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giovedì 1 marzo 2012

Letture - 88

letterautore

Céline – Non c’è in Bataille, “La letteratura e il male”. Non perché ignoto. Bataille anzi nel 1933, recensendo il “Viaggio” su “La critica sociale”, ne centrava l’anarchia: “La coscienza della miseria non è più esteriore e aristocratica, ma vissuta”.

Céline è la guerra. E la guerra è Céline. Malaparte anche, con lui la guerra è più storica, più vera, e Jünger, che ne sa la prospettiva e l’ideologia. Ma al meglio, per le coscienze, i sentimenti, la guerra è Céline.
Lo stile e l’esperienza storica di Céline non vengono dall’irrazionalismo filosofico (mentale, costruito). Non dalla violenza quotidiana (cronaca nera, urbanesimo), non da un disagio personale (psichico). Vengono dalla guerra, un urto sconvolgente che ingloba tutto. La grande guerra ha segnato molta letteratura. Ma due autori “dal di dentro”, diventandone linguaggio. Jünger dapprima, in una ricomposizione tecnica dell’evento, sgomenta, con un linguaggio quindi preciso e freddo, da cronista che si estranea. E Céline in una deflagrazione costante, mai rimessa o remissiva, alimentata dall’invalidità.
L’analogo non c’è nella seconda guerra. La memorialistica, tarda, dell’Olocausto si esprime ancora in termini pre-grande guerra, e non rende conto del carnaio ma dell’atroce surrealtà del reale, nel “Diario di Anna Frank”, in “Se questo è un uomo” e “La tregua”. Né c’è un “Guerra e pace” di Stalingrado, della guerra lampo, delle occupazioni di interi paesi, dei bombardamenti nella guerra totale – Vonnegut è un esercizio letterario poco convinto, forse sdegnato. C’è, di nuovo, Céline con la “Trilogia”.

Diario - È una semina. Dei sentimenti come degli eventi, compresi quelli più “oggettivamente” dolorosi, tragici, la morte, la disgrazia, eccetera. Il diario è una coltura, una semina. Più trepida che a regola d’arte: si semina di tutto, sperando che attecchisca. R. Barthes mostra in “Dove lei non è”, il diario-volutamente-occasionale (frammentario ma ordinato) del lutto per la madre morta un’elaborazione del lutto “subita per essere coltivata”: si coltiva il lutto per estrarne letteratura.

Natura – È sopravvissuta in Italia nel solo Pasolini. Non c’è altrimenti nel secondo Novecento. Non negli scrittori urbani (metropolitani), Gadda, Arbasino o i napoletani, nemmeno in Calvino o Sciascia, che pure vivevano ambienti naturali impositivi. Nei siciliani, D’Arrigo, Consolo, Bonaviri, Camilleri “serio”, è barocchizzata, artefatta. Né c’è nel primo Novecento, in Montale, Ungaretti, Saba, D’Annunzio – la poesia sarà stata il miglio esito della letteratura italiana del primo Novecento. Nasce e finisce in Pascoli. Anche altrove non fa grande presenza, eccetto in Francia in Giono e, a tratti, in Céline. E naturalmente nel primo Novecento americano fino ai beatnik, di Steinbeck, Hemingway, Faulkner, sul forte impulso di Thoreau e Whitman.
L’ecologia è recente, appiccicata – da seconde case in campagna, da buco dell’ozono. È solo Pasolini, il poeta più politico, a segnarla. A segnarne il degrado, passo dopo passo. Al punto da rendere incomprensibili le sue narrazioni di prima di “Ragazzi di vita”: dove infine le rogge sono l’ambiente naturale, le acque sporche, stagnanti, delle periferie sporche, puzzolenti, che l’avvolgeranno nella morte, nell’immagine pervasiva della fine. La sua natura è quella dell’articolo delle lucciole (“Il vuoto del potere in Italia”), “gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti”. Trascurata anche dai cultori del poeta, troppo ardua da ricostruire.

