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sabato 19 aprile 2025

No a Unicredit, Bpm ai francesi – il golden power della Lega

E dunque, come si era detto. Nulla osta con plauso all’acquisto di Mediobanca-Generali da parte di Mps, cioè di Giorgetti e la Lega. Sì ultracondizionato a Unicredit su Bpm. Il fantomatico comitato ministeriale del golden power (ma sono tutti mezze calzette della Lega) ha varato il progetto che si sapeva, del semifallito Mps che si prende per niente (per azioni Mps….) Mediobanca e Generali. Cioè mezza “Milano”, mezzo potere economico. E ha arricchito la corona rendendo Bpm indigesto a Unicredit. Allargando cioè la corona leghista allo stesso Bpm, seppure fuori (per ora) dal perimetro. All’improvviso la Lega ha tre grandi banche e Generali.
La cosa è stata spiegata solo da questo sito, e questo è incomprensibile. Che i media facciano finta di nulla. Ma è un altro problema: che un partito si faccia Stato e s’intrometta così pesantemente negli affari, e che ciò possa avvenire senza controllo, nemmeno di opinione.  
Il consiglio dei ministri di ieri è singolare per altri due punti.
Giorgetti, non trovando altri motivi d’ingerenza in termini di golden power, ha fatto obiettare ai suoi contabili la residua presenza di Unicredit in Russia. Un partito filorusso obietta a una (discreta, residua) presenza di una banca a Mosca, per non perdere del tutto l’avviamento e i crediti in essere.
Salvini e Giorgetti hanno posto, ufficialmente, Unicredit sotto indagine per la presenza nell’azionariato di fondi stranieri, con quote minime. Senza obiettare nulla a Bpm, che è invece controllata da una banca francese, Crédit Agricole - la seconda più grande in Francia, monopolista fuori di Parigi, la quale, proprio nei giorni del controllo del golden power, ha reso imbattibile il controllo di Bpm, salendo al 20 per cento.

Salvini e Giorgetti fanno le scarpe a Meloni

La Lega è approdata all’“abbiamo una banca” in consiglio dei ministri. Nel luogo più aperto e autorevole. Non fa più scandalo, evidentemente, che un partito si faccia una banca. E che banca: col semifallito Mps si compra Mediobanca e Generali, nientedimeno, un quarto o un terzo del risparmio italiano. Un affare ridicolo, tanto è volgare. Ma è la realtà che qualifica il governo Meloni: arrembaggi di pirati e quiescenze da incapienti - nel senso di ingenui o ignoranti. Forza Italia dice che si è opposta. Ma il consiglio è durato pochi minuti: convocato alle 18, un quarto d’ora “accademico”, quattro o cinque decreti da varare, e poi, in “varie ed eventuali”, Unicredit-Bpm, alle 19 c’era la notizia.
La Lega può farsi le banche per un problema di equilibri politici? Dei tre partiti di governo la Lega è quella perdente, alle ultime elezioni (europee e regionali), nei sondaggi, nel gradimento. Perdente anche nelle scelte politiche: contro l’Europa (da sola….), la Francia, la Germania, eccetera, contro l’Ucraina, per la Russia. Imbarazzante in America: Salvini non sapeva nemmeno che il suo referente Bannon, già suo stipendiato (Europee 2019), è ostracizzato dalla destra al governo - il vice-presidente Vance, nonché non invitare Salvini a Washington, come Bannon gli aveva fatto credere, ha evitato anche solo di stringergli la mano a Roma (Salvini è pur sempre un vice-presidente del consiglio, come Vance). Ma con le banche alla Lega la storia sarà diversa.
Viene in mente Craxi. Anche Craxi s’intendeva di affari internazionali, e sapeva muoversi - anche se non parlava inglese, il passepartout di Meloni. Ma finì male e malissimo. Oggi non c’è più il Pci, e neppure il vendicativo Andreotti, col nefasto Borrelli, che s’inventarono le “Mani Pulite”. Ma una fine politica s’intravede netta: Meloni, con tre volte i voti di Salvini, non governerà una sola regione del Triveneto, né la Lombardia, né Milano – le banche sono solo un appetizer. Dopodiché potrà andarsene tranquillamente esule da palazzo Chigi: le banche hanno molto potere, possono anche s
postare voti.

L’antifascismo e le eccellenze togate

In mancanza di altri argomenti, nella pretesa sinistra si torna a rinvigorire l’antifascismo. Specialmente contro il governo. Specialmente per la questione continua dei giudici, a difesa, senza se e senza ma. Senza mai porsi il problema di un ordine istituzionale – quello giudiziario – che non si è defascittizzato. La politica ha fatto da tempo ammenda, compresi i neofascisti propriamente detti. La giustizia no. E non solo per gli ermellini, le inaugurazioni sanzionatorie, e le eccellenze.
E non solo per il vecchio privilegio di poter passare stagionalmente, umoralmente, dal ruolo di pubblico accusatore, legibus solutus, a quello di giudice nel senso proprio, che non necessariamente deve avere una coscienza. Magari solo per una promozione, o per un aumento. Se con nocumento degli affari giudiziari non importa.
Un ordine avulso dalle leggi - specie la Cassazione è molto “irrituale”. Ma non è solo questione di forma. Non ha responsabilità per le condanne errate in punto di diritto. Non materiali, di denaro, a fronte dei risarcimenti che lo Stato deve ai condannati per errore, e non di qualifica (titoli, anzianità, carriere). E pretende di governarsi da sé, non solo al Csm, l’organo costituzionale di autogoverno, ma anche nella funzione amministrativa. In qualità di dirigenti del ministero della Giustizia. E perfino, in questo ministero, delle funzioni di ispezione, sulla Procure e sui Tribunali.
Una autoreferenzialità che si direbbe illegale, prima che anticostituzionale. A opera dei garanti della giustizia.
 

