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martedì 24 gennaio 2012

Il mondo com'è - 81

astolfo

Corruzione - Il maggiore scandalo della Repubblica prima di Mani Pulite (vicenda peraltro da esplorare nei suoi veri connotati) fu l’affare Eni-Petromin. Avvenne al tempo del secondo shock petrolifero, 1978, vigente ancora il compromesso storico. Quello che il presidente dell’Eni Mazzanti e il direttore per l’Estero Sarchi vantarono come un accordo straordinario, per avere per la prima volta infranto il monopolio americano in Arabia Saudita, seppure con un accordo commerciale, in una situazione di mercato estremamente difficile per i consumatori, si ribaltò a loro danno nelle more di un’inchiesta parlamentare e della gogna mediatica. Anche se nessuna prova fu portata a loro colpa.
Per l’acquisto Mazzanti s’era impegnato a pagare una tangente (mediazione d’affari) del 7 per cento a un uomo d’affari iraniano per conto dei principi sauditi - la percentuale maggiore, l’1,50 per cento, andava al principe ereditario Fahd. La mediazione internazionale fu ritenuta accettabile, seppure non corretta e onerosa, dall’inchiesta parlamentare. Mazzanti sostenne che l’accordo era comunque proficuo per l’Eni e per l’Italia. Ma i socialisti insinuarono il dubbio che parte della provvigione fosse rifluita in Italia a beneficio del presidente del consiglio Andreotti.
Lo scandalo era stato sollevato sotterraneamente da Bisaglia, astro montante della terza generazione Dc, contro Andreotti, attraverso ministri e giornalisti a lui vicini. Il segretario del Psi Craxi, il tesoriere Formica, e il vicepresidente dell’Eni Di Donna lo fecero lievitare politicamente. Per logorare il compromesso storico del moralista Berlinguer, che dopo pochi mesi entrò in crisi.

La questione morale non può essere parziale e mirata. Questo tipo di “questione morale” è anzi la questione morale italiana. La lotta alla corruzione è l’esercizio della giustizia: dev’essere uguale per tutti. Se si indagano solo due procuratori di calcio quando tutti i procuratori compiono continuamente illeciti, non si fa la lotta alla corruzione ma la si alimenta. Lo stesso se si indaga un partito, o alcuni partiti, per delitti che tutti i partiti commettono. O un imprenditore del latte, poniamo, per frode alla Ue, quando tutti i produttori di latte frodano la Ue. Sembra semplice buonsenso e invece non è così: la lotta alla corruzione si propone essa stessa come corruttrice, solo più forte di quella che combatte.
Mani Pulite puntò il Caf e lo distrusse, metà Dc, il Psi, il Psdi, il Pri e il Pli. Lasciando fuori dalle indagini l’altra metà Dc e il Pci, anche se erano incorsi negli stessi reati, di finanziamento illecito alla politica e di traffico delle influenze – con l’aggravante riconosciuta per il Pci di finanziamento illecito da parte di potenza straniera. Ha successivamente puntato Berlusconi, che si è preso i voti del Caf. Berlusconi ha resistito alle indagini a senso unico, il cui effetto è quindi un ulteriore discredito della giustizia, della lotta alla corruzione.

Italia - “Siamo un Paese di ex, ricorda Mario Isnenghi inaugurando una piccola e densa rivista di storia online («S-Nodi», 1, 2007, www.scriptaweb.it). Ex borbonici nell’Italia liberale. Ex socialisti in camicia nera. Ex fascisti con la tessera del partito comunista. Fenomeni innovativi ma anche penosi. Dopo tutto, l’ex-ismo è un tragitto psicologico difficile, la stanchezza del naufragio, la delusione intima dell’errore. Scorie tossiche. Prendiamo la Seconda Repubblica, che dell’apostasia ha fatto quasi una religione. Alleanza nazionale spegne la fiamma del rimpianto, Rifondazione riavvolge la bandiera rossa, il Partito democratico (in un sol colpo) sotterra falce, martello e Balena Bianca. Dovrebbero essere svolte epocali e assomigliano invece a un cambio di casacca stanco, reticente, furtivo. Forse perché, da noi, le grandi cesure avvengono in un contesto di rigida continuità delle élite che sfiora il camaleontismo. Prodi, Berlusconi, Fini, Veltroni hanno sulle proprie spalle - nelle ossa - troppe stagioni della storia italiana. Sono ex”.
Si potrebbe aggiornare così, con questo nuovo lemma di Paolo Macry sul “Corriere della sera” (12 gennaio 2008), l’antologia “La questione morale. Perché siamo Italiani”, che David Bidussa ha dedicato cinque anni fa a quanti si sono prodotti sul carattere degli Italiani. È un sport nazionale.
Le generalizzazioni sono sempre infedeli, lo diceva Croce ma ognuno lo vede – gli “italiani” per esempio, che vuole dire? E tuttavia servono, oltre che divertire.

