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sabato 17 ottobre 2009

Il Sud entra al cinema

Ritorno a Tornatore, prima che a Bagheria. Il regista celebra la memoria della memoria. Con le stesse facce di “Cinema Paradiso”. E con lussuose citazioni dal vivo, questa volta, non nei fotogrammi ritagliati dalle pellicole che “si rompevano”. È l’esercizio in cui Proust primeggiava prima della “Recherche”, che in letteratura si chiama pastiche, e dunque ha una sua dignità narrativa. Col rispetto della diversità della Sicilia – che è per un siciliano un’altra maniera, ma non quella stereotipa.
C’è Leone, naturalmente, a sua volta il re del pastiche al cinema, e tutti quanti: Germi, De Sica (la Madè è tanto Loren “ciociara”), Rosi, Scorsese, i più simpatetici, e anche i visionari Fellini e Bergman. Una ricostruzione lieve, malgrado la lunghezza. Anche dove il passato è forte, come nelle stragi dei sindacalisti. Con alcune pesantezza non smaltite dell’odio-di-sé meridionale: negli anni Cinquanta le strade nei paesi del Sud erano già asfaltate, con le fogne e l’acquedotto. Ma col coraggio di far recitare il drammone a tutti i comici su piazza.
Per la prima volta al cinema è il vero linguaggio meridionale, che è l'irrisione, tanto amabile quanto insopprimibile, come sbucciare la realtà senza rompere la buccia: la fame scacciata col profumo del grasso, il libro che la capra s’è mangiato, la sorella ribelle che del ceffone lamenta la caduta dell’orecchino. Nonché, amabilmente, l’inconsistenza del Pci, che in Sicilia in particolare è finito nel nulla – era finito ben prima della caduta del Muro. Un film anche di genere nuovo in Italia, quello dei film americani sul Sud, dove magari si corre ma senza le ansie, la competitività, le depressioni della civiltà urbana o nordica.
Un film insomma con molte frecce all’arco, che quasi tutte vanno a segno. Nuovo e ambizioso, che scorre semza mai una pesantezza. Ma un po’ dovunque nei giornali che si leggono, compreso il “Foglio” per snobismo, cinque stelle vanno al Brad Pitt un po’ sadico di Tarantino (che si diverte anche lui a rifare, ma Enzo Castellari...), e perfino all'ennesimo Allen, e tre sole, a malincuore, quando non due, a Tornatore. Perché è prodotto e raccomandato dal “nemico”, Berlusconi. La cosa non gli ha fatto male, dato che ha vinto al botteghino, almeno per cinque settimane. Che però potrebbero non essere sufficienti, e mezza Italia è in ansia, trattiene il respiro, prega perfino, perché ciò avvenga.
Nei due cinema in cui “Baarìa” è stato visto, al Forte dei Marmi e a Prati a Roma, nessuno peraltro rideva. Neppure nelle scene di mero contenuto comico: Gullotta nella bagnarola, il comizio di Placido, il matrimonio, il libro che la capra si mangiò, etc. Un pubblico presumibilmente borghese, di “buona borghesia”, quello che legge i giornali, non si è sentito di partecipare al film, perché il buon borghese non può apprezzare Berlusconi. Si capisce che il paese sia demoralizzato – cioè non si capisce, vedendo “Baarìa”.
Giuseppe Tornatore, Baarìa

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