Diabolico Diabolik

Rivisto, il primo della serie quattro anni fa, ha tutta l’aria di restare un film di culto. Due ore e più ma ne vale la pena. Con una regale Miriam Leone “Eva Kant” (quanto rimpicciolita invece come “Miss Fallaci”), un Luca Marinelli “Diabolik” perfino espressivo, anche se solo con gli occhi, e una coorte di “caratteristi” di gran nome, Mastandrea, Serena Rossi, Scalera, Gerini, Daniela Piperno, Roberto Citran.
Manetti Bros, Diabolik, Rai 2, Raiplay

venerdì 18 aprile 2025

Problemi di base storici - 854

spock

La memoria è liberazione, o sottomissione?

 

È incostante?

 

Si può azzerare – si può azzerare?

 

Il passato è sofferenza?

 

“I popoli felici non hanno bisogno di una filosofia della storia”, A. Koyré?

 

“Non ci sono più popoli felici: la storia ci incalza da ogni parte”, id.?


spock@antiit.eu


L'Europa rapita a se stessa

“Come reagire all’eclissi di un’Unione che, di fronte alla guerra in casa, ha preso a camminare rasente ai muri e quasi vergognandosi di esistere?” Un disastro. “Serviva una storia fiabesca, capace di toccare l’anima dei semplici”. E Rumiz vi si è avventurato.
Prima un’escursione pratica, materiale, con un amico “in mare con la vecchia Moya, a vele spiegate fra Asia e Occidente”, nel Mediterraneo, che dell’Europa è padre e madre. Poi una lunga peripezia fantastica, una lunga notte, assonante - “sbadatamente verso mezzanotte,\ un vespaio di versi ho scoperchiato” – un lungo canto “alla dea madre del nostro continente”. Sulle immagini del cadavere nel sacco bianco sbarcato a Santa Maria di Leuca una notte di gennaio, e delle donne siriane a luglio a Porto Empedocle, che fanno ruota, modeste, e un canto intonano, “a bassa voce, un’incantevole nenia d’Oriente”, che “il dolore” fa emergere “della patria perduta e insieme la speranza di un mondo nuovo”.
Alla ricerca-ricostituzione di questo mondo-mito vecchio quattro moderni Argonauti partono, su un velo di leggenda, alla ricerca della Grande Madre Europa. Nel “mare di mezzo”, da cui Giove-Toro la rapì. La ritroveranno, come già succedeva in antico, in una giovane siriana, in fuga dalle guerre fratricide.
Il vecchio mito rigenerato in una favola contemporanea. Di un’Europa smarrita che vaga come i profughi che disperati l’abbordano – la vecchia Europa bagascia Rumiz vuole virginale.
Una celebrazione, per quanto disperata, dell’Europa. Che però, forse, sarà letta in futuro non remoto come un epicedio, quello dei “figli della guerra” che avevano potuto vivere tutta la loro vita in pace. Mai successo prima, nella pure lunga storia dell’umanità. Illudendosi che il mondo fosse cambiato. Salvo scoprire infine che la violenza resta fra noi? Un grido di dolore.
Un grido lungo diecimila versi. Di endecasilabi curati – marcianti, assonanti. La carica onirica spesso sacrificando al grido, alle “tematiche” attuali, polemiche, giornalistiche. Da cronista emerito di tutte le guerre, avendo vissuto la Bosnia (e la Serbia?) prima dell’Ucraina – e come dimenticare Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia, Berlino, la storia che non si fa?  
Paolo Rumiz, Canto per l’Europa, la Repubblica, pp. 326, il. € 8,90

giovedì 17 aprile 2025

Secondi pensieri - 558

zeulig

Censura – Tradizionale strumento del potere, è diventata, ormai consolidata, da tempo, strumento ideale. A lungo del politicamente corretto o cultura dei diritti, o cultura woke – fino a “Biancaneve” senza i nani. E ora del movimento MAGA , trumpiano, tradizionalista, gerarchico, nel nome della natura o naturalità.

 

Felicità – È l’eden. Il mondo fuori dalla storia – gli eventi, anche naturali, i sensi, i sentimenti, e

quello stranissimo animale del cervello.

 

Idee – Muovono il mondo. Per evidenza storica, prima che per la nota osservazione di Lord Keynes, miglior marxiano di Marx, “sono le idee più che gli interessi a dominare il mondo”. Anche se disinteressate e perfino casuali – incidentali, banali, balzane.

 

Ingannare – È delle donne, oltre che degli schiavi? Sembrerebbe l’assunto di Alexandre Koyré, in una delle prime note al saggio “Sulla menzogna politica”: “Ingannare significa anche umiliare, ciò spiega la menzogna spesso gratuita delle donne e degli schiavi”. Che non è una traduzione imperfetta, è scritto così anche nell’originale. Ma in un senso non può essere che: o mentire è “l’arma preferita degli inferiori e dei deboli”, come Koyré dice più avanti, oppure è l’abito mentale di chi è costretto a difendersi. In ogni caso sempre un assunto problematico.

