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sabato 28 giugno 2025

La guerra dei tre vincitori

La Guerra dei Dodici Giorni, che tutti hanno vinto, sarà stata spettacolare per due motivi. I capintesta militari e nucleari iraniani assassinati uno per uno nelle loro abitazioni, si presume iperprotette. E un Paese, lo stesso  che predica le guerra a mezzo mondo, da mezzo secolo, quasi, e non ha contraerea, nemmeno un vecchio sam sovietico. Fra contendenti che si rifanno a Dio, spettacolare qui è l’assenza di Dio.
L’America invece è intervenuta nella sua passione dominante, il bombardamento aereo. La guerra aerea gli Stati Uniti preferiscono, perché è molto costosa, e quindi sono imbattibili. Ma come bombardieri. Gli americani non sono cacciatori, sono navigatori. E quindi niente sport in aria a chi è più abile, solo pesanti bombardieri che vanno al bersaglio, quando non c’è caccia nemica, né contraerea.
Si capisce così che abbiano vinto tutti. Trump ha riportato a casa i costosi bombardieri, Khamenei è sopravvissuto, Netanyahu 
ha fatto fuori un buon numero d’iraniani, a tiro singolo, che è il suo sport preferito.

Saffismo impavido e triste

Una fila lunghissima alle Poste, più di una. Di donne prevalentemente. Di chiacchiericcio di paese – quello di origine dell’autrice, Scaur, che un po’ fa capo a Formia un po’ a Roma. Di risentimenti, presentimenti, segreti, occultati, non inventati?, sospetti, e tipi come se ne incontrano ovunque, inerti se non sciocchi, comunque ripetitivi, saputi, dietro le pose, le apparenze. Valerio ci si è divertita a lungo – e l’editore pure, che pubblica il libro appena terminato di scrivere, maggio 2025 (lo componeva ma mano?). Che dirne?
Valerio ne fa una storia saffica. Di pulsioni naturali, cioè spontanee, che vanno al di là di ogni ragionevole dubbio, o resistenza, più o meno culturale. Senza esclusione degli uomini – anzi con uomini al loromeglio, forti e intelligenti, o vissuti e sornioni, e sempre padri accudenti, comunque paterni. Per il resto, una tranche di vita di paese, quale probabilmente non è mai stata “rappresentata” – raccontata, fatta rivivere. Saporita, benché profusa. Del resto, la ripetizione è l’ossatura del linguaggio di paese. Di cui Valerio si diverte a fare la mimesi. Con risultati ottimi: il taglio linguistico delle “comari” è sempre appropriato. Uua  fooma italiana che mantiene intatto il dialetto, sapore e costrutto: asintoticità, allusione, già detto (complicità), pause, accentazioni.
Con non molto costrutto. Una divagazione più che altro, un divertimento d’autore. Ci sono anche “I Malavoglia”, con “le triglie di gennnnaio” – più saporite? E Luciana Castellina stalinista involontaria, che “in una piazza gremita” spiega di non avere mai “incontrato un essere umano innamorato di un’idea che non si fosse prima innamorato di una persona” – per cui “i regimi totalitari” si possono dire “l’estensione della gelosia dei maschi per le femmine”. Nonsense. E “tutti gli animali fanno l’amore ma solo gli esseri umani possono perlarne” – solo dell’amore? Con un “ma”.
In un paio di punti l’autrice dice di rifarsi a “Harmony”. E ci riesce: la storia saffica, le storie saffiche di cui la narrazione è farcita, hanno le stesse “intensità”. Per lo più al passato, rimorso o rimpianto, oppure, se al presente, come rimembranze-rifacimenti di un passato eterno, immemoriale. Ma dopo varie professioni di comunismo, di odio contro Berlusconi, e di Mussolini - la scena saffica centrale, un bacio tra una cinquantenne, quasi, e una settantenne, ultra, con esplorazione  digitale delle parti intime risultata seccagna, s’infioretta di palazzo Grazioli (Berlusconi) e di palazzo Venezia, del “balcone” (Mussolini). Che ci azzeccano “Harmony” e Berlusconi col saffismo? “Harmony” perché ne è stata autrice – per 137 numeri come Josie Bell (“una ex attrice americana della fine degli anni Ottanta, di una manciata di film d’azione”), e “un’ottantina con lo pseudonimo di Amanda King”, Anna Paratore, che è la madre single di Giorgia Meloni? Non c’è saffismo, non si gode, se non c’è “fascismo”? Esercizio peraltro arduo nella scena madre anche a una vista a uncino, dato che palazzo Grazioli si posiziona un centinaio di metri indietro rispetto al “balcone”, allo stesso palazzo Venezia). È come se Valerio ci prendesse in giro – o peggio, se fa sul serio. 
Chiara Valerio, La fila alle poste, Sellerio, pp. 366 € 16

venerdì 27 giugno 2025

Letture - 582

letterautore


Alcibiade – Si pubblicano 52 “pezzi” di  Mario Praz, scritti per “Paese sera” tra il 1960 e il 1972.  di cui, da cultore di Praz e lettore del quotidiano (per alcuni anni anche professionale), non si conserva memoria. Non attirava lo pseudonimo o possono non attirare gli scritti di Praz non firmati?
 
Arabia Saudita – Oggi al centro delle “industrie culturali” (promozioni socio-politiche) di ogni tipo,  architettoniche, greeen, calcistiche, tennistiche, museali, etc., era per Elemire Zolla sconsolato, “L’eclisse dell’intellettuale”, 1959, “ormai l’unico posto del mondo che resista all’industria culturale”.  
 
Bidet – Il settimanale “Robinson” lo rilancia, con un servizio a quattro mani, River Akira Davis e Kiuko Notorya, giapponesi si presume, o nippo-americani, perché si tratta di un bidet di fabbricazione giapponese che fa fortuna, pare, negli Stai Uniti. Serve come bidet classico e anche come water, il getto essendo incorporato nel water. Il che, viene spiegato, consentirebbe il risparmio della carta igienica.
Potrebbe essere uno scherzo. Ma è più probabile che sia vero, in America si fa molta riflessione sul bagno domestico - in California usano anche due sciacquoni, uno per la pipì e uno per la cacca, per risparmiare l’acqua.

 
Bikini – Ma è un’invenzione, dello stilista Louis Réard, come sinonimo di “bomba atomica” – si è usato a lungo dire delle pin-up, o di Marylin Monroe, “l’atomica”. Bikini era il nome di un atollo
del Pacifico, nelle isole Marshall, su cui nel 1946 gli Stati Uniti condussero una serie di esplosioni nucleari “spettacolari” – per un vasto pubblico, di personalità, giornalisti e curiosi. Ma sporchi, sporchissimi.

Se ne fecero due dei tre programmati. Uno in superficie, e uno sott’acqua, contro navi militari e civili, per poi provare a ripararle e decontaminarle. I primi peraltro di una vasta serie di esplosioni “a fini di ricerca” in altre località delle stesse isole Marshall.
 
Duello – Ha colpito – impoverito – specialmente la letteratura russa: non solo Puškin ne è morto giovane, di 38 anni, anche Lermonotov ne era morto ancora più giovane, di 27 anni. Entrambi per motivi amorosi. Quello mortale di Puškin fu il ventunesimo in cui fu coinvolto: 15 su sua sfida, dei quali solo 4 poi ebbero luogo, e 6 su sfida avversa. Il duello ricorre anche in un paio dei suoi racconti.
Sono sempre duelli alla pistola. Di Lermontov, della sua passione per i duelli, non c’è traccia nei racconti. Ma le biografie lo dicono volentieri attaccabrighe, negli anni del Caucaso, delle guerre contro i ceceni. Morì per mano d Martinov, un altro ufficiale del suo distaccamento, suo vecchio compagno di accademia. 

