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domenica 29 dicembre 2019

Secondi pensieri - 405

zeulig


Ateismo – “In verità, in questo secolo Dio fa miracoli in favore degli atei, che dovrebbero almeno, vedendoli, convertirsi”, F. Galiani a madame d’Ėpinay, Napoli, 12 gennaio 1771.

Dio – “Questa è la condizione delle cose del mondo, chi ruba poco è un ladro,chi molto è un conquistatore. Quel che in piccolo pare sproposito, in grande diventa mistero”, F. Galiani, “Dell’idea di Dio”. Così funziona “la grande, gloriosa, misericordiosa, divina, ed imperscrutabile redenzione del genere umano”.
Non è tutto. “Se un Dio avesse fatto il mondo”, è altro ‘pensiero’ dell’abate, il mondo “sarebbe senza dubbio il migliore di tutti, ma non lo è, di certo; dunque non c’è Dio”. Galiani usa il sillogismo per dire la furbizia dell’ateo, che nega mentre afferma. Ma la creazione non nasce dall’imperfezione?
Leibniz peraltro, cui si farebbe risalire il sillogismo, è per Galiani il miglior tesista: “Se fosse vero che questo mondo è il migliore dei mondi possibile, sarebbe chiaro che esso sarebbe increato e non ci sarebbe bisogno di Dio”.

Equilibrio – È condizione instabile, in economia e in diplomazia, dove è termine di riferimento, come in psicologia – emozioni e passioni, felicità e infelicità, virtù e vizio. E nella storia – i popoli, i governi, gli imperi. E nella natura: le stagioni, le nascite, le morti. È la stabilità dell’instabilità, semovente: la vita è moto.

Legge – Quella perfetta si direbbe “illegale”: una legge cioè che non regola (delimita) ma decide (impone). I comportamenti come gli eventi.
È a questo tipo di legge che si riferisce l’eccesso di legiferazione. La pretesa di questo eccesso di normare tutto. Il cui unico effetto è l’eccesso di burocrazia, cioè di controllo sterile. Fino al blocco -  all’inettitudine - della stessa legge.
Si può dire anche – poiché lo è, questo è il suo unico effetto – l’eccesso normativo inteso a coprire, o garantire, atti e comportamenti viziati o delittuosi. Questo è quanto succede di fatto. Oggi vige l’ideologia del mercato, che dovrebbe assicurare più merci e più servizi al maggior numero, a condizioni più favorevoli. Mentre è l’esatto opposto che si verifica: prezzi e merci incontrollabili, mercati vistosamente oligopolistici. Ma il tutto vigilato, cioè protetto, da una serie infinita di norme, che vengono evocate in lunghe pagine di consenso informato, a nessun effetto. E da Autorità di controllo del mercato, che solo redigono lunghissimi in comprensibili regolamenti – inattuabili?

Libertà – Connota l’uomo. “Si potrebbe anche definire l’uomo un animale che si crede libero”, scrive Galiani a Madame d’Ėpinay il 23 novembre 1771, “e sarebbe una definizione completa”. Che “si crede” magari no, ma che ambisce sì. “È assolutamente impossibile per l’uomo dimenticare un solo istante,” continua l’abate, “e rinunciare alla sua persuasione di essere libero”. Questo è più vero – anche se persuasione andrebbe meglio detta convinzione, cioè ambizione.
Più conseguente il seguito: “Secondo punto: essere persuaso di essere libero è la stessa cosa che essere effettivamente libero? Rispondo: non è la stessa osa, ma produce gli stessi effetti in morale. L’uomo è dunque libero perché è intimamente persuaso di esserlo, e questo vale altrettanto che la libertà?” L’abate non risponde, e forse non ce n’è bisogno: la libertà è la volontà di libertà.

Morte – È, se è qualcosa, un segno di vita. Sia nell’attività, anche frenetica: è un “altro” segno di vita possibile. Sia nella stanchezza o nella noia, nella caduta dell’interesse (curiosità). È il rimpianto dei vivi, a memoria, quando c’è, della persona morta.

Nichilismo – Galiani rovescia l’argomentazione ateista: “La loro «maggiore» è falsa (“tutto è bene in questo mondo, che è il migliore dei mondi “. n.d.r.); talmente falsa che, se fosse vero che questo mondo è il migliore possibile, sarebbe chiaro che esso sarebbe increato e non ci sarebbe Dio. La sua imperfezione è la prova più convincente della sua creazione e della sua subordinazione a un essere più perfetto”.