 

Massa – È un qualificativo – un sostantivo in posizione attributiva, aggettivale – più che un sostantivo. In termini sociopolitici il concetto – la nozione, diversificazione – più semplice e più equivocato, da Ortega y Gasset a Canetti. Per l’uso corrente, nel linguaggio politico, già prima di Marx. Non è il numero che fa la “massa”. Non è la quantità ma la qualità: la massa, l’effetto massa, il prodotto di massa. Nella sua epoca storica d’oro, dei totalitarismi del primo Novecento, chiaramente identificava, più che il numero, la credulità, la dipendenza mentale, l’incapacità di analisi singola, comunque personale anche se poi “di massa”, delle parole ascoltate o lette. Applicabile anche, e forse di più, alle élites sociali – di più rispetto alla messe di numero, per le quali gi interessi materiali, univocamente significanti, è da ritenere possano essere esaustivi o prevalenti.

Analoga la confusione nel secondo dopoguerra, per la letteratura di massa. Per la diffusione della lettura attraverso i tascabili e best-seller. Un fenomeno non nuovo, per la diffusione già nell’Ottocento della letteratura da feuilleton, e in precedenza per il colportage, la letteratura frammentata, in fogli singoli, e diffusa nelle fiere. Qui i due significati peggiorativi venivano sussunti insieme, della grande diffusione e della scarsa qualità (del prodotto o della ricezione). Ma, sociologicamente, sempre lasciando prevalere il fattore numero, invece che la qualità.

Nelle forme di resistenza, mentale o politica più che armata, ai regimi totalitari del Novecento il gran numero spesso – nel regime sovietico, p.es. – è stato soverchiante rispetto al regime totalitario “di massa” – per tutti gli anni di Breznev, e poi con il collasso del regime.

 

Mentire - “Ingannare significa anche umiliare, ciò spiega la menzogna spesso gratuita delle donne e degli schiavi” – A. Koyrè, “Sulla menzogna politica”. Cioè, di chi per abitudine è, è stato, umiliato.

 

Può essere una forma di riconoscimento, fra sodali. Anche in una iniziativa – progetto, avventura, iniziativa, fino alla cospirazione – pubblica, alla luce del sole.

 

È anche una forma di resistenza, accettata. Il coagulante di una fede, religiosa, politica, esoterica. E un mezzo di proselitismo – della cooptazione come elezione: un lasciapassare per entrare a far parte di una comunità scelta, eletta, perfetta.

È un’arma, un mezzo di propaganda e di azione. E testimonianza di fede, fino al martirio – al sacrificio di sé.

 

È tema letterario, da Ulisse al “paradosso del mentitore” (di Epimenide che sostiene “tutti i cretesi sono bugiardi”, essendo egli un cretese), e a Vargas Llosa, “Mentira de príncipe”, sul “Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa - anzi di una raccolta  di saggi, “La verdad de las mentiras”, la verità delle menzogne.

 

Parola – Dice ma anche nasconde, si sa. Serve a dire, comunicare, ma anche a eludere e celare. Non necessariamente in senso omissivo, anzi, anche in forma attiva. Se si è parte di una setta, di un gruppo segreto, se si è coinvolti in uno schieramento in guerra, o anche in uno stato sociale diviso, di fatto e di diritto, con padroni e servi. Se è necessario per salvare un innocente minacciato (Kant). Se si vuole minacciare invece che semplicemente comunicare – o anche solo decidere.


Sono più gli esiti negativi che si propongono all’uso della parola di quelli positivi. La parola è un dono? Se addomesticata.

Scienza – Un metodo e una deontologia innaturali – intellettuali. Per approfondire la conoscenza della natura e indirizzarne (modificarne) gli sviluppi. 

La matematica non è naturale, il calcolo (Galileo). La sperimentazione pure (Galileo).

Niente scienza moderna senza una precedente “fitta rete di dottrine magiche e mistiche”, A. Koyré, “Studi galileiani”? Lo stesso Koyré che afferma l’assunto lo nega aprendo la accolta, dove sottolinea la sperimentazione: per Galileo non si trattava “di combattere teorie erronee o insufficienti”, ma di rivoluzionare i quadri dell’intelligenza stessa; di sconvolgere un atteggiamento intellettuale, assai naturale in definitiva, sostituendolo con un altro, che naturale non era”.

Scrittura – Quella d’autore è anche filologia – anche quella dei “franchi narratori”. È come Mondrian dice: “Nessun pittore dipinge un albero perché ha visto un albero, ma perché ha visto come altri pittori hanno dipinti gli alberi”.

Spiritismo. È dottrina e pratica delle epoche razionaliste - propriamente (dichiaratamente) tali: Rinascimento, Illuminismo, Positivismo.

In che misura ne è parte anche Freud, la psicoanalisi nel complesso? Di qualche utilità terapeutica, ma occasionale – autosuggestione?

Storia“La dimensione tipica della storia non è l’universalità, ma la specificità: essa si occupa di situazioni particolari e le analizza adottando un punto di vista”, Ernesto Gali della Loggia, “Ma che storia racconti?”, “La Lettura” 6 aprile.

La memoria è liberazione o sottomissione – una forma di carcerazione? È un sussidio, un ausilio. Ma non si può azzerare.

Resiste, può resistere, alla menzogna. Solo il tradimento modifica il passato.

Tradimento – È contro di sé (autoaffligente), prima che aggressivo. Viene con piena coscienza, e con piena scienza degli eventi, gli atti, i ruoli, di altri ma in primo luogo dei propri.

