sabato 28 giugno 2025
La guerra dei tre vincitori
La Guerra dei Dodici Giorni, che tutti hanno vinto, sarà stata spettacolare per due motivi. I capintesta militari e nucleari iraniani assassinati uno per uno nelle loro abitazioni, si presume iperprotette. E un Paese, lo stesso che predica le guerra a mezzo mondo, da mezzo secolo, quasi, e non ha contraerea, nemmeno un vecchio sam sovietico. Fra contendenti che si rifanno a Dio, spettacolare qui è l’assenza di Dio.
Saffismo impavido e triste
Una fila lunghissima alle Poste, più di una. Di donne prevalentemente. Di
chiacchiericcio di paese – quello di origine dell’autrice, Scaur, che un po’ fa
capo a Formia un po’ a Roma. Di risentimenti, presentimenti, segreti,
occultati, non inventati?, sospetti, e tipi come se ne incontrano ovunque,
inerti se non sciocchi, comunque ripetitivi, saputi, dietro le pose, le
apparenze. Valerio ci si è divertita a lungo – e l’editore pure, che pubblica
il libro appena terminato di scrivere, maggio 2025 (lo componeva ma mano?). Che
dirne?
Valerio
ne fa una storia saffica. Di pulsioni naturali, cioè spontanee, che vanno al di
là di ogni ragionevole dubbio, o resistenza, più o meno culturale. Senza
esclusione degli uomini – anzi con uomini al loromeglio, forti e intelligenti,
o vissuti e sornioni, e sempre padri accudenti, comunque paterni. Per il resto,
una tranche di vita di paese, quale
probabilmente non è mai stata “rappresentata” – raccontata, fatta rivivere.
Saporita, benché profusa. Del resto, la ripetizione è l’ossatura del linguaggio
di paese. Di cui Valerio si diverte a fare la mimesi. Con risultati ottimi: il
taglio linguistico delle “comari” è sempre appropriato. Uua fooma italiana che mantiene intatto il
dialetto, sapore e costrutto: asintoticità, allusione, già detto (complicità),
pause, accentazioni.
Con
non molto costrutto. Una divagazione più che altro, un divertimento d’autore.
Ci sono anche “I Malavoglia”, con “le triglie di gennnnaio” – più saporite? E
Luciana Castellina stalinista involontaria, che “in una piazza gremita” spiega
di non avere mai “incontrato un essere umano innamorato di un’idea che non si
fosse prima innamorato di una persona” – per cui “i regimi totalitari” si
possono dire “l’estensione della gelosia dei maschi per le femmine”. Nonsense. E “tutti gli animali fanno l’amore
ma solo gli esseri umani possono perlarne” – solo dell’amore? Con un “ma”.
In
un paio di punti l’autrice dice di rifarsi a “Harmony”. E ci riesce: la storia
saffica, le storie saffiche di cui la narrazione è farcita, hanno le stesse
“intensità”. Per lo più al passato, rimorso o rimpianto, oppure, se al
presente, come rimembranze-rifacimenti di un passato eterno, immemoriale. Ma
dopo varie professioni di comunismo, di odio contro Berlusconi, e di Mussolini
- la scena saffica centrale, un bacio tra una cinquantenne, quasi, e una
settantenne, ultra, con esplorazione
digitale delle parti intime risultata seccagna, s’infioretta di palazzo
Grazioli (Berlusconi) e di palazzo Venezia, del “balcone” (Mussolini). Che ci
azzeccano “Harmony” e Berlusconi col saffismo? “Harmony” perché ne è stata
autrice – per 137 numeri come Josie Bell (“una ex attrice americana della fine
degli anni Ottanta, di una manciata di film d’azione”), e “un’ottantina con lo
pseudonimo di Amanda King”, Anna Paratore, che è la madre single di Giorgia
Meloni? Non c’è saffismo, non si gode, se non c’è “fascismo”? Esercizio
peraltro arduo nella scena madre anche a una vista a uncino, dato che palazzo
Grazioli si posiziona un centinaio di metri indietro rispetto al “balcone”,
allo stesso palazzo Venezia). È come se Valerio ci prendesse in giro – o
peggio, se fa sul serio.
Chiara
Valerio, La fila alle poste, Sellerio, pp. 366 € 16
venerdì 27 giugno 2025
Letture - 582
letterautore
Alcibiade – Si pubblicano 52 “pezzi” di Mario Praz, scritti per “Paese sera” tra il
1960 e il 1972. di cui, da cultore di
Praz e lettore del quotidiano (per alcuni anni anche professionale), non si
conserva memoria. Non attirava lo pseudonimo o possono non attirare gli scritti
di Praz non firmati?
Arabia Saudita – Oggi al centro delle
“industrie culturali” (promozioni socio-politiche) di ogni tipo, architettoniche, greeen, calcistiche, tennistiche, museali, etc., era per Elemire
Zolla sconsolato, “L’eclisse dell’intellettuale”, 1959, “ormai l’unico posto
del mondo che resista all’industria culturale”.
Bidet – Il settimanale “Robinson” lo rilancia, con un servizio a quattro mani,
River Akira Davis e Kiuko Notorya, giapponesi si presume, o nippo-americani,
perché si tratta di un bidet di fabbricazione giapponese che fa fortuna, pare,
negli Stai Uniti. Serve come bidet classico e anche come water, il getto
essendo incorporato nel water. Il che, viene spiegato, consentirebbe il risparmio
della carta igienica.
Potrebbe essere uno scherzo. Ma è più probabile che sia
vero, in America si fa molta riflessione sul bagno domestico - in California
usano anche due sciacquoni, uno per la pipì e uno per la cacca, per risparmiare
l’acqua.
Bikini – Ma è un’invenzione, dello stilista Louis Réard, come sinonimo di “bomba
atomica” – si è usato a lungo dire delle pin-up, o di Marylin Monroe,
“l’atomica”. Bikini era il nome di un atollo
del Pacifico, nelle isole Marshall, su cui nel 1946
gli Stati Uniti condussero una serie di esplosioni nucleari “spettacolari” –
per un vasto pubblico, di personalità, giornalisti e curiosi. Ma sporchi, sporchissimi.
Se ne fecero due dei tre programmati. Uno in
superficie, e uno sott’acqua, contro navi militari e civili, per poi provare a
ripararle e decontaminarle. I primi peraltro di una vasta serie di esplosioni
“a fini di ricerca” in altre località delle stesse isole Marshall.
Duello – Ha colpito – impoverito – specialmente la letteratura russa: non solo
Puškin ne è morto giovane, di 38 anni, anche Lermonotov ne era morto ancora più
giovane, di 27 anni. Entrambi per motivi amorosi. Quello mortale di Puškin fu il
ventunesimo in cui fu coinvolto: 15 su sua sfida, dei quali solo 4 poi ebbero
luogo, e 6 su sfida avversa. Il duello ricorre anche in un paio dei suoi
racconti.
Sono sempre duelli alla pistola. Di Lermontov, della
sua passione per i duelli, non c’è traccia nei racconti. Ma le biografie lo
dicono volentieri attaccabrighe, negli anni del Caucaso, delle guerre contro i
ceceni. Morì per mano d Martinov, un altro ufficiale del suo distaccamento, suo
vecchio compagno di accademia.
