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mercoledì 18 marzo 2015

Il mondo com'è (209)

astolfo

Disinformazione – Ha sostituito l’informazione, a tutti gli effetti pratici. A lungo confinata nella pratica dei servizi segreti, domina da qualche tempo l’opinion pubblica attraverso i suoi organi d’informazione, anche i più seriosi. Abbiamo ogni giorno una pagina contro la Russia. Così come contro l’Is. Come l’abbiamo avuta, prima che contro l’Is, contro la Siria di Bashir Assad. E prima ancora contro Gheddafi. O ancora prima, per quanto concerne l’Italia e la sua prima guerra dichiarata in regime repubblicano, contro la Serbia, per creare una serie di stati balcanici vassalli del Centro Europa. La tecnica del’informazione, di occupare gli spazi informativi, è sostituita dalla disinformazione, dalla propaganda.
Tutta la questione ucraina è stata infetta dalla manipolazione dell’opinione. Dalla “rivoluzione arancione” in poi, e compresa la stessa rivoluzione. In misura minore, ma lo stesso si può dire delle “primavere arabe”, dove spontanee proteste locali sono state montate in eventi rivoluzionari. Ma sono svanite senza lasciare traccia – nemmeno in Tunisia, contrariamente alle apparenze.

Uno dei primi vertici della disinformazione fu, nel 1915, la teoria che il tedesco produce più cacca, e più puzzolente, di un francese. Il neurologo Edgar Bérillon individuò nel 1915 la bromidrosi fetida e la polichesia della “razza tedesca”. Aveva il precedente del vino puro, anche se bevuto in modica quantità: “L’uso moderato del vino naturale nuoce alla salute, se uno è artritico, degenerato, o sedentario. L’uso del vino puro ha un’azione dannosa specie sul carattere delle donne. Le rende irritabili e bisbetiche. È qui il punto di partenza di buon numero dei problemi nei matrimoni. C’è di certo una relazione tra l’uso del vino puro e molti dei dissensi coniugali che portano al divorzio”. E tuttavia era un personaggio onorato dalla scienza medica, presidente della Società di Psicologia.
Sfuggì, forse perché astemio, alla vendetta tedesca durante l’Occupazione nella seconda guerra, e morirà rispettato a novant’anni nel ‘48.

Immagini – La prima distruzione di immagini è quella cristiana dell’iconoclastia. Delle immagini sacre esposte nei luoghi di culto. Per essa furibonde guerre civili furono combattute, con migrazioni di massa, per esempio di buona parte del clero e dei monaci della chiesa ortodossa verso i territori lontani di Bisanzio, il tema Calabria soprattutto, e il Salento. Ma oggetto di iconoclastia furono anche immagini non sacre. La Roma del santo papa Gregorio Magno fu spogliata di ogni statua ancora visibile, comprese quelle dei santi: si frantumava per calcinare. Per tutto il Medio Evo si sono bruciati monumenti e altari per ricavarne calce da costruzione.
Più vaste ancora le distruzioni delle immagini in quanto opere d’arte. È anzi una delle prime applicazioni dei movimenti rivoluzionari.  Da ultimo quelli maoisti delle Guardie Rosse e successivi – celebrati nel 1974 anche da Dario Fo. I mongoli si erano segnalati in Cina per l’applicazione che posero nel calcinare case, castelli, cattedrali, monasteri. Bruciarono anche ogni singolo pezzo di carta che vi trovarono. Le Guardie Rosse di Mao li imitarono. O imitarono i rivoluzionari francesi di provincia. In quasi tutte le città minori e i villaggi in Francia, palazzi, chiese e castelli furono distrutti archivi, quadri e statue, e arredi.

Massoneria – A Roma non è una novità, al governo e al Vaticano insieme. È avvenuto un secolo fa, tra Otto e Novecento. E già un secolo prima, dopo l’arrivo di Napoleone in città. Renzo De Felice ha esordito nella storiografia con “Gli Illuminati e il misticismo rivoluzionario” a Roma dopo l’Ottantanove. La sto-ria di Ottavio Cappelli, piccolo massone, e Suzette Labrousse, la quale, avendo sfiorato a Parigi Robespierre, voleva convertire il papa alla Chiesa Universale Liberale. Roma pullulava di Illuminati, i mistici laici.
Con gli Illuminati - e con Balsamo-Cagliostro - Dumas fece la trilogia della Rivoluzione.