Il nulla è sensibilmente depressivo. Estratto dalla ragione illuministica – la ragione semplice-istica – esso alimenta un arguto, per lo più, pessimismo, ridanciano – di Voltaire e Diderot, anche di Rousseau, che però ne percepiva un limite. Ėcrasé l’infame, non si sa più che pensare – il business del Cern, dei particellari del bosone di Dio, era ancora da inventare. Il materialismo è troppo “poco”, non soddisfa – il genere la vita è noia, tanto vale non essere nato, eccetera. Il rifiuto cioè di una spiegazione, accettazione.
L’abate Galiani, illuminista critico, lo dice mamma – femmina, complementare, nei “Dialoghi” facendone, non del tutto per ridere, una questione di genere. Si parta, suggerisce, dalla proposizione: Dio ha creato il mondo dal nulla. “Ebbene, noi dunque abbiamo Iddio per padre, e il nulla per madre”. È una maniera per l’abate di rovesciare l’argomentazione ateista: “Sicuramente, nostro padre è cosa grandissima, ma nostra madre non val proprio nulla”. Poiché si prende dal padre ma anche dalla madre, “ciò che vi è di buono nel mondo viene dal padre, e ciò che vi è di cattivo viene da madama niente nostra madre, che non valeva gran cosa”.
Il nulla è dunque femmina, ma complementare a che? All’Infinito, che invece sarebbe padre. Al suo modo scherzoso, ma non più assurdo del materialismo, l’abate argomenta: “Quando sentite dire lo Zero, o il nulla, voi fate subito concetto che quindi non debba nascer niente: e quando sentite risuonare il magnifico nome dell’Infinito, subito apprendete qualche gran cosa, che non possa capire nell’Universo”. Perché non “temperare un concetto con l’altro”? “Dalla moltiplicazione dello Zero con l’Infinito ne raccorrete veramente come si dee, né che il prodotto segua totalmente il ventre della madre, che è il nulla, né che totalmente rassomigli le fattezze e lo spirito del Genitore, che è l’Infinito, ma che sia un effetto mezzano tra l’infinito e il niente”, una “grandezza limitata, la quale sta al nulla, come l’infinito alla detta grandezza”.  

Opinione pubblica – Si dissolve, e con essa il senso della politica rigenerativa (ideologica) in concomitanza con la dissoluzione del mondo gutenberghiano, a stampa. Si era diffusa, e anzi era dominante, con la stampa. Si è dissolta ne due ultimi decenni, o in ancora meno anni, per il passaggio della lettura al digitale. Ossia alla dissoluzione dell’intermediazione, del ragionamento articolato. In favore di reazioni epidermiche, anche istintive, ma non ragionate (argomentate). Sotto il velo insidioso della democrazia, del’ugualitarismo.

Ruminazione – O riflessione, il processo di digestione di ogni idea, comunicazione, parola. È la funzione corporale che in antico si privilegiava nella lettura del presente e quindi del futuro, fino alla divinazione. Ed è conservata nel vocabolario, sotto la dizione “visceri”, per la quale non si intende gli organi dello stomaco ma l’intimità, il ricettacolo, dei sentimenti e delle passioni: la pietà, la compassione, l’affetto, l’ira (la radicalità). Un po’ in analogia col cuore ma senza motivo fisiologico, da sempre, dal antichità greca e romana, i visceri sono considerati sede delle emozioni - la macchina anzi delle emozioni, una sorta di coltura idroponica dei sentimenti. Il cuore del resto è anch’esso parte dei “visceri”, dell’interiorità in cui macera la sensibilità. E lo stesso, indirettamente, il cervello.
Gli organi interni sono distinti per funzione. La sede della morale, e della logica, è indistintamente riferita in latino come “praecordia”, “pectus” e “viscera”. Con  una minima distinzione: il cor è sede delle pulsioni sessuali, sensuali, il pectus e i praecordia di intelligenza, intuito, anche sentimento, ma ragionativo, senza trasporto. Non in un rapporto di causa ed effetto, ma come procedimento interiore, di riflessione, macerazione, ruminazione.


“Ciò che viene in maniera offensiva detto «ruminare» è piuttosto la «ripetizione», attraverso la quale la nostra esistenza ha un peso nel tempo, è ciò che forma la nostra storicità. Ciò rappresenta la costituzione storica, che dall’Antico Testamento ha pervaso la nostra esistenza occidentale”, scioccamente derisa dai moderni, con il loro “piatto razionalismo e una psicologia superficiale” – Karl Kaspers, “La questione della Colpa”.

zeulig@antiit.eu


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