Spia - È tema di molte narrazioni, da “Kim” ai “gialli” di Graham Green e Le Carré, che sé stessi hanno voluto accreditare come spie. È un ruolo che piace agli intellettuali, benché implichi una degradazione morale, comunque si viva il ruolo. E del resto anche nel mondo della cultura ha avuto i suoi aspetti sordidi. Gor’kij, che resterà probabilmente il massimo narratore russo del Novecento, è quello che più viene in causa, per l’impegno costante ma confuso in politica, a metà sempre di qualcosa. A partire dai rapporti con Parvus, ai primi del secolo, al quale diede da gestire i suoi ingenti diritti d’autore in America a beneficio della causa socialista.
Molte spie ha avuto l’Inghilterra nella guerra fredda a favore dell’Urss nell’intellighentsia universitaria e pubblicistica. Per l’eccentricità britannica, si sottintende, spinta al paradosso di preferire una realtà che si disprezza, se non al tradimento a suo favore. Wittgenstein Le Carrè sospetta essere stato “il quinto uomo”, con gli altri traditori accademici, Philby, MacLean, Burgess e Blunt: studiò il russo con impegno e viaggiò senza scopo nell’Urss, dove progettò di stabilirsi invece che a Cambridge. Oppenheimer e Einstein li spiava il G-2, il controspionaggio dell’esercito Usa. Che non spiò Fuchs, il fisico che era vera spia. Klaus Fuchs fu spia per fede. Pure Philby è un vero compagno, suo padre era invece vera spia: concorrente di Lawrence, scoprì senza guerra in Arabia il petrolio e la ramificata tribù d’Ibn Seud.
E perché il quinto uomo non sarebbe Sraffa? L’amico di Gramsci che ne fu il benefattore in carcere fino alla morte, di libri e beni di conforto, e il controllore: a lui Tatiana Schucht mandava le lettere di Gramsci dal carcere, o gliele riassumeva, perché lui da Cambridge le trasmettesse a Mosca. Sraffa che dopo la guerra non volle avere rapporti con il Pci, e non rientrò anzi in Italia.
E le donne? “È un capitolo della storia culturale europea, quello della russa emigrata, spesso israelita”, nota Federico Zeri. Sposa, amante, amica, madre dello sposo, l’angelo custode russo, di solito più ricco d’anni, è figura centrale delle lettere e le arti in Europa all’Ovest nel Novecento, eterea divoratrice. Formidabile coppia sono in Italia la sorelle Schucht, la moglie Julca e la cognata Tatiana, che a Gramsci si legano nell’esilio casuale a Mosca – dove Gramsci era in visita all’avvento del fascismo. Tatiana, una di cui Gramsci si fidava tanto da darle per iscritto, per esteso, tutto quanto e più di quanto gli veniva di confidarle durante le viste familiari. Formidabile coppia nella cultura di mezza Europa le sorelle Lilja e Elsa Kagan, falco la grande delle conquiste della minore. Per sé Elsa dovrà cercarsene una lontana, dapprima André Triolet, nome poetico e musicale, un dandy che la portava in vacanza a Tahiti, e ai trentacinque anni Aragon implume, di cui sostenne il comunismo “puro e duro”, fino alla delazione. Nobile destino dare vita ai poeti. Nobile famiglia di mercanti e musicisti, i Kagan. Una casa piccola per le due sorelle adulte, ma con due pianoforti, e una mamma dall’orecchio assoluto. Elsa, bella e più brava, a scuola d’architettura e in casa, insofferente ai bolscevichi (“come si può essere comunisti? la rivoluzione è terribile”), ha amato i poeti, Majakovskij, Sklovskij, Jakobson, dev’essere stata dura, Ehrenburg, Duchamp, A-ragon. Una bella a trazione Fiat: “Il fascino principale di una buona macchina”, Sklovskij scrisse a Elsa a Parigi, in una lettera non spedita di “Zoo”, “è il carattere della sua trazione, il carattere del crescere della sua forza. Una sensazione simile al crescere della voce. Molto piacevolmente cresce la voce-trazione della Fiat: premi il pedale del gas, e la macchina ti porta con entusiasmo” - le auto italiane erano reputate a Parigi dopo la Grande Guerra, scriveva il corrispondente Alvaro, “le migliori del mondo”. Anche Sklovskij, che ha vissuto a Mosca riverito, non sapeva se era bianco o rosso.
Majakovskij, prima di finire in un suicidio controverso, fu libero di viaggiare fuori dall’Urss grazie a Lilja, l’amore che si negava, agli ottimi rapporti di Lilja e suo marito Osip Brik con la Čekà, la polizia segreta. Di entrambi Tsevateva sostenne: “Il suicidio non esiste, esistono solo gli assassini”. A vent’anni il poeta s’era imbattuto in Lilja, sotto forma della più giovane sorella Elsa che lo innamorò. Lilja, già di ventisette anni, se ne impadronì e ne terrà strette le briglie con Osip. Nelle relazioni maschili, con le spie Agranov e El’bert, che lo controllavano, e in quelle femminili. Quando nel 1928 Elizaveta Zilbert, in arte Elly Jones, da New York decise di recarsi a Parigi e rimettersi con Majakovskij, Lilja l’anticipò, promuovendo l’affascinante Tat’jana Jakovleva, un’emigrata. Quando l’anno dopo il poeta ingenuo s’apprestava a proporre le nozze a Tat’jana, Lilja fulminea scambiò le parti: Tat’jana andò sposa a un visconte du Plessix, mentre una Veronica Polonskaja si rese disponibile, benché sposata.

Traduzione - È l’unica vera ricerca, e formazione alla ricerca, argomenta Dario Antiseri sul “Corriere della sera” il 24 febbraio, che si effettua a scuola. Per esempio nei licei scientifici, dove i “problemi”, algebrici, geometrici, chimici, etc, sono in realtà esercizi: “Per cui si dà che non di rado nei nostri licei scientifici l’unica vera attività di ricerca sia consistita, e forse talvolta consista ancora, nella versione di latino”.

letterautore@antiit.eu

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