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mercoledì 10 marzo 2010

Ronchey, il tradimento dei laici

Famoso come Ingegnere, perché si dilettava di percentuali, e per avere introdotto l’uso di citare l’ “Economist”, per questi stessi motivi Alberto Ronchey si potrebbe dire il Provinciale: le percentuali erano il linguaggio della pubblicistica americana (della Cia?), ancora negli anni del disgelo e della distensione, per “dimostrare” che un russo a Mosca non poteva sopravvivere, mentre la citazione dell’“Economist” è uno dei lutti di questo giornalismo alla deriva, di copie e autorevolezza. Ma non è questo il punto, l’uomo non mancava di humour. Che da ministro della Cultura andò giustamente orgoglioso di aver riportato al lavoro dopo vent’anni gli uscieri rivoluzionari di Brera, nonché di aver trovato nei musei e le gallerie uno spazio per il bar e i ricordini. Era anche accreditato di avere inventato negli anni 1960 la lottizzazione, il concetto della spartizione partitica del potere, ma di partitocrazia e lottizzazione si parlava all'Istituto Cesare Alfieri di Firenze negli anni 1950.
L’ultimo e più vero Ronchey è il manager della Rizzoli Corriere della sera, che accettò l’incarico nel 1994-1996 per licenziare un migliaio di giornalisti e poligrafici, chiudere testate, e far emergere e insieme occultare un ammanco di 1.300 miliardi. Lo scandalo più grave del dopoguerra. Privato, nel senso che rubavano al gruppo editoriale sia gli azionisti, gli Agnelli, che i manager. Ma criminale, per false comunicazioni sociali, evasione fiscale, fondi neri, finanziamento illecito dei partiti, una serie lunga di delitti. Per occultarlo nel senso di indurre col suo nome la Procura di Milano a insabbiare il caso, senza alcun atto istruttorio, benché una diecina di reati fossero già stati riportati a galla dai revisori dei conti. E ne aveva coscienza se poi, lautamente retribuito per la sua presidenza, si era ridotto praticamente al silenzio, ormai da quindici anni.
Aveva subito per questo un “processino” a Striscia la notizia, ma muore riverito. Mentre è l’anima nera del laicismo italiano. Una delle due – l’altra è Scalfari, che il laicismo appaltò a De Mita e Berlinguer, due che si distinguevano per negare che ci fosse in Italia una cultura politica laica (solo il comunismo e il confessionalismo esistevano in Italia: questo è stato sostenuto dai due, rileggere per credere). Si deve al laico Ronchey, a capo della laicissima Rizzoli, nella laica Milano, l’avvio di questa epoca di falsi moralismi e vera corruzione (nelle privatizzazioni, la finanza, gli appalti, la giustizia, il giornalismo) che ha ridotto il laicismo a cache-sex intellettuale della più insolente avidità.

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