sabato 12 luglio 2025
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (598)
Giuseppe Leuzzi
Beh sì, “qua si campa
d’aria”, come cantava Profazio. Non ci resta che ridere - il cazzeggio, 'a zannella.
Il glorioso passato – recente – di Firenze
“E
dirai ai vicini e ai lontani che la festa di giovedì notte, a Firenze, fu
qualche cosa di grande, di maestoso, di antico: fu un delirio sublime, che
tavolozza non saprebbe dipingere….Il nostro plebiscito….”. È Carlo Lorenzini,
poi “Collodi”, giornalista alla “Nazione”, che il 18 marzo 1860 fa risorgere l’entusiaasmo
per l’unione col Piemonte per la nascita dell’Italia – forse la sola rivoluzione
europea, di richiamo unanime, fra le tante dell’Otto-Novecento. Dumas segue,
con le cronache dei garibaldini in Sicilia. Manzoni contribuisce un anno dopo
con un estrattto della relazione, che subito diventerà imperativa, “Dell’unità
della lingua e dei mezzi di diffonderla”: una lingua unica è necessaria, e il
toscano è il più adatto. Con consigli pratici: segnaletica stradale riscritta,
una gita a Firenze in premio agli scolari meritevoli, maestri toscani, o che
abbiano studiato in Toscana….
Lo
storico quotidiano fiorentino si regala e regala una raccolta di collaborazioni
celebri –“la letteratura quotidiana, scrittori sulle pagine de La Nazione”. I
nomi dei collaboratori sono tanti, e tanto prestigiosi, oltre ai tanti
dell’Ottocento: Papini, Montale, Ortese, Luzi, Palazzeschi, il giovanissimo
Tondelli, Moravia, Savinio, etc. c’è
anche Amalia Guglielminetti. Un volume bello e malinconico, dei nomi
e gli eventi, della città e del suo giornale, tutto al passato. Un omaggio ai lettori,
ma di più, non volendo?, a questo
passato - della città, del giornale, dei collaboratori – ora,
irrimediabilmente?, perso.
Luca
Scarlini (a cura di), La Nazione –
Grandi Firme, pp. 78, ill., gratuito col quotidiano
venerdì 11 luglio 2025
Problemi di base democratici quater - 870
spock
L’unica politica popolare è del dispendio?
Anche democratica?
È anche buona?
Buona perché corporativa - quote rosa, povertà, debito??
E finisce che ha ragione sempre Lui?
Tutti poveri in Italia, ottavo paese più ricco al mondo –
ma a un’incollatura dal quarto?
spock@antiit.eu
Kitsch sul Kitsch – Arbasino in viaggio
Arbasino
al suo meglio e al suo peggio. La solita “vertigine della lista”. Con la
solita storia sociale, anche politica, in filigrana, ma robusta (duratura) e
netta. Sui toni per lo più - benché scopritore impenitente, per forma mentis - del “non c’è più
religione”, rassegnato e anzi divertito: un viaggiatore conservatore. Globetrotter di formazione e vocazione, qui si
applica ai luoghi, per lui remoti. Sempre col “gusto del Kitsch sul Kitsch”, ma
qui molto spesso anche diretto, specie se ammirato. E con qualche
attenzione per le persone, oltre che per
le cose – il solito occhio antiquario, alla Praz. Molte “liste” sarebbero utili
al viaggiatore anche oggi, a trenta e più anni di distanza, in Sicilia, in
Myanmar, se fosse accessibile, in Iran, e anche nel Chiapas.
Scopre
la Sicilia nel 1995, quindi ai settant’anni o poco meno, e giusto per aver
letto il libriccino invogliante che Berenson ne aveva ricavato tornando
nell’isola cinquant’anni dopo la prima volta, ai suoi vent’anni. Non di
malagrazia, seppure non di buona voglia. E tutto trova perfetto –ben guidato,
si è portati a opinare, ma lui non dice da chi. A parte i soliti cerimoniali politici
buffi, all’epoca il vezzo di ritenersi al centro del mondo (erano gli anni -
Arbasino non lo dice, guarda tutto con occhio conservatore ma evita la politica
- di Leoluca Orlando, che si proiettava a Roma, a Berlino, a Bruxelles, a Washington
e ovunque).