 
Editoria  - Kerbaker segnala sul “Sole 24 Ore Dmenica” l’altra uno studio del catalogo Feltrinelli per i 70 anni della casa editrice affidato agli allievi del Laboratorio di Editoria della Cattolica di Milano. Da cui risultano per la narrativa i molti successi degli anni 1950-1960 (che sono, andava detto, quelli della Feltrinelli di Bassani, Nanni Filippini, Giampiero Brega), e la singolare desertificazione successiva – c’è Tabucchi, anche questo andava aggiunto, ma giungeva valorizzato da Elvira Sellerio.
Lo stesso vale per Einaudi, malgrado Pavese e Calvino – resiste qualche Sciascia (dovuto a Calvino) e poco più. S
pecialmente inerti le collane di Vittorini, e la “creatività” dell’Einaudi di Vittorini.

Vittorini, che tanta pessima letteratura ha promosso da Einaudi, tanta ottima ne ha bocciato da Mondadori, il Gattopardo, Živago, Simenon, Grass. Lo stesso Calvino, che ha pubblicato anch’egli boiate immense, ha dedicato a Morselli, al suo romanzo della vita, un viaggio in treno fino a Milano, un’ora e mezza da Torino, e gli ha negato la pubblicazione - lo aveva fatto anche a Maria Corti, quando  si era proposta romanziera.
Feltrinelli nei primi anni 1970 vendeva nelle librerie le tecniche di fabbricazionee delle molotov, e ne espungeva i libri Adelphi, Rusconi, De Agostini, e Rizzoli eccetto la Bur. Mentre pubblicava, dopo gli “Scritti di economia” di Cavour, le opere d Salvemini, al dodicesimo volume, “Settore privato” di Léautaud, e “come farlo”, a letto e al mare. Non pubblicava Cohn-Bendit: “Non voglio libri di anarchici”, aveva detto l’editore, Giangiacomo, rivoluzionario  terrorista. Le impiegate in casa editrice avevano ancora il grembiule, azzurro.
 
Francese – “Un francese sa tutto, anche se non ha imparato niente”: è tranchant Dostoevskij nel saggio “Russia”, p. 17, a proposito degli stranieri che non sanno nulla della Russia e ne dicono di tutto. Il suo “francese in Russia” non è da copyright – i “viaggiatori” spesso provocano risentimenti - ma questo di Dostevskij è del 1860, e dà bene l’idea: “Viene da noi a darci una sbirciatina della più alta penetrazione…” - pp.17-18.
 
Freud-Jung – “Freud era più scrittore, vinse il premio Goethe, mentre a Jung interessava fino a un certo punto lo stile” - Luigi Zoja a Antonio Gnoli su “Robinson”: “Ma la sua vasta cultura ne fece uno straordinario umanista”. O anche: “Freud è sta soprattutto un intellettuale e uno scrittore, Jung lo definirei un maestro”.
 
Galileo – È famosamente “il più grande scrittore italiano” per Italo Calvino. Possibile? È avvenuto – Galileo, autore che non si può non dire secentesco, è invece leggibilissimo, e interessantissimo anche per il lettore comune, anche se non scrisse poesie né romanzi, ma Calvino è andato oltre. 

Avveniva quasi sessant’anni fa. La vigilia di Natale 1967 Anna Maria Ortese inviava a Calvino una sorta di lettera aperta sul “Corriere della sera”, a proposito di “Ti con zero”: “Caro Calvino, non c'è volta che sentendo parlare di lanci spaziali, di conquiste dello spazio, ecc., io non provi tristezza e fastidio; e nella tristezza c'è del timore, nel fastidio dell'irritazione, forse sgomento e ansia. Mi domando perché…..”..
La scrittrice, reduce dal successo infine con “Il mare non bagna Napoli”, con cui ha vinto il premio Viareggio, è a disagio per l’entrata massiccia nella sua ordinata quotidianeità della tecnologia – di cui, per istinto o cultura, sa che bisogna diffidare.

Il 27, quando il “Corriere” tornava in edicola dopo la pausa natalizia, recava anche una profusa risposta di Calvino a Ortese: “Cara Anna Maria Ortese, guardare il cielo stellato per consolarci delle brutture terrestri? Ma non le sembra una soluzione troppo comoda? Se si volesse portare il suo discorso alle estreme conseguenze, si finirebbe per dire: continui pure la terra ad andare di male in peggio, tanto io guardo il firmamento e ritrovo il mio equilibrio e la mia pace interiore. Non le pare di "strumentalizzarlo" malamente, questo cielo?” Etc., per una buona cartella. Con la chiusa, un’esortazione alla conoscenza. Anche dell’“universo extraumano”: “La luna, fin dall'antichità, ha significato per gli uomini questo desiderio, e la devozione lunare dei poeti così si spiega…. Chi ama la luna davvero non si accontenta di contemplarla come un’immagine convenzionale, vuole entrare in un rapporto più stretto con lei, vuole vedere di più nella luna, vuole che la luna dica di più. Il più grande scrittore della letteratura italiana di ogni secolo, Galileo, appena si mette a parlare della luna innalza la sua prosa ad un grado di precisione e di evidenza ed insieme di rarefazione lirica prodigiose. E la lingua di Galileo fu uno dei modelli della lingua di Leopardi, gran poeta lunare...”
 
Jacovitti – Da sempre trascurato – perché non “allineato”? – lo esuma Altan, intervistato su “Robinson” da Luca Valtorta: figlio di Carlo Tullio-Altan, severo antropologo, sociologo e filosofo, per il quale tutto andava proibito ai bambini, “mi arrangiavo”, dice. Classe 1942, non si lasciava in realtà sfuggire le letture d’obbligo negli anni dell’adolescenza: “Leggevo Topolino, Gim Toro, il Piccolo Sceriffo, Il vittorioso e, soprattutto, Jacovitti” – che era la colonna del “Vittorioso” (manca “Capitan Miki”, il resto c’è tutto). “Qualcuno di questi l’ha influenzata?”, chiede l’intervistatore. “Sicuramente Jacovitti: c’è qualcosa di lui che mi è rimasto. C’erano tutti questi particolari sorprendenti”. Una vindicatio sorprendente, su una costola di “la Repubblica”, in prima.  
 
Moravia – “In una pagina di diario, Croce scrive che in quel giorno è venuto a trovarlo «lo scrittore di romanzi Moravia»” – è l’incipit del “divertimento” a due che Magris ha intrattenuto col suo amico Mario Vargas Llosa, poco tempo prima della morte di quest’ultimo (confidato a un testo che Einaudi pubblica solo in versione kindle, col titolo “Mondo, romanzo” – mentre sarebbe  “È possibile il romanzo senza il mondo moderno?”). Lo “scrittore di romanzi” era per Croce una parentesi nella storia della letteratura, di poco interesse.
 