Si pratica anche per libertinaggio, a fini cioè di piacere. Un tradimento vicendevole, il tradimento fra traditori. Dalla coppia che fa l’amore pensando ognuno ad altro partner, al doppiogiochista, il traditore che porta qualcuno a tradire, e poi lo tradisce.

zeulig@antiit.eu



La seduta sfuggente

Sette pazienti impazienti ottengono finalmente l’agognato appuntamento dal luminare con il quale sono in trattamento. Ma l’illustre psicopompo ha dato loro appuntamento a tutti alla stessa ora. Quando non si fa vedere. Oguno con la sua sindrome finirà per fare, non sapendolo, una terapia di gruppo. Senza coordinatore. Oppure sì, è uno di loro.
Come a dire che l’analisi non serve a niente? No, niente messaggi, è una situazione da film comico.  Con un cast di tutto rispetto: Buy, Lodovini, Mascino, Francesconi, Bisio, Santamaria, Leo Gassmann. Ma non si ride.
Paolo Costella, Una terapia di gruppo, Sky Cinema, Now
 

mercoledì 16 aprile 2025

Le banche alla Lega

Nel sommovimento bancario, l’Ops Unicredit su Bpm, avanzata il 24 novembre, e in partenza fra otto giorni, con documentazione approfondita delle sinergie e la creazione di valore che la fusione consentirebbe, resta soggetta a lento esame della speciale commissione al Tesoro del golden power, composta da non si sa chi, ma per conto del ministro Giorgetti della Lega.
Procede più rapidamente, per il sì e per il no, l’Ops Unicredit su Commerzbank, benché attardata dall’improvvisa crisi politica tedesca: su di essa si sono presto pronunciati l’Antitrust tedesco, senza porre problemi di golden power, la Bce, e perfino il governo nuovo in fase di costituzione a Berlino, non in termini di rigetto a prescindere.
L’Ops Mps su Mediobanca-cum-Generali, lanciata il 24 gennaio, e da chiudere a settembre, il nulla osta dell’ignoto (ma non tanto, sono tutti “professionisti” della Lega) comitato ministeriale l’ha ottenuto all'istante. Una offerta di scambio senza nessun piano tecnico-economico che lo giustifichi, solo di potere politico. È la Lega che si fa una banca. E che banca: col semifallito ex Monte dei Paschi si prende Mediobanca e Generali. Come dire mezza Milano. Coi soldi pubblici: quelli residui del salvataggio Mps, e quelli della necessaria ricapitalizzazione di Mps per poter digerire Mediobanca- Generali.  

Le banche, che saranno mai

Si procede sull’operazione Mps-Mediobanca-cum-Generali, che è solo politica, senza nessuna logica economica senza che nessuno obietti. Senza che nessuno nemmeno lo dica.
Che la cosa resti ignota alle opposizioni si capisce, per un po’ che si sappia di Conte o Schlein, o Landini. Ma neanche Meloni, titta presa a trovare un candidato suo alla Regione Lombardia, sembra capire.
Soprattutto, è assordante il silenzio dei media. Dopo tanto battagliare per il “mercato”. Che pure hanno specialisti in grado di capire cosa si sta facendo. Tutti leghisti? Tutti, di nuovo, statalisti?

Contro i dazi europei, non tariffari

Ci vuole l’autorevolezza di Sabino Cassese, l’esperienza, e la capacità di leggere, a 90 anni, per dire di che si tratta fra Trump e l’Europa, a proposito “dell’azione degli Stati Uniti, un po’ troppo rapidamente definita sovranista” – degli Stati Uniti e non di Trump: “Essa è mossa anche dallo scopo di abbattere barriere non tariffarie (di cui la Ue è maestra, Cassese ha già spiegato, n.d.r.) ed evitare sanzioni di giudici che incidano sull’azione globale di imprese nate in territorio americano. Trump alza le barriere tariffarie anche perché l’Unione Europea abbassi le barriere non tariffarie”.
I “dazi” europei sono le regolamentazioni. Per lo più bislacche, e sempre punitive – anti-industriali. Lamentate peraltro, prima che da Trump, da ogni singolo industriale italiano.

Con allegria - e mini-attori geniali - alla Liberazione

Musiche allegre e un tenente tedesco finalmente umano – come ogni altro. Non sono le sole sorprese della miniserie che ci condurrà alla celebrazioe degli ottant’anni della Liberazione. Di un gruppetto di ragazzini che trafficano con i diversi gruppi armati della Resistenza durante l’occupazione tedesca, sulle montagne piemontesi. Una miniserie tratta dal romanzo omonimo di Andrea Bouchard, ma tagliato e montato con insolita verve. Già la sola distinzione tra Verdi e Rossi (e mancano i Bianchi) è una curiosità totale per uno sceneggiato che si vuole celebrazione della Liberazione.   
Due puntate – e probabilmente la serie – sulle spalle della piccola Anna Losano, espressiva il giusto in ogni situazione, la dizione distinta e piana, i tempi perfetti. Ma tutto il cast è di prim’ordine, David Paryla soprattutto, il tenente buono. Il fratello minore della protagonista, ingegnoso e chiacchierone, Luca Charles Brucini, l’amica del cuore Carlotta Dosi, i nonni Carla Signoris e Bebo Storti.

La Rai moltiplica le produzioni per Millennials, per entrare nelle abitudini mentali delle ultime generazioni - adattando anche programmi vetusti, tipo “Dio ce la mandi buona”. Ma dalle 22 alle 24 – per lasciare più posto possibile allo sconcio “Affari tuoi”? Come a dire: per pensionati mezzo addormentati? E senza nemmeno un briciolo di promozione: tre milioni di spettatori sono niente per un programma di così alta qualità.

