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venerdì 30 ottobre 2009

Letture - 18

letterautore

Amleto – Si può leggere “Amleto” in forma di giallo. La forma del giallo è quella vecchia del “disvelamento”, con un pizzico di sorpresa e di azione, in genere un atto di violenza. È il manifestarsi, sempre imprevedibile, della verità. Poiché, trattandosi di racconto e non di trattatistica, deve usare opere e strumenti pratici (il detective, la casualità, gli indizi, la prova), anche come strumento linguistico è reputato inferiore. Ma Amleto sarebbe un ottimo investigatore, uno che sa provare (fondare) le sue intuizioni. Verbalmente, è naturale.
Non necessariamente il racconto giallo si deve privare dei temi nobili della narrazione, la vita, la storia, il destino, l’abbandono.

Argonautiche – Il solo simpatico è il timoniere Tifi, che ha coraggio, intuito, e sa quello chee sta facendo, in mezzo a un elenco prolisso di tradizioni e meraviglie cui nessuno mostra di credere, e un branco di eroi cazzoni (Ercole, Polifemo) o demotivati (Giasone). Tra donne tentatrici che sanno di casalingo e ancillare, o “con grande scaltrezza” (Sinoe) si fanno dare in dono la verginità. Medea è diversa – ma è una maga, e come fa a farsi stregare da un ragazzo di buona famiglia qual è Giasone?
I tre quarti della letteratura classica, riedita e ristudiata con tanta passione (il commento a queste “Argonautiche” della Bur è almeno quattro volte più lungo del lunghissimo testo) sono importanti solo perché si sono salvati dal fuoco e dalle intemperie. E per l’esercizio archeologico – accademico, erudito, collezionista – testimoniando una lingua morta. Ma è come portare a spasso un cadavere, sempre rispettabile, certo, e talvolta, chissà, anche bello, ma morto.

Céline – Il mistero Céline si chiarisce al confronto con la “reazione assoluta” tedesca: Schmitt, Jünger, Heidegger. Si infierisce anche: il suo antisemitismo non è odio dell’Altro, della democrazia, del sociale – valori che invece in Céline sono ben forti – ma preconcetto. Tradizionale, nazionale, familiare. Nulla al confronto con la reazione assoluta dello Stato sacro.
Piccolo borghese insomma: valori e impotenza. Il suo è l’inferno (l’inconscio) piccolo borghese, sempre in ritardo sulla realtà: razionalista quando il progresso ha esaurito la sua promessa, critico al tempo della dittatura, incattivito all’epoca delle professioni di angelismo e coscienza pulita, e se il governo non va è l’unica volta che lo sostiene. Che non è anticonformismo, o la psicologia del bastian contrario. O meglio lo è, ma il disadattamento è più vasto e profondo.

Giallo – Si può anche dirlo la tragedia della contemporaneità. Con la differenze che l’“incommunicato” (mistero) della violenza non viene addossato alla divinità (sotto forma di Fato incerto, ancorché vendicativo) ma a un essere in carne e ossa. Non è il sostituto tout court della tragedia, in tal caso dovrebbe risalire a duemila e più anni fa, quando il senso del tragico vero (Eschilo, Sofocle) è morto. è subentrato di recente, quando la colpa individuale si è affermata, e la polizia. Coetaneo della letteratura di massa, vi ha soggiaciuto nella forma. Ma la sua materia, la violenza fisica, è sempre quella della tragedia.

Proust – La “Recherche” è romanzo tradizionale: di personaggi tutti d’un pezzo, che si analizzano più che raccontare, la cui storia è il carattere, unico, una sola cosa. Hanno cioè una parte, all’infuori della quale non hanno e non sono altro. Il narratore è sempre malinconico, Charlus pensa al c., Albertine alla ginnastica dell’elusione.
Tantissimo erotismo di fantasia. Mentre l’atto è ridotto a poche righe, implausibile, fanciullesco (“faire cattleya”), improvviso e senza seguito.
Non c’è uno scarto, un controcanto, un’altra cosa. Si può fare a meno, anche in un romanzo, della sorpresa, ma non è possibile costruire un diapason -. che peraltro non c’è - in quattromila pagine, non c’è petite musique che tenga.