Editoria - Kerbaker segnala sul “Sole 24 Ore
Dmenica” l’altra uno studio del catalogo Feltrinelli per i 70 anni della casa
editrice affidato agli allievi del Laboratorio di Editoria della Cattolica di Milano.
Da cui risultano per la narrativa i molti successi degli anni 1950-1960 (che
sono, andava detto, quelli della Feltrinelli di Bassani, Nanni Filippini, Giampiero Brega), e la singolare
desertificazione successiva – c’è Tabucchi, anche questo andava aggiunto, ma giungeva
valorizzato da Elvira Sellerio.
Lo
stesso vale per Einaudi, malgrado Pavese e Calvino – resiste qualche Sciascia
(dovuto a Calvino) e poco più. Specialmente inerti le collane di Vittorini, e
la “creatività” dell’Einaudi di Vittorini.
Vittorini, che tanta pessima
letteratura ha promosso da Einaudi, tanta ottima ne ha bocciato da Mondadori,
il Gattopardo, Živago, Simenon, Grass. Lo stesso Calvino,
che ha pubblicato anch’egli boiate immense, ha dedicato a Morselli, al suo
romanzo della vita, un viaggio in treno fino a Milano, un’ora e mezza da
Torino, e gli ha negato la pubblicazione - lo aveva fatto anche a Maria Corti, quando si era proposta romanziera.
Feltrinelli nei primi anni 1970 vendeva nelle
librerie le
tecniche di fabbricazionee delle molotov, e ne espungeva i libri Adelphi, Rusconi, De Agostini, e Rizzoli eccetto la Bur. Mentre
pubblicava, dopo
gli “Scritti di economia” di Cavour, le opere d Salvemini, al dodicesimo
volume, “Settore privato” di Léautaud,
e “come farlo”, a letto e al mare. Non pubblicava Cohn-Bendit: “Non voglio
libri di anarchici”, aveva detto l’editore, Giangiacomo, rivoluzionario terrorista.
Le
impiegate in casa editrice avevano ancora il grembiule, azzurro.
Francese – “Un francese sa tutto, anche se non ha imparato
niente”: è tranchant Dostoevskij nel saggio “Russia”, p. 17, a proposito
degli stranieri che non sanno nulla della Russia e ne dicono di tutto. Il suo
“francese in Russia” non è da copyright
– i “viaggiatori” spesso provocano risentimenti - ma questo di Dostevskij è del
1860, e dà bene l’idea: “Viene da noi a darci una sbirciatina della più alta
penetrazione…” - pp.17-18.
Freud-Jung
– “Freud era più scrittore, vinse il premio Goethe, mentre a Jung interessava
fino a un certo punto lo stile” - Luigi Zoja a Antonio Gnoli su “Robinson”: “Ma
la sua vasta cultura ne fece uno straordinario umanista”. O anche: “Freud è sta
soprattutto un intellettuale e uno scrittore, Jung lo definirei un maestro”.
Galileo –
È famosamente “il più grande scrittore italiano” per Italo Calvino. Possibile?
È avvenuto – Galileo, autore che non si può non dire secentesco, è invece
leggibilissimo, e interessantissimo anche per il lettore comune, anche se non
scrisse poesie né romanzi, ma Calvino è andato oltre.
Avveniva quasi
sessant’anni fa. La vigilia di
Natale 1967 Anna Maria Ortese inviava a Calvino una sorta di lettera aperta sul
“Corriere della sera”, a proposito di “Ti con zero”: “Caro Calvino, non c'è volta che sentendo parlare di lanci spaziali, di
conquiste dello spazio, ecc., io non provi tristezza e fastidio; e nella
tristezza c'è del timore, nel fastidio dell'irritazione, forse sgomento e
ansia. Mi domando perché…..”..
La scrittrice, reduce dal successo
infine con “Il mare non bagna Napoli”, con cui ha vinto il premio Viareggio, è
a disagio per l’entrata massiccia nella sua ordinata quotidianeità della
tecnologia – di cui, per istinto o cultura, sa che bisogna diffidare.
Il 27, quando il “Corriere” tornava in
edicola dopo la pausa natalizia, recava anche una profusa risposta di Calvino a
Ortese: “Cara
Anna Maria Ortese, guardare il cielo stellato per consolarci delle brutture
terrestri? Ma non le sembra una soluzione troppo comoda? Se si volesse portare
il suo discorso alle estreme conseguenze, si finirebbe per dire: continui pure
la terra ad andare di male in peggio, tanto io guardo il firmamento e ritrovo
il mio equilibrio e la mia pace interiore. Non le pare di
"strumentalizzarlo" malamente, questo cielo?” Etc., per una buona cartella.
Con la chiusa, un’esortazione alla conoscenza. Anche dell’“universo
extraumano”: “La luna, fin dall'antichità, ha significato per gli uomini
questo desiderio, e la devozione lunare dei poeti così si spiega…. Chi ama la
luna davvero non si accontenta di contemplarla come un’immagine convenzionale,
vuole entrare in un rapporto più stretto con lei, vuole vedere di più nella
luna, vuole che la luna dica di più. Il più grande scrittore della
letteratura italiana di ogni secolo, Galileo, appena si mette a parlare della
luna innalza la sua prosa ad un grado di precisione e di evidenza ed insieme di
rarefazione lirica prodigiose. E la lingua di Galileo fu uno dei modelli della
lingua di Leopardi, gran poeta lunare...”
Jacovitti – Da sempre
trascurato – perché non “allineato”? – lo esuma Altan, intervistato su
“Robinson” da Luca Valtorta: figlio di Carlo Tullio-Altan, severo antropologo,
sociologo e filosofo, per il quale tutto andava proibito ai bambini, “mi arrangiavo”,
dice. Classe 1942, non si lasciava in realtà sfuggire le letture d’obbligo
negli anni dell’adolescenza: “Leggevo Topolino, Gim Toro, il Piccolo
Sceriffo, Il vittorioso e, soprattutto, Jacovitti” – che era la colonna del
“Vittorioso” (manca “Capitan Miki”, il resto c’è tutto). “Qualcuno di questi
l’ha influenzata?”, chiede l’intervistatore. “Sicuramente Jacovitti: c’è qualcosa
di lui che mi è rimasto. C’erano tutti questi particolari sorprendenti”. Una vindicatio
sorprendente, su una costola di “la Repubblica”, in prima.
Moravia – “In una pagina
di diario, Croce scrive che in quel giorno è venuto a trovarlo «lo scrittore di
romanzi Moravia»” – è l’incipit del “divertimento” a due che Magris ha intrattenuto
col suo amico Mario Vargas Llosa, poco tempo prima della morte di quest’ultimo (confidato a un testo che Einaudi pubblica solo in versione kindle, col titolo “Mondo,
romanzo” – mentre sarebbe “È possibile
il romanzo senza il mondo moderno?”). Lo “scrittore di romanzi” era per Croce
una parentesi nella storia della letteratura, di poco interesse.
Ringraziamenti – “Me ne
asterrò”, conclude così lo storico Galasso la prefazione alla sua ultima opera, “La
Calabria spagnola”, 2012, “e per non cadere in una ritualità un po’ stucchevole
(specie se nella forma anglosassone di moda, che inizia col ringraziare Tizio e
Caio, e conclude invariabilmente con le mogli e i figli, e magari col proprio cane
o gatto), e perché non vorrei così estinguere il ricordo delle cortesie che ho
ricevuto”.