Susanna Nicchiarelli, Fuochi d’artificio, Rai 1, Raiplay

martedì 15 aprile 2025

Zelensky come i dazi, l’obiettivo è la Cina

Consegnare Zelensky alla storia (eletto il 21 aprile 2019, è già in proroga da un anno), e ottenere dalla nuova presidenza un’accettazione degli accordi di pace con Mosca – sia pure con riserva, con tutte le riserve possibili. È questo l’obiettivo, secondo la Farnesina, di Trump, che manda avanti da un lato la mediazione con Putin, senza gli ucraini, e dell’Ucraina fa menzione solo per criticare il presidente Zelensky.
Nella prima presidenza Trump aveva aiutato l’Ucraina. Avviando le forniture militari. Sconfitto da Biden, questa l’analisi molto semplice che se ne fa, ha legato l’Ucraina tutta a Biden, l’arcinemico. Per i fatti di corruzione con la “famiglia Biden” (il figlio Hunter), e per il coinvolgimento di Biden, e quindi degli Stati Uniti, nella sfida alla Russia. In un ruolo del tutto passivo.
Procedere a un’elezione presidenziale è complicato. E in tempo di guerra proibitivo – chi si candiderebbe a fare il Pétain, il Quisling? Da qui le pressioni su Zelensky per un “bel gesto”, da statista, con le dimissioni - avendo già capitalizzato ampiamente, in tutte le cancellerie del mondo, il ruolo di eroe e di martire.
In tutte le cancellerie del mondo eccetto Pechino, si fa osservare. Ma per questo tanto più necessaria apparirebbe a Washington una sostituzione rapida di Zelensky, e comunque una pace – o un armistizio, o una tregua: imperativo è slegare la Russia dalla Cina. Che resta l’unico bersaglio di questa presidenza – dazi, cambio, attivi commerciale e dei pagamenti.  Obiettivo un nuovo accordo del Plaza, 1985, quando il Nemico (commerciale, monetario) era il Giappone.


Cronache dell’altro mondo – abortive (33)

Nei primi due anni dopo che la Corte Suprema ha cancellato il diritto costituzionale all’aborto il numero di aborti praticato annualmente negli Stati Uniti è aumentato. Molti Stati hanno imposto restrizioni dopo la sentenza della Corte Suprema: dodici hano adottato divieti quasi totali, e quattro hanno imposto il limite delle sei settimane. E tuttavia si è registrato un aumento degli aborti: da 930 mila nel 2020 a oltre un milione nel 2023.
La sola spiegazione che si dà è che gli attivisti pro-aborto hanno intensificato l’attività negli Stati dove l’aborto è accessibile. In particolare, sono aumentati gli aborti farmacologici. Autorizzabili ora via telesalute. A dicembre del 2021 la Federal Drug Administration ha eliminato l’obbligo di prescrivere il mifeprestone di persona. Il numero degli studi medici che stabiliscono l’idoneità della paziente online o al telefono, e mandano per email la prescrizione, è proliferato.
(“The New Yorker”)

Il lolitismo al tempo delle serie tv

Un, sano? vecchio, film sul lolitismo, senza mascherature: le ragazzette al liceo si litigano e si accaparrano gli insegnanti. Salvo poi farli penare, per avere ciò che pensavano di avere avuto – per di più sentimentali. Nei due tempi, della seduzione, e poi, ritrovandosi in età matura, dell’ancora vana rincorsa.
Si direbbe un film sul desiderio. Ma solo maschile? O fatto per esaltare – sfruttare – la popolarità di due personaggi di grandi serie tv, Jenna Ortega e Martin Freeman.
Jade Halley Bartlett, Miller’s Girl, Sky Cinema, Now

lunedì 14 aprile 2025

Letture - 575

letterautore


Cacciari
– “Verrà ricordato come l’abate Parini istitutore dele nuove dinastie milanesi”, Michele Masneri sul “Foglio quotidiano” – avendo “laureato in filosofia Lorenzo Prada (figlio di Miuccia, n,.d.), come del resto Barbara Berlusconi”.
 
Cani – Nel 1958, quando ancora non usavano in Italia, i cani portati a passeggio per New York per fare i bisogni sul marciapiedi indignavano Lucia Berlin – “poveri cani”. Tutto bene, scriveva ai suoi amici di sempre, Edward e Helene Dorns, “eccetto che per i cani da compagnia (toy dogs) – barboncini e chihuahua e grossi weimaraner, terribile terribile. Fanno lo schifo per strada, mentre il loro proprietario, non padrone, aspetta. Poveri cani, che umiliazione defecare per strada”.
 
Firenze – “Nei palazzi di Firenze, di tutta la Toscana, percepiamo l’aspetto esteriore come l’espressione esatta del loro senso interiore: alteri, fortificati, essi sono manifestazione altera e sontuosa di un potere che può essere per così dire sentito in ogni singola pietra, ciascuno di essi è rappresentazione di una personalità sicura di sé e responsabile per se stessa” (G. Simmel, “Roma, Firenze, Venezia”, p. 63).
 
