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lunedì 19 aprile 2010

Secondi pensieri - (42)

zeulig 

Consolazione – Se è una virtù, è molto comune. È di tutte le religioni. E anche degli animalisti, i naturalisti, i consumatori di massa, nonché degli shoppers - Sophie Kinsella non fa che consolarsi. Di una perdita evidentemente. È la perdita connaturata all’uomo, la caduta? 

Cristianesimo – Tutto vi è Amore. Ma una buona metà del tutto ne è esclsuo, i sensi. O vede l’Amore come Morte? Eros-Thanatos, quanto è greco (Platone, “Simposio”), e quanto ellenistico-giudiaico? È piuttosto una religione della Morte. Della “buona Morte”, per la “vera vita”, l’accettazione cioè dell’ignoto, l’“aldilà. La sua tradizione è irreligiosa. Non le cose tramandate (le scritture, i miracoli, i dogmi), ma la tradizione come determinazione: il Messia è contro Dio. Filosoficamente sarebbe la fine della storia (del tempo). Impensabile. Teologicamente depriva Dio di se stesso, cioè della rivelazione (la grazia). Dio non può rivelarsi secondo una cronologia, una geografia e una tribù. Per essere divina, la rivelazione non deve essere esclusiva. La Chiesa ha forse cominciato ad accertarlo, con l’ecumenismo del concilio Vaticano II, la pari dignità delle religioni monoteiste. Ma è possibile storicizzare le scritture? Bisognerebbe storicizzare Gesù, cioè il Messia. L’ecumenismo cristiano avrà semrpe un limite, nell’adeguamento dell’essenza del divino, poiché la sua rivelazione è ancorata alla divinità del profeta. L’uomo-Dio ripiomba la religione nell’empietà? È tale il fascino di Gesù e dei vangeli da consentire al cristianesimo di superare questa incongruenza, e l’attività della Chiesa. Ma è un’attrattiva che sconfina nel mistero. L’uomo senza Dio (l’uomo empio), dice Rosmini nella “Storia dell’empietà”, si cera delle divinità frutto della propria immaginazione. Ma rivelare la divinità non è peggio? È voler imporre la propria immaginazione. Le Chiese cristiane si pongono (si differenziano, s’identificano) sul piano politico. Avendo decretato la fine della storia, si occupano di tener buona l’ecclesìa. In teoria sono guardiane della morale, ma hanno principi onfivaghi, anche poco ragionevoli, perfino immorali. Mentre la loro teologia è formale: non si occupa di Dio ma di questioni ipotetiche. È una forma di logica. 

Identità – Kurosawa termina “Sogni” in allegria con un funerale. È una festa perché la morte di ognuno, come ogni altro evento o atto, è un fatto sociale. L’uomo vive con gli altri, la sua individualità non è la solitudine. Ibsen, Pirandello, e Sartre dell’inferno sono gli altri (e Freud) leggono la stessa situazione al rovescio: l’individualità come destino tragico, impossibile. Venendo al termine di un sentiero individualizzante fino ad allora inesplorato. La scissione cresce, non si risolve, con la vita solitaria – che non l’ozio riflessivo di Petrarca.

Potere – In sé è vuoto, è una pippa. Come fatto relazionale può far male, e qualche volta bene. Ma è negativo. Deve cioè distruggere, la sua natura è non tollerare altri poteri. E si esercita consumando i beni o le energie degli altri. È lo spirito creativo, dice Jünger, distinto dalla forza, che è lo spirito imitativo: l’uno domina, l’altro lavora. Ma il potere è vuoto. Se non lavora: non progetta, non trama, non distrugge.

Pubblicità – Inducendo al bisogno delle cose - non al piacere, al bisogno - è la prima forma di cancellazione radicale di Dio: l’incertezza è tra le cose. Radicale, cioè psicologica, della forma mentis.

Rimozione – È un diritto della memoria, cioè della vita. Un diritto di libertà, dopo la liberazione dal male. Ci si libera di certi ricordi con lo stesso diritto che abbiamo di non tollerare le zanzare, o gli odori o i fumi infetti. La vita essendo una sommatoria di esperienza, ci sono i più insieme ai meno. Dice Freud: rimuoviamo le rimozioni che danneggiano il paziente. Ma prima lo deve annientare, con la umiliante esposizione di ogni rimosso, a scadenze periodiche, non disdettabili, onerose. 

Santità – Santifica l’orgoglio. 

Selvaggio – È il pensiero. È l’uomo, e la storia. È la civiltà: l’automobile (morti, fumi, rumori), la città, la fabbrica, la chiesa, la stessa famiglia, nulla d’illuminato o saggio in tutto ciò. È la realtà. Anche quando è burocratizzata alla Hegel, ordinata, programmata. La razionalità è una filigrana, persistente ma caduca. Il buon selvaggio è mito (artificio) retorico. L’uomo è la sua memoria, anche culturale, di più biologica, e sa usare le cose. È una personificazione della natura, che però non è buona, né cattiva. Usa e si usa anch’essa, ma con un tempo non tempo – non storico – e senza giudizio. 

Sentinenti – Sono il fare spirituale. 

Snobismo – Ora è piccolo borghese: - Il barista contro il popolo dei buoni pasto - Il tour operator contro il turismo di massa - Il ristoratore contro chi non beve (prima contro chi beveva) - Il parroco contro le donnette, gli ignoranti, i beghini, i mendicanti - Il giornalista verso i pensionati che scrivono al direttore - Il professore verso le allieve senza glamour L’élite si forma per misantropia. Nelle città del silenzio. 

Storia – Muta costantemente: mutano gli eventi, che sono narrazioni (ricostruzioni). È, anche, l’oblio. Ma non per questo cessa di essere stata, di essere. È sempre storia di gesta eccezionali. E privilegia le opere di virtù e conoscenza: quelle legate al mestiere di scrittore, le arti quindi e la filosofia, compresa la politica, e quelle dei notabili fino al secolo passato, sacerdoti (santi) e condottieri. Può anche essere di settore o genere, da uno speciale punto di vista. Non c’è una storia generale che faccia perno sulle imprese e gli imprenditori, che pure da un paio di secoli fanno gran parte della vita associata, compresi gli orizzonti dei singoli. Un Erodoto di oggi sicuramente darebbe loro il primo piano, anche per il peso che hanno nelle decisioni politiche e militari. Sono alcun i millenni che la storia non si rinnova: è rimasta ai modelli di Erodoto e Tucidide, con qualche cattiveria tacitiana. 

Strutturalismo – È legato al cinema, nasce col cinema. Dove l’effetto estetico o emotivo non è del singolo evento o particolare ma dell’insieme. Lo stesso del romanzo ma accelerato: vissuto e metabolizzato (catarsi) in blocco e non ripensato o congetturato man mano. È proprio di un sapere metodologico, incapace di entrare nella verità, che sono i fatti e le persone – moventi, emozioni, desideri. È quindi una regressione. In chiave di modernizzazione, o storia ascendente, è l’inizio di una storia nuova: le cui premesse sono però fiacche: uniformità e ripetitività, per il progetto di spassionatezza – perfino le difformità (eccentricità, novità), vi sono scontate, le noiose agudezas

Utilitarismo – Urta contro l’inutilità della vita. E viceversa: rende la vita “inutile”.

zeulig@antiit.eu

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