Cerca nel blog

lunedì 18 maggio 2009

Letture - 8

letterautore

Citazione - È una rassicurazione. Un ritrovarsi, sempre, necessariamente, in buona compagnia. E un riposo, pensare per procura.

Classici – Sono il luogo della libertà, basta che siano d’ieri. Della libertà dell’esercizio critico, che altrimenti è impaniato nell’attualità del testo, nellautore in carne e ossa, nell’editore (il mercato).

Dante - Dantesco è, in tutte le lingue, infernale. Inimmaginabile perché orrido. È questo in realtà Doré, se Benigni ha potuto fare di Dante un festival di Sanremo, una canzone d’amore.
È come Leopardi annota nei “Pensieri di varia filosofia, III”: “Dante è un mostro per li francesi, è un Dio per noi”.

Il grande realista concepiva la filosofia come simbolo e allegoria.
Si può anche dire, è stato detto, che ha messo in versi e introdotto nella storia i “Dialoghi dei morti” di Luciano: il genere è quello. Borges è certo che una delle fonti di Dante è la visione di Tundela – uno dei suoi “Esseri immaginari”.

È l'artefice della ripresa umanistica della tradizione filosofica occidentale della poesia come vera filosofia. È detto hedeggerianamente da Ernesto Grassi (“Heidegger e il problema dell'umanesimo”, pp. 27-28), ma è vero.

L'elegantissimo Niccolò Niccoli, che per i Medici raccoglieva codici latini, vituperava Dante per “la mancata cognizione del latino ciceroniano”, scrive Eugnio Garin (“Il Rinascimento italiano”, p. 341). Mentre Leonardo Bruni, che benché aretino è per molti il prototipo dell'umanista fiorentino, gli contesterà di non aver letto Virgilio o di non aver capito il suo latino, nonché di non saper scrivere una lettera.
Il cancelliere aretino, che fu la gioia dei latinisti, non fa testo. Altrove dice Dante superiore a Petrarca perché buon cittadino oltre che poeta. Dante si ferma a Boccaccio. Il Quattrocento lo restringe nel buco nero del Medio Evo che è venuto scavando per ricongiungersi alla latinità – ebbrezza dei codici.

Rensi nell'”Autobiografia” dice Dante in poche righe, a p. 198, “un pirronista positivista pascalianamente colorato”. Uno scettico, cioè. E lo scetticismo esito dell'individualismo: “Lo scetticismo in Italia” è “preparato dal potente individualismo di Dante, che si stacca e in certa misura si oppone alle due grandi credenze generali dell’epoca, Papato e Impero, le giudica, le critica, non vi soggiace, ma vuole modificarle secondo il proprio personale pensiero”.
Tutto si può dire.

Esilio - Céline, Gadda, Kerouac, Némirovsky, Berberova, i deplacés. Non sradicati, anzi radicati, malgrado tutto, ma a disagio “esistenziale”. Esiliati, fuggitivi.

Heidegger – Il nichilismo è tra noi, più niente di tanta ricchezza e tanto progresso se non il vuoto. Si può dirlo, anche, con semplicità – complicandolo, Heidegger lo annienta, annienta il niente. Dietro, sopra, sotto di esso prospettando profondità e anzi abissi.

Il tragico dell’esistenza (l’ineffabile, l’angoscia) è il tragico di un filosofo neo scolastico che non può dirsi.
È chiaro in Jaspers: l’esistente rimanda al trascendente, altrimenti la storia soffoca l’uomo e la filosofia è inerte.
All’origine – anche del nefas mistico di Wittgenstein – è la necessita della fede di Kierkegaard.

Immagine – Si pubblica, a fine esornativo, una foto seppia di Oreste Del Buono all’osteria. Con Alfonso Gatto e Vittorio Sereni. A un tavolo di legno si suppone traballante. Con le carte ciancicate. Il portacenere sporco di cicche. Tutto falso. L’istantanea è una posa. Curata da Federico Patellani, fotografo professionale del rotocalco “Tempo”. Di visi non invoglianti, anche quello giovanile di Oreste. Di poeti in camicia bianca e doppiopetto. Sul tavolo, con le carte, anche biglietti larghi da diecimila ciancicati, che all’osteria non usano. Di un’“osteria” che è al terzo o quarto piano di una casa borghese su un viale. E perché i peti dovrebbero giocare a carte? Sono malinconiche le foto dei poeti, benché scelte. Quelle che editori e librai inalberano su cataloghi e muri. Il bisogno è comprensibile di dare un volto alla poesia, nell’età dell’immagine. Ma perché darlo trist e falso? Si penserebbe questa 'immagine deterrente, uno scongiuro, e invece, evidentemente, “vende". La letteratura si vuole triste? In posa, falsa.

Letteratura - È piena di turpitudini. Soprattutto nelle Scritture. Nei testi e nei contesti. Si salva con le citazioni decontestualizzate, le sortes vergilianae.
Attraverso le quali, però, rovesciamenti agghiaccianti sono possibili anche nei Vangeli. L’Antico Testamento è sempre orrendo nei testi, e spesso nei contesti – personali, storici, razziali.

Pasolini - Nel 1946 aveva scritto e polito una poesia in morte del fratello Guido, nel primo anniversario dell’eccidio. Ma non l’ha pubblicata. Neanche dopo, quanto poteva pubblicare tutto – ha pubblicato anche i versi da bambino. Un opportunismo che il Pci non richiedeva.

Proust – O della pittura pop? Potrebbe essere. Se non bastano cinquecento e più pagine per dare spessore a Alberatine, che si regge unicamente sull’equivoco lei-lui, mancando il guizzo, il tratto caratterizzante, l’aneddoto, la parola chiave, il taglio, la vita, l’origine di tanta malia potrebbe essere la ripetizione. Non per calchi, per multipli. Magari nobilitata, in estenuazione, ossessione, deliquio, deragliamento, goticismo – Albertine è un fantasma.

Sciascia - È una favola che sia illuminista. Un uomo e uno scrittore che vive invece l’altra faccia della vita e della realtà, benché immerso nei libri, piena di limo e di pulsioni inconfessabili, che non l’astratta verità e il cammino retto del bene.
Molto siciliana, la favola di Sciascia illuminista. Della Sicilia che è, nella storia e nel suo voler essere, l’antitesi dell’illuminismo.

Scrivere - È un narcisismo. Disumano ma umano.

Sherlock Holmes - È un confusionario. È ingegnoso, misterioso, sorprendente, ma anche Agata Christie lo è, che però non affascina, anzi è freddissima. Sherlock Holmes, di suo, è scritto di prima stesura, asimmetrico, attaccaticcio, artigianale. È approssimativo, messo insieme con cura minima, e con l’ansia di finirla: è raccontato vivo.
Ma, poiché non dubita, è l’archetipo positivista. Per questo anche è solo: senza legami sentimentali, e senza famiglia, benché abbia un fratello. Gode anche da solo, col violino e la coca. È eroe positivista in quanto, anche con la mano sinistra, svela l’arcano. È un risolutore, certo.

Silenzio - È il modello del racconto aperto?

Storia – I maestri inglesi non hanno avuto una storia, e uno storico, prima di Gibbon, Settecento avanzato.

Tedesco - È la lingua più studiata (pensata). Come il greco antico. Per ricavarne misteri, che probabilmente non ci sono – ma il mistero è una proiezione.

letterautore@antiit.eu

Nessun commento: