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giovedì 14 gennaio 2010

Orwell come Hobbes, post-1984

Si chiama romanzo, ma è la rappresentazione dello Stato globale, e lo Stato globale siamo noi, oggi, i trionfatori di "1984". Si esce dalla rilettura ossessionati, come da un incubo reale. La “Fattoria” è sul mondo com’era, una farsa, dirompente e divertente, “1984” è la scienza del futuro, della durezza del Diamat che mima. Della vita, compreso l’amore, o il sesso, l’avidità, o la gelosia, ridotta alla sola dimensione politica, cioè di polizia. Una unidimensionalità che può essere solo “scientifica”, cioè tecnica, senza passione. Una storia fredda quindi: è una requisitoria-sentenza, per quanto lucida e di un giudice afflitto, e non un romanzo. "1984" è certamente ancora una satira antisovietica, ma nell’intimo colpisce, con curiosa preveggenza, il mondo post 1984, cioè l’oggi: Oceania siamo noi, che del resto raggruppava già allora le Americhe, Londra con il Commonwealth, e l’appendice africana. Governati infine dallo Stato globale, invisibile ma totalitario, benchè si cammuffi col mercato. Che da tempo ha sostituito la pubblica opinione all'olio di ricino, e sempre si fa votare. Già faceva impressione la lettura canonica di “1984”, antisovietica, poiché era di un Orwell sempre liberale ma su presupposti marxiani. Del sovietismo come poi si è estinto, su presupposti marxiani: fragilità economica, appropriazione del plusvalore, concentrazione monopolistica, totalitarismo, cioè tirannia. La caduta del comunismo è il solo evento storico che abbia inverato le “leggi” marxiane, ed essa era in “1984”. Ma, riletto, il “romanzo” non è tanto una lettura del comunismo sovietico, quanto di un mondo di strutture e sovrastrutture, e di ideologie. Né più né meno di quello odierno, bancario, avido, inflessibile, totalitario. Orwell va riletto quale Hobbes contemporaneo, filosofo compassionevole della politica, nella guerra civile continentale del Novecento: “Ogni giorno distruggiamo parole”, spiega Syme, il linguista di regime, “dozzine di parole, centinaia di parole. Tagliamo il linguaggio all’osso”, per restringere il campo del pensiero: “Alla fine, attraverso il pensiero, renderemo letteralmente impossibile il crimine, perché non ci saranno parole per esprimerlo”. Curato pure nelle date: il 1984 del calendario finisce con la perestrojka. Orwell che Italo Calvino labellò "un libellista di second'ordine", perché ricordava gli anarchici e i troskisti massacrati dai comunisti di Stalin in Catalogna, per dire la durezza della lunga guerra civile da poco finita.
George Orwell, 1984

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