Altra
scoperta è la Birmania o Myanmar. Dove c’è “la leader democratica Aung San Suu Kyi,
figlia di un eroe nazionale, premiata col Nobel e il Sakharov e il Bolivar per
la pace , agli arresti domiciliari”, e il paese è poverissimo, ma la dignità è
ovunque e l’arte vi è eccelsa, in ogni reperto, minuto e grandioso, religioso e
profano, artistico e artiginale, tenuta in pregio e ben custodita, con
naturalezza. Ma la Regina di Saba viene cercata nello Yemen. Dove invece si
tratta di plastica ovunque, e delle parti basse dei giovani locali, e
giovanissimi, su raccondazione di Pasolini, Genet e Bruce Chatwin. Che sarà
anche l’argomento trabordante dell’ultimo viaggio, a Bueons Aires – con una
delegazione del premio Grinzane Cavour nel 1997: le maialate gay più inverosimili.
Accanto a un elogio di Borges quale forse l’aedo della pampa non ha mai avuto
prima, dal gusto critico alle tecniche di autore e ai modi personali.
“Sotto
due o tre vulcani”, il saggio che apre la raccolta, in Messico nel 1997, tra
Chiapas e Yucatàn, è il più sorpreso e sorprendente - ispirato e ispirante. Un
mondo agreste montuoso che è una sorpresa inebriante per il viaggiatore urbano. Il quale si industria di afferrare e dominare la complessa eterogenietà dei luoghi. Sempre sotto lo sguardo scettico-conservatore, ma con aculei ferrei, lampi,
fendenti. Il “rivoluzionarismo” che fa la storia del Messico, all’epoca del famoso
“sub-comandante Marcos”, nel Chiapas, quello che nessuno ha visto. E la tranquilla
vita di ogni giorno, semmai funestata dal turismo. La grande ricchezza, antropologica,
artistica, paesaggistica, delle due regioni. L’incombenza dello “sviluppo”
turistico – dormitori e comitive, e plastiche.
Una
tarda scoperta d’autore. Con i suoi elenchi e le costanti digressioni, anche due-tre per pagina. Di altri mondi. Tutto
sommato ancora interessante. Anche sotto il profilo politico, per un colpo
d’occhio liberalconservatore, poco o nulla praticato, all’epoca – 1994-1997 – e
ancora oggi. Con lampi eccezionalmente illuminanti sul senso e il peso della storia,
della tradizione, dei personaggi eroici, e non. Anche dove il viaggiatore non
si sente in sintonia.
La
critica può essere feroce. Ma sempre avveduta, informata, dal di dentro.
Specialmente contro il bla-bla persistente, anche in quegli anni post-1989, di
“riflusso”, su Progresso, Sviluppo, Democrazia e perfino Rivoluzione – dove solo
affarismo c’è, e sporcizia, seppure “di sinistra”. Ma normalmente lo
sfarfallante autore sa entrare nelle situazioni locali, per le antenne
prensili: vi si ritrova, con vari accorgimenti. Per es. nell’Iran degli
ayatollah, dove riprende, accanto alla grande storia politica e poetica, polimorfa anche in regime islamico, il ruolo dei
religiosi di alto profilo, gli ayatollah appunto, gente di saggezza e di
pensiero, prima e sotto il khomeinismo – il radicalismo politico, tra sharia e jihad.
Un
caso peraltro eccezionale di letteratura di viaggio, che in Italia non è genere
praticato. Seppure d’impianto modesto, in “giacca e cravatta”, rispetto ai
modelli inglesi – viaggi brevi, organizzati, e si deduce accompagnati: niente
cavalli, niente deserti, niente fumo, mai nemmeno la sete, e montagne addomesticate.
Molti
i ricordi, anomali nelle scorribande di Arbasino, personali. In forma di
aneddoti gustosi. Dei familiari, nonni, madre, padre, perfino le sorelle. Gli amici
cari Manuel Puig e Rodolfo Wilcock – è con loro che ha elaborato “il gusto del
Kitsch sul Kitsch”. Il terribilista Fortini professore nel Sud Africa dell’apartheid. La madre di Feltrinelli che lo
rimprovera: i templi Maya inaccessibili doveva visitarli facendosi calare da un
elicottero – e il rientro? con l’elicottero, all’ora fissata. Moravia che a
Palermo e in mezza Sicilia tampina il Gruppo 63, temendo ne abbattessero con
qualche mozione irrispettosa l’autorevolezza. Saul Steinberg a Milano. Il
mausoleo di Khomeiny – ripetutamente, questo senza mai una virgola d’irrisione,
niente Kitsch sul Kitsch: il radicalismo lo intimoriva se religioso?
Alberto
Arbasino, Passeggiando tra i draghi
addormentati, Adelphi, pp. 271 € 12
giovedì 10 luglio 2025
E Putin restò solo
Non si è “celebrato” il venticinquesimo di Putin al potere
un anno fa e si è fatto male. Putin sta al Cremlino più di ogni altro uomo di
potere della memoria recente. Più di Napoleone per dire. Ma anche più di Alessandro
Magno. Certo, non tanto come Carlo Magno o l’imperatore Augusto, ma erano altri
mondi. Negli ultimi due secoli più di ogni altro. Alla pari col presidente
Mao, e con Stalin, con la prospettiva assicurata di superarli. Senza avere
vinto nulla, e anzi avendo chiuso la Russia in un imbuto. Trump gli ha offerto una stampella fenomenale, ma lui evidentemente non ha capito.