Sia
il cane che il gatto ringraziati in effetti è capitato di incontrarli. Anche
“le mogli” è giusto, ci sono libri che prendono due matrimoni.
letterautore@antiit.eu
Il sole dell’avvenire
Un dettagliato e molto documentato prospetto degli
investimenti multimiliardari per l’“energia del futuro”, la fusione nucleare.
La sola che potrà effettivamente fronteggiare il cambiamento climatico.
Il progetto non è nuovo, bisogna premettere.
Iniziative europee datano dagli anni 1980, a opera del Nobel per la Fisica
Rubbia, in Spagna col suo “calderone”, e della Comunità Europea a Ispra con
un “Tokamak” pilota. Entrambe finite nel
nulla: erano idee di ricerca più che progetti, mentre la fusione richiede
sforzi e capitali ingenti. La stessa Unione Europea ora punta in grande, con un
Tokamak mostruoso, in Francia, nel sito di ricerca nucleare di Caradache.
Si tratta, di fatto, di “riprodurre” il sole.
Impresa per cui le tecnologie e i materiali disponibili non sembrano sufficienti.
Ma la convinzione è generale che un salto è inevitabile, e che ci sarà, chi
dice nel 2035, e chi nel 2050. Ci sono “almeno 43 iniziative o partnership private
negli Stati Uniti e nei paesi alleati che stanno gareggiando per
commercializzare l’energia da fusione”. Tra esse, negli Stati Uniti, vale
ricordare una larga partecipazione Eni nelle sperimentazioni del Mit, Massachusetts Institute of Technology.
Ad oggi sono stati investiti più di 8 miliardi di
dollari, per lo più denaro privato, nelle start-up di fusione, la maggior parte
dei quali negli ultimi quattro anni. E poi c’è la Cina naturalmente, che si suppone,
si teme, sia avanti a tutti – ha l’impianto di sperimentazione più grande e già
attivo.
Scienziati e istituzioni sono più dubbiosi che
fiduciosi. E tuttavia gli investimenti crescono rapidamente.
Il problema c’è: il fabbisogno di elettricità si
moltiplica per effetto della transizione green
e dell’intelligenza artificiale - ne è già grandissima consumatrice: La
fusione è l’unica soluzione.
Evan Halper, No one has made fusion power
viable yet. Why is Big Tech investing billions?, “The Washington Post”, 22 giugno, online (anche in traduzione, Nessuno ha ancora reso l'energia da fusione sostenibile. Perché le Big Tech stanno investendo miliardi?)
giovedì 26 giugno 2025
Problemi di base militari - 869
spock
L’Europa si riarma per che cosa?
Per fare la guerra alla Russia - sicuro?
Per fare a meno degli Usa?
C’è un’Europa senza gli Usa?
Ci sarà un giorno in cui l’America si farà le solite guerre
e l’Europa starà a guardare?
C’era il riarmo morale, c’è ora il riarmo militare, l’Occidente
si vuole sempre sul piede di guerra?
O il ReArm Europe è un piano di resilienza come un altro – big business?
spock@antiit.eu
L’Europa senza risparmio e senza investimenti
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mercoledì 25 giugno 2025
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (596)
Giuseppe Leuzzi
Una curiosità alla 24ma Triennale di Milano di
quest’anno, sul tema “Inequalities”, è il padiglione polacco, che si apre sulla
gigantografia “Una breve vacanza”, il titolo di un film di De Sica (1987, con Florinda
Bolkan e Renato Salvatori), come porta d’ingresso alla filosofia
dell’allestimento: una sorta di tepidarium romano, per dire un
luogo di incontri, conversazioni e fitness. Il film, dimenticato, è da un racconto
di Zavattini, una “storia vera”: la metamorfosi di una giovane calabrese
emigrata, moglie, madre, nuora, lavoratrice dentro e fuori casa, che si ammala
ai polmoni, e in sanatorio rinasce. Bisognerebbe mandare la Calabria, la
regione, in sanatorio?
Non si
esime Milano, “Corriere della sera”, “La Gazzetta dello sport”, di dire il
giovane, bravo, bello, intelligente, socievole calciatore Yildiz “il turco”. Uno
che ha imparato in due anni l’italiano, dopo dieci anni di tedesco. Che veste
italiano. Sorride italiano – divertito. Si ispira a Del Piero e lo dice. È
felice e fa felici.
Il “turco”
come dire un estraneo. Ma anche uno di bassa lega. Il tribalismo perdurante di
Milano è la cosa più strana di questo millennio. Sarà il segreto della
ricchezza?
“Italiani
mafiosi”, avrebbe detto in Grecia il truffatore americano arrestato per i due
delitti di Villa Pamphili. Una tra le tante eiaculazioni per evitare l’estradizione
in Italia - meglio gli Usa, dove è protetto dalla famiglia, nel sistema
americano funziona così (il personaggio e i delitti restano ignoti ai media
americani, malgrado i tanti aspetti di “colore”, tragici e ridicoli). Però, un
film di cui ha fornito solo la copertina ha avuto dal ministero della Cultura in
Italia 863 mila euro. Il direttore del ministero che glieli ha dati dice
serafico: “I film internazionali non hanno l’obbligo di uscire in Italia”.
Uno
penserebbe che “essere usciti” è precondizione per essere finanziati. No, per il
finanziamento basta la parola, di un amico. È Roma che si è meridionalizzata, o
è il Sud che si è italianizzato?
Al
concorso annuale “I luoghi del cuore”, del Fai-Intesa San Paolo quest’anno si è
classificata seconda Gallipoli, con la Fontana Antica, con ben 63 mila suffragi.
La curiosità non è delusa: un Fontanone dell’antichità, con alta e larga parete
scenografica in bassorilievo. La Fontana Antica è antica greca, non c’è dubbio,
del II o III secolo a.C. – ci sono sistemi per datare le pietre. Nelle inevitabili
beghe archeologiche ci fu chi sostenne che era un’imitazione, rinascimentale. Per avvalorare la datazione classica fu allora fatto valere il curioso argomento che le “figure indecenti” non potevano essere cristiane.
Nulla di indecente,
naiadi. Ma il Sud naviga all’onda, non ha archivi o li ignora.
È la
protervia (leghista) la via del successo
Dopo mesi
di baldoria bancaria, o “Risiko”, il sito-giornale “Milano Finanza” di Panerai dà
uno sguardo all’azionariato di Bpm e “scopre” che praticamente il banco è di proprietà
francese. Francesi i maggiori azionisti: Crédit Agricole al 19,8 per cento
(almeno al 19,8, va aggiunto), più Banque Postale – statale – all’1 per cento,
poco meno, Natixis allo 0,7, Bnp allo 0,3. Frammentate le altre quote – anche
se si sa (dalla Consob) che Blackrock è al 5 e qualcosina per cento ((l’investor
relations di Bpm registra di Blackrock solo due miniquote, delle quindici
che invece si leggono sul sito Consob). E dunque un Bpm a proprietà francese,
la legge Capitali del ministro Giorgetti un anno fa consentendo alla squadretta
messa su da Agricole il controllo pieno del banco, senza l’incomodo di un’opa.
