi i “casi” sono più di uno. Bell’ambientino, l’antimafia.
La disparità tra il volere e i fatti
Licenziato
da Hitler il 30 gennaio 1939. da presidente della Reichsbank e ministro dell’Economia incaricato degli armamenti (licenziato per poterne intensificare
la produzione, a debito), Hjalmar Schacht si prese una lunga vacanza in India,
così racconta nelle memorie, “Confessions of the «Old Wizard»”, durante la
quale tenne un diario – Vecchio Mago gli viene dalla fama di economista capace,
salvatore della Germania dall’inflazione in due occasioni tra le due guerre.
Una pagina è sull’Italia, dove si imbarcò per l’Oriente – Napoli era detta “la
porta dell’Oriente”, giapponesi e cinesi arrivavano e partivano da Napoli. Politicamente
critica: “I nuovi edifici a Genova e Napoli mostrano uno sforzo fallito di
elaborare un nuovo stile che si sforza di creare un’impressione eroica. A mio
parere, è interamente fallito. Il vero eroico non è mai vistoso. Mi manca la
nobile semplicità e la quieta grandezza di Winckelmann”.
A
Napoli s’imbarca la duchessa d’Aosta – “la moglie del famoso aviatore che ha
assunto l’incarico di sviluppare l’Etiopia italiana”. La duchessa è “attraente
allo sguardo, di grande dignità e fascino”. Esemplare “dell’influenza ancora
esercitata dalle famiglie reali regnanti”.
Ma
prima c’è l’Italia – “l’Italia di Mussolini”, specifica Schacht, ma si direbbe
anche di dopo (dopo la guerra, mentre scriveva le memorie, Schacht sarà
consulente dell’Eni, di Enrico Mattei, per la “liberazione” della Germania
meridionale, che poi diventerà la regione più ricca, il “Nord” della Germania,
con gli oleodotti da Genova e da Trieste): “La disparità tra il volere e i
fatti è visibile in ogni aspetto della vita quotidiana. Ogni scena di strada
testimonia una crudele povertà. I grandi, lussuosi albergii sono vuoti,
personale e direzione indifferenti e scontenti. I più esigenti, anche se più
responsabili, abitanti del Nord Italia vanno lentamente a soccombere all’avanzata
dell’elemento pauperistico del Sud. Un pasto, di spaghetti, in un’ordinaria
trattoria medio borghese di Napoli. costa 20 pfennig – lo stesso di un
francobollo in Germania per una lettera all’estero”.
Il Ponte dello sgomento
“La
Lega: per il Ponte 1,2 miliardi in più”. Sgomentante. In una legge di bilancio 2025 striminzita, che ha solo 3 euro da dare in più ai pensionati sociali. Il giorno
dopo del Via-Vas, la valutazione d’impatto ambientale del Ponte, da parte della
Commissione Tecnica del ministero dell’Ambiente, appositamente rinforzata alla
vigilia con un nutrito gruppo di assessori comunali e circoscrizionali perdenti
posto.
Si
leggono con sgomento le notizie, date con nonchalance, di un’opera multimiliardaria che distruggerà buona parte della costa
in Calabria prospiciente lo Stretto, e cinque o sei paesi che cominciavano a
far valere la propria bellezza, Bagnara, Scilla, Cannitello, la stessa disastrata
Villa San Giovanni, Catona, Gallico, che saranno trasformati in cumuli di polvere.
In un mondo da day after. Perché il Ponte non si farà.
Nemmeno nel 2100 – si veda dalla metro C di Roma, un’opera di tre anni che in trent’anni
(non) vedrà la conclusione (i progettisti sono gli stessi, gli appaltatori pure).
Altro che le Grandi Opere della Cassa del Mezzogiorno, le “cattedrali nel
deserto”, che distribuivano i veleni e le puzze che non si potevano spandere altrove,
della Montecatini, dell’Anic, della Montedison, dei raffinatori, della Finsider.
Il Ponte
è stato finora la mangiatoia di ingegneri, architetti, sismologi, progettisti e
consulenti di ogni sorta. La Stretto di Messina spa esiste da oltre quarant’anni,
al costo ogni anno di decine di milioni, pagati dall’Anas, cioè dal Tesoro,
qualche miliardo ormai, per consulenze, studi, relazioni, gettoni di presenza,
simulazioni, progettazioni alternative. Il bengodi di quell’arte chiamata “opera pubblica”. Ora
dei costruttori, al cui cospetto gli artigli dei progettisti sono, erano, zampe
di gatto.