Ringraziamenti – “Me ne asterrò”, conclude così lo storico Galasso la prefazione alla sua ultima opera, “La Calabria spagnola”, 2012, “e per non cadere in una ritualità un po’ stucchevole (specie se nella forma anglosassone di moda, che inizia col ringraziare Tizio e Caio, e conclude invariabilmente con le mogli e i figli, e magari col proprio cane o gatto), e perché non vorrei così estinguere il ricordo delle cortesie che ho ricevuto”.
Sia il cane che il gatto ringraziati in effetti è capitato di incontrarli. Anche “le mogli” è giusto, ci sono libri che prendono due matrimoni.

letterautore@antiit.eu

Il sole dell’avvenire

Un dettagliato e molto documentato prospetto degli investimenti multimiliardari per l’“energia del futuro”, la fusione nucleare. La sola che potrà effettivamente fronteggiare il cambiamento climatico.
Il progetto non è nuovo, bisogna premettere. Iniziative europee datano dagli anni 1980, a opera del Nobel per la Fisica Rubbia, in Spagna col suo “calderone”, e della Comunità Europea a Ispra con un  “Tokamak” pilota. Entrambe finite nel nulla: erano idee di ricerca più che progetti, mentre la fusione richiede sforzi e capitali ingenti. La stessa Unione Europea ora punta in grande, con un Tokamak mostruoso, in Francia, nel sito di ricerca nucleare di Caradache.
Si tratta, di fatto, di “riprodurre” il sole. Impresa per cui le tecnologie e i materiali disponibili non sembrano sufficienti. Ma la convinzione è generale che un salto è inevitabile, e che ci sarà, chi dice nel 2035, e chi nel 2050. Ci sono “almeno 43 iniziative o partnership private negli Stati Uniti e nei paesi alleati che stanno gareggiando per commercializzare l’energia da fusione”. Tra esse, negli Stati Uniti, vale ricordare una larga partecipazione Eni nelle sperimentazioni del Mit, Massachusetts Institute of Technology.
Ad oggi sono stati investiti più di 8 miliardi di dollari, per lo più denaro privato, nelle start-up di fusione, la maggior parte dei quali negli ultimi quattro anni. E poi c’è la Cina naturalmente, che si suppone, si teme, sia avanti a tutti – ha l’impianto di sperimentazione più grande e già attivo.
Scienziati e istituzioni sono più dubbiosi che fiduciosi. E tuttavia gli investimenti crescono rapidamente.
Il problema c’è: il fabbisogno di elettricità si moltiplica per effetto della transizione green e dell’intelligenza artificiale - ne è già grandissima consumatrice: La fusione è l’unica soluzione.
Evan Halper, No one has made fusion power viable yet. Why is Big Tech investing billions?, “The Washington Post”, 22 giugno, online (anche in traduzione, Nessuno ha ancora reso l'energia da fusione sostenibile. Perché le Big Tech stanno investendo miliardi?)

giovedì 26 giugno 2025

Problemi di base militari - 869

spock

L’Europa si riarma per che cosa?

 

Per fare la guerra alla Russia - sicuro?

 

Per fare a meno degli Usa?

 

C’è un’Europa senza gli Usa?

 

Ci sarà un giorno in cui l’America si farà le solite guerre e l’Europa starà a guardare?


C’era il riarmo morale, c’è ora il riarmo militare, l’Occidente si vuole  sempre sul piede di guerra? 

 

O il ReArm Europe è un piano di resilienza come un altro – big business?

spock@antiit.eu

L’Europa senza risparmio e senza investimenti



Più ricca della Cina, e piu popolosa degli Usa, la Ue arranca da tempo dietro le altre grandi economie, e il divario si aggrava. “L’Europa dispone di ampi risparmi, ma non di sufficienti investimenti. Un’Unione del risparmio e degli investimenti (SIU), un mercato finanziario paneuropeo che mobilita e rende disponibili i risparmi per gli investimenti in tutta l’Unione europea” è una necessità, anche se realizzabile a lungo termine. Non c’è altra via “per generare la quantità di investimenti di cui l’UE ha bisogno per affrontare la sua crescita e le sfide geopolitiche”.
Una iniziativa è necessaria “su più fronti, per creare un circolo virtuoso di minori barriere commerciali e meno burocrazia, tassi di rendimento più elevati, una regolamentazione e una supervisione finanziaria più unificate e meno ostacoli alla circolazione transfrontaliera dei capitali”.
Per la Ue quale è, un libro dei sogni. Non ci sarebbe altra strada per tenere il passo dell’economia mondiale, e delle stesse trasformazioni interne alla Ue, ma delle regolamentazioni innovative necessarie non si vede l’ombra e nemmeno il progetto.
Un altro paper critico delle condizioni interne alla Ue, dopo quello di ottobre sui “dazi” intracomunitari, che assottigliano le risorse e scoraggiano gli investimenti - da cui il lag forse irrecuperabile di produttività nella Unione, e la corsa a investire fuori della Ue. Che è rimasto senza echi – a parte un accenno di Meloni.

Ravi Balakrishnan-Mahmood Pradhan, Europe’s Elusive Savings and Investment Union, “F&D – Finance&Development”, Imf, June 2025, disponibile online (anche in traduzione, L’inafferrabile Unione Europea del Risparmio e degli Investimenti)


mercoledì 25 giugno 2025

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (596)

Giuseppe Leuzzi


Una curiosità alla 24ma Triennale di Milano di quest’anno, sul tema “Inequalities”, è il padiglione polacco, che si apre sulla gigantografia “Una breve vacanza”, il titolo di un film di De Sica (1987, con Florinda Bolkan e Renato Salvatori), come porta d’ingresso alla filosofia dell’allestimento: una sorta di tepidarium romano, per dire un luogo di incontri, conversazioni e fitness. Il film, dimenticato, è da un racconto di Zavattini, una “storia vera”: la metamorfosi di una giovane calabrese emigrata, moglie, madre, nuora, lavoratrice dentro e fuori casa, che si ammala ai polmoni, e in sanatorio rinasce. Bisognerebbe mandare la Calabria, la regione, in sanatorio?
 
Non si esime Milano, “Corriere della sera”, “La Gazzetta dello sport”, di dire il giovane, bravo, bello, intelligente, socievole calciatore Yildiz “il turco”. Uno che ha imparato in due anni l’italiano, dopo dieci anni di tedesco. Che veste italiano. Sorride italiano – divertito. Si ispira a Del Piero e lo dice. È felice e fa felici.
Il “turco” come dire un estraneo. Ma anche uno di bassa lega. Il tribalismo perdurante di Milano è la cosa più strana di questo millennio. Sarà il segreto della ricchezza?
 
“Italiani mafiosi”, avrebbe detto in Grecia il truffatore americano arrestato per i due delitti di Villa Pamphili. Una tra le tante eiaculazioni per evitare l’estradizione in Italia - meglio gli Usa, dove è protetto dalla famiglia, nel sistema americano funziona così (il personaggio e i delitti restano ignoti ai media americani, malgrado i tanti aspetti di “colore”, tragici e ridicoli). Però, un film di cui ha fornito solo la copertina ha avuto dal ministero della Cultura in Italia 863 mila euro. Il direttore del ministero che glieli ha dati dice serafico: “I film internazionali non hanno l’obbligo di uscire in Italia”.
Uno penserebbe che “essere usciti” è precondizione per essere finanziati. No, per il finanziamento basta la parola, di un amico. È Roma che si è meridionalizzata, o è il Sud che si è italianizzato?
 

Al concorso annuale “I luoghi del cuore”, del Fai-Intesa San Paolo quest’anno si è classificata seconda Gallipoli, con la Fontana Antica, con ben 63 mila suffragi. La curiosità non è delusa: un Fontanone dell’antichità, con alta e larga parete scenografica in bassorilievo. La Fontana Antica è antica greca, non c’è dubbio, del II o III secolo a.C. – ci sono sistemi per datare le pietre. Nelle inevitabili beghe archeologiche ci fu chi sostenne che era un’imitazione, rinascimentale. Per avvalorare la datazione classica fu allora fatto valere il curioso argomento che le “figure indecenti” non potevano essere cristiane.
Nulla di indecente, naiadi. Ma il Sud naviga all’onda, non ha archivi o li ignora.


