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martedì 25 luglio 2017

La colpa è della società

Un racconto omoerotico. Un racconto di orrore, anche. E la pietra d’inciampo per un’arringa, nei fatti, senza parole vuote, contro il carcere di redenzione dell’illusione progressista e contro la pena di morte. La pietra di fondazione della colpa sociale: il crimine del povero è colpa della società, delle disuguaglianze, dell’istruzione carente, del disinteresse o incapacità delle istituzioni  – il Parlamento del 1834 faceva e diceva le stesse cose di oggi, scemenze: “Questa testa dell’uomo del popolo istruitela, non avrete bisogno di tagliarla”, la lezione è semplice.
Victor Hugo trentenne è giuà personalità e scrittore complessi. Reduce peraltro da quella sorta di manifesto del romantisicimo che era stata l’introduzione due anni prima al dramma “Cromwell” in edizione cartacea.  
Claude Gueux era un onest’uomo, con una compagna e una figlia in tenera età, “capace, abile, intelligente”, che un inverno, rimasto senza lavoro, ruba per sopravvivere. Non grande cosa: “Non so che cosa rubò né dove”, premette Hugo, “quello che so è che dal furto ricavò tre giorni di pane e di fuoco per la sua donna e la bambina, e cinque anni di prigione per l’uomo”. In prigione, perseguitato dal soprastante ai lavori utili dei carcerati, lo uccide – decide di ucciderlo, col plauso di tutti gli altri 80 o 81 internati. La condanna a morte è una formalità. Ma non è così semplice, due anni dopo Hugo produce sulla “Revue de Paris” questo testo che provoca un mezzo sommovimento – un commerciante di Dunkerque, Charles Carlier, ne ordina 500 estratti  e incarica l’editore di recapitarli ai deputati.  
Claude Gueux è sì colpevole di avere accoppato il sorvegliante, ma la sua identità è sociale – che lo stesso nome sottolin ea, gueux è mendicante in francese. Il Gueux della storia ha tentato il suicidio dopo l’assassinio. È stato tenuto in vita con mille cure e precauzioni per cinque mesi. Quindi giudicato in pochi minuti, e ghigliottinato. Una storia peculiare, ma tutte lo sono. Questa di Victor Hugo s’impose per la polemica contro la prigione rieducatrice. Cara, dice critico, all’orientamento progressista, il suo proprio orientamento. E contro la pena di morte.  In contemporanea col “Claude Gueux” Hugo ripubblicava l’“Ultimo giorno di un condannato”, del 1829, il racconto immaginario di un condannato a morte, con un prefazione horror su alcuni casi di esecuzione capitale.
Con Gueux è il popolo che, vanamen te, è tenuto in prigione. È il popolo che è condannato alla decapitazione, per nessuna ragione sufficiente: “Tutti i paragrafi di questa storia potrebbero servire da titoli di capitolo di un libro in cui fosse risolto il grande problema del popolo nel diciannovesimo secolo”.
Un testo che si direbbe datato, ma di grande lettura. Il torto che Gueux vuole vendicare è la privazione dell’amico del cuore, che il soprastante allontana, per nessun motivo se non il suo arbitrio. Il finale evangelico richiama il Tolstòj di fine Ottocento – anche lui peraltro “svegliato” da un’esecuzione capitale a Parigi, già in gioventù. C’è in anticipo perfino l’anti-Lumbroso: “Le nazioni hanno il cranio bene o mal fatto secondo le loro istituzioni. Roma e la Grecia avevano la fronte alta”.
Il tascabile francese è annotato e illustrato – da Daumier e da un sorprendete Hugo.
Victor Hugo, Claude Gueux, ebook Faligi € 1,99
Livre de Poche, pp. 95, ill.  € 1,50

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