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mercoledì 26 maggio 2010

Letture - 32

letterautore

Borges – Ha nei migliori racconti figure e miti dell’ermetismo: sfere, triangoli, teurgie, specchi, doppi, biforcazioni, trasmigrazioni… Borges è per metà nella tradizione ermetica, per metà a Buenos Aires e nel chaco. Dov’è il suo fascino? Nella scrittura. Nell’ermetismo sono cose illeggibili. Con tutto il suo corteggio, di cabbale, teosofie, sincretismi. Anche con le mitologie telluriche iperboree, con la banalità tematica.

Chisciotte - È parodia che avvince perché Cervantes ci crede, crede in Alonso Quijano. Di cui fa in realtà l’agiografia, bonaria, non trionfalistica (impositiva): don Chisciotte è il santo delle cose impossibili, dall’eroismo all’amore. Con ironia per non disperare – dopo, non si scrive.

Dostoevskij – Erede di Gogol’, ne fa la parodia, dice Tynjanov, “Per una parodia della teoria”. Che abissi apre, un Dostoevskij sornione invece che polemico e lugubre.

Fantascienza – È genere nordico, rappresenta l’iperoreocratismo – siano pure questi Iperborei quelli dei Greci: mondo senza compassione, popoli dall’occhio vitreo. Sviluppa l’immaginazione fredda, che inevitabilmente sbocca in sogni (progetti, azioni) di potere. Mondo piatto, a una sola dimensione, l’impero, la Forza appunto, iperboreocratica.

Italiano – È straordinario come il dibattito italiano sulla lingua, quello di cinquant’anni fa, rispecchi il dibattito sulla lingua russa si primi dell’Ottocento. Karamzin, poeta e drammaturgo, in “Perché c’è penuria di talento di scrittori”, un articolo del 1811, affermava: “La lingua francese è tutta nei libri (con tutte le tinte e le ombre, come avviene nei quadri), quella russa invece lo è solo in parte…. I francesi scrivono come parlano, mentre i russi di molti argomenti devono ancora parlare come scriverà un uomo di talento”. Il poeta Šiškov gli obiettava: “La lingua di Racine non è quella che parlano tutti, altrimenti tutti sarebbero Racine” (tutto questo è in J.N.Tynjanov, “Formalismo e storia letteraria”). E anche: “La lingua dotta, per acquistare dignità ha sempre bisogno di differenziarsi in qualche misura da quella popolare”.

Heidegger – “L’autoaffermazione dell’università tedesca”, la professione di fede nazista a fine maggio 1933 dal rettorato di Friburgo, non fu ambigua per Croce (“studenti dà tre obblighi, il primo dei quali è il nazionalismo: un filosofo direbbe il Timor Dei”). Che ne scrisse scultoreo: “Scrittore di generiche sottigliezze. Proust cattedratico”.
Croce, recensendo Essere e Tempo, l’aveva trovato gotico Totentanz, un ballo dei morti.

Pasolini – Nei testi, riletti, nei film, è agli antipodi del personaggio: riservato (crepuscolare), pudico, anche troppo compassionevole. E credeva nella gioventù, lui sì: la gioventù come innocenza.