Giorgetti, leghista severo, può permettersi questo e altro. P.es. dire che Unicredit è di proprietà straniera perché ha nell’azionariato soci stranieri – non dirlo, farlo dire da un suo comitatino ad hoc, di giurisperiti di nessun nome, che chiama del golden power. In effetti è vero, ma nel senso che ha nell’azionariato tutti i fondi pensione e d’investimento possibili, senza nessuna presenza condizionante – è a proprietà diffusa, come usava raccomandare quale regola di buona democrazia dire al tempo delle privatizzazioni e liberalizzazioni. Al contrario di Bpm. Che invece, sempre per il ministro Giorgetti, leghista, è “un presidio di italianità”.
Ma, poi,
lo stesso sito-quotidiano (ex?) di Panerai evita di dire lo sconcio di
stabilire per decreto governativo – il cosiddetto golden power – che
Unicredit è a proprietà straniera, e che Bpm, pedina del suo disegno di prendersi
Mediobanca-Generali, è invece l’italianità in persona, da salvaguardare per
legge.
L’ipocrisia
si direbbe il segno di Milano. È anche questa una ricetta della ricchezza? O non
bisogna invece essere mafiosi – diretti, senza concorsi esterni e associazioni,
roba da giudici. I
leghisti stessi lo pretendevano, che ce l’avevano “duro” - anche se non si può
dire ora con la Meloni.
Sei anni a Locri,
una condanna
Nell’ingiusta requisitoria
all’ingiusto processo cui sono sottoposti, dopo 500 giorni di detenzione “preventiva”,
tra Locri e Reggio Calabria, due trentenni iraniani, Amir Babaj e Marjan Qaderi
Jamali, denunciati dagli scafisti come scafisti perché Amira aveva impedito
loro lo stupro di Marjan, la Pm non ha portato una sola prova, o testimonianza
credibile, che i due due in qualche modo lo fossero. Si è limitata a lamentare
che il suo lavoro - l’accusa ai due – era stato ostacolato dall’“informazione”:
“La difficoltà principale che io ho trovato è stata l’esposizione mediatica che
la vicenda ha assunto”. Ma dove li prendono?
Sulla base di questa requisitoria
il Tribunale di Locri ha scagionato Marjan e condannato Amir a sei anni. Il “comandante”
del barcone, un egiziano, che ha patteggiato, ha avuto meno. Il “comandante” ha
sempre dichiarato che i due iraniani erano passeggeri a pagamento. Anche i giudici,
dove li prendono?
La Pm ha tenuto a elogiare
“l’operato encomiabile delle forze dell’ordine e della magistratura, soprattutto
nei territori dove noi ci troviamo a operare”. Che non sono i suoi, precisa:
“Dove io mi trovo a operare da più di sei anni ormai, perché ho origini di
altro tipo”. Viene infatti da Milano. E non è razzista – è in rete per avere
dichiarato in altra occasione che tra Sud e Nord non ha trovato differenza –
era a proposito di violenze domestiche: “I casi di violenza, soprattutto
domestica, si verificano dappertutto”. Perbacco.
Certo, si fa il concorso, e
chi lo vince diventa giudice. Però, c’è sempre questa storia che il dipendente pubblico
può essere spostato ovunque. In un senso questo serviva. Quando c’era la leva militare,
p.es., i giovani del Sud andavano al Nord, e viceversa, dando un qualche fine pedagogico
a un servizio altrimenti inutile. Ma perché mandare per sei anni una milanese a
Locri? In punizione, sua o di Locri?
E poi, giusto per dire, ma
Currao non è nome meridionale? È vero che cognomix ne registra 26 in Lombardia,
ma ben 92 in Sicilia e 37 in Calabria. Marzia, sì, certo, non è nome meridionale.
Cronache della differenza: Calabria
“Una cosa che la rende
felice?”, chiedono al testaccino e romanista Caudio Ranieri, dopo il miracolo
con la Roma in campionato. “Avere amici sinceri, quelli di Catanzaro”. Dove ha
giocato da giovane, quando aveva 21 anni -- poi, quindici anni dopo, per cominciare
da allenatore, lo hanno chiamato alla Vigor Lametia, Interregionale.
L’amicizia è
stata svalutata da Sciascia, ma non è male.
Ha molti santi –
molta devozione – ma se li dimentica. Per esempio san Francesco di Paola, famoso
e venerato in Francia e a Roma, a Trinità dei Monti. Ora è tutta per san Pio da
Pietralcina.
Mattia Preti è
artista, dice Antonio Baldini (“I viaggi di Bonincontro”) girando per Taverna,
il paese natale del “cavalier calabrese”, nel 1926, di “rapida, franca, solida,
compatta e corrusca pittura ch’è la maggior gloria dell’arte
calabrese” – un’“arte calabrese”?
Baldini lo dice
anche sempre legato al paese, che abbandonò da ragazzo: “Pare che non ci
tornasse che una volta sola, da vecchio, rompendo una volta il viaggio da
Napoli a Malta; ma portò sempre nel cuore il paese natale, ed accettò sempre
volentieri commissioni dai religiosi e dai signori del luogo”. Questo è vero,
Taverna ha ancora molte sue tele.
Il governo di centrodestra moltiplica
gli incontri a Roma con la Regione Calabria, di centro-destra. A Pasqua ha rinnovato
l’impegno, qualcosa come due miliardi, per cinque nuovi ospedali: Sibaritide, Vibo
Valentia, Gioia Tauro-Palmi, un altro ospedale a Cosenza, un Gom (Grande ospedale
metropolitano) a Catanzaro. E miglioramenti, per une ventina di milioni, a
Locri, Catanzaro, Crotone, Polistena. Ma i progetti non sono nuovi - Gioia Tauro-Palmi
è già stato “finanziato” un paio di volte.
Si dice che la politica ama spendere, ma in Calabria neppure quello.
S’illustrano ora turisticamente,
p.es. sul “Venerdì di Repubblica” i laghi Prespaa, tra Grecia, Albania e Macedonia
del Nord. Una trentina o quaranta anni fa era una gita in solitario. Si oltrepassava
salendo un posto di blocco militare greco - la Grecia contestava la denominazione
Macedonia del Nord, e il traffico di immigrati dall’Albania - dove era di rito:
“Ma che ci andate a fare?” E si saliva per programma, per zone aride. Finché si
apri l’altopiano, effettivamente piatto e brullo, non un albero. Ma col fascino
di tutti gli altopiani. E una targa stradale, una sola, con la scritta Platì –
così, certo col p greco.
Che, poi, Platì più che altro
è un nome. Un attraversamento dimenticato della statale Bagnara-Bovalino,
desueta da tempo per i suoi mille (899?) tornanti. Ma al vertice del
“triangolo dei sequestri” di persona, San Luca-Platì -Natile, della c.d. Anonima
Sequestri – in realtà nota ai più – che nei trent’anni fino ai primi 1990
effettuò 191 sequestri, alcuni durati anni.
Paura dei sequestri? No, ma si
veniva fermati a ogni incrocio dai Carabinieri.
La lotta al crimine è strana -
meglio starne fuori (omertà?).
“Essendo di origine calabrese,
cioè il Sud più dimenticato…”, Marina Valensise può premettere sul “Corriere
della sera” a Valerio Cappelli. Più dimenticato, si direbbe, dai calabresi
stessi, che in molti se ne vanno e se ne stanno fuori – qualcuno torna “per la
mamma”, finché vive.