La romana Ukraine Recovery Conference
sarà stata male organizzata ma è un fatto. Putin non potrà mai cancellare l’Ucraina
come vorrebbe – in questo dice giusto Trump, “Putin spara cazzate”. L’Ucraina
non è la Cecenia - ma anche lì… Non potrà mai cancellarla, anche se lo facesse,
p. es. con l’atomica (ma non può, i russi ancora esistono, malgrado Putin). Ha
provato, lungamente e insistentemente, ad affiancarsi all’Occidente, è stato respinto dalla dottrina Brezinski del presidente cosiddetto pacifista Carter
(quante guerre non ha armato), e si è fatto prendere al laccio – “non accettare
provocazioni” è precetto basilare per lo statista. Ha isolato la Russia, senza
più un vero amico – l’Iran islamico (finché lo sarà, il paese è profondamente
“occidentale”), come si è visto nei bombardamenti Usa-Israele, e la Cina comunista non lo sono. Né può pensarsi
adagiato sulle repubbliche asiatiche di mezzo, i vari –stan, che se sono qualcosa
sono antirusse, anch’esse come tutte le vittime dell’impero russo, lungo
qualche secolo - difficile cancellarne la memoria.
Il Pd vittima del giovanilismo
Incomprensibile è la resistenza di Schlein alla ricandidatura del presidente della regione Toscana Giani, sicuro vincente – ora Giani farà da solo, anche contro Roma e Schlein. Lo stesso che già per De Luca in Campania. Qui la segretaria del Pd aveva il nodo del terzo mandato non rinnovabile, ma poteva passare oltre De Luca senza polemiche e anzi tesaurizzando il suo indubbio ascendente politico, se non seguito di voti. Non per altre ragioni, si dice, se non l’età.
Ci sono altre ragioni in questa ostilità.
Giani è un vecchio socialista, De Luca un vecchio Pci migliorista, un socialista
travestito. E questo Schlein non lo tollera. Il suo nonno materno era un apprezzato
socialista, il senatore (fu anche ministro) Viviani, e forse ci sono ragioni personali
in questa insofferenza – anche se a Viviani Schlein deve il suo barlume di italianità,
dopo l’America, preminente, e la Sizzera (e Bonaccini, che ebbe la bontà, a Bologna,
di farla suo vice – altro “vecchio”?).
Ma il giovanilismo è la piaga del Pd.
Renzi per es. era partito dal 25,4 per cento (2013) e lo lasciò al 18,8 (2018),
dopo aver fatto bandiera della “rottamazione”. Non è nemmeno un disastro originale: già Mussolini li voleva giovani, per bastonare forte (Matteotti, Amendola, Gobetti), come poi il settantenne Grillo, col vaffa invece delle bastonate. E come si spiega che il Pd
prenda molti più voti, in percentuale e anche in assoluto, alle Europee che alle
Politiche? Si spiega col voto abitudinario (orientato) dei “vecchi” di sinistra,
che alle Politiche invece fanno i conti con le liste e con i candidati.
In un’Italia in cui cresce la
popolazione anziana, e in un partito che delle vecchie militanze fa ancora tesoro,
che senso ha dare la caccia al vecchio? Per non sapere che altro dire – che altro
fa Schlein tutto il giorno, a parte “attaccare il governo”, come il “Corriere
della sera” sornione la titola ogni giorno?
Più di Nvidia poté Orcel
Nvidia capitalizza 4 mila miliardi e stabilisce una “pietra miliare” nelle valutazioni di Borsa. Partiva da 12 dollari, è ora a 140, si è moltiplicata di quasi dodici volte. Ma in venticinque anni, anzi ventisei – si è quotata nel 1999. E cavalca l’euforia ultimamente per ogni cosa IA. UniCredit è un fuscello al confronto: opera nel credito, il settore maturo per antonomasia, e capitalizza solo 91 miliardi – anche se di euro e non dollari: niente al confronto. Ma incredibile è la “marcia” di questo niente, anche al confronto di Nvidia.
