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venerdì 22 ottobre 2010

Letture - 43

letterautore

Critica – Vent’anni fa, nel 1992, Asor Rosa decretava la fine della letteratura italiana. Nel 1993 Walter Pedullà decretata la fine dell’ironia – di chi? Che malattia è? Deve avere un nome in psichiatria.

Dante – Analizzando Proust, Beckett trova l’allegoria applicata a un’allegoria, invece che a “una realtà precisa, letterale, concreta”, un di più fallimentare: “Dante, se si può dire che abbia mai fallito in chicchessia, fallisce quando descrive dei personaggi puramente allegorici, Lucifero, il Grifone del Purgatorio e l’Aquila del Paradiso, il cui significato è puramente convenzionale, estrinseco: l’allegoria fallisce allora come è sempre condannata a fallire sotto la penna del poeta. L’allegoria di Spenser crolla presto dopo pochi canti. Dante, che era un artista e non un piccolo profeta, non ha potuto impedire alla sua allegoria di scaldarsi, di galvanizzarsi in un’anagogia”

Italiano – Si può leggere Leopardi e pensare che sia Petrarca, e viceversa – o perfino Metastasio. Un critico dell’anno Diecimila, che dovesse ricostituire filologicamente l’identità che sta dietro “Muore giovane colui che al cielo è caro” avrebbe parecchi dubbi: la lingua resta immutata per cinque secoli, immutate le tematiche, gli stilemi.
Una lingua che era già formata nel Trecento, al top della costruttività e dell’espressione, dell’ampiezza espressiva, per costrutto e per vocabolario. Forse ineguagliabile quell’italiano, per vivacità (Dante, Boccaccio), per naturalezza (Petrarca), certo difficilmente migliorabile. Ma perché imbruttirlo, da Manzoni a Pasolini? È un rifiuto della buona lingua, o il problema della lingua è il riflesso di una rottura interna, no squilibrio psichico o nervoso (ipocrisia)?

L’italiano, dice Stendhal in margine al “Leuwen”, è complicato, va per particolari, e quindi è confuso. E dà l’esempio di Pietroburgo: “«Pierre le Grand bâtit Pétersbourg», dice il francese, mentre l’italiano vorrebbe esprimete tutto insieme, che «in un luogo deserto, soggetto alle inondazioni…»”. Era vero per Manzoni – anche se Manzoni resta apprezzabile come caso unico di questo linguaggio “componentistico” riuscito, e per l’Ottocento, torna a essere vero oggi, dopo il balzo verso il basso fatto dalla lingua con la televisione. Con un’aggravante. Storia e caratteri italiani hanno semrpe facilitato molta buona letteratura, da sant’Agostino in poi (lo stesso Stendhal, quando non ha modelli italiani, s’ingolfa ignobilmente, v. “Leuwen”, “Amiel”….). Mentre oggi dalla realtà italiana non si ricaverebbe una virgola buona: c’è l’intrigo, ma nell’indifferenza – solo i soldi contano, la passione è scaduta a invidia, insofferenza (nevrosi), e a un minimo desiderio porno.

L’italiano di oggi è il Codice Bernabei (o Codice Rai, o Antonelli): la lingua che si parla, e quella che si scrive nei molti campi della comunicazione (giornali, aziende, pubblicistica di costume), è quella della televisione. Dovrebbe essere diretta, cioè semplice, e invece accresce la confusione. Passa infatti attraverso reticenza, omissioni, e falsi tecnicismi (condizionale, presunto, eccetera) che la rendono incomprensibile ai più, e per gli altri una “lingua furbesca”, il nonsenso trasformandosi in eccesso di senso: partigianeria, politica, ironia, complotto.

Joyce – Strano modernista, per la “rottura” della lingua, poiché è regressivo, e anzi tradizionalista. Contro il Rinascimento (v. “Scritti italiani”, secondo la tradizione medievistica dei cattolici. Contro l’illuminismo e ogni dottrina del progresso. È qui la radice della sua diffidenza nei confronti di Pound, il suo riscrittore, o dell’ammirazione da parte di Eco?