È come leggere Sade. Di cui tra l’altro Proust ripete l’apparato (l’impianto): filosofia spicciola intervallata da “pistonate” monomaniache, sessuali o sentimentali. La filosofia illuminista (antilluministica) in Sade, estetizzante in Proust: la sonata, il dovere morale, Dreyfus, l’adolescente, la zia, il profumo. Con in più, in Sade, la tirata rivoluzionaria (controrivoluzionaria), invece della memoria, anestetica se non arteriosclerotica.

È scrittore consolatorio, serve a molti come “versatoio”, d’infanzie, adolescenze, zie e nutrici, nonne e madri, turbamenti, ricordi caramella.
È grande scrittore per essere divenuto santo. Il santo degli snob. Anche se, come snob, era di quelli scassamazzo. S’indovina dall’attenzione alle morti – il tipo che scorre ogni giorno i necrologi, e quanta retorica delle condoglianze! Pettegolo, esibizionista delle sue nevrosi, non è certamente il tipo high tory, lo snob del duca di Bedford. È il vero snob, che mendica inviti e vuol’essere servile.
Ma, come santo, è tutti noi, snob e antisnob. L’uomo certamente non mancava di vizi (anche lo scrittore, se “I piaceri e i giorni” sono stati venduti in quattrocento esemplari in venti anni), e alcuni non li camuffa, anzi li esibisce: la suscettibilità, l’egoismo, la maldicenza, la strana sordità all’amicizia. Che implica anche una cattiva scelta di amici, conoscenze e corrispondenti, inevitabilmente parte del piccolo gioco al massacro. Ma dai memorialisti non si hanno che apprezzamenti, ricordi lieti, meraviglie.
Tutto ciò aggiunge alla sgradevole sensazione di falsità complessiva. Da modesta letteratura fin-de-siècle piuttosto che da commedia dantesca dell’Otto-Novecento.

La “Commedia”: l’ambizione è la stessa, nei personaggi, le storie, le ambientazioni. E c’è il sulfureo e c’è l’angelico. Ma tutto sul patetico. E non perché non c’è più Dio, ma perché Proust non è Dante, essendo un decadente – e un leccaculo.
La sua contemporaneità è blanda come ogni avventuretta Belle Époque, roba senza residui.

Per Lucien Leuwen la signora Grandet, che ambisce ad arricchire il suo salotto di ministri e accademici, è “grossolana”. I Verdurin non hanno ministri. Ma Grandet non è più grossolana perché punta ai ministri. Perché non dovrebbe voler arricchire il suo salotto della crème, giacché si sa che essere nel vento rende le persone più brillante, gaie, gradevoli? Grossolana è l’idea del salotto, l’incontro di gente che non ha vicendevoli trasporti ma solo rappresenta” (espone, recita) se stessa, fa un simulacro di dono incomparabile della conversazione, ma nello stesso tempo annusa e liscia, e spesso è una congrega. Specie il salotto borghese – il borghese è anti-borghese.

Sherlock Holmes - Nel racconto “The copper beeches” (“I faggi rossi”?) Holmes spiega a Watson il suo “sistema”, e la critica del sistema. Che è il contrario del metodo scientifico: è la diagnosi che diventa malattia, dopodichè si procede alla soluzione-cura. Che naturalmente può essere letale, se i presupposti sono infondati – ma non c’è mezzo di riesaminarli: non è un processo continuo di trials and errors, ma una convinzione, più spesso supportata da elementi intuitivi, visionari, magici, che porta a un-a fine.

Stendhal – Estremista vanitoso.
Prima di lui Kleist – “Kolhaas” e altri racconti.

Con lui le donne “si danno”. Storia stendhaliana verrebbe di Angela Pietragrua, che “si dà”, “si nega”, eccetera. Probabile borghese, come Stendhal, ma senza storia: si dava a Stendhal, e non lo sapeva.

letterautore@antiit.eu

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