Sacco di Roma – Un evento quasi normale, tante volte è stato ripetuto. Il primo fu precoce, nel 390 a.C.. Da parte dei celti, i galli senoni, guidati da Brenno, che marciarono dritti dalla loro “capitale”  Senigallia. Ottocento anni dopo si registrò il sacco dei Visigoti di Alarico. Al terzo tentativo: dopo l’assedio del 408 e del 409, il terzo si concluse con lo sfondamento, il 24 agosto 410, e la devastazione di Roma. Il terzo sacco di Roma fu opera dei Vandali, in guerra con l’imperatore Petronio Massimo, il 2 giugno del 455.
Wikipedia ne registra successivamente due marginali: nel 472 l’assedio da parte dei goti, comandati da Ricimero, e nell’846 il saccheggio delle basiliche fuori le mura di San Pietro e San Paolo, da parte dei Saraceni. Altri due assedi, di natura analoga, sono da registrare anche da parte del duca di Spoleto, il longobardo Ariulfo, nel 591 e nel 593. La prima volta si limitò a minacciare l’assedio, che non pose in cambio di un tributo. I bizantini, che il papa Gregorio Magno aveva chiamato in aiuto, non si mossero. Si mossero due anni dopo per bloccare le trattative che il papa aveva intavolato coi Longobardi viciniori, di Spoleto e di Salerno. Ma la cosa dette fastidio anche al re dei Longobardi Agilulfo, che da Pavia mosse nel 593 contro i bizantini e i duchi Ariulfo e Arechi, ma finì per porre l’assedio al papa, a Roma. Un assedio simulato, per una richiesta di riscatto: Gregorio Magno dovette pagare cinquemila libbre d’oro, e impegnarsi a un ingente tributo annuo.
Il successivo sacco di Roma, nel 1084 da parte dei Normanni di Roberto il Guiscardo, riunisce tutte le contraddizioni della storia della città. Un altro papa Gregorio, Gregorio VII, era finito assediato nel giugno 1083 a Castel S. Angelo dai tedeschi dell’imperatore Enrico IV. Che avevano occupato la città, e la tennero occupata per un anno, senza devastazioni. Gregorio VII chiese l’aiuto di Roberto il Guiscardo. Un anno dopo, il 21 maggio 1084, il Guiscardo entrò a Roma con 36 mila  uomini e diede avvio a una tre giorni di saccheggio senza limiti. Enrico IV si ritirò, Gregorio VII dovette lasciare la città e si rifugiò dal duca longobardo di Salerno – scortato da Roberto il Guiscardo.
Il classico naturalmente è quello di Carlo V, l’imperatore cristianissimo. Che il 6 maggio 1527 scatenò nella città i lanzichenecchi, le truppe tedesche del suo esercito. Il sacco di Roma più devastante, ma anche il più giustificato: il papa Clemente VII aveva promosso un anno prima un’alleanza antiasburgica, detta lega di Cognac – anche irriconoscente: quindici anni prima le truppe spagnole avevano saccheggiato Prato e minacciavano il sacco di Firenze se la città, repubblicana, non si fosse riconsegnata ai Medici (Clemente VII era un Medici). Nel giugno 1413 anche Ladislao d’Angiò Durazzo, filgio di Carlo III d’Angiò e Margherita di Durazzo, re di Napoli, aveva messo a sacco la città, rapinando le case e i palazzi, saccheggiando i santuari, il 24 aprile 1408. In odio a un altro Gregorio, papa Gregorio XII, contro il suo tentativo di far rientrarlo scisma avignonese.
Di tutti gli invasori di Roma se ne astennero i tedeschi nel 1943.

Tarantola – Prima di diventare il nome della giustizia giustizialista di Milano, di origine valtellinese, confessionale, e della direzione generale della Rai, anzi prima ancora di diventare il ballo semindemoniato che Ernesto De Martino ha indagato in Puglia, l’animaletto fu l’alleato dei mussulmani in Italia. Al secondo tentativo di conquista della Sicilia in mano agli arabi, nel 1064 Roberto il Guiscardo poté attraversare quasi tutta l’isola e arrivare fin sotto Palermo. Ma l’accampamento fu invaso di notte dalla tarantole, che misero le sue truppe in rotta, e il Guiscardo abbandonò sdegnato la Sicilia – la conquista normanna fu completata otto anni dopo da Ruggero, il conte di Sicilia fratello del Guiscardo.

astolfo@antiit.eu 

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