Gattopardo – L’ultimo, recente, è stato Berlusconi? Il “gattopardismo” presume “grandi promesse politiche e grandi speranze, da ingannare”, Gabriele Pedullà con Luca Mastrantonio su “7”, “per chi ha sognato la ‘rivoluzione liberalista’ (non io), ed è stato così ingenuo da credere che Berlusconi volesse davvero realizzarla, lui è stato probabilmente l’ultimo leader degno di questo epiteto”.
 
Al  famigerato “perché tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”, l’attore Kim Rossi Stuart, che ha interpretato il “Gattopardo” nella riedizione seriale Netflix, dichiara di preferire, come meno cinica e anzi positiva, un’altra citazione famosa: “Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti, gattopardi, sciacalli e pecore, continueremo a crederci il sale della terra”.
Una dichiarazione anarchica, contro il “ceto dirigente”? o semplicemente qualunquista?  
 
Francesco Piccolo, che sul romanzo ha costruito uno spettacolo teatrale, “Il Gattopardo. Una storia incredibile”, ora in tournée, ricorda un aspetto trascurato della storia, a proposito di Giorgio Bassani, l’unico direttore editoriale a credere dopo vari giri nel romanzo: “Bassani aveva conosciuto Tomasi: pensava fosse un pazzo, perché lo aveva visto a un convegno a luglio dentro a un cappotto, a un paltò per l’esattezza, perché aveva la giacca lisa e non voleva farla vedere. Tanti anni dopo Bassani riceve un manoscritto che nessuno voleva pubblicare: comincia a leggerlo, pensa sia bellissimo, solo che non sa chi lo abbia scritto. Scopre solo dopo che l’autore è quel matto che ha conosciuto anni prima e che non c’è più”.
 
Italia – “”Gi attori comici da noi vanno presi molto sul serio, vincono i Nobel, fondano partiti di maggioranza relativa”, Aldo Cazzullo, la posta del “Corriere della sera”.
 
Montaigne, che viaggiando non sprecava complimenti, ricorda con ammirazione, del suo viaggio nel 1580: “Ho visto contadini col liuto in mano e persino le pastorelle con l’Ariosto in bocca”.  E: “È curioso vedere come lasciano sul campo dieci e quindici e più giorni il gran segato, senza paura del vicino”.
 
Napoli – Ricordando Roberto De Simone e la “La gatta cenerentola”, Peppe Barra spiega: “È stata una rivoluzione. Gli spettatori non avevano visto fino allora allegorie e culture popolari rese in quel modo, ma negli anni Settanta non si erano nemmeno mai ascoltate villanelle, strambotti, tammurriate”.
 
Miuccia Prada – Ha rasentato anch’essa la filosofia, come poi il figlio Lorenzo (laureato con Cacciari). Lo ricorda Masneri sul “Foglio” celebrando l’acquisizione Prada di Versace. Specialista di Dottrine Politiche alla Statale, si può aggiungere, con un dottorato di ricerca, supervisore  Giorgio Galli, sul Pci. Di cui era militante, animatrice della cellula “Carlo Marx” di Porta Romana, sotto il palazzo di famiglia, rappresentante di zona dell’Unione Donne Italiane”: uno dei suoi primi fashion show, quando cambiò settore d’interesse, lo ha tenuto a Parigi nella sede del Pcf, il partito Comunista francese, un edificio anni 1970 di Oscar Niemeyer - lo stesso architetto, curiosamente, del palazzo Mondadori a Segrate, che poi sarà di Berlusconi (due carriere in parallelo su tutto, Prada e Berlusconi - eccetto la politica, di sinistra e di destra?).
 
Roma – Si protesta in vati quartieri, San Saba, Prati-Delle Vittorie, Ponte Milvio , per “torri” telefoniche di venti e più metri che s’innalzano su alcuni palazzi. Per salvaguardare il decoro e la veduta, le “terrazze di Roma”.
Le antenne sono l’aspetto di Roma che più colpiva Antonio Calbi, futuro direttore del teatro Argentina, l’ex Stabile di Roma, quando ci arrivava da Milano per gestire il teatro Eliseo: “Prendevo il Pendolino e prima di entrare a Termini vedevo i palazzi con una selva di antenne, come capelli sulla testa, una per ogni appartamento, e mi chiedevo come mai l’idea milanese di condominio non avesse attecchito”. Le famose “terrazze di Roma” son infrequentabili, e irte di paraboliche – salvo nei (pochi)palazzi di famiglia.
Ma non è detto che “l’idea di condominio” non ha attecchito: sono  condominii che fanno innalzare le “torri” telefoniche, per farsi pagare la “servitù”.

Toscana – Evoca Puccini nel 1922, dopo la gloria, scrivendo al direttore del “Corriere della sera” (tutti i materiali, recensioni, presentazioni, interviste, lettere etc, concernenti il rapporto del compositore col giornale sono ora raccolti dalla Fondazione Corriere della sera in “Puccini e il Corriere della sera”) con nostalgia gli anni dello sbarco a Milano da Lucca, col fratello Michele, ospiti fissi dell’Osteria dell’Aida, per musicisti squattrinati gestita da un fiorentino Gigi. Che dava da mangiare a sazietà a “poeti e musicisti senza editore, cantanti in attesa di scrittura”, corredando il cibo da “fiaschi su fiaschi del leggero e frizzante vino di Toscana”.
Il “vino di Toscana” non era il Chianti, sangiovese, ma un lambrusco non zuccherino, secco.
 