Una
città verrà isolata, Reggio – più isolata di quanto essa stessa si voglia (una città che
non sa nulla del suo territorio, e nemmeno di se stessa) – dove pure è
necessario recarsi per molte incombenze, la questura, la prefettura, l’ospedale,
l’università. E la Sicilia cortocircuitata: anni, decenni di impraticabilità dei
collegamenti esistenti, ferroviari, marittimi e autostradali. Un inquinamento
da pronto soccorso, da polveri non sottili. Miliardi di tonnellate di materiali
da rimuovere, e da ricollocare o “trattare”. Per un’opera che non sarà conclusa
mai. Ancora non si è cominciato e già fioccano le revisioni di costo – un miliardo
e 200 milioni, prima dell’opera, che saranno mai?
Sgomentante
perché questo governo durerà, e metterà mano al misfatto.
Cronache dell’altro mondo: Milano
“17
mila bambini e adolescenti lombardi assumomno psicofarmaci. 137 mila nel 2022
si sono rivolti al servzio sanitario lombardo per problemi psichiatrici”. Sono
pochi o molti? Sono moltissimi. Sono tanti perché i servizi di neuropsichiatria
dell’infanzia e dell’adolescenza sono migliori – più diffusi, più accessibili?
È possibile. Ma sono tanti ugualmente.
Milano
è solo quinta per “reati connessi agli stupefacenti” nella classifica della criminalità
del “Sole 24 Ore” nel 2023. Anche se prima (con Firenze e Roma) nella classifica
generale – per numero di reati denunciati in rapporto alla popolazione. Essendo
la città in Europa a maggior consumo pro capite di cocaina, si vede che il traffico
lo ha “strutturato”, come tutto. È bene la capitale degli affari.
“La tua infamità non appartiene alla nostra umanità”, in lettere capitali,
giganti, ma perfette, al normografo, e perfettamente spaziate: uno striscione professionale, attaccato a cinque cancellate di San Siro dalla Curva
Nord (ora Secondo Anello Verde) dell’Inter. Milano si napoletanizza –
infamità? Invidia le camorre al Sud?
Non piace alla milanesissima Ornella Vanoni, che se ne lamenta sul
“Corriere”, intervistata da Cazzullo: “Stendhal doveva
essere strafatto quando disse che il paesaggio della Lombardia era il più belo
del mondo”. E Milano, “non le piace la Milano di oggi?” “Punta tutto sui soldi,
e basta: non c’è altro argomento. E tutto è troppo caro – e non è Londra”.
“Città
senza vita” la voleva Giovanni Raboni un quarto di secolo fa, poco prima di
morire. Patrizia Valduga, la sua ultima compagna, cita al “Corriere della
sera-Milano” questi suoi versi: “Più la gente che
c’era se ne va / o si nasconde e meno avrebbe senso / lasciarla da vivo questa
città / senza vita”. E aggiune: “La
città, dove si ostinava a vivere, l’ha sempre amata, anche degradata, anche
invivibile. Per lui era sempre bellissima”.
“Brebemi,
Teem, Pedemontana lombarda e veneta: 5,6 miliardi di perdite e debiti per i
concessionari che sono a rischio crac. E che ora battono cassa dallo Stato.
Pedaggi ai privati, quindi, e costi al pubblico” – Milena Gabanelli e
Massimiliano Del Barba riprendono in dettaglio l’argomento di Ferruccio de
Bortoli: il “Corriere della sera” non può nascondere le vuote albagie del
sistema Milano, leghista, lombardo-veneto.
Anche la guerra è denaro.
“Così rispose il maresciallo Trivulzio al suo re, il francese Luigi XII (che voleva conquistare
Milano, n.d.r.): «Per fare una guerra sono necessarie tre cose: denaro, denaro,
e ancora denaro»” - Hjalmar Schacht, “Magia del denaro”.
Il milanese Trivulzio.
dopo il successo di Carlo VIII, era passato con i francesi, distinguendosi a Fornovo
(1495). Luogotenente degli eserciti del re e (1499) maresciallo di Francia, fu
poi governatore di Milano riconquistata da Luigi XII. Fece prigioniero
Ludovico il Moro a Novara.
La segnalazione ad Amazon di una consegna
mancata viene seguita, a minuti, dallo storno del pagamento addebitato sulla
carta di credito. Analoga senalazione alla Ibs-la Feltrinelli, da vecchio
utente da decine di migliaia di “punti platino”, richiede tre lente, lunghe,
telefonate, e una corrispondenza di due mesi, col coinvolgimento di sei o sette
operatori della piattaforma, per niente, nessuno storno (per una consegna
addebitata ma mai effettuata - a detta dello stesso venditore….). Inefficienza?
Così radicale? Malafede?
