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lunedì 18 maggio 2009

A Sud del Sud - a Sud di nessun Nord (35)

Giuseppe Leuzzi

Vent’anni fa c’era il marocchino al semaforo e Milano Centro votò Lega. Oggi c’è il marocchino nella metro, e Milano Centro vuole i vagoni riservati. Le signore di Milano Centro non prendono la metro, giacché hanno l’autista. Ma in caso che.

Il Moro – Ludovico il Moro – si chiama il miglior sovrano dei milanesi.

Primo Levi, “L’altrui mestiere”, p. 25, critica “Tartarino di Tarascona” per il suo odio contro “i meridionali”. Per esempio, là dove dice: “L’uomo del Mezzogiorno non mente, si inganna… La sua menzogna non è una menzogna…, è una specie di miraggio”.
Solo gli espatriati – la diaspora – possono capire la condizione del meridionale, il meridionale del meridione non può.

La svalutazione del Meridione è nelle origini, nel plebiscito. Che si chiamò Plebiscito Meridionale. Non nazionale, unitario, italiano.
Si è annessi con disdoro. È meridionale, dirà Carlo Dionisotti in “Geografia e storia della letteratura”, p. 13, arguto certo (polemico non si può dire), l’Italia unita: “Al fondo il nobile castello della meridionale «Storia» del De Sanctis con tutt’attorno le modeste casette della meridionale «Letteratura della nuova Italia»” di Croce”. Spregevole, insomma. Manzoni non c’entra, che invece ci affligge – sarà vittima dei napoletani, anche lui.
Altre arguzie, Dionisotti è uno che si è molto divertito: il “Decamerone” è roba napoletana (p. 39), la preminenza veneta sulla letteratura toscana del Cinquecento (p.37), tutto lombardo è il Manzoni creatore, toscano è quando si mette in vacanza (pp.50-51). Del resto è come lui stesso dice all’inizio: “Fuori d’Italia si poteva anche evadere, in Italia no”. Né si può, il conformismo è totalitario.
Per Dionisotti c’è il padovano, il ferrarese, il fiorentino, e c’è il “meridionale”.

Perizie
Guido Papalia, sostituto Procuratore a Reggio Calabria, aveva capito nel 1975 che la “bistecca sintetica” era finanziaria, si volatilizzava attraverso Liquigas e altre holding finanziarie all’estero, e che nell’impianto di Saline Joniche si montavano solo vecchi tubi. Che ci sono rimasti e ancora si vedono. Ma le perizie, contabili, chimiche, finanziarie, diedero ragione al patron della Liquichimica Ursini, e Papalia chiese e subito ottenne il trasferimento. Qualche anno dopo Ursini ha lasciato il gruppo sul groppone dello Stato, per le liquidazioni e i debiti.

Calabria
Gobineau, “Sull’ineguaglianza delle razze”, trova che i calabresi hanno il viso e la conformazione corporea dei cherokee, gli indiani d’America.

Capita di rileggere Campanella, che, con tutti i suoi difetti, e malgrado le incredibili persecuzioni subite in Italia, fu “il più eclettico dei nostri filosofi, e quindi il più ricco di rapporti con la filosofia precedente e posteriore; il più radicale nello spirito riformatore e rinnovatore, e insieme il più conservatore; il più ricco di concetti che entreranno nella trama di tutto il pensiero moderno…” (G. Gentile), e sempre riserva sorprese. E ritrovarlo sintetizzato da Massimo Jevolella (sulla rivista “Meridiani”, luglio 1996): “Filosofo, mago e utopista rivoluzionario: Tommaso Campanella credette che la rivoluzione sarebbe cominciata in Calabria. Con l’aiuto dei turchi”.

Siamo in un racconto di Borges: “Lei sa fino a che punto sono rancorosi e vendicativi i calabresi”. È un racconto poliziesco a quattro mani, scritto da Borges con un amico. Il loro calabrese viene da Salerno.
È un padre cattivo, questo calabrese, di cui il figlio potrà dire la battuta chiave: “Quello che mio padre ha fatto per me non lo ha fatto nessun padre al mondo”.

In “Bella del signore”, romanzone di successo degli anni 1960, la “questione calabrese” è posta dallo spregevole amante all’amata a due terzi circa della narrazione. La questione è se, dovendo soggiacere a un altro che l’amante, per esempio a un bandito che l’avesse rapita, e per ordine del capo brigante dovesse sceglierne uno bello o uno brutto, quale dei due sceglierebbe. L’autore, Albert Cohen, non ha bisogno di dire che i briganti sono calabresi, l’identificazione è automatica. Lei dice, per sfuggire al tormento, “l’uomo brutto”. Il calabrese dell’ipotetica violenza, detto peraltro dal malvagio amante “bello”, viene descritto con calze verdi e scarpe di feltro a punta ricurva, puzzolente, grossolano, dal naso grosso. Il che sarebbe promessa di voluttà: il naso in certa cultura semitica simboleggia il pene.