Venezia – “I palazzi veneziani sono un gioco elegante, essi mascherano i caratteri individuali dei loro abitanti attraverso la loro uniformità, un velo le cui pieghe seguono soltanto le leggi della bellezza lasciando intravedere la vita dietro di esse nella misura in cui la nascondono”.
Venezia in maschera anche nella vita domestica? O si proiettano su Venezia e i veneziani le loro famose maschere, dei balli, dei carnevali, dei melodrammi?

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E la Rai sgonfiò il miracolo “Costanza”

Curioso finale boomerang, dopo molte ore di sceneggiato e molti eventi, col ritorno alla casella base – un racconto come il gioco dell’oca. La protagonista ritorna al punto di partenza, a un uomo che ha “conosciuto” una sola notte, le ha fatto una figlia, è scomparso, è ritrovato incidentalmente dopo sette anni, e dopo molte sgradevolezze, solo perché lui è in procinto di sposarsi, decide che è l’uomo della sua vita – con sgomento dell’uomo, come a dire: “questa è pazza”. Per incuriosire lo spettatore alla prossima serie, o per sorprenderlo, in pratica per fregarlo?
Un finale balordo. Forse dovuto all’originale, la trilogia romanzesca di Alessia Gazzola – la quale però sa di meglio. Più probabile il progetto di attivare l’attesa per il sequel, che però oggi come oggi risulta indigesto. Avendo già rovinato una serie che invece si era imposta per il ritmo, l’accuratezza e lo spessore dei personaggi, l’inventiva delle storie che la attraversano, la giusta misura dei ritmi di regia e di molte recitazioni. Specie delle due sorelle messinesi (come Gazzola) a Verona, la protagonista anatomopatologa brillante, nonché narratrice di fiabe inventiva e convincente, e la minore, psicoterapeuta servizievole e imbranata, Miriam Dalmazio e Eleonora De Luca.
O si vuole la favola dell’amore contro tutto? Nel 2025? È un “errore” dell’autrice, Gazzola? Possibile non avendo letto il libro, ma improbabile – desumendo dall’accuratezza delle vicende di contorno e degli stessi caratteri. La Rai sta perdendo il lume dell’intelletto?
Fabrizio Costa, Costanza, Rai 1, Raiplay

domenica 13 aprile 2025

Ombre - 770

Fa infine capolino, dopo settimane di paginate sul nulla, la verità dei dazi di Trump: “Le guerre commerciali”. Su un giornale letterario, “La Lettura”…(finora se ne era detto solo su questo sito…). C’è molta “ammuìna”, per svalutare comparativamente il dollaro. E per fronteggiare l’aggressione commerciale della Cina, con sussidi statali enormi, varie patiche di dumping, e la pratica costante di sottovalutazione del yuan-renminbi.
Trump prova con la Cina il braccio di ferro di Reagan col Giappone, che allora “invadeva” gli Stati Uniti. Con gli stessi strumenti ora della Cina. Trump vuole con Xi un analogo dell’“accordo del Plaza”, che Reagan impose a Tokyo nel 1985 – lo stesso Reagan che “aprì” alla Cina, e avviava la “globalizzazione”.
 
Si dice Trump ma è l’America. Ci sono costanti nella politica Usa a prescindere dal presidente – se c’è un deep State è questo. Già Obama contestava l’aggressività commerciale di Xi. Trump pensava di averla ridotta. Biden ha allora spostato lo scontro sul militare. Trump riapre il fronte commerciale e monetario.
Il dollaro è – era fino all’altroieri – troppo forte, costringendo gli Usa a stamparne di più, col rischio inflazione, e a indebitarsi in continuo, nel commercio e nei pagamenti. Era a 1,4 sull’euro pre-covid, è arrivato alla parità, dal 2022 all’altro ieri, prima di “Trump” – lo yuan-renminbi si nasconde, come un (finto) bambino gracile.  
 
Sembra niente (ma non per gli addetti ai lavori), ma dopo l’accordo del Plaza l’economia nipponica subì lo scoppio di una bolla speculativa. Cui seguì un “ventennio perduto”, una stagflazione lunga dal 1991 al 2012 – con riduzione dei redditi e dei consumi (perdita costante di valore dei salari reali e di potere d’acquisto). In grande quello che sta succedendo alla Germania da tre anni.
Un’economia “organizzata” per l’esportazione, a costi artificiosamente ridotti (energia russa e sussidi pubblici, con la scusante del green deal¸ nel caso tedesco), è semplice, perché non si dice? Delle economie “organizzate” per l’esportazione, p.es. la Cina?
 
“Unicredit, gli ostacoli di Orcel nella scalata a Bpm”, titola “la Repubblica”. Senza una novità, un aggancio, preciso: “Il governo con il golden power, il prezzo sempre più alto e il 30 per cento a Crédit Agricole e casse di previdenza che non arriveranno (aderiranno? N.d.r.) all’Ops rendono l’operazione difficile”. Facile certo no, ma a argomentazioni singolarmente rovesciate: il golden power non c’entra, il prezzo di Unicredit è, relativamente, più alto, Crédit Agricole e casse andranno sul titolo a maggior valore. Il risiko bancario è come il campionato, coi tifosi, o si punta a rendere più conveniente l’Ops?
 
Sessione di emergenza del Parlamento di Westminster per salvare l’acciaieria di Scuntrope, il residuo impianto britannico in grado di produrre acciaio puro. Salvare cioè rinazionalizzare. L’impianto era stato rilevato da un gruppo cinese cinque anni fa per appena 70 milioni di sterline, ma con la promessa d’investimenti per 1,2 miliardi. Mai fatti, serviva a trasbordare semilavorati cinesi. Ora non conveniva più, i costi di semplice esercizio di apertura essendo lievitati ad oltre mezzo milione di sterline al giono.
 
