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venerdì 15 gennaio 2016

Il mercato produce debito

Siamo debitori. Indebitati a tal punto da rivivere di fatto “il peculiare stato del debitore codificato nell’arcaico diritto romano, che risulta a un tempo libero e schiavo”. Elettra Stimilli, che ha già indagato la condizione del debitore in “Ascesi e capitalismo. Il debito del vivente”, e dunque una specialista in materia, non ha dubbi: “Il debito è divenuto la nuova condizione” dell’umanità. E non  si può dirla in errore, oggi che perfino la condizione di creditore viene assimilata a quella di debitore, nella insindacabile normativa europea, con il bail-in in banca e non solo. Cosa non si fa per gli affari!
E con ciò si è già risposto al dubbio residuo che la filosofa pone, se “l’assoggettamento qui in gioco è ancora del tipo di quello istituito dal nexum” antico romano, o se non si tratti di “una modalità di potere differente”. Nell’un caso e nell’altro il nexum c’è, l’addictio, la riduzione in schiavitù del debitore - ancorché oggi creditore. La trattazione è resa stimolante in quanto Stimilli prova a sottrarre il fenomeno agli “angusti confini della teoria economica”, creando “strumenti interpretativi” in approcci diversi, giuridico, sociale, politico, filosofico, religioso.
La conclusione è quella di Roberto Esposito, “Due. La macchina della teologia politica e il posto del pensiero”: “Un modello di sviluppo che produce perdite”. Ma non evidente. Il raggiro si protegge con robuste arcate d’opinione, una sorta di forche caudine protettive: col “capitale umano” e la falsa impresa. Tutti “imprenditori di sé”, è così che tutti siamo debitori. Si può andare oltre l’assunto di Elettra Stimilli e argomentare che questa storia del “capitale umano” da investire è una costruzione fantastica per asservire illudendo, “imprenditori di sé” senza difese. E per i più è così, come si vede anche nello scandalo delle quattro banche, dei creditori truffati, per norma di legge. E allora?
Il mercato produce debito
La crisi finanziaria del 2007 si è peraltro tradotta in un nuovo ciclo del debito pubblico, cresciuto ovunque in modo esponenziale – in Cina e in Giappone, dove era già alto, attorno a una volta e mezzo il pil, la produzione interna, ora viaggia attorno a tre volte il pil. In Italia il debito pubblico è cresciuto dai 1.602 miliardi di euro del 2007, il 103 del pil, a 2.135 miliardi nel 2014, il 131,9 del pil. La Spagna ha accresciuto il debito dal 60 al 100 per cento del pil. Nella Ue il debito pubblico è aumentato dal 61 all’87 per cento del pil. Nella zona euro dal 65 al 93 per cento del pil. Nella stessa Germania, malgrado il boom relativo di cui ha beneficiato nella crisi, il debito è cresciuto dal 64 al 75 per cento del pil, e in assoluto da 1.598 miliardi nel 2007 a 2.184 nel 2014, il maggiore in Europa, un aumento di quasi il 50 per cento.
Una crescita abnorme su cui la speculazione può operare liberamente, in parte provocandola – il deprezzamento sul mercato del debito ne accresce il costo/premio. Il debito pubblico è una sorta di punching ball inerte su cui la speculazione può vincere senza traumi, una montagna immobile contro cui ogni assalto è possibile, senza nemmeno tanta destrezza. Oggi Laurence Fink, pad di Blackrock, il più grande fondo d’investimenti, 4.500 miliardi di dollari in gestione, due volte il debito della Germania, e William Gross, il creatore di Pimco, secondo o terzo grande gestore di fondi, possono annunciare “altro sangue”, “tanto sangue” nelle Borse mondiali, per il debito eccessivo, e consigliare di spostarsi sui titoli del debito Usa, che evidentemente vogliono vendere – il debito Usa è raddoppiato nella crisi, alla cifra impensabile di 18 mila miliardi di dollari, una volta e mezza quello di tutta l’Unione Europea, che ha mezzo miliardo di abitanti contro i 315 milioni di americani.
In politica l’esito è visibile: è l’ideologia della libertà di tutti una gabbia – la gabbia – dell’asservimento generale? Sì, e questo è noto: il mercato non è l’uscita dall’ideologia, ma l’ideologia unica, senza stalinismo, polizie segrete, gulag, anche se con qualche hitlerismo, e con una pubblicità roboante e ineludibile ai cantoni e anche nell’intimità. Si sarebbe tentati di dire la storia già risolta. Ma è più sottile: questa storia vuole fare, sta facendo, il debitore contento di esserlo – dopotutto, perché il debito sarebbe un fardello? E poi, perché privarsi del piacere della trattazione?