UniCredit è arrivata ai 91 miliardi in quattro anni, da quando nella primavera 2021 Orcel ne è stato nominato ad, dopo un esercizio 2020 in perdita per quasi 3 miliardi, con ricavi ancora in calo nel nuovo anno. Allora UniCredit quotava 8,5 euro, oggi è a 62 - e guarda ai 70. Un balzo di 7-8 volte, in quattro anni. Dopo una storia recente - non solo 2020, tutti gli anni 2010 – terrificante. Di un paio di raggruppamenti di azioni 10 a 1, cioè di azzeramenti, e di mostruosi aumenti di capitale, da 7,5 e da 13 miliardi.
L’Europa deve unirsi o sparirà
“L’Europa è stata forgiata dalla crisi”, come disse
Jean Monnet, uno dei suoi fondatori, e anche oggi la crisi è grave, per “l’interconnessione
di tre dimensioni: geopolitica, economica e istituzionale”. Una sfida totale:
“geopolitica” significa il suo isolamento, di fronte all’America - che non è
“l’America di Trump”, non è una folata di vento pazzo, è un modo di essere e di
porsi, concorrenziale. L’Europa è sola, contro tutti – come tutti. “È” anche in “una crisi che non può essere risolta
solo con nuovi prestiti,”, come dopo il covid, e poi per la NextGeneration e ora
per il riarmo, “o con una valanga di nuove regole da Bruxelles” – sottinteso:
come si è provato con le grandi corporation
americane del web, della comunicazione.
Dopo Draghi e con più insistenza, se possible, il Fondo Monetario insiste – per impulso della
direttrice, la bulgara Kristalina
Georgieva? - a spiegare in vari modi che
senza l’integrazione finanziaria e politica l’Unione Europea ha esaurito la sua
funzione propulsiva. È un mercato comune, poco di più per via della moneta, gli
Stati membri lasciando soli (perfino la trattativa con gli Stati Uniti sui dazi
lo comprova) nell’agone internazionale –
nei mercati e nelle geopolitiche. Dall’immigrazione ai rapporti commerciali e a
quelli militari.
Simon Nixon, Europe’s
Future Hinges on Greater Unity, Imf “F&D”, Finance&Development
(leggibile anche in italiano, Il futuro
dell’Europa dipende da una maggiore unità)
mercoledì 9 luglio 2025
Il mondo com'è (484)
astolfo
Gertrude
Bell
– La mostra in corso a Roma, all’Accademia Americana al Gianicolo, “Women&Ruins: Archeology, Photography, and
Landscape”, la dice “la grande esploratrice inglese”. Ancora famosa nel
Medio Oriente, il suo terreno di caccia, dapprima con T.E.Lawrence poi contro
di lui, come “la madre dell’Iraq” nella Grande Guerra, ebbe a Roma una pausa
colta, a suo modo anche avventurosa, ai suoi quarant’anni, già viaggiatrice un paio di volte in giro per il mondo, a
Istanbul, in Persia, in Siria, nel Quarto Vuoto del deserto saudita, e sulle
cime delle Alpi, con lo zio diplomatico
o con gli amici, e con carovane da lei organizzate e gestite. In qualità di fotografa
documentaria di archeologia, dapprima per caso, in circostanze involontarie
(“ho fatto male a lasciare a casa gli apparecchi fotografici”, scrive in occasione
del primo viaggio, “devo farmeli prestare”), poi quasi professionale.
Fu
a Roma a due riprese dal 1910. Lasciando una copiosa documentazione fotografica
delle rovine prima della “sistemazione”. Specie del Foro Romano, dove contava
sulla protezione di Giacomo Boni, che ne dirigeva gli scavi. Parte, la dice la
mostra al Gianicolo, di un gruppo di donne, le archeologhe Van Deman, Blake e
Pasolini Ponti, e le sorelle Bulwer, che s’incaricarono di documentare
fotograficamente gli scavi e i ritrovamenti prima della risistemazione
urbanistica. Parte “di una élite intellettuale e sociale che consentiva loro di
viaggiare facilmente e di muoversi negli ambienti accademici”. A Roma le learned societies, gli ambienti intellettuali, “ruotavano attorno a
personaggi come Thomas Ashby, Giacomo Boni e Rodolfo Lanciani”, cioè gli archeologi
in titolo. Gertrude Bell (ricca e figlia di baronetto ma nessuna parentela con
i Bell di Virginia Woolf, n.d.r.) non fu seconda in questa crema intellettuale,
dice la mostra. Tenne anche lezioni di archeologia, “insieme con Ashby, Boni e
Richard Delbrück” – benché sportiva, come si mostra anche a Roma in qualche
posa, di profilo, su fondo agreste.