Cos’è il demone del personaggio? L’autore esibizionista fa senso, e tuttavia non è anomalo. È la ragione della fama? Più accentuata nel cinema? In Pasolini è specialmente stridente, e può averlo divorato – non è felice nelle lettere da ultimo, non più energico, acquisitivo: è turbato, incerto come negli articoli del “Corriere” per cui più è famoso.
Le Madonne non piangono più, vi scriveva. E le lucciole sono sparite. Ripetendo Montale, le falene, le farfalle, i grilli, dopo il troppo odio - lucciole e grilli che peraltro sono lasciti del marchesino De Pisis, che fu poeta, se non della luna di Alvaro, sparita e riapparsa, l’esercizio era comune al tempo del realismo magico. “Chiudere le scuole”, l’altra sua proposta, era invece Papini, 1914. Non vedere più la Madonna, certo, può essere un problema. Che Pasolini estendeva ai diletti borgatari, che in un’intervista alla “Stampa” per Capodanno del 1975 aveva detto perduti nell’omologazione. Lui s’era perduto prima, con Totò e Riccetto, se lui è l’uccellaccio e non più l’uccellino, tra borgatari che sfrattano i più borgatari, e fottono le più sfigate.
Siamo tutti malati, scriveva sul “Corriere” agli albori del terrorismo, perché siamo tutti fascisti, la Dc e la Repubblica – i non violenti per la stupidità. Non tutti: nella nuovissima Enciclopedia dell’antifascismo e della Resistenza che si pubblicava in quattro volumi di 800 pagine il fratello Guido non c’era, che c’era morto, lui imboscato si. Per l’episodio Freud-Einstein di Porcile, non girato ma illustrato nella sceneggiatura che si pubblicava negli stessi giorni con le note, voleva ebrei che anelano l’impalamento, e negroni inastati di nome Cock, Ball e Balloon, un’estetica nazista più che fascista – i nazisti erano perversi conclamati, per eredità o scelta estetica, la forza del piccolo borghese mettevano tutta nelle palle.
La maggioranza diceva “somma dei mediocri”, semrpe sul Corriere della sera, il buonsenso “autoassoggettamento degli imbecilli”, molto malapartiano, o dannunziano minore. Eccetto che nel popolo, per “la faccia umile e generosa della sua povertà”. Fare l’amore “un atto politico”. E “un atto di diserzione politica, di dimissione, quando diventa una mania irresponsabile”. L’aborto voleva prevenuto mediante tecniche “diverse”, da propagandare in tv, poiché “rafforza la comodità del coito eterosessuale” – il coito omosessuale è scomodo? E ancora: “È folle pensare che una «autorità» compaia dal video reclamizzando «diverse» tecniche amatorie?” Una Maria Antonietta della improsatura?
Si dirà Pasolini “uno dei cento poeti incerti”, benché non di avanguardia, il polemista è elegiaco decadente. Quello che recita la depressione, con arte per il successo. “Il poeta scrive per il successo”, dice Saba, il Poeta di Colorni: “Ciò che il poeta canta sono le sue colpe. E le canta per liberarsene, per confessarsi, per purificarsi. Se il pubblico gli volta le spalle, le colpe gli ricadono addosso, più tormentose di prima”. È una regola che sovrasta ogni altra, pena la scomparsa. Il poeta è incinto di se stesso. Grande tragedia Pasolini avrebbe potuto farne, di quello che è e non è, con i mezzi che aveva. Traduttore di Eschilo superbo, la sua Orestiade è un’altra. E di Edipo grande filologo, oltre che pittore, non c’è altra Grecia. O commedia: è Aristofane, l’Eautontimorùmenos? O Plauto, il soldato vantone? Sembrava si divertisse, nelle marane coi pischelli e le periferie, ma era in posa, sempre allo specchio. Si vede dalla foto in giacca e cravatta sul campo di calcio, il tackle perfetto secondo i canoni del Calcio illustrato, coi ragazzini sporchi nel fango. Mentre nel fotoservizio per L’Espresso è in maglietta e calzoncini d’ordinanza, calzettoni, parastinchi, scarpini lucidi coi tacchetti bianchi, i capelli ordinatamente imbrillantinati. Imbalsamato nell’impegno, che è l’unica cosa che non sapeva, e quella forse che lo rendeva nervoso.

Reality – È un bisogno di normalità. Di ricostituire un tessuto connettivo nell’insignificanza della vita quotidiana – senza più tempo, quindi senza più scopo. Che dev’essere grande se, per cerare l’illusione teatrale, non ha bisogno dell’enigmatico e del mirifico ma basta la banalità. Cioè la stessa vita quotidiana.

Socrate -È Platone, in quasi tutto quello che ha detto, e nella sua grandezza (nell’immagine). Il cardine della filosofia e dell’etica occidentali, e anzi cristiane, è un personaggio in maschera, un eroe eponimo dissimulato.

Umorista – Se si compiace, è essso stesso una barzelletta: l’humour si presume, spontaneo, casuale, è sotterraneo. Ma lo scrittore umorista deve organizzarlo, con cura e sapienza, nei ritmi, nei tempi, e nella sprezzatura.

Tradizione – Walter Scott, l’inventore della tradizione scozzese, con clan, tartan e danze, nell’exergue di “Ivanhoe” si passa da scozzese a inglese. La tradizione non vince in opposizione al potere.

letterautore@antiit.eu

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