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mercoledì 10 marzo 2010

La guerra è bella, delle donne

Coup de théâtre come si deve, senza vergogna, a Hollywood per gli Oscar: sei all’ex moglie Kathryn Bigelow, tre all’ex marito James Cameron, lei di 58 anni che esibisce per compagno il suo sceneggiatore Mark Boal, di 36, e regista donna di un film all male come non se ne facevano più da decenni, un film di guerra. E non è da escludere che i due vincitori non di rimettano insieme fra qualche mese per far rimbalzare il botteghino, o che la separazione sia di comodo, e lo sceneggiatore pure, che c’è di male. Ma il film è affascinante, per più di un motivo. Di cui la regia femminile per un film duro di guerra, uno dei pochissimi film sull’Iraq, due o tre, è il meno rilevante.
Il film è straordinario anzitutto perché nasce di serie B - "indipendente", ma insomma senza pretese. Non ha Grandi Scene, spettacolari, inseguimenti, battaglie, esplosioni (queste il giusto, un po’ di castagnole). Non ci ha belle donne neppure di striscio. Non ha star – si vede Ralph Fiennes come un’apparizione scherzosa nel deserto, e subito è liquidato per imperizia. È un film tutto filmico: è straordinaria l’abilità della regista, nei tempi, le inquadrature, le luci, i dettagli espressivi, nel catturare l’attenzione nei cinque-sei episodi che poi ha montato nel film. Due ore di cinema. Sullo sfondo dell’Iraq qual è in questa guerra: un deserto sporco e ostile, senz’anima, non per gli americani.
È anche un film inquietante. La guerra è una droga ne è l’apoftegma. Etico, nel senso della condanna. Ma vero: l’abilità della regista converge tutta nel ribaltare la condanna, senza compiacimenti, in fascino. Con la sceneggiatura naturalmente, che un finale vuole in cui l’artificiere non sa vivere se non sfida ogni giorno la morte. Ma più nei tempi e nel coordinamento della squadra, nell’ambientazioni desolata e ostile, anche nell’indifferenza, nella semplice curiosità. Nella stessa insensatezza della guerra, che seppure non detta, anche per rispetto dei morti americani con cui si apre la narrazione, viene però mostrata.
Il soggetto ricalca la vicenda personale di Stefano Rolla, il regista di cinema che morìa Nassyria, dove voleva lavorare, una delle vittime dell’attentato, ed era stato sminatore dell’esercito. Ci vuole Hollywood per fare un grande film di una così terribile vicenda - il politicamete corretto italiano magari d Rolla pesa che è un mercenario.
Il risultato è politicamente scorretto, e per questo si può capire che il film non sia stato premiato a Venezia, doveva aveva concorso al festival del 2008. I produttori avevano pure commissionato la musica a Marco Beltrami, il solito italiano d'America che vince gli Oscar musicali, lui personalmente molto politicamente corretto, arrangiatore dell'album "The Chinese Democracy" dei Guns N' Roses, ma non ci fu niente da fare. “The Hurt Locker” non ebbe il Leone d’oro perché il festival doveva premiare Silvio Orlando quale migliore attore, e questo è più scorretto. Anzi, si può elevare a cifra del deserto d’intelligenza e rettitudine della civilissima Europa oggi al confronto della superiore moralità della rozza America: miglior attore a Venezia doveva essere Mickey Rourke per “The Wrestler”, e quindi, per premiare Orlando, magari incolpevole, “The Wrestler” fu premiato quale migliore film… Ma chi ha saputo più nulla del film di Orlando? Mentre “The Hurt Locker” resterà negli annali. È così che periscono le civiltà, nella menzogna.
Kathryn Bigelow, The Hurt Locker

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