In guerra cercò la sua strada nella diplomazia, e fu
addetta presto al Medio Oriente, per l’esperienza maturate a Istanbul, presso
lo zio ambasciatore, e poi in proprio, ventenne, in Persia – a cavallo, esperta
di farsì – e in Siria. A studiare fondamentalmente come portare dalla propria
parte il nazionalismo arabo – e cioè le tribù - contro il sovrastante impero
ottomano. Con successo. Gertrude Bell non ha la fama di T.E.Lawrence – non ha
avuto un “creatore” analogo, il giornalista Lowell Thomas, che a “Lawrence
d’Arabia” costruì una vita da eroe vivente, e lo propagandò in tutto il mondo.
Ma con lui ha condiviso l’Ufficio arabo al Cairo dal 1915 in poi, per indurre
gli arabi alla guerra contro i turchi. La mente vera della sollevazione araba,
1915-1917, e di Londra nel mondo arabo dopo la fine della guerra, che a
differenza di Lawrence seppe portare sulla scena internazionale. In un percorso
meno eroicizzante ma solido e di senso politico - che sarebbe stato molto più
produttivo di quello che poi è stato se fosse stato seguito ovunque alla
dissoluzione dell’impero ottomano.
Lawrence non protesse e non difese a Versailles il
principe Feisal, al seguito del quale aveva fatto la cavalcata liberatoria in
Siria: la Siria fu passata alla Francia, Feisal fu lasciato solo in albergo,
con la sola assistenza di Gertrude Bell, che invece ne farà il re, eletto,
dell’Iraq, il primo Stato arabo indipendente, uno appositamente costruito per
abituare gli arabi alla concezione dello Stato e all’indipendenza - gli arabi
dell’area più tribale (insieme a quella libica).
“Le
tribù della Mesopotamia”, uno dei suoi contributi per il manuale
“The Arabs in Mesopotamia”, a uso dei funzionari inglesi, sulle tribù irachene,
all’ingrosso e al dettaglio, fa testo ancora oggi - è quello che ci manca per
la Libia di oggi. Per l’Iraq anche dopo la guerra a Saddam Hussein.
Dettagliato, tribù per tribù, fattuale, realistico e acuto, come tutti i suoi
scritti, preciso nei riferimenti, tutti veritieri e non inventati -
come T.E.Lawrence ha voluto dire di molti suoi scritti. Ancora oggi valido per
l’Iraq, nella professione sunnita o sciita dei vari gruppi tribali. “I Sabei”,
altro capitolo del manuale, è altrettanto valido e utile. Ma, soprattutto,
sull’un tema e sull’altro, le tribù e i Sabei, nulla si sa oggi, un secolo
dopo, più di quanto sapeva Gertrude, anzi non se ne sa nulla. Non in Europa,
non nell’“Occidente”.
Altro contributo suo che ancora fa testo, dopo un
secolo e molte guerre, è la “Review of the civil administration of
Mesopotamia”. Come l’Iraq fu ricostruito dopo la liberazione dai turchi nel
1917. Quello che non è stato fatto, nemmeno tentato, in Iraq dopo
l’abbattimento di Saddam Hussein – o in Libia dopo Gheddafi: ricostruzione
materiale, ricostituzione dell’amministrazione, eliminando la corruzione
endemica, quindi con un guadagno, del fisco, della sanità, della scuola, delle
forze di sicurezza, creazione di uno Stato unitario. Proprio così: in pochi
mesi, ascoltando a facendo valere le intenzioni di tutte le tribù, una per una,
un referendum vero, per una creazione nuova per loro, uno Stato. Con un re a
capo – un re straniero, eletto: un miracolo. Nel mezzo
avendo superato un jihad, anti-britannico, anti-europeo, in
tutto l’Iraq. Nel 1919 la produzione era quattro volte quella sotto
amministrazione ottomana prima della guerra, le entrate fiscali dieci volte.
Si dice Gertrude Bell perché è stata un personaggio
eccezionale. Ma era la Gran Bretagna allora ad avere un occhio coloniale
moderno: aperto, costruttivo, conciliatorio (la storia del colonialismo non è
univoca, andrà rifatta). Era ancora il tempo in cui l’imperialismo poteva
essere liberatore. Contro
il jihad del 1920 nel futuro Iraq Londra – cioè Churchill,
ministro delle Colonie - mandò a Baghdad un paleo colonialista, A.T.Wilson, che
con le maniere forti stroncò il fenomeno. Ma già a fine anno lo sostituiva col
vecchio governatore Percy Cox, di cui Gertrude Bell era aiuto e mentore. E in
pochi mesi si ebbe un regno, costituzionale, con un parlamento e un governo.
(continua)
Ciriaco d’Ancona – Il primo
archeologo. Ciriaco Pizzicolli di nome, di una famiglia di mercanti, che si dedicò
a girare il mondo per cercare “reperti antichi”, il divulgatore di archeologia
Theòdoros Papakostas, “Omero in ascensore”, lo dice il primo ricercatore
esperto di antichità. Nato in Ancona nel 1391, morirà a Cremona nel 1452.
