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giovedì 15 ottobre 2009

Un regime assoluto di polizia giudiziaria

Si dice “l’indipendenza della magistratura” ma è, di diritto e di fatto, un regime di polizia, gestito dai giudici. Dai giudici in quanto capi della vera polizia, quella giudiziaria. Che ha il potere di “uccidere”, moralmente certo, mandando in carcere, qualche volta anche i delinquenti. Talvolta dopo avere ascoltato di un persona ogni escandescenza, per messi e perfino per anni, specialmente degli incensurati e di ogni persona per bene – bisogna ascoltarla per anni per trovarla in colpa.
Si è già scritto in questo sito: “La magistratura in Italia è un potere esecutivo, e uno assoluto e feroce: l’indipendenza dei giudici è in Italia l’arbitrio della polizia”. L’indipendenza dei giudici è di fatto l’arbitrio. È una delle cinque piaghe dell’Italia, e merita un approfondimento. Tutti sanno nei fatti che lo è: i processi si fanno in piazza, a senso unico, con l’impossibilità per l’imputato di difendersi. Se non in processi tardivi, lenti, mai chiari o definitivi. Con garanzie per la difesa ridotte anche nel processo al minimo. Se non, ultimamente, nella forma della prescrizione, che libera il giudice prima che l’imputato, sul capo del quale permane invece il dubbio.
Non è chi non veda l’enorme impiego di uomini, strumenti (per intercettazioni, pedinamenti, documentazione), e risorse finanziarie, per indagini minori, alcune senza risvolti penali, ma di interesse dei magistrati. Di interesse personale. Che si dice volentieri politico, ma di politico non ha nulla: è corporativo nel migliore dei casi, e quasi sempre solo di carriera. La litigiosità dei giudici per uno scatto d’anzianità è prodigiosa e illimitata. La prescrizione, la forma di giudizioprevalente, è peraltro la peggiore forma di condanna e la più praticata in Italia, con processi che si trascinano per decenni, senza nessuna ragione se non l’ignavia dei giudici. Ignavia in senso proprio, poiché si riposano molti giorni la settimana, e in senso poliziesco, poiché si evitano l’obbligo di una sentenza, e tanto peggio per l’accusato.
Quello dei giudici è anche un potere assoluto, senza alcun controllo di merito, e a ben guardare neppure di forma. Il controllo dovrebbe essere infatti esercitato dagli stessi giudici, e questo, che nella pubblicistica viene definito riduttivamente un conflitto d’interesse, cozza contro uno dei fondamenti della democrazia, che è equilibrio e controllo. L’organo istituzionale di controllo, il Csm, è espressione dello stesso apparato giudiziario. E il solo controllo ammesso, quello degli stessi giudici in tribunale, è pregiudizialmente corrivo (inarrivabile ma non eccezionale il caso dei giudizi in serie del giudice Gritti a Milano nei primi anni 1990) e mai risolutivo, se non nel senso della condanna. Non ci sono praticamente assoluzioni in Italia – chi le vanta, Andreotti, Mannino, dopo quindici-venti anni di processi, lo fa a denti stretti, non è andato oltre la vecchia “insufficienza di prove”.

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