Le origini del capitalismo
Il debito è all’origine del capitalismo. Dell’investimento. Semplice. Enorme anche. E tuttavia è la sola traccia forse, o una delle poche, che mancano fra le tante indagini sull’origine del capitalismo: il mercato, si potrebbe dire, è del debito. Anzi, non ce n’è altro, senza debito non c’è guadagno. Questo “Debito e colpa” figurerà tra le varie origini del capitalismo. Sono - erano - indagini quasi tutte tedesche, queste sulle “origini” del capitale. E storico-sociologiche, non filosofiche. Ora trascurate forse a ragione, dacché il fantasma di Marx più non si aggira per l’Europa. Elettra Stimilli fa eccezione in più di un senso. Autrice del seminale “Ascesi e capitalismo”, pubblicato quattro anni fa, riprende il tema dal fatto: il ciclo del debito, e l’“austerità”. Del debito privato, che ha provocato la crisi bancaria e dei mutui nel 2007 (negli Usa si accendevano mutui con ipoteche di ennesimo grado…). E dell’indebitamento pubblico, che, cresciuto in conseguenza della crisi fiscale dello Stato previdenziale, quarant’anni fa, è esploso in conseguenza della crisi bancaria, primariamente per salvare le banche dal fallimento. Un trattato che per molti aspetti farà testo – ben presentato anche, con tavole riassuntive delle argomentazioni, un glossario ragionato, una bibliografia corposa e tutta valida, indice analitico e dei nomi.
Lingua e religione
Stimilli non ricostruisce la vicenda, se ne serve per esaminare la relazione semantica tra debito e colpa. Che pure, benché trascurato, è un connotato linguistico (aramaico, greco, tedesco – gotico, sassone, inglese) e religioso (ebraico, cristiano) ricorrente. Uno scavo nuovo, dunque, filosofico e non sociologico, sulla natura (origine, limiti) del capitalismo. I riferimenti sono molti, tra essi Max Weber e, con più verità, Foucault – anche nel suo adattamento femminista, di Judith Butler. E le annotazioni sparse di Walter Benjamin, sul “culto indebitante”, come di una religione, che porta ognuno, anche l’incapiente, “a fare di sé una moneta falsa, a carpire il credito con inganno, a mentire così che il rapporto di credito diventi oggetto di abuso reciproco”. Benché di un “culto” che non “conosce nessuna particolare dogmatica, nessuna teologia”.
La colpa è ebraica e cristiana per il peccato, contro Dio più che contro la legge – il peccato originario. Il debito invece è “in numerose culture antiche e moderne .. la forma per eccellenza di legame sociale”, comprese le società dello scambio e del dono. Il “rimetti a noi i nostri debiti”, per i “nostri peccati”, del vangelo di Matteo poi confluito nel “Padre Nostro”, è reso con una parola greca, opheïleme, in uso per l’economia e non per la teologia.
Elettra Stimilli recupera tutti i precedenti del debito-colpa, uno dei grandi temi del Novecento: C. Schmitt, A.Kojève, W.Benjamin, Foucault, Agamben, Esposito, Assmann. Ma ne fa il caso anche sul piano pratico e politico. Col neoliberismo succeduto virulentemente al neocapitalismo con la crisi fiscale dello Stato (Thatcher, Reagan). Che più e meglio si caratterizza però sfociando nella globalizzazione. Che è la superfetazione della vecchia teoria di Benjamin Constant, del commercio migliore motore della storia rispetto alle armi. Argomento condiviso ancora dagli Usa, di pioù dopo la sconfitta nel Vietnam – la Cina è il gigante dai piedi d’argilla.
Il nuovo è il vecchio
Che dirne? Il mercato mondiale (globalizzazione) è certo una novità. E nel capitalismo dominante il debito ha il sopravvento su ogni altro fattore – l’impresa, il lavoro, il reddito, i consumi, il risparmio. Un nuovo Keynes, una nuova teoria generale dell’equilibrio, dovrebbe centrarsi sul “culto indebitante” – il lampo definitorio che Benjamin ebbe del capitalismo prima di affondare, anche lui, nell’ideologia. Ma non è una novità integrale. La “pax americana”, l’equilibrio mondiale che si è formato nel dopoguerra attorno alla potenza americana, militare dapprima e poi economica, delle multinazionali, si è imposta con la moneta. Nel sistema di Bretton Woods, del “re dollaro”, e quindi dell’indebitamento libero Usa. Finito nel 1971 il regno del dollaro, il sistema si è riprodotto col multilateralismo a gestione centralizzata – americana – della guerra del petrolio e delle guerre stellari. E a partire da Tienanmen con la globalizzazione, l’accettazione della Cina tal quale senza paletti nel mercato mondiale.