“Viaggiatore, antiquario e umanista” lo dice la Treccani, appassionato di
antichità, tanto “da eleggere a suo protettore Mercurio, e da rivolgere a lui, partendo
da Delo, una preghiera in latino”.
Fu
in viaggio, con al famiglia, fin da bambino, a quattro anni. Dal 1412 al 1414
viaggiò in Dalmazia, nell’Egeo e in Egitto, non a scopi commerciali. Dieci ani
dopo girovagò per l’Italia. Vent’anni dopo fu ancora nelle isole egee e a Costantinopoli.
Nel 1433 sarà chiamato per chiara fama a fare da guida all’imperatore Sigismondo
in visita a Roma. È in Oriente ancora tra il 1435 e il 1438, in Dalmazia
(Illiria, Epiro), Grecia, le Piramidi, poi di nuovo Atene, e per la prima volta
il Peloponneso. Riparte per l’Oriente nel 1443, per un anno, e ancora nel
1447-1448, un anno dedicato al Peloponneso. È il riferimento maggiore, con le
sue notazioni e i cataloghi, dei reperti greci prima dell’invasione turca.
Madame Des Houlières – Antoinette du Ligier de la Garde (1634/1638-1694), frequentatrice dei salotti del Marais, familiare di Madame de Scudéry e Madame de Sévigné, legata a Corneille, dotta in latino, italiano e castigliano, detta ”la Decima Musa”, e “la Calliope francese”, fu autrice apprezzata di idilli. Presto più nota in Russia, dove gli idilli ebbero successo un secolo dopo, a fine Settecento, che in Francia. A lei, lamenta Dostoevskij nel saggio “Russia”, del 1860, e ad Andrée Chénier (oggi ricordato solo per l’opera di Cilea, n.d.r.), i francesi fanno risalire l’opera di Puškin – “che forse, non si sa, l’ha pure letta”.
Carofiglio, “L’orizzonte della notte”,147, lo
ricorda: “Un genio. Ha scritto un testo di oltre mille pagine in cui descrive
con precisione cosa accadeva nella sua mente quando faceva matematica…. Tra l’altro
ammetteva di non essere in grado di leggere nessun testo sula materia, anche
semplice, finché non riusciva a crearsi le giuste immagini mentali. E
riconosceva la sua incapacità di seguire le conferenze tecniche perché andavano
sempre troppo veloci per lui. Spiega poi che, per tutta la vita, ha dovuto affrontare
la sensazione di non capire nulla di quanto studiava… Parliamo di uno dei più
grandi geni matematici del secolo scorso, forse della storia”.
Le fiabe sono mobili
La
fiabe non sono immutabili. I racconti popolari e le fiabe, come raccolti e
raccontati dai fratelli Grimm, sono letteratura dell’era precedente la lettura
silenziosa, prima della lettura singola, e muta: erano narrazioni. Ma anche
dopo, benché scritte e stampate, non sono rimaste immobili: nei due secoli
successivi i brutali, affilati racconti popolari pubblicati dai fratelli si
sono riccamente arricchite di una patina di memorie, o impressioni, mutevoli. Nonché
di revisioni o adattamenti, specie nel teatro musicale e al cinema, in ottica
Disney, ma non solo.
Un
saggio di dieci anni fa, in occasione della prima traduzione completa in inglese
della raccolta originale dei fratelli Grimm. Ripreso nel numero in uscita, 24
luglio, del quindicinale, insieme con molti altri sulla fiaba e sui fratelli
Grimm, in occasione dell’uscita della prima biografia dei fratelli in cinquant’anni.
Marina
Warner, Rescuing Wonderful Shivery Tales, “The New York Review of Books”,
9 luglio 2015 (leggibile anche in traduzione, Salvataggio di storie meravigliose e paurose)
martedì 8 luglio 2025
Secondi pensieri - 565
zeulig
Autorità – Il fondamento della politica
resta oscuro in Max Weber, ultimo o penultimo grande pensatore della politica con
Carl Schmitt– a parte la nozione certo eccellente di carisma: alla base dell’autorità
pone l’inverso speculare del carisma, la “devozione affettiva”, verso il sovrano.
