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domenica 21 ottobre 2007

"Le mosche d'autunno": tutto, tardi, per Irène

Una memoria familiare, l'ennesima, mette in scena (secondo i biografi Philipponnat e Lienhardt, seppure pudicamente, l'inspiegato suicidio della governante francese, la vice mamma di Irène, nella Nevà, qui la Senna, l'evento più duro della vita della scrittrice. Sullo sfondo, ancora una volta, della superficialità e il feroce egoismo della madre Anna. Ma da eventi noti, e perfino triti, piccoli eventi familiari, Irène Némirovsky riesce a estrarre racconti densi, magnetici. Fin dall'esordio: "Come le mosche d’autunno" è la sua prima novella pubblicata, nel 1924, a ventun anni, molto abbreviata, sul “Matin”, di cui Colette dirigeva la sezione letteraria - poi ripresa, nella sua attuale redazione, prima dell’edizione commerciale, in un’edizione di lusso per i sottoscrittori dell’editore Simon Kra, le signore di Neuilly e Passy, emigrate malate di nostalgia.
Non manca la grande storia, di cui ogni fase della vita della scrittrice, compreso il suo "ripescaggio" oggi, è del resto emblematico. Vittima dell'antisemitismo russo, e del cosmpolitismo ebraico, poi di Lenin, infine di Hitler, e successivamente della guerra fredda, il destino incredibile d’Irène Némirovsky in nemmeno quarant’anni di vita resta il paradigma più calzante, nella sua assurdità, del Novecento. Il risarcimento si prolunga fino a questo “Come le mosche d’autunno”, che non racconta nulla se non se ne compartisce l’incomunicabile nostalgia, e anche questo, il “dovere della memoria”, è forse un ultimo guizzo di Novecento.
Ma è da dire che i suoi libri finiscono nel 1947 e riprendono sessant’anni dopo: il disgelo è molto più lento in Francia, e in Italia, che all’Est. Con questo racconto Feltrinelli aveva tentato il ripescaggio d’Irène subito, nel 1989, ma non era aria.
Iréne Némirovsky, Come le mosche d’autunno, Adelphi, pp.99, euro 9

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