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sabato 22 settembre 2007

Il Patriarca di Marquez sembra Castro

Strani effetti alla rilettura dell'"Autunno del patriarca" di Garcia Marquez. Si conferma la straordinaria ricchezza di linguaggio, fresco, almeno nella traduzione di Enrico Cicogna, senza traccia del lavoro lento di composizione e riscrittura - benché il joycismo non sia oggi godibile, e la tessitura sapiente sappia di ricamo, perfino di folklorismo. Il linguaggio è straordinariamente inventivo, pur se di stretto vocabolario. Sempre con quel senso del millenario estratto dalla sordidezza, dall’“assenza di storia”: il passaggio della cometa, l’eclissi, i segni, la madre… Un libello più che un racconto, ma inavvertito è lo sforzo di rappresentare in un personaggio una storia e un mondo, la fradicia società politica caraibica – i “fanti di marina” della Potenza occupante devono esercitare molta pazienza. Utile, e forse innovativa, l’estrapolazione del monologo dal flusso di coscienza psicologico, anche se grammaticalmente incerto.
Uno strano effetto è che sembra l’anticipo dell’agonia di Castro. Nell’impianto, e in tanti particolari, “fiaccato da un morbo comiziale”, “la mano di damigella”, la durata senza tempo (il Patriarca si vede ai cent'anni di potere, Castro è vicino ai cinquanta). L’“Autunno del patriarca” è modellato su Papa Doc, il “Padre Nostro” Duvalier, il tiranno allora di Haiti. Ma si applica sinistramente a Castro, l’unico dittatore immortale, ancorché non amato. Un altro effetto è che, essendo il personaggio inconsistente, è palesemente – volutamente - un’allegoria: l’allegoria dell’America Latina, a partire da Città del Messico, dove Garcia Marquez risiede. Dopo Parigi, forse la città più letterata del mondo. Classicamente, l’America Latina è vittima della sua stessa immagine. Anche quando non vorrebbe, ne rifugge. È il meccanismo del sottosviluppo: si avvita su se stesso perché se ne parla.
Un terzo effetto è che il linguaggio eccessivo (aggressivo), che sempre col tempo si riduce a bozzettismo, isterilisce lo scrittore. Joyce è ammutolito, Gadda faceva la macchietta di se stesso. Anche Céline era ammutolito dopo “Morte a credito”, i pamphlet sono piatti: è rinato con l’abominio, unico francese accusato di collaborazionismo. Dopo “L’autunno del patriarca”, 1975, Garcia Marquez ha pubblicato molto, ma niente di notevole, e forse non nuovo. “L’autunno del patriarca” è una sorta di condanna inflitta a stesso, un nodo scorsoio duro benché infiocchettato.

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