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sabato 24 dicembre 2011

Il conservatore Jünger è molto progressista

È il catalogo della mostra fotografica “La violenza è normale? L’occhio fotografico di Ernst Jünger”, nel 2007 a Brera. Jünger, che attorno al 1930 curò ben cinque volumi fotografici, vi contribuisce con un breve saggio sul “nuovo primitivismo” della civiltà delle immagini, e sulla sua violenza “tecnica”, connaturata al mezzo. Nel quadro del suo tema più noto, la non verginità del mezzo: “La tecnica possiede il senso di un mezzo esistenziale in confronto al quale la differenza delle opinioni non ha che un ruolo subordinato”. È il primo ripensamento del linguaggio delle immagini, che sarebbe stato successivamente fertile, tra gli altri con Benjamin, Barthes, Sontag – la quale spesso cita Jünger. Sulla traccia jüngeriana per eccellenza della modernità egualizzatrice (uniformante), per i singoli e per la società. “La vita moderna produce imagini caratterizzate da una sempre maggiore geometria… Una disciplina automatica cui sono sottoposti sia l’essere umano che i suoi strumenti”. Il volume che Jünger progettò con Schultz materializza in un paio di centinaia di fotografie (qui riprodotte nell’edizione originale e, con volume a parte, con note esplicative aggiunte alle didascalie tradotte) i due concetti. Il titolo di una delle sezioni, “La guerra non ha creato un ordine del mondo”, dà il senso del volume, con una connotazione più scopertamente politica. Nel conservatore Jünger tutto è politica – anche la sua personale passione di entomologo. Il potenziale imperialistico delle immagini non sarà che confermato dalla storia successiva, dalla riproducibilità e trasmissibilità degli eventi. Anche dalla loro manipolazione, sia pure solamente estetica, il “socialismo” di Rodčenko, la “guerra bella” di Capa. Per la capacità di diffusione, e quindi di omologazione delle diverse alterità, culturali, religiose, politiche, etniche. Curiosamente, è l’immagine di Jünger che più esce mutata da questo volume: i temi scelti delle fotografie, le didascalie, i sottotitoli e i titoli di sezione sono tutti invariabilmente sociali e libertari. Tutto quello che non ci si aspetterebbe da un conservatore, seppure rivoluzionario, quale Jünger è inteso e si vuole. Una sorpresa che conferma come il “discorso rivoluzionario” non possa essere verbale ma solo fattuale, nelle cose. Che il conservatorismo, purché avvertito, conscio dei suoi limiti, può svolgere in maniera più vera, se non più produttiva, del radicalismo. Il saggio specialmente illuminante di Maurizio Guerri, che ha curato la mostra e chiude questi volumi, rimette al centro - dell’opera di Jünger, ma lo è anche dell’epoca – il concetto di “mobilitazione totale”, che ha preceduto “l’operaio” e lo ricomprende. Guerri si chiede se l’ossessione contemporanea della security non sia fomite essa stessa di disordine. E la spiegazione trova ottant’anni prima in Jünger: “Siamo davvero insidiati dall’esterno?”, si chiede, e si risponde no, Jünger, che si è posto la questione negli anni attorno al 1930, ha intravisto un mondo mutato in forza della Mobilitazione totale, messa in atto nella Grande Guerra e non più dismessa. Un mondo, sintetizza Guerri, “fatto di normalità violenta in guerra e di violenza normalizzata in pace”. Una sintesi perfetta, quasi uno slogan, del Novecento. In particolare, “alla caduta del confine tra pace e guerra, pubblico e privato, ordine e pericolo connessa alla Mobilitazione totale, Jünger fa corrispondere un processo di visibilizzazione totale”. Una corrispondenza biunivoca. Nel quarto dei cinque libri fotografici che curò, “L’attimo pericoloso”, ricorda Guerri, Jünger dice “evidente” che il pericolo è e appare “un’altra faccia del nostro ordine”. Il “mondo mutato” è non in meglio. E tuttavia l’intuizione jüngeriana della diabolicità del mezzo è più che suggestiva. Nel suo breve testo Jünger esemplifica lquesta conclusione con “La corazzata Potëmkin” e, con qualche riserva per le alcune parti “sterili” del film, “Metropolis” . Posteriormente avrebbe trovato lo stesso linguaggio violento (manipolativo, impositivo) in “Arancia meccanica”, in “Odissea “2001”. Ma non ci sono romanzi o racconti altrettanto evocativi delle tre epoche o mondi. Anche storici, storicamente “esatti”. L’immagine che crea il mondo resta ipotesi dubbia. Ma se Jünger avesse pubblicato libri illustrati dopo il 1933 forse avrebbe trovati altri esempi: quanta Leni Riefenstahl è Hitler, e quanto Hitler è Riefenstahl - i cui film non a caso restano interdetti? 
Ernst Jünger, Edmund Schultz, Il mondo mutato. Un sillabario per immagini del nostro tempo, a cura di Maurizio Guerri, Remainders, 2 voll., pp 80 + 194 € 14,50

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