È la protervia (leghista) la via del successo
Dopo mesi di baldoria bancaria, o “Risiko”, il sito-giornale “Milano Finanza” di Panerai dà uno sguardo all’azionariato di Bpm e “scopre” che praticamente il banco è di proprietà francese. Francesi i maggiori azionisti: Crédit Agricole al 19,8 per cento (almeno al 19,8, va aggiunto), più Banque Postale – statale – all’1 per cento, poco meno, Natixis allo 0,7, Bnp allo 0,3. Frammentate le altre quote – anche se si sa (dalla Consob)
 che Blackrock è al 5 e qualcosina per cento ((l’investor relations di Bpm registra di Blackrock solo due miniquote, delle quindici che invece si leggono sul sito Consob). E dunque un Bpm a proprietà francese, la legge Capitali del ministro
Giorgetti un anno fa consentendo alla squadretta messa su da Agricole il controllo pieno del banco, senza l’incomodo di un’opa.

Giorgetti, leghista severo, può permettersi questo e altro. P.es. dire che Unicredit è di proprietà straniera perché ha nell’azionariato soci stranieri – non dirlo, farlo dire da un suo comitatino ad hoc, di giurisperiti di nessun nome, che chiama del golden power. In effetti è vero, ma nel senso che ha nell’azionariato tutti i fondi pensione e d’investimento possibili, senza nessuna presenza condizionante – è a proprietà diffusa, come usava raccomandare quale regola di buona democrazia dire al tempo delle privatizzazioni e liberalizzazioni. Al contrario di Bpm. Che invece, sempre per il ministro Giorgetti, leghista, è “un presidio di italianità”.  

Ma, poi, lo stesso sito-quotidiano (ex?) di Panerai evita di dire lo sconcio di stabilire per decreto governativo – il cosiddetto golden power – che Unicredit è a proprietà straniera, e che Bpm, pedina del suo disegno di prendersi Mediobanca-Generali, è invece l’italianità in persona, da salvaguardare per legge.
L’ipocrisia si direbbe il segno di Milano. È anche questa una ricetta della ricchezza? O non bisogna invece essere mafiosi – diretti, senza concorsi esterni e associazioni, roba da giudici. I leghisti stessi lo pretendevano, che ce l’avevano “duro” - anche se non si può dire ora con la Meloni.
 
Sei anni a Locri, una condanna
Nell’ingiusta requisitoria all’ingiusto processo cui sono sottoposti, dopo 500 giorni di detenzione “preventiva”, tra Locri e Reggio Calabria, due trentenni iraniani, Amir Babaj e Marjan Qaderi Jamali, denunciati dagli scafisti come scafisti perché Amira aveva impedito loro lo stupro di Marjan, la Pm non ha portato una sola prova, o testimonianza credibile, che i due due in qualche modo lo fossero. Si è limitata a lamentare che il suo lavoro - l’accusa ai due – era stato ostacolato dall’“informazione”: “La difficoltà principale che io ho trovato è stata l’esposizione mediatica che la vicenda ha assunto”. Ma dove li prendono?
Sulla base di questa requisitoria il Tribunale di Locri ha scagionato Marjan e condannato Amir a sei anni. Il “comandante” del barcone, un egiziano, che ha patteggiato, ha avuto meno. Il “comandante” ha sempre dichiarato che i due iraniani erano passeggeri a pagamento. Anche i giudici, dove li prendono?
La Pm ha tenuto a elogiare “l’operato encomiabile delle forze dell’ordine e della magistratura, soprattutto nei territori dove noi ci troviamo a operare”. Che non sono i suoi, precisa: “Dove io mi trovo a operare da più di sei anni ormai, perché ho origini di altro tipo”. Viene infatti da Milano. E non è razzista – è in rete per avere dichiarato in altra occasione che tra Sud e Nord non ha trovato differenza – era a proposito di violenze domestiche: “I casi di violenza, soprattutto domestica, si verificano dappertutto”. Perbacco.
Certo, si fa il concorso, e chi lo vince diventa giudice. Però, c’è sempre questa storia che il dipendente pubblico può essere spostato ovunque. In un senso questo serviva. Quando c’era la leva militare, p.es., i giovani del Sud andavano al Nord, e viceversa, dando un qualche fine pedagogico a un servizio altrimenti inutile. Ma perché mandare per sei anni una milanese a Locri? In punizione, sua o di Locri?
E poi, giusto per dire, ma Currao non è nome meridionale? È vero che cognomix ne registra 26 in Lombardia, ma ben 92 in Sicilia e 37 in Calabria. Marzia, sì, certo, non è nome meridionale.
 
Cronache della differenza: Calabria
“Una cosa che la rende felice?”, chiedono al testaccino e romanista Caudio Ranieri, dopo il miracolo con la Roma in campionato. “Avere amici sinceri, quelli di Catanzaro”. Dove ha giocato da giovane, quando aveva 21 anni -- poi, quindici anni dopo, per cominciare da allenatore, lo hanno chiamato alla Vigor Lametia, Interregionale.
L’amicizia è stata svalutata da Sciascia, ma non è male.
 
Ha molti santi – molta devozione – ma se li dimentica. Per esempio san Francesco di Paola, famoso e venerato in Francia e a Roma, a Trinità dei Monti. Ora è tutta per san Pio da Pietralcina.
 
Mattia Preti è artista, dice Antonio Baldini (“I viaggi di Bonincontro”) girando per Taverna, il paese natale del “cavalier calabrese”, nel 1926, di “rapida, franca, solida, compatta e corrusca pittura ch’è la maggior gloria dell’arte calabrese” – un’“arte calabrese”?
 
Baldini lo dice anche sempre legato al paese, che abbandonò da ragazzo: “Pare che non ci tornasse che una volta sola, da vecchio, rompendo una volta il viaggio da Napoli a Malta; ma portò sempre nel cuore il paese natale, ed accettò sempre volentieri commissioni dai religiosi e dai signori del luogo”. Questo è vero, Taverna ha ancora molte sue tele.
 
Il governo di centrodestra moltiplica gli incontri a Roma con la Regione Calabria, di centro-destra. A Pasqua ha rinnovato l’impegno, qualcosa come due miliardi, per cinque nuovi ospedali: Sibaritide, Vibo Valentia, Gioia Tauro-Palmi, un altro ospedale a Cosenza, un Gom (Grande ospedale metropolitano) a Catanzaro. E miglioramenti, per une ventina di milioni, a Locri, Catanzaro, Crotone, Polistena. Ma i progetti non sono nuovi - Gioia Tauro-Palmi è già stato “finanziato” un paio di volte.  Si dice che la politica ama spendere, ma in Calabria neppure quello.
 
S’illustrano ora turisticamente, p.es. sul “Venerdì di Repubblica” i laghi Prespaa, tra Grecia, Albania e Macedonia del Nord. Una trentina o quaranta anni fa era una gita in solitario. Si oltrepassava salendo un posto di blocco militare greco - la Grecia contestava la denominazione Macedonia del Nord, e il traffico di immigrati dall’Albania - dove era di rito: “Ma che ci andate a fare?” E si saliva per programma, per zone aride. Finché si apri l’altopiano, effettivamente piatto e brullo, non un albero. Ma col fascino di tutti gli altopiani. E una targa stradale, una sola, con la scritta Platì – così, certo col p greco.
 