Dimenticata dalla storia, ma
di più dalla storiografia, anche calabrese. Immolata a un presunto marxismo nel
dopoguerra. In precedenza “antichista”, celebratrice di antichi fasti. Una “umanistica”
dagli esiti stravaganti. Sono finiti in Calabria Oreste, Filottete, anche Ercole,
e Licaone con tutti i suoi 22 figli. Ulisse vi è sbarcato variamente, ad
Amendolara, Crotone, Copanello, Lamezia Terme, e anche in montagna, a Tiriolo e
a Nardodipace.
C’è la spiaggia di Oreste – più di una. Il porto di
Ulisse – idem. La piana dove fu rapita Persefone. Il porto di Agatocle.
leuzzi@antiit.eu
Trema la dirigenza dell’Economia
Trema la dirigenza dell’Economia? Dovrebbe. È tutta espressa dal governo
in carica, e quindi protetta, ma con i tempi dell’inchiesta giudiziaria aperta
a Milano la vicenda Mps-Mediobanca-Generali è possibile che non si concluda con
l’attuale maggioranza di governo, mentre è più che probabile che al ministero comunque non
ci sia Giorgetti.
Anche la questione del golden power contro Unicredit potrebbe finire
in giudizio. Ma sull’assalto a Mediobanca-Generali c’è più che un sospetto. Il
Mef alle 18.15 del 13 novembre fa un comunicato per dire avviato l’accelerated
bookbuilding di una quota del 7 per cento di Mps. Alle 20.30 ne pubblica un
secondo per dire che, “dopo il vaglio di centinaia di richieste”, di Mps ha collocato
ben il 15 per cento, “pari a oltre il doppio dell’ammontare iniziale offerto” –
e con un premio del 5 per cento.
Tutti sanno che l’ABB era un “gioco dei compari”, il “premio” compreso: Bpm
5 per cento, Caltagirone 3,5, Delfin 3,5, Anima, cioè sempre Bpm, 3. Operato da Banca Akros, cioè dallo stesso Bpm. Un
comparaggio che non sarà facile alla Procura di Milano di sostenere in
giudizio, ma alla dirigenza del Mef procurerà molti fastidi, in tribunale e in
carriera.
Se la MG cinese vende più di Fiat
Mg ha superato Fiat nelle vendite, ed è tutto dire. Il vecchio marchio inglese dello spider
d’amatore rigenerato dalla cinese Saic con berline monumentali ed economiche.
Ha usato a lungo dire “la Cina è vicina”, ma da tempo è già qui. Ora si
vede anche. È qui non nel senso della revoluciòn per ridere del film
sessantottesco di Bellocchio che l’annunciava. E non servono a difendersene i
dazi, sa anche aggredire dall’interno, bene e subito - produrre auto in Gran
Bretagna non era possibile, fino a qualche anno fa, i costi erano altissimi.
Si riproduce il caso Giappone di cinquant’anni fa, che sembrava impossibile
e invece fu inarrestabile. Poco conta che le case automobilistiche siano in
lite in Cina, contro il marchio Byd, che il governo avrebbe privilegiato. Sono
aziende che “stanno sul mercato”. E non di bocca buona, anche se poi riescono a
praticare prezzi stracciati: il ministro dell’Industria Urso non ne ha trovata
una disposta a investire in Italia, malgrado contributi e incentivi.
Se la Cina non è “verde”
Il maggiore inquinatore del mondo, a percentuali crescenti e non decrescenti,
è campione mondiale dell’auto elettrica – se è vero che le vendite di auto a
batteria superano quelle a combustione interna. Quindi campione di quello che,
in Europa, viene chiamata rivoluzione green, o green deal - a torto,
è una rivoluzione industriale come le altre che l’hanno preceduta, l’altoforno,
il vapore, i tempi e metodi (la “catena”), il fordismo.
La Cina è poi un mercato enorme. Teoricamente più degli altri messi assieme,
America, Europa, etc. Dal quale, quindi, può permettersi l’assalto a prezzi imbattibili
a ogni altro mercato - un mercato anche ben governato, paradossalmente, per
essere il regime comunista: la storia lo ha svuotato, ma in Cina ha saputo
adattarsi.
Il Presidente del giusto mezzo
“Siamo straordinariamente
poco informati sull’uomo XI Jinping” è l’incipit del ritratto. È al potere da tredici
anni ma “non ha mai concesso un’intervista”, e “non accetta neanche conferenze
stampa”, neanche preordinate. Ma basta quello che si sa: “Nel novembre 2012 il XVIII
Congresso del Partito comunista lo ha nominato Segretario generale”. Quindi
Presidente, e Capo della Commissione militare. Cioè un capo comunista, stile
sovietico, vecchia Urss.
Un capo allevato
per questo. Quando nel 1997 provò a fare il salto fra la burocrazia di partito
di provincia e Pechino, non fu eletto. Fu cooptato, era già, giovane trentenne,
un vero “uomo di partito”: “C’erano 150 poltrone e il dirigente provinciale Xi
si piazzò al 151mo posto”. Allora il Partito decise che “tutto sommato aveva
bisogno di 151 membri” al Comitato Centrale, e Xi fu ripescato.
Insomma, era anche
un predestinato. Si mormora che molto abbia giocato nella sua ascesa il secondo
matrimonio, con la bela e più famosa cantante lirica della Cina, Peng Liyuan,
soprano nel coro dell’Esercito, ma questo suona come un abbellimento gossip per i media occidentali, il presidente è
solido perché “bravo comunista” (il primo matrimonio durò pochi mesi: la sposa,
Ke Lingling, figlia dell’ambasciatore cinese a Londra, se ne andò presto,
stanca di un burocrate, per quanto di potere, “oscuro funzionario nella
provincia dell’Hebei”.
Il principe è un burocrate? Quella
cinese è però una burocrazia che ha fatto in tempo ad allenarsi al nuovo. Due
anni dopo il fallimento del primo matrimonio, Xi Jinping fu mandato in America,
con una delegazione, in viaggio di studio. Lui scelse una famiglia di allevatori
nello Iowa, che lo ospitò per due settimane. L’esperienza viene sempre ricordata
nelle biografie, e colorata di aneddoti. Questo nel 1985. Una trentina d’anni
dopo la figlia che Xi ha avuto con Peng Liyuan, Xi Mingze, “ha studiato negli
Stati Unti, laureandosi in psicologia a Harvard”.
Un burocrate sorridente.
L’uomo del “giusto mezzo”. Si spiega
così la sua “resilienza”, in un partito Comunista più violento di ogni altro
nella storia del Novecento, e tuttavia sopravvissuto. La sua storia di tredici
anni al potere è prodroma di un potere a vita.
Guido Santevecchi,
Xi Jinping. Il principe rosso, pp. 63, gratuito col “Corriere della sera”
martedì 24 giugno 2025
L’impossibile America dell’Iran
Il “Satana” del khomeinismo, gli Stati Uniti d’America, ha una sorta di
attrazione, in tutto il Vicino Oriente, per l’Iran. E viceversa, bisogna dire,
malgrado le maledizioni.
L’Iran, ancora dopo quasi mezzo secolo di barbarie khomeinista, è il Paese
più occidentale, democratico, istruito, considerato (politico, diplomatico) del
Medio Oriente. Con il migliore inglese americano della regione, preciso,
svelto, sintetico, espressivo. Che gli Stati Uniti ha però sempre tenuto ai margini.
Il golpe della Cia del 1953 contro il governo eletto Mossadeq, che voleva
nazionalizzare il petrolio, fu la causa principale della caduta dello scià 35
anni dopo. A favore di un ayatollah di seconda o terza fila non considerato a
Qom, il cuore religioso dello sciismo.