In alternativa e in subordine ponendo il calcolo, la “motivazione razionale”,
nella forma del riconoscimento di un valore, in una sorta di scala gerarchica, oppure
per una propria finalità, uno scopo. E solo a questo punto, in questo quadro,
connette l’autorità alla forza, al potere. Per un problema forse suo personale,
di Max Weber cittadino tedesco. Che disprezzava profondamente il. Kaiser in
trono, Guglielmo II, vanitoso e vaneggiante, ma quando a fine 1918 l’Intesa
pretese, come precondizione dell’armistizio, che si assumesse la responsabilità
della guerra fece campagna infaticabile contro la richiesta, a difesa non del
personaggio ma dell’“autorità” imperiale – una forma di “devozione affettiva”?
Diverso, come i
lettori del sito sanno, il fondamento in Passerin d’Entrèves (e poi in Hannah
Arendt) – sistematizzato da ultimo nella “Dottrina dello Stato”, 1962: l’Auctoritas è il fondamento di ogni buon governo, anche democratico, non solo
dittatoriale (monolitico, imperiale, totalitario). È la romana “legittimazione”,
non la forza bruta. Passata nelle istituzioni moderne attraverso la chiesa, ed
è la base della libertà. In forme comunitarie, la libertà si dà solo
condivisa – per il mazziniano Passerin
d’Entrèves nella forma della nazione, la
famiglia di storia, lingua, modo d’essere (per questo una legittimazione che all’Italia
sempre è mancata, argomentava l’illustre studioso, piemontese, esiliato della
Repubblica, nell’ultima prolusione a Oxford - e il fatto emerge nodoso
nell’incapacità di adeguare/interpretare la Costituzione, una sorta di cerbero ottuso, o un vecchio venerabile legno.
W. Benjamin – “Ignaziano” lo trova Martino
Boni – accennando al suo mancato rapporto con Norbert Elias nella prefazione
alla breve raccolta di inediti di Elias che intitola “L’illusione del
quotidiano” (“avevano molto in comune, al di là delle origini ebraico-tedesche,
entrambi erano innamorati della cultura francese, entrambi erano stati
bistrattati dall’aristocrazia universitaria e cacciati dalla patria, entrambi
consideravano necessario volgere l’attenzione a dettagli minimali della vita
quotidiana per comprendere il senso della storia. Ma Benjamin aveva fame e sete
di materialismo storico”) - nell’attenzione al dettaglio: “Oggi Elias andrebbe
riletto tenendo in mente Benjamin e la sua accesa, quasi ignaziana, attenzione per
i dettagli: come negli Esercizi
spirituali del Loyola, tanto Elias quanto Benjamin, molto spesso, si
ritrovano a comporre esperienze di «composizione del luogo»”.
Caducità – È il valore, ciò che dà un
senso alla vita. Contro l’eternità, che sa invece di vuoto.
È una delle ultime riflessioni di Thomas Mann: “La caducità
conferiva a tutta l’esistenza valore, dignità e amabilità. Solo l’elemento episodico,
solo ciò che ha un principio e una fine è interessante e suscita simpatia,
animato com’è dalla caducità. E così tutto – tutto l’essere cosmico è animato
dalla caducità, mentre eterno e quindi inanimato e indegno di simpatia è solo
il nulla” –“Confessioni dell’impostore Felix Krull”, 132.
Classico – Semplice, è ciò che è sempre nuovo.
Complessità –
Si pubblica-pubblicizza “La sfida della complessità”, una collettanea di
studi-ricerche sulla complessità, con una ventina abbondante di contributi, e
non c’è, non autore ma nemmeno menzionato, Giorgio Parisi, che per la
complessità e il disordine è premio Nobel. Ancora e sempre le due culture?
Femminismo - Cos’è, dove è, il disagio, in una vita, ormai,
di femminismo, tre generazioni e forse quattro,
dagli anni 1960? Non è l’emprise, l’imposizione
monotematica, prolungata – si dirà l’era del femminismo. Al corpo liberato duemila anni fa da Cristo
le donne rimettono l’armatura. Lo rinchiudono coi ragni in cantina, ogni
rapporto è Sade, tutto è peccato nel corpo, anche lo sguardo. Non solo in
Sicilia, c’è nel poeta Michaux: “E mentre la guarda, le fa un figlio in
spirito”. Un peccato laico, con codici quindi e tribunali.
O la verità che non si può dire è che
nella liberazione della donna molte vergogne emergono della libertà, limiti e
pieghe oscure. Per un residuo di vezzi fisici e mentali, ruoli, psicologie, ma
anche per sofismi non tanto lievi. Quelli che portano alla disintegrazione anzitutto:
che libertà è quella che fa scoppiare?