Che, poi, Platì più che altro è un nome. Un attraversamento dimenticato della statale Bagnara-Bovalino, desueta da tempo per i suoi mille (899?) tornanti. Ma al vertice del “triangolo dei sequestri” di persona, San Luca-Platì -Natile, della c.d. Anonima Sequestri – in realtà nota ai più – che nei trent’anni fino ai primi 1990 effettuò 191 sequestri, alcuni durati anni.
Paura dei sequestri? No, ma si veniva fermati a ogni incrocio dai Carabinieri.
La lotta al crimine è strana - meglio starne fuori (omertà?).
 
“Essendo di origine calabrese, cioè il Sud più dimenticato…”, Marina Valensise può premettere sul “Corriere della sera” a Valerio Cappelli. Più dimenticato, si direbbe, dai calabresi stessi, che in molti se ne vanno e se ne stanno fuori – qualcuno torna “per la mamma”, finché vive.
 
Dimenticata dalla storia, ma di più dalla storiografia, anche calabrese. Immolata a un presunto marxismo nel dopoguerra. In precedenza “antichista”, celebratrice di antichi fasti. Una “umanistica” dagli esiti stravaganti. Sono finiti in Calabria Oreste, Filottete, anche Ercole, e Licaone con tutti i suoi 22 figli. Ulisse vi è sbarcato variamente, ad Amendolara, Crotone, Copanello, Lamezia Terme, e anche in montagna, a Tiriolo e a Nardodipace.
C’è la spiaggia di Oreste – più di una. Il porto di Ulisse – idem. La piana dove fu rapita Persefone. Il porto di Agatocle.

leuzzi@antiit.eu

Trema la dirigenza dell’Economia

Trema la dirigenza dell’Economia? Dovrebbe. È tutta espressa dal governo in carica, e quindi protetta, ma con i tempi dell’inchiesta giudiziaria aperta a Milano la vicenda Mps-Mediobanca-Generali è possibile che non si concluda con l’attuale maggioranza di governo, mentre è più che probabile che al ministero comunque non ci sia Giorgetti.
Anche la questione del golden power contro Unicredit potrebbe finire in giudizio. Ma sull’assalto a Mediobanca-Generali c’è più che un sospetto. Il Mef alle 18.15 del 13 novembre fa un comunicato per dire avviato l’accelerated bookbuilding di una quota del 7 per cento di Mps. Alle 20.30 ne pubblica un secondo per dire che, “dopo il vaglio di centinaia di richieste”, di Mps ha collocato ben il 15 per cento, “pari a oltre il doppio dell’ammontare iniziale offerto” – e con un premio del 5 per cento.
Tutti sanno che l’ABB era un “gioco dei compari”, il “premio” compreso: Bpm 5 per cento, Caltagirone 3,5, Delfin 3,5, Anima, cioè sempre Bpm, 3. Operato da Banca Akros, cioè dallo stesso Bpm. Un comparaggio che non sarà facile alla Procura di Milano di sostenere in giudizio, ma alla dirigenza del Mef procurerà molti fastidi, in tribunale e in carriera.

Se la MG cinese vende più di Fiat

Mg ha superato Fiat nelle vendite, ed è tutto dire. Il vecchio marchio inglese dello spider d’amatore rigenerato dalla cinese Saic con berline monumentali ed economiche.
Ha usato a lungo dire “la Cina è vicina”, ma da tempo è già qui. Ora si vede anche. È qui non nel senso della revoluciòn per ridere del film sessantottesco di Bellocchio che l’annunciava. E non servono a difendersene i dazi, sa anche aggredire dall’interno, bene e subito - produrre auto in Gran Bretagna non era possibile, fino a qualche anno fa, i costi erano altissimi.
Si riproduce il caso Giappone di cinquant’anni fa, che sembrava impossibile e invece fu inarrestabile. Poco conta che le case automobilistiche siano in lite in Cina, contro il marchio Byd, che il governo avrebbe privilegiato. Sono aziende che “stanno sul mercato”. E non di bocca buona, anche se poi riescono a praticare prezzi stracciati: il ministro dell’Industria Urso non ne ha trovata una disposta a investire in Italia, malgrado contributi e incentivi.

Se la Cina non è “verde”

Il maggiore inquinatore del mondo, a percentuali crescenti e non decrescenti, è campione mondiale dell’auto elettrica – se è vero che le vendite di auto a batteria superano quelle a combustione interna. Quindi campione di quello che, in Europa, viene chiamata rivoluzione green, o green deal - a torto, è una rivoluzione industriale come le altre che l’hanno preceduta, l’altoforno, il vapore, i tempi e metodi (la “catena”), il fordismo.
La Cina è poi un mercato enorme. Teoricamente più degli altri messi assieme, America, Europa, etc. Dal quale, quindi, può permettersi l’assalto a prezzi imbattibili a ogni altro mercato - un mercato anche ben governato, paradossalmente, per essere il regime comunista: la storia lo ha svuotato, ma in Cina ha saputo adattarsi.

Il Presidente del giusto mezzo

“Siamo straordinariamente poco informati sull’uomo XI Jinping” è l’incipit del ritratto. È al potere da tredici anni ma “non ha mai concesso un’intervista”, e “non accetta neanche conferenze stampa”, neanche preordinate. Ma basta quello che si sa: “Nel novembre 2012 il XVIII Congresso del Partito comunista lo ha nominato Segretario generale”. Quindi Presidente, e Capo della Commissione militare. Cioè un capo comunista, stile sovietico, vecchia Urss.
Un capo allevato per questo. Quando nel 1997 provò a fare il salto fra la burocrazia di partito di provincia e Pechino, non fu eletto. Fu cooptato, era già, giovane trentenne, un vero “uomo di partito”: “C’erano 150 poltrone e il dirigente provinciale Xi si piazzò al 151mo posto”. Allora il Partito decise che “tutto sommato aveva bisogno di 151 membri” al Comitato Centrale, e Xi fu ripescato.
Insomma, era anche un predestinato. Si mormora che molto abbia giocato nella sua ascesa il secondo matrimonio, con la bela e più famosa cantante lirica della Cina, Peng Liyuan, soprano nel coro dell’Esercito, ma questo suona come un abbellimento gossip  per i media occidentali, il presidente è solido perché “bravo comunista” (il primo matrimonio durò pochi mesi: la sposa, Ke Lingling, figlia dell’ambasciatore cinese a Londra, se ne andò presto, stanca di un burocrate, per quanto di potere, “oscuro funzionario nella provincia dell’Hebei”.
Il principe è un burocrate? Quella cinese è però una burocrazia che ha fatto in tempo ad allenarsi al nuovo. Due anni dopo il fallimento del primo matrimonio, Xi Jinping fu mandato in America, con una delegazione, in viaggio di studio. Lui scelse una famiglia di allevatori nello Iowa, che lo ospitò per due settimane. L’esperienza viene sempre ricordata nelle biografie, e colorata di aneddoti. Questo nel 1985. Una trentina d’anni dopo la figlia che Xi ha avuto con Peng Liyuan, Xi Mingze, “ha studiato negli Stati Unti, laureandosi in psicologia a Harvard”.
Un burocrate sorridente. L’uomo del “giusto mezzo”. Si spiega così la sua “resilienza”, in un partito Comunista più violento di ogni altro nella storia del Novecento, e tuttavia sopravvissuto. La sua storia di tredici anni al potere è prodroma di un potere a vita.   
Guido Santevecchi,
Xi Jinping. Il principe rosso, pp. 63, gratuito col “Corriere della sera”