Anche la polarizzazione del reddito fra sempre più pochi sempre più ricchi e sempre più masse sempre più povere, non è nuova. È ciclica. E polarizza nella storia postbellica su un livello costantemente superiore, nel senso dell’eguaglianza, per condizioni di vita, aspettative di vita, reddito medio, e anche, in definitiva, distribuzione del reddito. Ma, soprattutto, la globalizzazione va vista per quello che è stata ed è: un disegno politico, unico e gigantesco, non la fine della politica. Nuova è semmai l’appropriazione in forma di esproprio. Attraverso le forme note, delle Borse di capitali, e quelle nuove di esproprio bancario. Che in realtà non sono proprio nuove. Nuova è la tolleranza politica di questa appropriazione come esproprio, in Usa e in Europa, l’Occidente, opinione pubblica inclusa, destra e sinistra politiche anzi unite (ma un Einaudi redivivo avrebbe dubbi anche lui), nel “mercatismo” già denunciato.
L’esito della ricerca di Stimilli è che lo Stato – i parlamenti, la politica - è in questo parte in causa. Non è vero che si è ritirato: continua a esercitare le sue funzioni di controllo e di repressione. Ma in più è “entrato pienamente a far parte delle stesse condizioni che ha contribuito a creare”. Della colpa, e del capitale umano indifeso. Con l’imposizione delle politiche di austerità che il mercato (capitale) ha richiesto e a esso sono funzionali, ai suoi guadagni. In Occidente (Usa, Europa, ex Commonwealth) è il fatto dei due Stati più forti, in senso tradizionale, della compattezza nazionale, gli Usa e la Germania.
La moneta è credito, si può convenire con Simmel, e il credito è fiducia. La fiducia è centrale in questa ideologia del mercato surrettizia, l’opinione pubblica. Che è concorde e anzi unanime. Nelle forme tradizionali dei media come parte e motore del capitalismo, e più nella forma rivoluzionaria della rete, con la sua presunta incontrollabilità.
Bisogna pensarci: l’incontrollabilità della rete è il disarmo dei singoli in realtà, o una forma di arruolamento morale, sottile, subdolo. Elettra Stimilli porta in campo il fondamento religioso della fiducia, la fede. No, è il meccanismo della convinzione, o della razionalità. Che non è astratto, viene incontro ai bisogni, che però ha creato..
Una antropogenia nuova
Che fare? Inventarci una “macchina antropogenica” nuova, caduta la millenaria costruzione giuridica di protezione. In grado di riattivare lo scambio “in modo differente rispetto al corso insensato” di liberi speculatori e arcigni incolpatori. Il “dispositivo” del neoliberismo di Foucault, che ne ritraccia l’“invenzione”nella ekklesia cristiana, Stimilli elabora da ultimo nelle specificazioni che ne trae Judith Butler. In una sorta di egualitarismo presentato come indistinzione, di genere e di identità, e anche di forme sociali o concrezioni storiche. Le concrezioni del potere presumendo di esplorare come una sorta di limbo, la “vita psichica del pensiero”. Che ha un lato positivo, nella ricerca delle forme di introiezione del potere, e uno estremamente fragile, che è l’assolutizzazione del potere nella socialità. Molto antifoucaultiano, e anti-“dispositivo”, ma col pregio di mettere a nudo, involontariamente?, il meccanismo del dominio. È in questa deriva che è essenziale indurre il “senso di colpa”: ogni lettore di giornale ne è confrontato quotidianamente - ci colpevolizzano di tutto, anche del maltempo, non ci assolvono mai di nulla. È il vecchio tema e assillo dell’opinione pubblica.
Nella rappresentazione di Elettra Stimilli l’opulenza dell’epoca si manifesta per la sua miseria, anche economica. L’olio della macchina neo liberista è colpa e debito, depressivo e non liberatorio. Si diceva all’epoca della guerra fredda che il capitalismo produce più risorse. Oggi che domina incontestato, invece, le distrugge.
Con un’avvertenza, però, necessaria – in chiave storica, ma la storia ha un senso. Che stiamo parlando dell’Europa. Altrove c’è un progetto e un risultato: la globalizzazione sta creando molta più ricchezza di quanto l’Europa riesca a immaginare – se c’è debito, non c’è colpa.
La conclusione potrebbe essere quella che Stimilli ha individuato in Foucault: “Il cristianesimo è stato individuato all’origine di una modalità economica del potere”. L’“inedito investimento sulla vita”, di cui il cristianesimo è “l’«assertore», ha coinvolto le singole esistenze nella costruzione di un’impresa globale, di cui il mercato finanziario non è che l’estremo apice”.  Come a dire: non si sfugge.
Ma questo è vero nel linguaggio. “L'operaio conosce cento parole, il padrone mille, per questo lui è il padrone”, come voleva Dario Fo nel 1968. Ma è il linguaggio tutto, web compreso con i social, illusioni all’ennesimo grado, come le ipoteche dei mutui “Fanny Mae” e “Freddy Mac”? Esaurisce tutte le dimensioni dell’esperienza?
Elettra Stimilli, Debito e colpa, Ediesse, pp. 240 € 12

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