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mercoledì 2 maggio 2018

Primo Levi Montaigne del Novecento

 “La storia dei letterati non di professione diventa meno occasionale in Italia, Primo Levi si mette forse in testa”: è Franco Antonicelli a individuare per primo, e subito, nel 1947, alla prima  lettura di “Se questo è un uomo” (il titolo è suo, Levi proponeva “I sommersi e i salvati”), il Primo Levi scrittore. Cui Ferrero, ex Einaudi, dedica questo omaggio, un contributo al riassetto del secondo Novecento italiano, svanite le nebbie del pensiero unico dogmatico che lo avevano incerottato.
Primo Levi scrittore era stato, come si sa, rifiutato da Einaudi, Pavese e Natalia Ginzburg compresi, che gli preferianno “La specie umana” di Antelme, membro obbediente del Pcf, all’interno del quale era stato protagonista di un divorzio scandalo da Marguerite Duras. All’editore torinese Primo Levi tornerà per gli uffici di Italo Calvino, l’unica vera stella di quel firmamento (i suoi risvolti e le sue lettere sono quanto di più inteligente, oltre che generoso, si sa di quel lungo breve mezzo secolo): la rilettura di Ferrero recupera Primo Levi in tutte le sfaccettature: custode della memoria, nonché analista dela “zona grigia”, enciclopedista curioso e divertito, linguista, zooologo, poeta, fantascientifico il giusto, e “narratore della felicità del lavoro”. Ma soprattuto maestro dello scrivere chiaro: conciso e sapiente.  
“Precisione e concisione” dice Calvino della scrittura di Primo Levi, avendone individuato la doppia vocazione, zoologica e linguistica. Ma sono formidabili utensili narrativi. I più adati a stimolare la sintonia col lettore, che Levi dice essenziale al narratore – la simbiosi dialettica con l’ascoltatore. La prosa “sostanziosa, giusta, naturalmente memorabile” di una recensione di Raboni alla raccolta di poesie.
O l’invenzione di Faussone, personaggio poco digerito dai critici leteterari Asor Rosa in testa, e tuttavia indelebile: un altro “operaio” da quello-massa. Una elevazione che porterà Lévi-Strauss a dire Primo Levi il “grande etnografo” del lavoro, della manualità.
Il torinese Ferrero rileva anche giustamente il taglio “piemontese”, del pe  rsonaggio e della scrittura. Nel recupero delle forme dialettali in lingua, senza superlativi, senza i –mente, senza ripetitivi. “Un Montaigne del Novecento” lo reassume Ferrero.
Ernesto Ferrero, Primo Levi, Einaudi, pp. 138 € 9,50

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