Era però un critico dello scià, in esilio volontario in Iraq, e fu “creato”
Grande Oppositore dai servizi occidentali in Francia, vicino Parigi. Che ne
favorirono la propaganda. E presto spinsero lo scià a farsi da parte, con la
incredibile presidenza Carter (che poi Khomeiny giustiziò politicamente, prendendo
in ostaggio tutta l’ambasciata americana, una cinquantina di persone - una vicenda finita con gli
elicotteri di Carter insabbiati, mandati per liberare gli ostaggi).
Era il tempo in cui gli Stati Uniti puntavano sul radicalismo religioso
islamico per fronteggiare l’Unione Sovietica in Medio Oriente. Il 4 gennaio
1979 Carter mandò un suo fidato gen. Huyser (vice-comandante delle truppe Usa
in Germania) a Teheran per convincere lo scià a lasciare il potere, dodici
giorni dopo lo scià partiva in esilio, ventisette giorni dopo Khomeiny aveva l’Iran
in mano.
Un rapporto contrastato. Fra due realtà, conoscendole da vicino,
opposte. Lo stesso mondo, due culture opposte: la saggezza vs. la forza,
la tranquillità d’animo vs. l’eccitazione. L’improduttività anche - per
la Ragione, il Giusto - contro l’aggressività, l’efficientismo, il monopolismo.
L’Iran è stato il primo Paese nel Medio Oriente su cui gli Stati Uniti hanno
aperto il loro ombrello, sostituendosi
al monopolismo britannico (Iraq, Kuwait, Emirati, lo stesso Iran). Erano
entrati da tempo in Arabia, il neo re Saud marciava con le compagnie americane,
ma il suo regno era considerato un deserto di beduini. A cavaliere del 1970 era un viavai a Teheran di imprenditori americani in cerca di affari - specie in agricoltura, con gli innesti in America di varietà di mele, dei pistacchi, di vitigni antichi pregiati, di cui la Persia islamizzata non faceva più uso.
Il fascino è stato però, ed è, reciproco. Frange minuscole di iraniani guardano
alla Germania, all’Italia, l’orizzonte è inevitabilmente americano.
Porno, l’unica forma d’arte di Fine Millennio
“Ciò che era ovvio per i miei amici e per me era che il potere, per le
donne, era di natura sessuale. Non ce n'era altro, o nessuno che valesse la
pena avere.
“Ho frequentato una scuola femminile gestita da severe femministe della seconda
ondata, che ci dicevano che potevamo avere successo in qualsiasi campo o
industria avessimo scelto. Ma questo messaggio è stato cancellato
dall'intrattenimento che assorbivamo tutto il giorno, che era stato
profondamente plasmato dall'unica forma d'arte che ha caratterizzato la fine
del XX secolo: la pornografia….”.
Sophie Gilbert, What Porn Taught a
Generation of Women, “The Atlantic”, 21 giugno, online, anche in
traduzione (Cosa ha insegnato
il porno a una generazione di donne)
lunedì 23 giugno 2025
Ombre - 779
Netanyahu
che prega in diretta per Trump è puro farisaismo, visivo. Ma col dubbio: il farisaismo
è di Netanyahu oppure del suo Dio?
Perché,
dopo, c’è la cerimonia propiziatoria della guerra al Muro del Pianto: con un altro
Dio non sarebbe sacrilegio?
Dio si spreca in effetti in questa guerra, ad ascoltare e guardare Trump dal vivo. Uno che sicuramente non crede in nessun dio, a parte se stesso. Ma questo è il farisaismo caratteristico degli Stati Uniti, la conquista in nome di Dio.
La falsa
liberalizzazione dell’energia documentata da bollette “incomprensibili” (ma
tutte uguali, cioè ingiustificatamente care) merita infine oggi un mezzo saggio
di Ferruccio de Bortoli su “L’Economia”. Dove però non trova spazio l’essenziale,
che l’80 per cento del caro energia, per le famiglie, è costituito da false imposte
di scopo: “oneri di sistema”, “trasporto”, su strutture vecchie di decenni, e “gestione
del contatore”, che si gestisce da solo, in automatico. Su cui pagare anche l’Iva
– l’Iva sulle imposte… F7erruccio, ovvio, sa di che si tratta, ma non bisogna
disturbare l’Arera - l’Agenzia pubblica che protegge il mercato, a danno degli
utenti?
La Ducati
mette in campo i fratelli Marquez e Bagnaia. Cui però dà una moto di seconda
mano – corre, dice, “in balia di una Ducati” che non riconosce. Il mercato ispanico
è molto più ampio di quello italiano, certo, ma lo sport è tutto qui, a chi fa
vendere di più.
Il direttore
dell’Agenza Internazionale per l’Energia, dopo avere offerto a Netanyahu l’innesco
per il piano d’attacco all’Iran, fa marcia indietro: non “c‘è niente di vero”,
“non esistono prove” sulla bomba atomica degli ayatollah, “un attacco armato
contro le centrali nucleari non dovrebbe mai farsi, potrebbe provocare rilasci
radioattivi, con gravi conseguenze, dentro e fuori dello Stato attaccato”.
Rafael Marian Grossi si chiama il direttore. Argentino, diplomatico, di basso rango.
Cambia qualcosa? Si, non si capisce perché sta all’Aiea – uno vale uno, Grillo dilaga?
O non
sarà quello che attacca l’asino dove vuole il padrone.
Una
gru alta 60 metri che deturpava da vent’anni il Piazzale degli Uffici, e anche
la Signoria, incombendo sulla Loggia dei Lanzi, si è potuta infine rimuovere
grazie alla donazione di 18 cittadini, diecimila euro ciascuno. Il Comune non ci
aveva nemmeno provato, la Sovrintendenza non rispondeva, i curatori degli Uffizi
si sono dovuto occupare in solitario della questione. La gru era stata montata
per costruire i Nuovi Uffizi, un progetto di trent’anni fa, che la città però
non sa-vuole-può realizzare – il concorso per l’ideazione era stato vinto nel
1998 dall’architetto Isozaki.
Il declino di Firenze ha aspetti
incredibili.
“Spesa pubblica,
frodi per 2 miliardi”, solo a Roma, solo nel 2024. Per l’ex reddito di cittadinanza,
ma di più naturalmente per fatture false e fondi spariti – “mostre e convegni”
sono i “veicoli” preferiti. Il Terzo Settore era una valvola all’inefficiente spesa
pubblica al suo nascere, trenta e qualche anno fa, ora è il suo principale drenaggio.
Tifo da
stadio per i bombardamenti israeliani delle centrali nucleari iraniane. Tanto, se si “liberassero” un po’ di radiazioni sarebbe un problema per gli iraniani.
Ma forse è solo superficialità, il giornale serve ormai effettivamente solo a incartare
il pesce.
Fa un
po’senso che a Taormina si premi come miglior libro di saggistica “Il suicidio
di Israele”, di Anna Foa. Riflessione di un’ebrea, per quanto laica, ma dura
con l’Israele di Netanyahu. Poi si riflette che da troppi giorni l’esercito
israeliano, esercito di leva, non di professionisti più o meno maneschi, spara
sulla folla inerme, assembrata per l’acqua o cibo. E l’immagine emerge dei Sondernkommando,
che più volentieri non erano dei brutti tedeschi ma di baltici e di ucraini, e
sterminavano più rapidi del gas.
