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domenica 17 dicembre 2017

Letture - 328

letterautore

Freddura “Omero è stato il più grande freddurista di tutta la letteratura”, A. Savinio, “Scatola sonora”, 195. Molto praticata in Grecia, secondo Savinio, per avvicinare alla divinità: “Io credo a quell’incontro fortuito di parole nelle quali i Greci riconoscevano la voce della divinità”.

Odessa – Viene da Odisseo. Per dare un nome alla nuova città che aveva deciso di costruire sulla riva russa del mar Nero, una presa di possesso della Russia del mare orientale, Caterina II assegnò il compito agli accademici. Che per ribadire l’ellenismo della Riusia, via Bisanzio, l’ortodossia, propone di dirla città di Ulisse.

Opera buffa – L’opera è buffa, cioè italiana, in francese e anche in g lese. In italiano la tradizione della commedia dell’arte e dei “buffi” è dimenticata e l’opera buffa è “comica”.

Pazzia – Fu fertile in arte non solo nel Novecento, ma già nel secondo Ottocento. Donizetti,  che se la prefigurò nell’atto terzo celebre della “Lucia di Lamermoor”, o “della pazzia”. Maupassant. Van Gogh. Nietzsche. Robert Schumann. Oltre alla pazzia sua propria, che presto lo sopraffarà, Donizetti aveva una pazzia di famiglia, come quel fratello Giuseppe Donizetti “Pascià”, che si faceva fare il ritratto in uniforme con decorazioni e fez, e scriveva marce gagliarde per le “Musiche Imperiali del Sultano”.
Ma: era pazzo Lucrezio? era pazzo Eraclito?

Penelope – Bisogna farne una donna di potere? Emily Wilson, “la prima traduttrice donna dell’“Odissea”, confida le sue pene al “New Yorker” nelle presentazioni che ne va facendo: molti studenti, studiosi, lettori in generale vogliono di più da questo personaggio letterario: vogliono che che si modelli su una donna di potere”. Di più del tantissimo che Penelope già offre, spiega la traduttrice esausta: è abile, di forte volontà, ha grinta, ha un’immaginazione vivida, è leale, è competente, una madre si può dire single che mostra un amore profondo per il suo difficile, lunatico figlio, e tiene da sola una grande e complicata gestione di casa per due decadi. Ma non basta.
Postmoderno – Cos’è di più del manierismo - citazioni, echi, modelli, rovesciamenti? Il “Chisciotte” di Borges, che è un altro pur riscrivendosi tal quale – Borges è antesignano del postmoderno in tutti i suoi aspetti e con cognizione di causa, al punto da farne la satira.

Scrittori – Erano una categoria socioeconomica fino alla guerra, con cassa mutua e pensione-previdenza. Si pagavano la pensione con il riuso dei classici, Dante, Petrarca, Boccaccio,  Ariosto.
Nel 1945 Di Vittorio rifondò il Sindacato n azionale scrittori, ma senza più il collante della previdenza. Negli anni 1980 l’Sns, già così ridimensionato, si è scisso in varie associazioni, e ora è in liquidazione. Gli scrittori, una volta assicuratasi una qualche forma di collaborazione giornalistica, ora aderiscono a una delle tante forme di previdenza e assicurazione malattie dei giornalisti.

Strawinsky – È il pre-postmoderno: l’ironista, il citazionista, il rifacitore, il cultore di modelli che rovescia. Manierista.

Tecnica - Professandosi “ostile alle estetiche”, nel prologo all’“Elogio dell’ombra”, Borges elenca “alcune astuzie” che lo aiutavano a scrivere: “Evitare i sinonimi, che tengono lo svantaggio di suggerire differenze immaginarie; evitare ispanismi, argentinismi, arcaismi e neologismi; preferire le parole abituali a quelle strane; intercalare in un racconto caratteristiche circostanziali, che il lettore esige; simulare piccole incertezze, giacché se la realtà è precisa la memoria non lo è; narrare i fatti (questo l’ho imparato da Kipling e nelle saghe dell’Islanda) come se non li comprendessi del tutto; ricordare che le norme anteriori non sono obblighi e che il tempo si incaricherà di abolirle”.
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Tedeschi – Sono in realtà “francesi” anche in questo, nota Saviniso “Scatola sonora”, 137-8: “I Tedeschi, tre volte in meno di un secolo, hanno mosso guerra ai Francesi. Per vincerli? No. Per distruggerli? No. Per manducarli a scopo eucaristico. Per infranciosarsi (per indiarsi… Dieu est-il français?)”.
Con una coda: “In altri tempi, e quando non la Francia ma l’Italia era la sirena di turno, i Tedeschi, e con lo stesso fine eucaristico, cercavano di manducarsi l’Italia (Goethe)”.

Traduzioni – Quelle in italiano, soprattutto quelle “d’autore”, son state a lungo, fino al primo dopoguerra, in realtà traduzioni dal francese, non essendoci traduttori capaci dal russo, dal tedesco e dall’inglese, nonché dalle lingue asiatiche. Sene trovano racce evidenti dappertutto. In una biografia di Brahms di autore inglese, si rintraccia a ogni pagina il francese: “Una tempesta d’applausi scosse l’uditorio”, “Brahms si allinea fra i più grandi”, “la verità del dettaglio”, “il pianoforte gioca un parte importante”.

Vienna – La Milleleuropa era un po’ chiusa. Quando il “Concerto per violino” di Čajkovskij, che riempie le sale, fu infine eseguito a Vienna, tre anni dopo la composizione e dopo varie angherie nei confronti dell’autore,. per decisione del maestro Adolf Brodskij, sotto al direzione di Hans Richter, l’accoglienza fu pessima. Un critico noto, Eduard Hinslick, non ebbe abbastanza peggiorativi per parlarne male: “Vediamo facce rozze e volgari, udiamo imprecazioni, sentiamo odore di acquavite”, scrisse, “il violino non suona bensì raglia, stride, ruggisce, ascoltando la musica di Čajkovskij mi sono sorpreso a constatare che esiste musica puzzolente”. Per quale motivo? “Qualunque ne fosse il motivo”, commenta Carlo Maria Cella, che ha ricordato l’episodio nel programma di sala di Santa Cecilia per l’interpretazione che ne ha dato Lisa Batiashvili, “la sordità dei contemporanei ci lascia sempre perplessi, se non esterrefatti”. Ma era sordità? I due compositori non si amavano. E Vienna si lusingava patria di Brahms, benché d’acquisto, Čajkovskij non poteva esservi eseguito.

letterautore@antiit.eu 

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