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venerdì 31 luglio 2009

La scuola di dialetto è tutta invidia

Con apprensione il “Corriere della sera” ha lanciato la questione dialetto, dedicando l’apertura mercoledì alla richiesta della Lega di formare insegnanti di dialetto. Sono a rischio l’unità, il Risorgimento, l’innovazione tecnologica, le tre i del cavaliere milanese, oggi quattro con l’idiozia, il solito argomentare stanco degli ultimi venti anni. È il pendolo: un giorno il “Corriere” ci impone la Lega, e il giorno dopo la denigra, per lasciarci nell’incertezza.
E' pure vero che la Lega ama sparale sempre grosse, è un modo di sentirsi vivi che piace, non solo al Nord-Est suo feudo. Ma non dispiacerebbe a nessuno che Milano si manifestasse per una volta quella che è, incapace d’imparare l’inglese, e forte dove si sente protetta. Se non fosse che è l’ennesima manifestazione d’invidia: Milano, l’eletta della nazione, invidia il detestato Sud, dove si parla dialetto con gusto, per non riuscire ad imparare nemmeno l’italiano, cosa che anche un bambino sa fare.
Questa non si sapeva, ma non è una novità. Già da tempo Milano invidia a Napoli il dialetto che vuole la traduzione in sovrimpressione, delle canzoni e dei film. Che è cioè un’altra lingua, e ben efficace. A Roma il romanesco. Ogni estate da molti anni la Lega propone di eliminare dalla rai gli speaker e i presentatori che parlano romano, e di ridurre i finanziamenti al cinema, dove di solito si parla romano. E alla Sicilia il dialetto con cui fa letteratura da storia se non da manuale, da Cielo d’Alcamo a Verga e Ignazio Buttitta, che la sua poesia più famosa dedica proprio alla difesa della parlata dialettale. Nonché ad Andrea Camilleri – eh sì: lo scrittore e il personaggio più letti di tutta la storia libraria scrivono e parlano e pensano in dialetto. Non solo la cucina, quindi, il sole e la strafottenza, il vero portamento elegante, ma anche la sicumera con cui si chiudono a riccio Milano invidia ai terroni.
La soluzione della questione meridionale
Questo è un fatto. Ma non negativo, dal punto di vista risorgimentale, e anzi potrebbe entrare nei programmi, ancora vuoti, del Comitato di studiosi del centocinquantenario: la proposta potrebbe finalmente risolvere la questione meridionale. Proprio nel momento in cui la questione meridionale insorge con prepotenza, con sicuri gladiatori tipo Micciché, benché ingrassato, Lombardo, nomen omen, e Bassolino, anzi pure con Loiero. Una piccola trasformazione che potrebbe infine dopo due secoli, o sono millenni, disinnescare il divario Nord-Sud. Se Milano pensasse in dialetto, si ristabilirebbero condizioni di parità con Napoli e la Sicilia.
È noto che la dilettazione a pensare e scrivere localmente va di pari passo con due fenomeni che oggi più non si citano per la vergogna ma che hanno avuto fino a ieri cultori illustri, la napoletanità e la sicilitudine. Quella centrata sull’anema e core, questa sulla metafisica, due falsi, se non erano prese per il culo del protervo Nord. Di cui non si può dire che siano all’origine del divario Nord-Sud, ma sicuramente ne sono espressione. Con la connessa difficoltà a pensare un’altra latina, sia pure l’italiano facile facile, per la comune ascendenza latina. Il sardo, che non è latino, non ha difficoltà a imparare l’italiano, così che l’isola pietrosa è meglio amministrata e ben più ricca della ferace Campania, della Sicilia che la storia più antica dell’Europa e dell’Ocidente, e della Calabria che ha il suo stesso chilometraggio marino. Ma questo non importa. Ora, se si creasse un lombardismo, con gli zoccoli, gli olmi, le sciure palanche e i cumenda, il divario, chissà, si ridurrebbe.

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