 

martedì 24 giugno 2025

L’impossibile America dell’Iran

Il “Satana” del khomeinismo, gli Stati Uniti d’America, ha una sorta di attrazione, in tutto il Vicino Oriente, per l’Iran. E viceversa, bisogna dire, malgrado le maledizioni.
L’Iran, ancora dopo quasi mezzo secolo di barbarie khomeinista, è il Paese più occidentale, democratico, istruito, considerato (politico, diplomatico) del Medio Oriente. Con il migliore inglese americano della regione, preciso, svelto, sintetico, espressivo. Che gli Stati Uniti ha però sempre tenuto ai margini. Il golpe della Cia del 1953 contro il governo eletto Mossadeq, che voleva nazionalizzare il petrolio, fu la causa principale della caduta dello scià 35 anni dopo. A favore di un ayatollah di seconda o terza fila non considerato a Qom, il cuore religioso dello sciismo.
Era però un critico dello scià, in esilio volontario in Iraq, e fu “creato” Grande Oppositore dai servizi occidentali in Francia, vicino Parigi. Che ne favorirono la propaganda. E presto spinsero lo scià a farsi da parte, con la incredibile presidenza Carter (che poi Khomeiny giustiziò politicamente, prendendo in ostaggio tutta l’ambasciata americana, una cinquantina di persone - una vicenda finita con gli elicotteri di Carter insabbiati, mandati per liberare gli ostaggi).
Era il tempo in cui gli Stati Uniti puntavano sul radicalismo religioso islamico per fronteggiare l’Unione Sovietica in Medio Oriente. Il 4 gennaio 1979 Carter mandò un suo fidato gen. Huyser (vice-comandante delle truppe Usa in Germania) a Teheran per convincere lo scià a lasciare il potere, dodici giorni dopo lo scià partiva in esilio, ventisette giorni dopo Khomeiny aveva l’Iran in mano.
Un rapporto contrastato. Fra due realtà, conoscendole da vicino, opposte. Lo stesso mondo, due culture opposte: la saggezza vs. la forza, la tranquillità d’animo vs. l’eccitazione. L’improduttività anche - per la Ragione, il Giusto - contro l’aggressività, l’efficientismo, il monopolismo.
L’Iran è stato il primo Paese nel Medio Oriente su cui gli Stati Uniti hanno aperto il loro ombrello,  sostituendosi al monopolismo britannico (Iraq, Kuwait, Emirati, lo stesso Iran). Erano entrati da tempo in Arabia, il neo re Saud marciava con le compagnie americane, ma il suo regno era considerato un deserto di beduini. A cavaliere del 1970 era un viavai a Teheran di imprenditori americani in cerca di affari - specie in agricoltura, con gli innesti in America di varietà di mele, dei pistacchi, di vitigni antichi pregiati, di cui la Persia islamizzata non faceva più uso.   
Il fascino è stato però, ed è, reciproco. Frange minuscole di iraniani guardano alla Germania, all’Italia, l’orizzonte è inevitabilmente americano.

Porno, l’unica forma d’arte di Fine Millennio

“Ciò che era ovvio per i miei amici e per me era che il potere, per le donne, era di natura sessuale. Non ce n'era altro, o nessuno che valesse la pena avere.
“Ho frequentato una scuola femminile gestita da severe femministe della seconda ondata, che ci dicevano che potevamo avere successo in qualsiasi campo o industria avessimo scelto. Ma questo messaggio è stato cancellato dall'intrattenimento che assorbivamo tutto il giorno, che era stato profondamente plasmato dall'unica forma d'arte che ha caratterizzato la fine del XX secolo: la pornografia….”.
Sophie Gilbert, What Porn Taught a Generation of Women, “The Atlantic”, 21 giugno, online, anche in traduzione (Cosa ha insegnato il porno a una generazione di donne)
 

lunedì 23 giugno 2025

Ombre - 779

Netanyahu che prega in diretta per Trump è puro farisaismo, visivo. Ma col dubbio: il farisaismo è di Netanyahu oppure del suo Dio?
Perché, dopo, c’è la cerimonia propiziatoria della guerra al Muro del Pianto: con un altro Dio non sarebbe sacrilegio?
 

Dio si spreca in effetti in questa guerra, ad ascoltare e guardare Trump dal vivo. Uno che sicuramente non crede in nessun dio, a parte se stesso. Ma questo è il farisaismo caratteristico degli Stati Uniti, la conquista in nome di Dio.


La falsa liberalizzazione dell’energia documentata da bollette “incomprensibili” (ma tutte uguali, cioè ingiustificatamente care) merita infine oggi un mezzo saggio di Ferruccio de Bortoli su “L’Economia”. Dove però non trova spazio l’essenziale, che l’80 per cento del caro energia, per le famiglie, è costituito da false imposte di scopo: “oneri di sistema”, “trasporto”, su strutture vecchie di decenni, e “gestione del contatore”, che si gestisce da solo, in automatico. Su cui pagare anche l’Iva – l’Iva sulle imposte… F7erruccio, ovvio, sa di che si tratta, ma non bisogna disturbare l’Arera - l’Agenzia pubblica che protegge il mercato, a danno degli utenti?
 
La Ducati mette in campo i fratelli Marquez e Bagnaia. Cui però dà una moto di seconda mano – corre, dice, “in balia di una Ducati” che non riconosce. Il mercato ispanico è molto più ampio di quello italiano, certo, ma lo sport è tutto qui, a chi fa vendere di più.
 
Il direttore dell’Agenza Internazionale per l’Energia, dopo avere offerto a Netanyahu l’innesco per il piano d’attacco all’Iran, fa marcia indietro: non “c‘è niente di vero”, “non esistono prove” sulla bomba atomica degli ayatollah, “un attacco armato contro le centrali nucleari non dovrebbe mai farsi, potrebbe provocare rilasci radioattivi, con gravi conseguenze, dentro e fuori dello Stato attaccato”. Rafael Marian Grossi si chiama il direttore. Argentino, diplomatico, di basso rango. Cambia qualcosa? Si, non si capisce perché sta all’Aiea – uno vale uno, Grillo dilaga?
O non sarà quello che attacca l’asino dove vuole il padrone.
 
Una gru alta 60 metri che deturpava da vent’anni il Piazzale degli Uffici, e anche la Signoria, incombendo sulla Loggia dei Lanzi, si è potuta infine rimuovere grazie alla donazione di 18 cittadini, diecimila euro ciascuno. Il Comune non ci aveva nemmeno provato, la Sovrintendenza non rispondeva, i curatori degli Uffizi si sono dovuto occupare in solitario della questione. La gru era stata montata per costruire i Nuovi Uffizi, un progetto di trent’anni fa, che la città però non sa-vuole-può realizzare – il concorso per l’ideazione era stato vinto nel 1998 dall’architetto Isozaki.
Il declino di Firenze ha aspetti incredibili.
 
“Spesa pubblica, frodi per 2 miliardi”, solo a Roma, solo nel 2024. Per l’ex reddito di cittadinanza, ma di più naturalmente per fatture false e fondi spariti – “mostre e convegni” sono i “veicoli” preferiti. Il Terzo Settore era una valvola all’inefficiente spesa pubblica al suo nascere, trenta e qualche anno fa, ora è il suo principale drenaggio.
 