Mondo – Tracima,
ovunque, in continuazione. “Il mondo è miliardi di volte più complicato della
mente umana e, per questo motivo, tutte le «spiegazioni» del mondo contengono
molta più «spazzatura» che verità. Ogni bambino, dalla nascita, è gettato in
una lotta senza fine per dare senso al mondo, ma è una battaglia che non
possiamo vincere. Semplicemente, non siamo abbastanza intelligenti”. Bill
James, statistico, analista degli sport di squadra, lo spiega sul “Corriere
della sera”: “Platone lo ha spiegato con
“l’analogia della caverna: creiamo immagini semplificate di realtà esterne complesse,
come ombre sulle pareti di una caverna, per fingere di capire cose che non
capiamo affatto”.
Natura – Ma è una proiezione umana. Mutevole
più per la mutevolezza del punto di vista che per per la “natura” propria.
C’è il mondo, con
i suoi materiali, con i loro processi, le cui leggi però noi stabiliamo – deduciamo,
ma di fatto argomentiamo, seppure con flessibilità, adattandoli.
È una costruzione
– umana. Interminabile e imponderabile –
anche se ora si pretende scientifica, quindi determinata e deterministica. È come
la vita in comune, che pure da qualche tempo si ritiene\vuole progettata,
materia di scienza, urbanistica, immobiliare: può andate bene e andare male –
la velocità, o la mobilità, p.es., contro la CO2, e le polveri sottili.
Statue - Nietzsche
vede i greci innalzare candide statue contro il nero abisso, per celarlo. Ma le
statue facevano variopinte, i greci sopra l’abisso ci danzavano. Si divertono,
sopravvissuti pure alla filologia: prima dei greci c’erano altri greci, non
erano tedeschi.
Verità – L’epoca era del dubbio anche al tempo di Dostoevskij, del saggio “Russia”, 1861? “Perché la maggior parte delle moderne verità”, si chiede, “appena accennate, in tono patetico, non assomiglia più a un libro stampato? Da che dipende che nel nostro secolo per dire la verità si sente il bisogno di ricorrere allo humour, alla satira, all’ironia; occorre addolcire con esse la pura verità come se fosse una pillola amara, rappresentare la propria convinzione al pubblico con la sfumatura di una certa spocchiosa indifferenza verso di essa, anche con una vena di irriverenza”.
zeulig@antiit.euMichelstaedter felice a Firenze
Centoventi
anni fa, “un venerdì sera del 1905”, Carlo Michelstaeldter sbarca dal treno a
Firenze. Ci passerà quattro anni di felicità, coeme documentano la sue (scarsa)
produzione lirica e le (tante) lettere, entusiaste. Si è iscritto pro forma a Matematica a Vienna, come
vuole la famiglia, ma ottiene di passare
a Firenze, dove invece si fermerà, per un intero corso di studi, di Lettere, e
lo completerà anche, con una tesi di laurea, con Girolamo Vitelli, il filologo
classico che diventerà il massimo papirologo – “La persuasione e la rettorica”,
che ancora si legge, subito a stampa, nel 1913, è la tesi.
Tellini,
emerito di Letteratura italiana a Firenze,
non ha difficoltà a comporre un florilegio di commenti enristasisti, in
ogni momento, per ogni occasione, di Carlo nel soggiorno fiorentino, come
scrive ai familiari, e specie alla sorella Paula. Si è anche innamorato, di
Jolanda De Blasi, compagna di studi, ma la famiglia da Gorizia gli proibisce il
fidanzamento. Il ritorno a casa sarà determinante per il suicidio: gli amici
degli anni di Firenze, Biagio Marin, Gaetano Chiavacci, Giannotto Bastianelli,
lo ricordano non solo “bello e aitante”, anche attivo, fiducioso, inesauribile
di entusiasmi, perfino pratico.
Ma,
forse di più, forse inavvertitamente per l’autore?, questa celebrazione di
Michelstaedter è un’evocazione di Firenze quale era, invece che l’hub turistico mordi-e-fuggi
di oggi – si vende anche un “Firenze in
quattro ore”. Di quando “giovani studenti” come Carlo “accorrono a Firenze da
ogni angolo della Penisola (da Trieste come Scipio Slataper e i fratelli
Stuparich, da Grado come Biagio Marin, da Cesena come Renato Serra, da Molfetta
come Gaetano Salvemini, da Matera come Giuseppe De Robertis, da Palermo come
Giuseppe Antonio Borgese”).
Gino
Tellini, Carlo nell’epicentro di libertà,
“Corriere fiorentino”
lunedì 7 luglio 2025
Problemi di base democratici ter - 869
spock
Perché la democrazia è occidentale?
Declinante, lo dice la parola stessa?
Perché il capo-tiranno (la forza) e non la democrazia (il
consiglio) sarebbe (stata) la prima forma politica?
Perché la povertà cresce sempre, se il mondo non è mai
stato così bene?
E i diritti?
A danno di chi?
spock@antiit.eu