“Va’ studioso nell’Italia Meridionale! Va’ in Calabria”, se vuoi sapere di greco, e quindi di poesia, di filosofia. Così Ruggero Bacone nel 1300, nella sua “Grammatica greca”, secondo John B. Trumper, il fine glottologo britannico dell’università di Calabria.
Non è vero. E' Petrarca che dà questo consiglio a un giovane ("Senili", XI, 9), e lo raccomanda a Ugo di S.Severino. In realtà il francescano Doctor Mirabilis, meraviglia di filosofo e di scienziato, peraltro morto nel 1293, consiglia, nello stesso testo citato da Trumper, di fare il viaggio in Magna Grecia, e qui particolarmente in Sicilia. Ma che la Calabria faccia aggio sulla Sicilia presso uno studioso britannico, e in un non marginale campo di studi, è lusinghiero.

I calabresi hanno sempre rapito le persone. Virgilio per esempio, che non se ne risentì. Ma quella Calabria era il Salento.

Condannato a “ber aceto forte galavrese” è l’uomo nel “Gennaio” di Cenne de la Chitarra, poeta realistico toscano del Duecento.

“Martore di Calabria” sono tra le pellicce pregiate che Rabelais pone nell’abbazia di Thélème, una sorta di casa dei folli.

In “Lelio, o il ritorno alla vita” Hector Berlioz immagina che il protagonista, all’improvviso, dopo avere aspramente redarguito un critico musicale sul palco di proscenio, uno che non si perdeva mai una rappresentazione di Berlioz ma che il compositore detestava, dichiari: “Simile compagnia, per un artista, è peggio dell’inferno, me ne vado in Calabria”. Dopodichè esce di scena e subito vi torna mascherato da brigante, naturalmente calabrese, armato, accompagnato da un coro che intona, sul ritornello della “Marsigliese”: “Berremo alle nostre donne\ Nel cranio dei loro amanti”. Dopodichè un terzo cambiamento si produce repentino: Lelio rinsavisce e, in lacrime, si dice colpito dalla speranza.
Di che non si sa. Ma è giusto, anche se all’opera si può dire tutto: è difficile giustificare i calabresi tutti cornuti e contenti, oltre che feroci.

Margherite Yourcenar ha in “Pellegrina e straniera”, il suo libro di viaggi, “le calabresi dallo sguardo infuocato”, soggetto delle cartoline illustrate.

Sudismi\sadismi 
“Contship in fuga da Gioia Tauto – Investimenti senza programmazione, peso delle cosche e concorrenza di Algeciras – Un porto che fa gola a 65 clan”. È una pagina del “Sole 24 Ore” del 19 febbraio 2006. Ma non era vero.
Il porto s’è ingrandito, Contship continua a prosperarvi, Algeciras non è concorrente, semmai Port Said. Che però non ha funzionato, e ha costretto Gioia Tauro ad assumersi già nel 2007 obiettivi di traffico al limite della sostenibilità. E 65 cosche sono troppe anche per Gioia Tauro.

Nell’Ottocento la mafia era detta camorra. Per lamentarsi dei ricatti e dei soprusi, a Milano, Roma e Palermo si parlava di camorra.

La Lega è l’orrida scoperta di essere fatti. Non manipolati, non utilizzati ma proprio costruiti, pezzo a pezzo, coi libri di scuola, i giornali, il birignao e la banca. Il Nord ha fatto il meridionale, come il puparo fa i Pulcinella, e ogni tanto lo bastona.

Finanziariamente è il Sud che ha fatto l’Italia. Con i fondi del banco di Napoli. Culturalmente pure: quanta retorica italiana al Sud.

Si potrebbe anche argomentare che il Nord non esiste, poiché il Sud non l’ha inventato. Il Sud esiste, com’è noto, perché il Nord l’ha inventato.
E dunque il Sud si dia una mossa, è un dovere civico, e un debito anche di riconoscenza, e inventi il Nord. Com’è il Nord?

La frase più famosa Garibaldi la disse a Nino Bixio: “Con le budella dell’ultimo papa impiccheremo l’ultimo re”. Mentiva Garibaldi, posava? Sì.

leuzzi@antiit.eu

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