Tifo da stadio per i bombardamenti israeliani delle centrali nucleari iraniane. Tanto,  se si “liberassero” un po’ di radiazioni sarebbe un problema per gli iraniani. Ma forse è solo superficialità, il giornale serve ormai effettivamente solo a incartare il pesce.
 
Fa un po’senso che a Taormina si premi come miglior libro di saggistica “Il suicidio di Israele”, di Anna Foa. Riflessione di un’ebrea, per quanto laica, ma dura con l’Israele di Netanyahu. Poi si riflette che da troppi giorni l’esercito israeliano, esercito di leva, non di professionisti più o meno maneschi, spara sulla folla inerme, assembrata per l’acqua o cibo. E l’immagine emerge dei Sondernkommando, che più volentieri non erano dei brutti tedeschi ma di baltici e di ucraini, e sterminavano più rapidi del gas.
 
Israele di oggi – già di prima della guerra scatenata da Hamas il 7 ottobre - si dice vittima d Netanyahu, ma Netanyahu è ben Israele. Primo ministro di un governo eletto, attraverso varie coalizioni. Primo ministro da quasi trent’anni - con due intervalli, di dieci anni, e di un anno e mezzo.
 
“Se pesa la durezza degli allenamenti, rido”, spiega Antonio Conte, l’allenatore vincente del Napoli, su “7”: “Zidane e Del Piero si allenavano in modo molto più duro. Oggi si fa un terzo di quello che facevamo noi”.  E si vede, il calcio in fatto di atletismo è allo stadio zero, fra urla strazianti al menomo contatto e simulazioni perfino buffonesche.
 
Il direttore ministeriale della Cultura, Nicola Borrelli, serafico spiega che il quasi milione di cui il ministero ha gratificato il presunto regista americano che è ora n carcere per avere ucciso moglie e figlia, non lo ha dato all’americano folle, lo ha dato a un produttore italiano, Matteo Pedrotti. O
ra scomparso, insieme con la sua società di produzione, da vero pariolino – basta l’indirizzo, via Bertoloni, dietro Villa Taverna, parco dell’ambasciatore americano. Il suo omonimo milanese per questa strana avvedutezza gli avrebbe dato l’ergastolo, ma a Roma i soldi corrono facile.

 
Comica visita della Juventus alla Casa Bianca – a fini di beneficenza? Una folla di atleti che non sa l’inglese - a parte i due americani, Weah e McKennie, che sanno di che si tratta e tacciono. Tanto meno quello veloce e criptico delle conferenze stampa. A parte i dirigenti. Uno dei quali si assume il compito di dire le famose sette parole. Visita che il presidente non sa come gestire, se non coi suoi argomenti del giorno: un presidente Biden autopen (?) e il transgender nell’atletismo. “Avete belle atlete nel vostro team?”, chiedeva Trump, e nessuno capiva. Finché il nuovo manager Comolli ha detto infine le sette parole: “Abbiamo un team di donne molto vincente”.
 
Però Elkann aveva più di un motivo per provare ad agganciare Trump, e forse c’è riuscito – con l’aiuto generoso di Gianni Infantino, il presidente della Fifa, che ha saputo stuzzicare Trump sul suo lato, quello mercantile (quanti soldi questo strano Campionato mondiale sta facendo girare per gli Usa). Il mercato di Stellantis per un terzo almeno è in America, ma con macchine prodotte altrove, e un atto di grazia di Trump è necessario. Anche se con la svalutazione del dollaro il danno è già fatto, anche senza i dazi.
 
“Los Angeles brucia. Trump manda i marines”, bruciava cinque o dieci giorni fa. Poi all’improvviso più niente. Ma bruciava sui giornali italiani, su quelli americani, tutti anti-Trump, niente o quasi. È sempre st
rano il rapporto degli italiani (giornalisti) con gli Stati Uniti, che pure è il paese dei loro sogni. Non può essere ignoranza, c’è sempre una vena di sovietismo.

 
“Meloni crede di essere protagonista internazionale? Si culli nelle sue illusioni”. Singolare euresi (inventio)  di Cacciari in tv. Volgare per un filosofo, seppure narratologo - Nietzsche certo: appendere il nemico a un’immagine che è facile trafiggere. Singolare che un filosofo faccia la sera il Mauro Corona in tv – senza nemmeno la scusa del goccetto.
 
L’Anpi, L’Associazione dei Partigiani, che si mobilita a Venezia contro il matrimonio di Bezos, è da ridere. E forse a questo la “mobbilitazione” è intesa, a dare lustro all’“evento”. Ma che tristezza, un uso così sciocco dell’antifascismo.
 
L’indagato, Occhiuto, presidente della Regione Calabria, non ha le “carte”, “Domani”, il giornale di Carlo De Benedetti, sì. Il Procuratore di Catanzaro è della stessa loggia di De Benedetti? Progressista, certo.
 
“Macron fa scalo in Groenlandia e sfida Donald Trump”. Sicuro che no, ma sembra un programma dell’Opera dei Pupi a Palermo, del signor Cuticchio.
 
Macron al G 7 in Canada: no alla mediazione Putin fra Israele e Iran. C’è sempre Macron sui giornali italiani, deve avere un miele speciale – in Francia, dove è presidente, non gli danno molto spazio.

Il seme della contestazione agli ayatollah - con finale "Shining"

Un giudice istruttore a Teheran viene chiamato a decidere impiccagioni senza nemmeno poter sfogliare il fascicolo delle Procure che chiedono le condanne. È l’inizio della crisi dell’onesto servitore dello Stato nel momento in cui pensa di avere coronato le sue ambizioni a una vita di modesta comodità. Che avvelenerà anche la sua bella e armoniosa famiglia. Con una moglie e madre che più intelligente e premurosa non si può immaginare, e due belle obbedienti figlie agli studi. La piazza, le lunghe proteste giovanili contro il regime islamico reazionario, non finirà, questo il senso del titolo – il fico presiede a ogni nascita mitica, di Romolo e Remo, di Vishnù.
Un film politico, iraniano: lento, lungo, prolisso anche, e seducente. Per la misura dell’espressione, del vivere in comune, sia pure litigando. Ma con una lunga sequenza da film d’azione, un inseguimento-tamponamento su strada. E un finale da “Shining”.
Una testimonianza anche di un sistema giuridico certamente più sviluppato, equilibrato, giusto, che in Italia. Con la separazione dei ruoli, fra procuratori e giudici. Un sistema ora asservito dal lungo potere religioso, che va per il mezzo secolo, ma tradizionalmente di forte autonomia, nel vituperato regime dello scià. Fu un giudice ad avviare nel 1976 la contestazione che porterà al discredito definitivo della famiglia regnante e all’uscita di scena due anni dopo. La sorella dello scià, la sorella gemella Ashraf, aveva il vizio degli affari. Mercato delle influenze, e immobiliare. Per esempio di vendere appartamenti a Teheran, previa caparra, da costruire e anzi da progettare. Finché uno dei malcapitati, un giudice, non la perseguì, senza remore, in tutti i luoghi possibili. E lo scià, che non era corrotto, solo pusilanme, passò anche per corrotto.
Un film politico, di opposizione su tutti i fronti al regime islamico. Che però è stato girato, e anche montato, in Iran. E anche questo fa parte del complesso mondo di quel paese. Si dice che è stato girato in ambienti chiusi, ma non è possibile nascondersi quando si fa cinema, troppe macchine, troppa gente. Ci sono anche esterni impegnativi. Molto materiale è dei video-telefonini, ma c’è l’inseguimento-tamponamento, scena da riprovare decine di volte. E la lunga vicenda finale si ambienta in un villaggio abbandonato ma con tutte le stigmate del monumento storico-folklorico preservato con cura– un villaggio di case del colore e materiale del suolo, argilla, terra e cannicciati.     
Mohammad Rasoulof,
Il seme del fico sacro
, Sky Cinema Due

