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venerdì 26 settembre 2008

Ma Heidegger non può fare da scudo al nazismo

Rispetto all’edizione Albin Michel del 2005, corredata di vasta bigliografia e indice dei nomi, il tascabile ha una nuova prefazione, e riporta la bibliografia del dibattito internazionale cui la pubblicazione ha dato esca. Ma anche per questo il volume, pure corposo, scade alla rilettura a libello. Faye, che insegna a Parigi X-Nanterre, vuol’essere “scientifico”, è preciso e dettaglista, esercitandosi, come dice il sottotitolo, Attorno ai seminari inediti 1933-35, che egli porta alla luce: vuole proporsi come storico obiettivo – e fare un libro diverso dal Farias. Ma è esoso, quasi persecutorio, negli addebiti: la sua sembra un'arringa avvocatesca. Da una parte. Dall’altra accomuna nel nazismo a ogni passo senza argomenti Nolte e Jünger, che invece si sanno estranei, oltre che Schmitt, e perfino Spengler e Stefan George. E questo stona e allarma.
Il nazismo di Heidegger è anteriore al 1933, afferma Faye nelle “Conclusioni”. Ma per spiegare, caratteristicamente: “In “Essere e Tempo” si fa discreto perché il suo scopo è di ottenere la successione di Husserl”. Heidegger, “Essere e tempo” e tutto quanto riducendo a bega universitaria. Nell’ottica della bega Faye poi nega a Heidegger il più piccolo apporto alla filosofia. Non è il suo più piccolo limite. Il nazismo di Heidegger, prima, durante e dopo il nazismo di Hitler, è un fatto ed è noto. Anche nelle sue componenti - che non sono razziali, anche questo stona in Faye: il nazionalismo teutonico non è razzismo, non ancora. Ma Faye sembra fare di tutto per “giustificarlo”.
Lo studioso francese di obiettivo ne ha uno suo, documentare il progetto di Heidegger di “porsi da solo e unico pensatore del nazionalsocialismo” (p.257). In aggiunta ai fatti noti e documentati da Ott e Farias, la tessera con distintivo del partito nazista, i tentativi di allineamento dell’università, il progetto di scuola nazista dei professori, i filosofemi sulla tirannia (il Führerprinzip) e gli inni a Hitler, basandosi su quattro fonti inedite: 1)il seminario “Sull’essenza e i concetti di natura, storia e Stato”, nove sessioni di due ore ciascuna, dal novembre 1933 a febbraio 1934, sulla base delle note prese di volta in volta da uno dei partecipanti, mai lo stesso, riviste e annotate da Heidegger; 2) i lasciti di Rudolph Stadelmann, un libero docente che Heidegger utilizzò da rettore come segretario particolare in molte attività legate al partito o al regime nazista; 3) i testi editi e inediti di Erik Wolf, compreso il seminario “Hegel, sullo Stato”, tenuto congiuntamente con Heidegger nel 1934-35 - Wolf è il giurista, membro del comitato parrocchiale di Friburgo, nominato dal rettore Heidegger preside di Legge, il cui eccessivo attivismo nazista portò Heidegger alle dimissioni, e alla decisione da parte del ministero di allontanare lo stesso Wolf, ma che la successiva militanza nella Chiesa Confessante, il movimento luterano di opposizione, ha assolto da colpe alla fine della guerra con gli Alleati, meritandogli anzi fama di giurista di sinistra (e contribuendo allo sdoganamento di Heidegger); 4) una integrazione alla nona sessione del seminario 1933-34 con la testimonianza di Theodore Kisiel.
Il seminario '33-34 è, malgrado il titolo, “un corso di educazione politica hitleriana”, senza dubbio. Così come quello sullo Stato, con riferimento a Hegel: lo Stato è il Volk, con tutta la stantìa esagerazione che il popolare si è stracsinato dietro in epoca nazista. Come pezze d'appoggio al suo lavoro di achivio, Faye può inoltre usare la riedizione nel 1989 dei corsi su Nietzsche, e i tre volumi della opera omnia di Heidegger, usciti negli anni 1990, Beitraege, Besinnung, Koinon, che raccolgono gli inediti degli anni 1933-45, appunti, interventi, discorsi, congressi, conferenze. dove si fa spreco di popolo, sangue, e terra, le parole chiave del nazismo. Una edizione completa delle opere di Heidegger impostata dallo stesso filosofo che però non è un'edizione critica. Faye non manca di rilevare che gli inediti non sono gli originali, ma testi rivisti da Heidegger dopo la guerra.
La novità è irrilevante, e l’intento polemico è frustrante. Troppo spesso Faye usa affermazioni presupposte. “Come vedremo”, dice in una tipica circonlocuzione, “Heidegger non riprende che parzialmente il vocabolario di (Carl) Schmitt”. E intende: sono tanto nazisti tutt’e due che s’intendono anche se usano vocabolari differenti. Mentre il contrario è più vero: Heidegger non è Schmitt. La concezione della politica di Heidegger, se se ne può formulare una, è opposta a quella di Schmitt, il gregge non è una battaglione d'assalto. Poiché tra Heidegger e Schmitt non si conoscono rapporti, Faye argomenta caratteristicamente che i due abbiano distrutto la loro corrispondenza - alle pagine 355-8. Dopo aver supposto Heidegger autore ombra dei discorsi di Hitler. Mentre gli scritti politici di Heidegger, per quanto deboli, riescono tuttavia a dare una lettura duratura, comunque vera, del nazionalismo. Nella sue forme di comunità, razzismo, imperialismo: il potere nelle sue forme nazionali è effettualmente una metafisica, fuoriesce dalle razionalità economica, sciologica, culturale, e certamente da quella biologica.
Faye è apocalittico. Analizzando, seppure più conciso e pertinente, il seminario 1934-35, dal titolo “Hegel, sullo Stato”, otto sessioni di cui restano solo gli appunti non corretti (Fay utilizza quelli di Wilhelm Hallwachs), afferma (pp. 474-75): “Heidegger si rivela a noi oggi come quello che ha voluto assicurare la perennità dell'hitlerismo e della sua dominazione dittatoriale e distruttrice sugli spiriti, al di là della persone storica del Führer. E questo ruolo di vero Führer spirituale, si è risoluto a tenerlo estremamente presto, con una prescienza che gli ha permesso di mantenersi a galla dopo la sconfitta del 1945, di perennizzare la sua azione e di propagare la sua influenza sugli spiriti dopo che il esatto contemporaneo, Hitler, ebbe militarmente fallito. E tutto questo quando la sua opera, che aveva sposato fino al 1945 la causa stessa del III° Reich ... era a quella data terminata, la sconfitta del Reich nazista segnando il termine e la fine di un'opera la cui principale ragione d'essere consisteva nel legittimare la dominazione del III° Reich e, come vedremo, del suo principio di dominazione razziale”. Niente di meno.
Il genere arringa fa parte della storia intesa come tribunale, cresciuta mostruosamente, da Norimberga alla Shoah, e ora imperativa. Ma la letteratura polemica è faticosa, così piena in questo librone di “come vedremo” e “come abbiamo già detto”, più spesso in nota. Ed è rischiosa, specie per il presupposto politico che muove Faye e tutti quanti: invece di capire perché pensatori del calibro di Heidegger, Schmitt e Junger, o tra gli scrittori Pound, per esempio, Céline, Hamsun, Benn (e Pirandello, Malaparte, Yourcenar, Simenon, Saint-Exupéry, Caillois, Montherlant, Éliade, Cioran…), perché artisti e filosofi di forte intuito e intelligenza sono stati di destra e perfino nazisti, si incollano gli stessi come fiori all’occhiello del nazismo, stendardi, trofei, e quasi a suo scudo. Non domandanselo, si ritualizza la storia, la si rende cioè inefficace ai fini delle nostre responsabilità, e Faye non esce dalle tre vulgate del nazismo e dello sterminio, come opera di pazzi, di sadici, di congiure esoteriche.
Lo scandalo non è Heidegger nazista – anche Platone ebbe la sola ambizione di diventare consigliori del tiranno di Siracusa. È che il nazismo non era carta stagnola, non è quello di Leni Riefenstahl, né un circolo esoterico o stregonesco, e neppure un manicomio, in Germania e fuori. Nel caso di Heidegger per una coerenza sopravvissuta altezzosa, solo poco dissimulata, alla sconfitta, alla cognizione senza più scusanti degli abissi della Germania nazista.
Questo non è un buon argomento, afferma Faye in conclusione. E invece lo è. Per la politica non è un buon argomento, si può professare la fede per un posto, o per una utopia. Nessuno fa torto a Platone di avere scelto il tiranno, e nessuno ricorda il tiranno che prima lo sfruttò e poi lo maltrattò. Heidegger è quello che è, sempre insincero, con le donne e con gli uomini, spesso traditore, e fellone, un tedesco addottorato di provincia, anzi di paese. Ma per la filosofia invece è un buon argomento: è parte del cammino della verità.
Emmanuel Faye, Heidegger, l’introduction du nazisme dans la philosophie, Livre de poche, pp.767, € 9

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