Israele
di oggi – già di prima della guerra scatenata da Hamas il 7 ottobre - si
dice vittima d Netanyahu, ma Netanyahu è ben Israele. Primo ministro di un
governo eletto, attraverso varie coalizioni. Primo ministro da quasi trent’anni
- con due intervalli, di dieci anni, e di un anno e mezzo.
“Se pesa
la durezza degli allenamenti, rido”, spiega Antonio Conte, l’allenatore vincente
del Napoli, su “7”: “Zidane e Del Piero si allenavano in modo molto più duro. Oggi
si fa un terzo di quello che facevamo noi”.
E si vede, il calcio in fatto di atletismo è allo stadio zero, fra urla
strazianti al menomo contatto e simulazioni perfino buffonesche.
Il
direttore ministeriale della Cultura, Nicola Borrelli, serafico spiega che il
quasi milione di cui il ministero ha gratificato il presunto regista americano
che è ora n carcere per avere ucciso moglie e figlia, non lo ha dato all’americano
folle, lo ha dato a un produttore italiano, Matteo Pedrotti. Ora scomparso,
insieme con la sua società di produzione, da vero pariolino – basta l’indirizzo,
via Bertoloni, dietro Villa Taverna, parco dell’ambasciatore americano. Il suo omonimo
milanese per questa strana avvedutezza gli avrebbe dato l’ergastolo, ma a Roma
i soldi corrono facile.
Comica visita
della Juventus alla Casa Bianca – a fini di beneficenza? Una folla di atleti
che non sa l’inglese - a parte i due americani, Weah e McKennie, che sanno di
che si tratta e tacciono. Tanto meno quello veloce e criptico delle conferenze
stampa. A parte i dirigenti. Uno dei quali si assume il compito di dire le famose
sette parole. Visita che il presidente non sa come gestire, se non coi suoi
argomenti del giorno: un presidente Biden autopen (?) e il transgender
nell’atletismo. “Avete belle atlete nel vostro team?”, chiedeva Trump, e
nessuno capiva. Finché il nuovo manager Comolli ha detto infine le sette parole:
“Abbiamo un team di donne molto vincente”.
Però
Elkann aveva più di un motivo per provare ad agganciare Trump, e forse c’è riuscito
– con l’aiuto generoso di Gianni Infantino, il presidente della Fifa, che ha
saputo stuzzicare Trump sul suo lato, quello mercantile (quanti soldi questo
strano Campionato mondiale sta facendo girare per gli Usa). Il mercato di Stellantis
per un terzo almeno è in America, ma con macchine prodotte altrove, e un atto
di grazia di Trump è necessario. Anche se con la svalutazione del dollaro il
danno è già fatto, anche senza i dazi.
“Los
Angeles brucia. Trump manda i marines”, bruciava cinque o dieci giorni fa. Poi
all’improvviso più niente. Ma bruciava sui giornali italiani, su quelli
americani, tutti anti-Trump, niente o quasi. È sempre strano il rapporto degli italiani
(giornalisti) con gli Stati Uniti, che pure è il paese dei loro sogni. Non può essere
ignoranza, c’è sempre una vena di sovietismo.
“Meloni crede
di essere protagonista internazionale? Si culli nelle sue illusioni”. Singolare
euresi (inventio) di Cacciari in
tv. Volgare per un filosofo, seppure narratologo - Nietzsche certo: appendere il
nemico a un’immagine che è facile trafiggere. Singolare che un filosofo faccia la
sera il Mauro Corona in tv – senza nemmeno la scusa del goccetto.
L’Anpi,
L’Associazione dei Partigiani, che si mobilita a Venezia contro il matrimonio di
Bezos, è da ridere. E forse a questo la “mobbilitazione” è intesa, a dare
lustro all’“evento”. Ma che tristezza, un uso così sciocco dell’antifascismo.
L’indagato,
Occhiuto, presidente della Regione Calabria, non ha le “carte”, “Domani”, il giornale
di Carlo De Benedetti, sì. Il Procuratore di Catanzaro è della stessa loggia di
De Benedetti? Progressista, certo.
“Macron
fa scalo in Groenlandia e sfida Donald Trump”. Sicuro che no, ma sembra un programma
dell’Opera dei Pupi a Palermo, del signor Cuticchio.
Macron al
G 7 in Canada: no alla mediazione Putin fra Israele e Iran. C’è sempre Macron sui
giornali italiani, deve avere un miele speciale – in Francia, dove è presidente,
non gli danno molto spazio.
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Il seme della contestazione agli ayatollah - con finale "Shining"
Un giudice istruttore a Teheran viene chiamato a decidere impiccagioni
senza nemmeno poter sfogliare il fascicolo delle Procure che chiedono le
condanne. È l’inizio della crisi dell’onesto servitore dello Stato nel momento
in cui pensa di avere coronato le sue ambizioni a una vita di modesta comodità.
Che avvelenerà anche la sua bella e armoniosa famiglia. Con una moglie e madre
che più intelligente e premurosa non si può immaginare, e due belle obbedienti
figlie agli studi. La piazza, le lunghe proteste giovanili contro il regime
islamico reazionario, non finirà, questo il senso del titolo – il fico presiede
a ogni nascita mitica, di Romolo e Remo, di Vishnù.
Un film politico, iraniano: lento, lungo, prolisso anche, e seducente.
Per la misura dell’espressione, del vivere in comune, sia pure litigando. Ma
con una lunga sequenza da film d’azione, un inseguimento-tamponamento su strada.
E un finale da “Shining”.
Una testimonianza anche di un sistema giuridico certamente più sviluppato,
equilibrato, giusto, che in Italia. Con la separazione dei ruoli, fra procuratori
e giudici. Un sistema ora asservito dal lungo potere religioso, che va per il mezzo
secolo, ma tradizionalmente di forte autonomia, nel vituperato regime dello scià.
Fu un giudice ad avviare nel 1976 la contestazione che porterà al discredito definitivo
della famiglia regnante e all’uscita di scena due anni dopo. La sorella dello
scià, la sorella gemella Ashraf, aveva il vizio degli affari. Mercato delle
influenze, e immobiliare. Per esempio di vendere appartamenti a Teheran, previa
caparra, da costruire e anzi da progettare. Finché uno dei malcapitati, un
giudice, non la perseguì, senza remore, in tutti i luoghi possibili. E lo scià,
che non era corrotto, solo pusilanme, passò anche per corrotto.
Un film politico, di opposizione su tutti i fronti al regime islamico. Che
però è stato girato, e anche montato, in Iran. E anche questo fa parte del
complesso mondo di quel paese. Si dice che è stato girato in ambienti chiusi,
ma non è possibile nascondersi quando si fa cinema, troppe macchine, troppa
gente. Ci sono anche esterni impegnativi. Molto materiale è dei video-telefonini,
ma c’è l’inseguimento-tamponamento, scena da riprovare decine di volte. E la lunga
vicenda finale si ambienta in un villaggio abbandonato ma con tutte le stigmate
del monumento storico-folklorico preservato con cura– un villaggio di case del colore
e materiale del suolo, argilla, terra e cannicciati.