“«Stasera tutto è possibile» è un programma orribile, una ciofeca”, Aldo Grasso, “Corriere della sera” 5 marzo: “I comici raschiano il fondo del barile. Mi chiedo come si possa ridere delle loro battute”. Critico inconsolabile di fronte al successo di pubblico. Un mese dopo è un inno alla gioia di De Martino, il conduttore, dei suoi comici, e del suo pubblico, sempre largo: “Soprattutto giovane”, gioisce lo stesso Grasso, sempre sul “Corriere della sera”.  Non proprio un mese dopo, quaranta giorni dopo, per le Palme. È il clima pasquale? C’è stato un miracolo?
 
Si fanno ogni mattina, a ogni tg,  lo stesso i giornali, i “pastoni” politici, di quello che ha detto e fatto Meloni, e poi invariabilmente: “Opposizioni all’attacco”. Non questa o quella critica, “opposizioni all’attacco”. E l’immagine corre a Conte, sempre vestito di grigio, e Schlein, sempre invariabilmente disarmocronica, due facce che non “dicono” nulla, giusto l’intelligenza artificiale dei social, sul tema “opposizioni all’attacco” – dei sosia.
 
Si scrive di scambi di “prigionieri” Usa-Russia, e si finisce (Lorenzo Cremonesi, “Corriere della sera”) per dire per inciso, due righe, verso la fine del lungo articolo, che l’Ucraina assolda molti mercenari. Parlando d’altro, dei “volontari” cinesi che Zelensky ha fatto prigionieri, rendendone responsabile il governo: “Pechino replica che si tratta di parole «irresponsabili» e lascia capire che possano essere invece mercenari” – “proprio come migliaia di occidentali”, l’inciso, “oggi combattono nei ranghi ucraini”.
Resta da dire l’essenziale: assoldati da chi?
 
Mbappé da solo ha fatto perdere un paio di coppe al club che lo ha lanciato, il Paris Saint-Germain, alla Francia, e ora al Real Madrid di Ancelotti, sconquassando, in campo e nello spogliatoio. È come fu Cristiano Ronaldo alla Juventus, anche se in questo caso senza presunzione del calciatore: gli eroi solitari, presuntuosi, arroganti, litigiosi, fanno male al calcio. Ma sono i beniamini dei tifosi – oggi si direbbe eroi: gli basta una piroetta in campo.  
 
“Quasi 600 speaker al Festiva del Giornalismo a Perugia, 9-13 aprile”. Quasi? Cioè, sono pochi – più si parla di giornalismo, invece di praticarlo, se in quasi 600 lo spiegano, e meglio stiamo?


Nella generale avversione dei media contro Trump, si accredita una sua vicinanza a Putin – sottinteso: tra dittatori – nella guerra. Mentre fu Trump ad armare Zelensky nel 2019-2020, dopo avere osteggiato con rudezza il Nord Stream 2, la supercondotta del gas russo-tedesca. Voleva Trump amico di Putin già il Russiagate, l’inchiesta pluriennale dell’Fbi e dei media americani, innescata da un spia inglese in pensione, per conto della campagna elettorale di Hillary Clinton  La stampa ha le pulci anche quando è libera.

La Russia è certo indispensabile agli Stati Uniti per isolare la Cina. Sul piano strategico-militare, e i in quella specie di mercato alternativo che Pechino minaccia con i Brics. Non sarebbe un “colpo di teatro” come si ama dire di Trump, se la “guerra dei dazi” si risolvesse alla fine, tra rinvii, esclusioni e abbuoni, in una guerra mascherata alla Cia – alle pratiche commerciali scorrette di Pechino.  

Quel parolaio di Joyce

“Per me sta diventando sempre più difficile, perfino insensato, scrivere in un inglese ufficiale. E la mia lingua mi sembra sempre più un velo che occorre strappare per pervenire alle cose (o al Nulla) celate oltre di esso. Grammatica e stile. A me sembrano diventati inattuali come un costume da bagno vittoriano o l’imperturbabilità di un vero gentiluomo. Una maschera”.
Scrivendo distesamente al drammaturgo tedesco per comunicargli il rifiuto (motivato) di tradurre in inglese il poeta “Ringelnatz” (Hans Böttcher), Beckett si dice anche disorientato dal linguaggio corrente, dal suo proprio, l’inglese. Per la deriva “parolaia”. Di cui fa responsabile anche “l’ultima opera di Joyce” (probabilmente “Finnegans Wake”, che sarà pubblicato due anni dopo ma veniva scritto dal 1923 e certamente era noto almeno in parte a Beckett): “Una apoteosi della parola”.
Meglio Gertrude Stein: “Forse i logografi di Gertrude Stein sono più vicini a quanto ho in mente”. Anche se per caso: “Almeno la tessitura del linguaggio è diventata porosa”. Anche se, “purtroppo, solo per caso, e in conseguenza di una tecnica simile a quella di Feininger” (celebrato fotografo americano ani 1930, n.d.r.). Cercare un rapporto tra i due. “come è di moda”, è insensato. Ma “sulla via che porta a questa letteratura della non parola, per me tanto desiderabile, qualche forma di ironia nominalistica può costituire una fase necessaria”.
E dunque, in fatto di “ironia nominalistica”, Joyce o Stein?
Samuel Beckett ad Axel Kaun
9 luglio 1937, tumblr, online