Kafka – Nella sua famiglia, Franz, il padre ingombrante, le sorelle, i cognati, le fidanzate, la madre è inesistente. Marino Freschi e Antonia Vitale dicono che è colpa del tedesco: la madre è la lingua madre, il tedesco. Che per Kafka però, avvinto all’ebraismo, illuminato dalle radici ebraiche, diventa una gabbia insostenibile, una cosa da negare. Ma Kafka non è uno scrittore tedesco? Massimo scrittore tedesco, e non rabbino – mentre l’ebraismo che gli impone Max Brod è contestato da chi ha conosciuto entrambi, e Canetti abbandona questa traccia.

Kitsch – Perché non verrebbe da chic pronunciato alla tedesca? In fondo è uno chic deragliato, la pretesa dello chic.

Latina – La letteratura è tutta politica, da Ennio a Tibullo, Orazio, Virgilio, e perfino Persio, Marziale, Giovenale – oltre ai cosiddetti storici, Tito Livio, Tacito, o anche Cicerone. Cinque secoli di letteratura patria (e il più saldo fondamento del maschilismo dei Romani, che invece erano femministi, in diritto e nella vita corrente), a fini imperiali. Perfino Ovidio, piange perché è escluso.
I Romani non si annoiavano mai? Evidentemente avevano una passione dominante per il potere. O nemmeno quella, erano solo indifferenti, e quindi crudeli?

Lettere – Uno vorrebbe tanto essere il Boccaccio, per avere un Petrarca con cui corrispondere. Ma la frustrazione non è tanto quella di non essere un Boccaccio, quanto di non avere il Petrarca a disposizione. Non ci sono in giro persone con cui parlare in amicizia, o con rispetto, di cose diverse dal tempo, Berlusconi, il film e le vacanze.

Letteratura – Quella buona va con la ricchezza.
Quella italiana va col Tre-Quattro-Cinquecento. Quella inglese con i regni super di Elisabetta e Giacomo I. E tutti siamo ancora vittime del Settecento e Ottocento francesi, dei due secoli tedeschi, dall’ultimo quarto del Settecento all’ultimo quarto del Novecento, del marchio Usa.
Il benessere migliora le capacità espressive, o la valorizzazione di queste capacità?

Linguaggio - È la metafisica del Novecento, campo di esercitazione al buio e senza esito. In letteratura e nell’arte. La rottura col significante – l’immagine e la storia – lo imbuca in un formalismo tanto acceso quanto inconcludente, se non per il lirismo. L’effetto fanatizzante cumulativo tanto simile alla giaculatoria, al pep talk.

Meraviglioso – In letteratura si lega alla tecnica. Da sempre, da molto prima che la tecnica facesse il grande balzo, da Hoffmann (mesmerismo, magnetismo, eccetera) a Verne, Lovecraft, Bradbury. Il futuro, o l’altro, il bizzarro, il meraviglioso, è sempre la natura incoercibile – gli eventi cioè, le passioni – ma sotto la nuovissima forma umanistica, del tentativo di controllo e sfruttamento (uso razionale).

Metafora – È un piacere. E un modo di essere del linguaggio – di conoscere e dire. Ma lo riduce a enigmi, a significati cioè noti a gruppi sempre più ristretti. Questo è vero perfino per letterature indagatissime, come quella greca, che prediligeva la metafora e il discorso indiretto. Se è vero che Saffo che si butta dalla rocca di Leucade è semplicemente Saffo che s’innamora, e forse nemmeno lei, ma il suo, o la sua, committente – quanti suicidi bisogna togliere alla letteratura greca!

Sublime – Ce n’è tanto nel Settecento, che pure figura secolo razionalista, anzi illuminista. È l’illuminismo il contrario di se stesso, la ragione non laica?
Ce n’è ancora di più nel Settecento tedesco. Dove, mentre altrove è diminutivo, genere quasi marginale, “obliquo” dice il Devoto, “che sale dal basso obliquamente”, è invece Erhaben, superiore, aristocratico, eminente. I buoni tedeschi non sono mai stati complessati: tutto ciò che a loro piace diventa eccezionale.

letterautore@antiit.eu

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