domenica 22 giugno 2025

La notte brava di Trump - le macerie

Da qualsiasi punto lo si rigiri, il beau geste notturno di Trump, coi suoi squadroni volanti invisibili, produce solo rovine.
Ha isolato gli Stati Uniti – più scombussolati i fedelissimi europei.
Non blocca il programma nucleare iraniano.
Impedisce qualsiasi trattativa per limitarlo.
Ha reso immortale il regime degli ayatollah.
Lo radicalizza, se mai ce ne fosse bisogno.
Ha piantato l’antiamericanismo negli iraniani, in patria e all’estero.
Terrorizza ogni potentato arabo, per quanto suddito fedele, dalla minuscola Giordania all’Egitto e agli sceiccati padronali della penisola.
Allontana ogni dialogo con Putin, che sovrasterà Zelensky con molta più forza che in passato.
Voleva giocare Putin e la Russia contro Xi e la Cina, li ha messi d’obbligo insieme.
Rimette in gioco il gigante cinese, che per quanto malandato potrebbe riprendere la rapida ascesa della via della Seta interrotta sei anni fa dal covid.
Ha isolato gli Stati Uniti, nonché nel vasto ex Terzo mondo, America Latina in primis, nella stessa Europa, sola e confusa di fronte alla Russia e alla Cina.
Ha isolato gli Stati Uniti per legarli a Netanyahu, un avventuriero - non ha saputo-voluto prevenire la guerra di Hamas di cui lui tutto sa (ne ha ucciso i capi uno per uno, vice compresi, e i capi e vice-capi di Hezbollah e Pasdaran), e la allarga e intensifica oltre ogni ragionevole risposta, compreso il tiro alle folle in coda per la fame.
Mettendo in crisi - negli Stati Uniti e altrove, anche in Israele - il sionismo più avveduto, già perplesso su Netanyahu e la sua guerra di annientamento.

Ci sarebbe poi il danno reputazionale, bombardare mentre si negozia, ma a questo gli Stati Uniti ci hanno abituati, dal tempo degli indiani.
La guerra preventiva è un lasciapassare per qualsiasi malintenzionato.

Problemi di base nucleari - 868

spock


“La democrazia americana potrebbe non sopravvivere a una guerra con l’Iran”, “The Atlantic”?
 
“Trump non era supposto essere contro la guerra”, id.?
 
Truman-Trump, la stessa, radice, nucleare?
 
Trum, dice il sanscrito, è “colpire”, “uccidere”?
 
Anche con l’atomica, gli “ariani” l’avevano già inventata?
 
Ma siamo ariani o non-ariani, com’è questa storia?
 
O è la radice mercantile che unisce i due bombaroli – muoia Sansone con tutti i filistei?

spock@antiit.eu

Vite intrepide di donne, un secolo prima dei diritti

“La vivace Vita Sackville-West fu una delle ultime visitatrici britanniche nella casa di Gertrude Bell a Baghdad nel 1926, pochi mesi prima della tragica morte di Bell per overdose. Le due donne erano molto diverse per età, temperamento e prospettive, ma avevano molto in comune, non ultimo il fatto di essere forze della natura con storie personali avvincenti e una propensione a scuotere le sbarre delle loro gabbie dorate e sessiste. Entrambe erano ribelli di genere, snob e attratte dalla classe sociale, dai privilegi economici e dalle circostanze. Nonostante fossero state negate posizioni, opportunità e proprietà per non essere nate maschi, nessuna delle due era particolarmente femminista. Donne ricche come Vita e Gertrude non avevano bisogno di esserlo.
“Vita Sackville-West e Gertrude Bell furono autentiche britanniche coloniali di alto livello all'estero negli anni del dopoguerra, in grado di permettersi di viaggiare e vivere a loro piacimento in paesi come la Persia e l’allora neonato Iraq, contribuendo a plasmare il caleidoscopico e complesso panorama politico del Medio Oriente, in linea con gli interessi britannici e, al contempo, sostenendo apertamente l’autodeterminazione araba. Entrambe conoscevano personalmente le nuove famiglie reali del Medio Oriente e si muovevano con disinvoltura tra diplomatici, leader militari e politici.
Londra, Costantinopoli e Parigi.
“Le strade di Sackville-West e Bell si erano già incrociate a Londra, durante le cene organizzate dall'alta borghesia di Belgravia, Mayfair e Bloomsbury. Entrambe le donne erano abituate a trascorrere periodi di vacanza in campagna (rispettivamente nel Kent e nello Yorkshire), oltre a trascorrere del tempo nelle loro case londinesi, intrattenendo ospiti e facendo visita a conoscenti. Vita si sposò a 21 anni – il suo matrimonio con il bisessuale Harold Nicholson fu piuttosto aperto anche per gli standard moderni – e Gertrude rimase single. Una forma di libertà arrivò per loro in modo diverso.
“Le due donne si incontrarono di nuovo a Costantinopoli nel 1914, prima dello scoppio della guerra. Gertrude Bell era diventata un’esperta esploratrice del deserto, archeologa e fotografa, e aveva da poco completato il suo straordinario viaggio del 1913-14 attraverso vaste distese di terreno impervio, attraversando e riattraversando la penisola arabica, disegnando mappe e scattando fotografie.
“Costantinopoli fu una tappa del suo viaggio di ritorno a Londra. Le voci sulle imprese di Bell si diffusero rapidamente e lei fu molto richiesta per raccontare le sue avventure. Fu invitata a cena a casa di Philip Graves, il corrispondente del Times , dove, a quanto si racconta, si diede alla pazza gioia fumando le sue sigarette abituali. Erano presenti anche il giovane diplomatico Harold Nicholson, appena sposato, e la moglie incinta Vita Sackville-West…”.
Uno di cinque contributi, con molte immagini, di Eleanor Scott, la pubblicista inglese specialista di Roma antica, sul suo sito “Archeology”, su Gertrude Bell – con “The Death of Gertrude Bell”, “Fine Dining in the Desert With Gertrude Bell”, “Gertrude Bell–in Search of the ‘Real Woman’” e “Gertrude Bell’s Word War 1 – Beginnings”.
Quando la vita si poteva vivere, e raccontare, senza ipocrisie – di colore, genere, sociali.
Manca, curiosamente per un sito specializzato in archeologia, l’esperienza di G. Bell a Roma, a due riprese, venuta espressamente per documentarsi e documentare (fotograficamente) il grande lavoro di scavi in città e nei dintorni. Bene accolta e ben guidata dai maggiori specialisti, Rodolfo Lanciani, il decano della grande archeologia postunitaria, tra Rma e Ostia, Giacomo Boni, direttore degli scavi al Foro omano, il direttore della British School at Rome, Thomas Ashby, ritenuto il maggiore esperto, Richard Delbrück, il professore di archeologia classica che era direttore del Deutsches Archäologisches Institut a Roma prima della Grande Guerra, quando G. Bell vi fece ritorno. Personalità con le quali si trovò anche a tenere conferenze. Un aspetto della vita tumultuosa di G. Bell che docuemnta ora l’Accademia Americana a Roma nella mostra “Women&Ruins: Archeology, Photography, and Landscape”.
Eleanor Scott, When Gertrude met Vita: the Friendship of Gertrud e Bell And Vita Sackville-West,
free online