Mohammad Rasoulof, Il seme del fico
sacro, Sky Cinema Due
domenica 22 giugno 2025
La notte brava di Trump - le macerie
Da qualsiasi punto lo si rigiri, il beau geste notturno di Trump,
coi suoi squadroni volanti invisibili, produce solo rovine.
Ha isolato gli Stati Uniti – più scombussolati i fedelissimi europei.
Non blocca il programma nucleare iraniano.
Impedisce qualsiasi trattativa per limitarlo.
Ha reso immortale il regime degli ayatollah.
Lo radicalizza, se mai ce ne fosse bisogno.
Ha piantato l’antiamericanismo negli iraniani, in patria e all’estero.
Terrorizza ogni potentato arabo, per quanto suddito fedele, dalla
minuscola Giordania all’Egitto e agli sceiccati padronali della penisola.
Allontana ogni dialogo con Putin, che sovrasterà Zelensky con molta più
forza che in passato.
Voleva giocare Putin e la Russia contro Xi e la Cina, li ha messi d’obbligo
insieme.
Rimette in gioco il gigante cinese, che per quanto malandato potrebbe riprendere
la rapida ascesa della via della Seta interrotta sei anni fa dal covid.
Ha isolato gli Stati Uniti, nonché nel vasto ex Terzo mondo, America
Latina in primis, nella stessa Europa, sola e confusa di fronte alla Russia
e alla Cina.
Ha isolato gli Stati Uniti per legarli a Netanyahu, un avventuriero - non
ha saputo-voluto prevenire la guerra di Hamas di cui lui tutto sa (ne ha ucciso
i capi uno per uno, vice compresi, e i capi e vice-capi di Hezbollah e Pasdaran),
e la allarga e intensifica oltre ogni ragionevole risposta, compreso il tiro alle
folle in coda per la fame.
Mettendo in crisi - negli Stati Uniti e altrove, anche in Israele - il sionismo
più avveduto, già perplesso su Netanyahu e la sua guerra di annientamento.
Ci sarebbe poi il danno reputazionale, bombardare mentre si negozia, ma a questo gli Stati Uniti ci hanno abituati, dal tempo degli indiani.
La guerra preventiva è un lasciapassare per qualsiasi malintenzionato.
Problemi di base nucleari - 868
spock
“La democrazia
americana potrebbe non sopravvivere a una guerra con l’Iran”, “The Atlantic”?
“Trump non era
supposto essere contro la guerra”, id.?
Truman-Trump,
la stessa, radice, nucleare?
Trum, dice il sanscrito,
è “colpire”, “uccidere”?
Anche con l’atomica,
gli “ariani” l’avevano già inventata?
Ma siamo
ariani o non-ariani, com’è questa storia?
O è la radice mercantile
che unisce i due bombaroli – muoia Sansone con tutti i filistei?
spock@antiit.eu
Vite intrepide di donne, un secolo prima dei diritti
“La vivace Vita
Sackville-West fu una delle ultime visitatrici britanniche nella casa di
Gertrude Bell a Baghdad nel 1926, pochi mesi prima della tragica morte di Bell
per overdose. Le due donne erano molto diverse per età, temperamento e
prospettive, ma avevano molto in comune, non ultimo il fatto di essere forze
della natura con storie personali avvincenti e una propensione a scuotere le
sbarre delle loro gabbie dorate e sessiste. Entrambe erano ribelli di genere,
snob e attratte dalla classe sociale, dai privilegi economici e dalle
circostanze. Nonostante fossero state negate posizioni, opportunità e proprietà
per non essere nate maschi, nessuna delle due era particolarmente femminista.
Donne ricche come Vita e Gertrude non avevano bisogno di esserlo.
“Vita
Sackville-West e Gertrude Bell furono autentiche britanniche coloniali di alto
livello all'estero negli anni del dopoguerra, in grado di permettersi di
viaggiare e vivere a loro piacimento in paesi come la Persia e l’allora neonato
Iraq, contribuendo a plasmare il caleidoscopico e complesso panorama politico
del Medio Oriente, in linea con gli interessi britannici e, al contempo,
sostenendo apertamente l’autodeterminazione araba. Entrambe conoscevano
personalmente le nuove famiglie reali del Medio Oriente e si muovevano con
disinvoltura tra diplomatici, leader militari e politici.
Londra,
Costantinopoli e Parigi.
“Le strade di
Sackville-West e Bell si erano già incrociate a Londra, durante le cene
organizzate dall'alta borghesia di Belgravia, Mayfair e Bloomsbury. Entrambe le
donne erano abituate a trascorrere periodi di vacanza in campagna
(rispettivamente nel Kent e nello Yorkshire), oltre a trascorrere del tempo
nelle loro case londinesi, intrattenendo ospiti e facendo visita a conoscenti.
Vita si sposò a 21 anni – il suo matrimonio con il bisessuale Harold Nicholson
fu piuttosto aperto anche per gli standard moderni – e Gertrude rimase single.
Una forma di libertà arrivò per loro in modo diverso.
“Le due donne si
incontrarono di nuovo a Costantinopoli nel 1914, prima dello scoppio della
guerra. Gertrude Bell era diventata un’esperta esploratrice del deserto,
archeologa e fotografa, e aveva da poco completato il suo straordinario viaggio
del 1913-14 attraverso vaste distese di terreno impervio, attraversando e
riattraversando la penisola arabica, disegnando mappe e scattando fotografie.
“Costantinopoli fu
una tappa del suo viaggio di ritorno a Londra. Le voci sulle imprese di Bell si
diffusero rapidamente e lei fu molto richiesta per raccontare le sue avventure.
Fu invitata a cena a casa di Philip Graves, il corrispondente del Times
, dove, a quanto si racconta, si diede alla pazza gioia fumando le sue
sigarette abituali. Erano presenti anche il giovane diplomatico Harold
Nicholson, appena sposato, e la moglie incinta Vita Sackville-West…”.
Uno di cinque contributi,
con molte immagini, di Eleanor Scott, la pubblicista inglese specialista di Roma antica, sul suo sito “Archeology”, su Gertrude Bell – con “The Death
of Gertrude Bell”, “Fine Dining in the Desert With Gertrude Bell”, “Gertrude
Bell–in Search of the ‘Real Woman’” e “Gertrude Bell’s Word War 1 – Beginnings”.
Quando la vita si
poteva vivere, e raccontare, senza ipocrisie – di colore, genere, sociali.
Manca, curiosamente
per un sito specializzato in archeologia, l’esperienza di G. Bell a Roma, a due
riprese, venuta espressamente per documentarsi e documentare (fotograficamente)
il grande lavoro di scavi in città e nei dintorni. Bene accolta e ben guidata dai
maggiori specialisti, Rodolfo Lanciani, il decano della grande archeologia
postunitaria, tra Rma e Ostia, Giacomo Boni, direttore degli scavi al Foro
omano, il direttore della British School at Rome, Thomas Ashby, ritenuto il maggiore
esperto, Richard Delbrück, il professore di archeologia classica che era direttore
del Deutsches Archäologisches Institut a Roma prima della Grande Guerra, quando
G. Bell vi fece ritorno. Personalità con le quali si trovò anche a tenere
conferenze. Un aspetto della vita tumultuosa di G. Bell che docuemnta ora l’Accademia
Americana a Roma nella mostra “Women&Ruins: Archeology, Photography, and
Landscape”.
Eleanor Scott, When
Gertrude met Vita: the Friendship of Gertrud e Bell And Vita Sackville-West,
free online
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