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martedì 24 gennaio 2012

L’iperromanzo è falso del pentitismo

Si vuole “una grottesca e paradossale epopea degli anni della contestazione”, ma solo dice, dopo vent’anni (pubblicato nel 1990, tradotto nel 1991), che il romanzesco (iper o postmoderno) è maniera. Il brio è zavorrato dall’indignazione. Per il Sessantotto? Contro? È la stessa cosa. Ma la stessa tecnica tende a spegnerlo. E se Brock Vond facesse a sua volta il doppio gioco? Per Mosca, per Spectre? E Mosca e Spectre in realtà lavorassero per il diavolo Nixon? Il gioco non può non chiudersi, e quindi ci vorrebbe una storia, non soltanto personaggi e ambienti, per quanto sorprendenti. Senza contare le deboli polemiche: Usa = Thanatoia, r ‘n r = Vomitones, passioni = uniformi e ordine “segreto”.
È il limite è del concetto stesso d’iperromanzo. Pychon ha inventiva e scrittura (e cultura) straordinarie, e non bastano: le sorprese non bastano – non bastano mai. Ma c’è anche un fondo dannunziano, ricercato e quindi doppiamente artificioso cioè, sia nella revulsione che nel modo di esprimerla: è tale l’impegno sulle parole e le frasi nuove che uno ci si perde – il lettore e l’autore.È una sceneggiatura. A grande budget, on effetti speciali (ninja) e masse. Da coproduzione: ‘è l’Italia, il Giappone, il Messico. Italiano è anche come romanzo del pentitismo, col gioco di lusinghe, ricatti, compromessi. Che dovrebbero storicizzarlo ma non ce la fanno.
Thomas Pynchon, Vineland

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