Mani Pulite – Non è stata ancora metabolizzata la violenza di Mani Pulite. Che in ogni altro ordinamento avrebbe configurato un golpe: incriminazioni indiscriminate, da parte di un solo gip, Italo Ghitti, che professava di non leggere gli atti, atti d’accusa redatti al ciclostilo, incriminazioni notificate via giornali, due parlamenti sciolti arbitrariamente in due anni. In Italia invece si è chiamata “rivoluzione”. Confermando, nel particolarissimo significato che la rivoluzione ha nella cultura fasciocomunista, il suo carattere sovversivo. Nella fattispecie golpista – la rivoluzione resta sempre un fatto popolare.

François Furet liquidò l’operazione all’epoca come “processo di disaggregazione della Repubblica italiana e della sua autorità”. È più che mai veridica la lunga, e trascuratissima, intervista che lo storico della Rivoluzione francese diede al corrispondente del “Corriere della sera” a Parigi Ulderico Munzi, pubblicata il 10 marzo 1993. Sintetizzata, a microfoni spenti, con la battuta: “Questo paragone è un abuso, dove sono giacobini e sanculotti? Io vedo solo le Leghe”.
In dettaglio lo storico spiega: “Cosa vi salta in testa di dire che la classe politica ha perso la sua legittimità? Non l’ha mai avuta, questa legittimità. O, perlomeno, era molto debole. La politica italiana, in un certo senso, è sempre stata oligarchica. Il suo discorso è sempre stato esoterico, il suo linguaggio è sempre stato in codice e quindi sospetto. In sostanza, non ha mai avuto robuste radici popolari”.
Rivoluzione? “È un abuso. Rivoluzione vuol dire sostituzione di un potere a un altro. Non è soltanto un fenomeno di decomposizione e d’implosione del potere esistente. E dov' è la nuova ideologia rivoluzionaria? Siamo seri. Per parlare di Ancien Régime bisogna averne uno nuovo… C'è qualcuno in Italia che pensa che ci possa essere un ordine diverso da quello democratico? No. Dunque, non buttiamo al vento la parola rivoluzione e usiamo piuttosto termini appropriati. Parliamo, cioè, di un processo di disaggregazione della Repubblica italiana e delle sue autorità”.
Non è la prima volta, aggiunge Furet. Ora ci sono due fati nuovi. Uno è “il peso della fine del comunismo che era depositario di uno straordinario capitale di fiducia nelle classi popolari. C’è un vuoto”. L’altro è che “l’Italia vive una crisi costituzionale…. È la sola democrazia moderna senza potere esecutivo”. Ma questo non dà automaticamente avvio a una palingenesi, ribadisce sbrigativo lo storico all’intervistatore: “Mi ascolti. Mussolini nacque dalla debolezza popolare del giolittismo. La Repubblica italiana di De Gasperi era riuscita a trovare una relativa legittimità attraverso i due grandi partiti di massa che erano la Democrazia cristiana e il Partito comunista”. Relativa perché i due pilastri erano bacati: “Il primo era debolmente democratico in quanto era legato alla religione. Nell’uomo democratico la religione dev’essere un fatto privato. Il secondo costituiva una menzogna nella democrazia moderna, cioè i comunisti mentivano nella loro visione dell'’avvenire italiano. Questi ultimi hanno perso, oggi, persino la loro identità, e la Democrazia cristiana è in preda a una crisi. Cosa si può pretendere in un Paese che non ha un dispositivo salvatore come quello dell’elezione dell’esecutivo a suffragio universale?... Gli italiani cambino le loro istituzioni. La rivoluzione non esce fuori dal cappello a cilindro dei prestigiatori”.
Furet dice anche “pericolosa” la supplenza dei giudici. E rischioso, in generale, il momento storico per la democrazia: “La democrazia, con la fine del comunismo, è diventata universale e rappresenta l’avvenire dell’umanità. Ma ciò accade proprio nel momento in cui persino le democrazie più antiche fanno udire scricchiolii preoccupanti. Solženicyn dice che il comunismo muore e la democrazia si ammala. Pensi alla tirannia dell’opinione pubblica manipolata dai mass media, alla depoliticizzazione delle masse, al cinismo dilagante. Non sono caratteristiche solo italiane”. E dunque, il futuro dell’Italia? “il fascismo è disprezzato dall’opinione pubblica, anzi direi che e' disonorato. E poi non vedo dei Mussolini. L’Italia affonda in una sorta di anomia, nella mancanza di rispetto delle leggi e dell’autorità pubblica”.

Occidente – Mar d’Occidente è il Mediterraneo nella letteratura islamica – persiana, turca, centroasiatica.

astolfo@antiit.eu

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