Milano scopre le mafie del tifo dei suoi titolatissimi club di calcio solo quando ci può mettere al centro un
Bellocco di Rosarno - “la ‘ndrangheta”: una mafia talmente organizzata che il
suo uomo è ucciso da un interista, o milanista, e niente succede, nessuna
vendetta. Malaparte diceva che Milano ama buttare la spazzatura sui vicini di
sotto. Ma fa di più: se la tiene finché non ha un vicino di sotto.
Il Procuratore Capo di Milano che nella conferenza
stampa per gli arresti delle mafie del tifo esibisce una cover del telefonino da
tifoso dell’Inter è solo milanese – come dire: “La giustizia non ha paraocchi”. Però,
si chiama Viola: che non sia calabrese anche lui – ‘ndrangheta? (no, è di
Caltanissetta)
C’è
un’agenzia a Milano che carpisce i segreti d’ufficio di qualsiasi azienda o
studio professionale. Di cui molta Milano bene si è avvalsa. Il misfatto viene
scoperto, ma il “Corriere della sera” lo derubrica a fatto di cronaca, col decesso per infarto di una giovane pallavolista, e i quindicenni
che a Napoli duellano con le pistole. Per sapere la gravità della cosa
bisogna leggere “Il Sole 24 Ore”. Milano si protegge – o la mafia è contagiosa.
Il fatto
in sé è giornalisticamente goloso. Lo stesso “Corriere della sera” giunge a
dedicargli cinque pagine o sei. Ma solo cinque giorni dopo la denuncia, quando la cosa non è più “milanese”.
Ma
lo è, eccome se lo è, è uno spionaggio d’affari, non di corna e nemmeno di “controllo”
politico - è come “servirsi” della politica. La cosa è chiara a tutti, anche
se il “Corriere” divaga.
Ben
milanese anche Pezzali, il supermanager di destra-e-di sinistra, ©elentano. Padrone dell’azienda di spionaggio
e maggiore fruitore della stessa per spiare l’universo mondo, non solo non si
dimette dagli incarichi pubblici che riveste, ma viene “protetto” da destra e da
sinistra – dagli stessi che ha spiato. Poi si dice la mafia. Questa è solo più
intelligente, ruba senza sparare. Senza spararsi: è autoprotettiva, come dev’essere
una vera mafia.
Nel 2017, per la “mafia delle
curve” a Torino grande clamore attorno alla Juventus allora di Agnelli e ai
suoi dirigenti, anche se erano vittime, sulla “Gazzetta dello Sport” e sul
“Corriere della sera” – fino a invocare, e ottenere, una ridicola convocazione
in commissione Antimafia (di cui poi si sono guardati dal dare l’esito) –
Milano è giudice severa. Dopo sette anni la robespierrista Procura di Milano si è decisa a indagare le mafie di Inter e Milan, dopo
un paio di assassinii e non di biglietti a sconto, e molti contatti dei mafiosi
con dirigenti, calciatori e allenatori dei due club. E niente, non ne sappiamo
più niente. Milano si protegge – vera mafia, non quaraquaqua?
leuzzi@antiit.eu
Un poemetto a Belluno, la
“montagna” del Veneto, dove passa le vacanze estive, “ogni estate a Belluno,\
per almeno due mesi”, con uso ampio della toponomastica, curiosa. Ma in realtà un
poemetto all’assenza, sempre a Raboni, alla memoria di Raboni, l’amore
immortale. “Le nuove ere sono qui, lo so”, ma non per lei, “oh mio Ideale, mai
ti dirò addio”. Anche gli alberi lo sanno: “I due cedri deodara\ parlano tra di
loro\ - Che bella notte chiara!\ Ma il sole d’oro\ non sorgerà per loro”, i due
amanti.
Con la poetica: “È l’impoetica
la mia poetica:\ il poetico ammazza la poesia”. Con Da Ponte (il “Don Giovanni”,
variamente richiamato), nato a Ceneda, cioè a Belluno. Con momenti vecchi, di
felicità, liberamente svolti, tra “cazzi” e “culi”. E momenti nuovi, di
letterine al sindaco Sala, e al presidente Mattarella, che diano una
medaglietta a Giovanni (Raboni). Jean Paul aveva sempre vivo il “Discorso del Cristo morto”, Valduga ha il “Discorso del
Giovanni morto”.
Versi semplici, come un
compitare infantile, che invece si radicano nobilmente – la scoperta si fa nelle
note finali, senza richiamo in pagina: Patrizia Valduga accentua il suo ultimo
modo, di rimette facili in settenari, anche endecasillabi andanti. Ma qui
monotoni. Lo spiritaccio è sempre quello, ma anche le rime zompettano – la
morte di Raboni ha inaridito la “veletta”, le mort saisit le vif?
Patrizia Valduga, Belluno,
Einaudi, pp.121 € 14,50