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lunedì 21 settembre 2009

Letture - 14

letterautore

Dante – Alla fine ha messo cinque papi all’inferno, e due eretici in paradiso.

Longfellow ha iniziato la traduzione di Dante, la traduzione sistematica della “Commedia”, nel 1861 e non è più uscito di casa. Jacqueline Risset, che la “Commedia” per ultimo ha reso in francese, testimonia lo stress, il “consumo” che l’autore fa del traduttore. Anche in senso proprio: la “Commedia” di Jacqueline Risset è Dante, benché in francese, benché a fine Novecento.
Il traduttore come un doppio dell’autore, dunque, se riesce a immedesimarsi in lui. Ma non avviene per tutti gli autori, non è necessario – e anzi può essere controproducente: essere proustiani con Proust, per esempio, riesce sempre stuccosissimo.

È l’uomo, l’essere umano maschile. Che eleva il desiderio – Beatrice - allo stato angelico. L’inverso non c’è – non è possibile – e non perché le donne non amano gli uomini, ma per l’impossibile trasformazione dell’angelo in desiderio, si brucerebbe le ali.

Dantesco è l’infernale, sta per odio, esilio, solitudine, e per orrido, macabro, trucido. Mentre il suo viaggio è verso il paradiso, l’amore cioè e la sapienza. Da uomo colto, il più colto dei suoi anni, profondo conoscitore di tutte le arti liberali e anche della geografia, buon filosofo e filologo.

Per Gadda (“Novelle del ducato in fiamme”) Dante è “grande pettegolo”.

Galileo – La scoperta (riscoperta) dell’invenzione non è cosa da poco – o l’invenzione della scoperta. Invenzione si vuole ridurre etimologicamente a ritrovamento, come a dire: “Nulla di nuovo”. E invece è una forma di conoscenza nuova, in quanto, passando per l’astrazione (p.es.: studiare la caduta dei pesi nel vuoto), passa per l’ignoto. Sarà una ricognizione dell’esistente, poiché creatori non siamo, ma intrepida e fantastica.
Il coraggio di Galileo non è solo il metodo ma una diversa umanità. Per il principio della libertà individuale, nella geometria del mondo. Un’individualità che si può enucleare anzitutto, senza offendere Dio, e quindi felice. E si esercita “all’aperto”, nella natura, non nel chiuso della malinconia o della magia, e procede con ardimento e socievolezza.

Kafka – Letto attraverso i diari e le lettere disamora. Non è più un creatore ma un ometto sul sofà dell’analista.
Avvicinare l’opera alla vita e alla personalità dell’autore è rischioso. Il personaggio Proust delle lettere, degli articoli, delle frequentazioni allevia di simpatia la mostruosità della “Recherche”. Il personaggio Kafka rende mostruoso, perfino sinistro, il fascino della sua opera. Persona di un egocentrismo totale, attento unicamente alle sue fobie (quell’io, io, io delle lettere), chiuso alla comunicazione, con le donne e con gli amici, chiuso alla passione (“Lettere al padre”). Scrive da entomologo perché vive da millepiedi.
Brod ne nobilita l’insensibilità sentimentale nell’ascesi, nella religiosità esoterica se non nell’ebraismo. E invece Kafka non è sensibile alla religione, nemmeno sotto forma di paura.

Joyce – In quanto scrittore delle prime, impressionanti, parolacce, si è “liberato” nella parlata comune di Roma e Trieste?

Malaparte – Sostiene (“Benedetti italiani”) che Firenze è tutto, romanica, bizantina, gotica, ma non rinascimentale. È possibile: i fiorentini, noiosi attaccabrighe, non è possibile che abbiano fatto il Rinascimento, così positivo, compiaciuto. Forse con alcuni fiorentini di Roma, Leone X, Clemente VII, Beato Angelico, Michelangelo.
Malaparte vuole essere gotico, dalla “Rivolta dei santi maledetti” a “La pelle”. Invece è un rinascimentale in ritardo – un rondista: levigato, proporzionato, sontuoso, grande e bello.

Ha al suo attivo due prime mondiali: il primo “romanzo” della (contro la) grande guerra, “La rivolta dei santi maledetti”, e il primo della guerra di Hitler e Mussolini, “Kaputt”.

Thomas Mann – È lui, e solo lui, un Buddenbrook, un signore del “reale”, delle cose solide. O meglio degli “uomini vestiti di nero” (“per porre una severa distanza fra sé e le epoche nelle quali vivevano”, sotto i nomi di Castorp e Settembrini nella “Montagna incantata”, il conservatore e il rivoluzionario, entrambi tutti d’un pezzo).

Marx - “Liberale quanto un dogma religioso”, lo dice Chesterston. Ma non era il barbone collerico che si vuole, anzi come Democrito, il primo materialista, se la rideva. Era, insomma, un borghese – quello che lui magnificò come borghese. Pensa anche come Napoleone più che, criticamente, come Hegel: semplifica la storia perché vuole farsene una.
Rilancia, sul supporto di Hegel e della storia rivelazione, l’unicità della Rivoluzione francese nel senso della compattezza, e anzi della monoliticità. Che è quella che la Rivoluzione diede di sé nel mondo, ma questo a opera di Napoleone, della conquista napoleonica. La Rivoluzione fu episodica, si sa, e frammentata: mozioni confuse, assemblee vaganti, strane peripezie dei protagonisti, che sono tanti e nessuno, la violenza della piazza parigina, il grande, assordante silenzio del popolo francese. Che quando si espresse fu contro i regicidi e i ghigliottinardi. Ci furono semmai tante rivoluzioni, insieme e in successione. Napoleone ne fissò il nome, che non vuole dire nulla.

È evangelico, è vero, anche se non lo sa, è Cristo – se era ebreo, si è convertito. Per il dovere del paradiso in terra, della giustizia. Un Cristo laico, per la fregnaccia del Diamat.

La verità è, è sempre stata, che la fabbrica non ha consistenza, il vero lavoro è sovrastruttura, qualsiasi esperto di produzione l’ha sempre saputo. E che ciò è auspicabile, anche politicamente: altrimenti il comunismo è di schiavi, senza umanità, avendo eliminato ogni spazio, comune e personale.

Novecento – La letteratura è, per la prima volta, monotematica e formale, radicalmente, nel secolo più fattivo (non si può dire costruttivo) della storia. Fino a tutto l’Ottocento si voleva piena di cose. Le cose del Novecento letterario sono presto dette:
Proust: “Gli svaghi di un ragazzo un po’ malato (molto avviene a letto)”
Céline: “Un cavaliere contro la guerra”
Joyce: “Sesso e lingua (sesso è lingua?)”
Kafka: “?”
Musil: “Far parlare l’afasico, con protesi stuzzicante (l’omosessualità, l’incesto)”
Thomas Mann: è dell’Ottocento
Hemingway: “A caccia e a pesca”
Calvino: “La superficie delle cose”
Sciascia: “Siamo tutti siciliani – per non esserlo”
Pirandello: è di tutti i secoli, come Shakespeare.
Per la prima volta? Ma già Petrarca, l’ellenismo, i lirici greci. Non è ritornante, questa malinconia dello spirito, l’autismo della parola?

letterautore@antiit.eu

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